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Joseph Conrad.

LORD JIM.

 

 

 

 

 

 

INDICE.

Nota dell'autore: pagina 5.

Capitolo 1: pagina 9.

Capitolo 2: pagina 20.

Capitolo 3: pagina 31.

Capitolo 4: pagina 46.

Capitolo 5: pagina 55.

Capitolo 6: pagina 87.

Capitolo 7: pagina 117.

Capitolo 8: pagina 135.

Capitolo 9: pagina 152.

Capitolo 10: pagina 167.

Capitolo 11: pagina 188.

Capitolo 12: pagina 195.

Capitolo 13: pagina 208.

Capitolo 14: pagina 226.

Capitolo 15: pagina 245.

Capitolo 16: pagina 252.

Capitolo 17: pagina 262.

Capitolo 18: pagina 268.

Capitolo 19: pagina 282.

Capitolo 20: pagina 292.

Capitolo 21: pagina 312.

Capitolo 22: pagina 324.

Capitolo 23: pagina 334.

Capitolo 24: pagina 347.

Capitolo 25: pagina 357.

Capitolo 26: pagina 371.

Capitolo 27: pagina 381.

Capitolo 28: pagina 391.

Capitolo 29: pagina 403.

Capitolo 30: pagina 412.

Capitolo 31: pagina 421.

Capitolo 32: pagina 432.

Capitolo 33: pagina 441.

Capitolo 34: pagina 456.

Capitolo 35: pagina 470.

Capitolo 36: pagina 480.

Capitolo 37: pagina 490.

Capitolo 38: pagina 502.

Capitolo 39: pagina 515.

Capitolo 40: pagina 527.

Capitolo 41: pagina 541.

Capitolo 42: pagina 550.

Capitolo 43: pagina 561.

Capitolo 44: pagina 572.

Capitolo 45: pagina 580.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

"E' certo che qualsiasi convinzione guadagna infinitamente non

appena vi aderisca un'altra anima".

A G. F. W. Hope ed a sua moglie con grato affetto dopo molti anni

di amicizia.

NOTA DELL'AUTORE.

Allorché questo romanzo apparve la prima volta in volume, si

cominciò a dire che mi ero lasciato prender la mano. Qualche

recensore sostenne che il lavoro, iniziato come novella, era poi

sfuggito al controllo dell'autore. Di ciò, un paio di critici

scoprirono alcune prove interne: il che parve divertirli molto.

Insistettero sui limiti della forma narrativa. E' assurdo,

sostennero, che uno possa parlare tutto quel tempo, e che altri

stiano ad ascoltarlo così a lungo. Non era molto credibile,

dissero.

Ho avuto agio di ripensarci per circa sedici anni, ma non sono

ancora tanto sicuro che avessero ragione. Si sa di uomini rimasti

in piedi metà della notte - tanto ai tropici che in zone temperate

- a "raccontarsi storie". E' vero che questa è una storia sola, ma

vi ho pur inframezzato pause che danno una certa dose di sollievo;

e, quanto alla resistenza degli ascoltatori, certo bisognerà

accettare - assunto preliminare necessario - il postulato che il

racconto sia interessante davvero. Per parte mia se non l'avessi

trovato interessante, non avrei mai potuto mettermi a scriverlo.

In riguardo poi alla possibilità fisica, ognun sa che certi

discorsi in Parlamento hanno avuto una durata più prossima alle

sei che alle tre ore; mentre tutta quella parte del libro che

corrisponde al racconto di Marlow si può leggerla ad alta voce,

direi, in meno di tre ore. E d'altronde sebbene io abbia

rigorosamente escluso dal libro tutti i dettagli del genere -

possiamo ben supporre che quella notte siano stati offerti dei

rinfreschi; e che un bicchiere d'una qualunque acqua minerale

abbia aiutato il narratore a tirare avanti. Ma, scherzi a parte, è

effettivamente vero che la mia prima concezione fu d'una novella

ristretta al solo episodio della nave dei pellegrini: null'altro.

Dopo però averne buttate giù poche pagine ne restai scontento,

chissà perché; e per un certo tempo le misi a dormire. Non tornai

a cavarle dal cassetto se non quando il povero William Blackwood

mi chiese qualcosa per la sua rivista.

Soltanto allora mi resi conto che la faccenda della nave dei

pellegrini era un buon spunto per un racconto da lasciarlo andar

libero dove volesse; e che tale episodio poteva opportunamente

prestarsi ad illuminar tutto intero il "senso dell'esistenza" in

un personaggio di temperamento semplice e sensibile. Ma tutti

questi stati d'animo e questi moti dello spirito, antecedenti

all'atto dello scrivere, mi rimasero lì per lì alquanto oscuri; e

non mi appaiono più chiari nemmeno oggi, dopo tanti anni.

Le poche pagine che avevo messo da parte ebbero il loro peso nella

scelta dell'argomento. Ma riscrissi deliberatamente ogni cosa.

Sapevo, quando mi ci misi. che sarebbe stato un libro lungo; pur

non prevedendo che avrebbe finito con l'occupare tredici numeri

della "Maga".

Talora mi è stato domandato se dei miei libri non fosse Lord Jim

quello che preferivo. Sono un nemico dichiarato dei favoritismi

nella vita pubblica, nella vita privata, e perfino nei delicati

rapporti che corrono fra un autore e le sue opere. Per questione

di principio non voglio favoriti; ma non giungo al punto da

sentirmi addolorato ed urtato per la preferenza che certuni

accordano a questo, tra gli altri miei romanzi. Non dirò neppure

che "non arrivo a capire..." No! Ma una volta ebbi ragione di

restare interdetto e sorpreso.

Un mio amico di ritorno dall'Italia aveva parlato colà con una

signora, alla quale il libro non piaceva. La cosa mi rincrebbe,

naturalmente, ma a stupirmi fu la causa della sua avversione. "E'

così malsano", aveva detto.

Su questo giudizio ebbi da meditare ansiosamente per un'ora. Alla

fine - debitamente riconosciuto che il tema è piuttosto estraneo

alla sensibilità femminile - giunsi alla conclusione che quella

signora non poteva essere italiana. Chissà anzi se era neanche

europea? Comunque, un temperamento latino non avrebbe mai trovato

nulla di morboso in un'acuta coscienza dell'onore perduto. Una

simile coscienza può essere errata, può essere giusta, o venir

condannata come artificiosa; e forse Jim non è un tipo molto

comune. Ma posso accertare ai miei lettori, senza tema di

sbagliarmi, che egli non è il prodotto di una riflessione fredda e

perversa. Non è nemmeno una creatura delle nebbie nordiche. Fu una

mattina di sole, nell'ambiente banale d'una strada di Oriente, che

vidi passare, commovente e significativa, ravvolta in una nube, la

sua figura perfettamente silenziosa. Come doveva essere. Toccava a

me, con tutta la comprensione di cui ero capace, cercar le parole

adatte per esprimerne il significato. Era "uno dei nostri".

Giugno 1917.

 

 

CAPITOLO 1.

Per tre o forse cinque centimetri non arrivava a un metro e

ottanta. Di complessione robusta, vi veniva incontro a passi

sicuri, un po' curvo nelle spalle, con la testa protesa in avanti

e uno sguardo fisso di sotto in su che vi faceva pensare a un toro

sul punto di slanciarsi. La voce era profonda e sonora; nei modi,

una sorta di sicurezza caparbia, senza nulla tuttavia di

aggressivo, che pareva voluta per imporre a se stesso non meno che

agli altri. Nella persona meticolosamente curato: tutto di bianco

dalle scarpe al cappello, immacolato. Nei diversi porti orientali

dove si guadagnava da vivere come commissionario marittimo era

favorevolmente conosciuto.

Un commissionario marittimo non ha bisogno di sottoporsi ad esami

di sorta, ma certe capacità deve possederle in astratto e saperle

dimostrare in concreto. Il suo lavoro consiste nel gareggiare di

velocità, sia a vela che a vapore o a remi, con altri

commissionari per essere il primo a raggiungere ogni nave in

procinto di dar fondo; nel salutarne festosamente il capitano,

cacciandogli in mano a forza il listino delle varie mercanzie; e,

non appena costui mette piede a terra, nel pilotarlo con energia

ma senza ostentazione fino ad un vasto magazzino che pare una

caverna, colmo non soltanto di tutte quelle cose che a bordo si

mangiano e si bevono, ma dove si può anche procurarsi quanto rende

un bastimento atto alla navigazione e bello a vedersi: da un

assortimento di ganci per le cime d'ormeggio a un libretto d'oro

in foglia per gli intagli di poppa. Qui il capitano è ricevuto dal

proprietario dell'azienda come un fratello, benché lo veda allora

per la prima volta. V'è un fresco salottino, poltrone, bottiglie,

sigari, l'occorrente per scrivere, una copia del regolamento

portuale, e un'accoglienza così cordiale da scioglier nel cuore

d'un marinaio tutta la salsedine che vi hanno accumulato tre mesi

di navigazione. I rapporti così iniziati son mantenuti vivi, per

tutto il periodo che la nave rimane in porto, attraverso le visite

giornaliere del commissionario marittimo. Egli si mostrerà fedele

al capitano come un amico e pieno d'attenzioni come un figlio;

avrà la pazienza di Giobbe, la dedizione altruistica d'una donna e

l'eterna allegria d'un buontempone. Più tardi arriverà anche il

conto. E' un mestiere bello e umano. Perciò un bravo

commissionario marittimo è raro. Se poi un commissionario

marittimo, che possieda in astratto le volute capacità, ha anche

il pregio d'essersi fatto le ossa sul mare, egli merita da parte

del suo principale un bel po' di soldi e parecchia indulgenza. A

Jim toccavano sempre buoni salari e indulgenza quanta ne

basterebbe per render fedele un demonio. Eppure, con nera

ingratitudine, ogni tanto abbandonava sui due piedi l'impiego, e

se n'andava da qualche altra parte. Ai suoi principali, le ragioni

che dava apparivano assolutamente insufficienti. "Maledetto

idiota!" esclamavano, appena aveva voltato le spalle: e questo era

tutto il commento che facevano sulla sua squisita sensibilità.

Per i bianchi che trafficavano nei commerci marittimi e per i

capitani delle navi, egli era Jim: null'altro che Jim. Aveva, ben

s'intende, anche un altro nome, ma gli premeva che non fosse mai

pronunciato. Codesto suo incognito, bucherellato d'altronde come

un setaccio, non era tuttavia destinato a nascondere una

personalità, bensì un fatto. Quando il fatto sbucava fuori

dall'incognito, Jim abbandonava all'improvviso il porto dove si

trovava in quel momento, e si trasferiva in un altro: di solito

sempre più verso oriente. Si teneva ai porti, perché era un uomo

di mare in esilio dal mare, e perché possedeva quelle capacità

astratte che non servono in nessun mestiere, salvo in quello di

commissionario marittimo. Si ritirava in buon ordine verso il sole

levante, e il fatto gli teneva dietro a caso, ma senza scampo.

Così, anno dietro anno, lo conobbero successivamente a Bombay, a

Calcutta, a Rangoon, a Penang, a Batavia: e in ciascuna di queste

tappe egli non era che Jim, il commissionario marittimo. Più

tardi, allorché la sua acuta percezione dell'intollerabile lo

distaccò per sempre dai porti di mare e dagli uomini bianchi

sospingendolo fin dentro le foreste vergini, i malesi di quel

villaggio nella giungla dove s'era deciso a nascondere la propria

deplorevole sensibilità, aggiunsero una paroletta al monosillabo

del suo incognito. Lo chiamarono Tuan Jim, che è come dire: Lord

Jim.

Era nato in un presbiterio. Molti sono i comandanti di belle navi

mercantili che provengono da simili asili di devozione e di pace.

Il padre di Jim possedeva una così sicura conoscenza

dell'Inconoscibile da lasciar soddisfatta la rigidezza morale di

chi abitava in povere catapecchie, senza perciò turbare i sonni di

coloro ai quali una Provvidenza infallibile consentiva di vivere

in ricchi castelli. La chiesetta sulla collina aveva il color

grigio muschioso di una roccia irretita da un intrico di

vegetazione. Sorgeva là da secoli, ma gli alberi onde era

circondata ricordavan probabilmente il giorno in cui ne fu posta

la prima pietra. Più in basso la rossa facciata del rettorato

brillava col suo tono caldo fra i praticelli, le aiuole e gli

abeti. Sul dietro si stendeva un frutteto, a sinistra il cortile

lastricato della scuderia, e le vetrate in pendenza delle serre

lungo un muro di mattoni. La parrocchia apparteneva da generazioni

alla famiglia; ma Jim aveva quattro fratelli: e quando, dopo una

serie di romanzi d'avventure letti durante le vacanze, s'era

manifestata in lui la vocazione marinara, lo mandarono subito su

una nave-scuola per allievi ufficiali della marina mercantile.

Qui imparò un po' di trigonometria, e come si bracciano i pennoni

di velaccio. Tutti gli volevano bene. Per la navigazione si

guadagnò il terzo posto in graduatoria e fu fatto capovoga nella

prima lancia. Aveva una testa solida e un fisico eccellente che lo

servivano a dovere nelle manovre in cima agli alberi. Il suo posto

era sulla crocetta di trinchetto, e di lassù spesso gettava un

occhio, con lo sprezzo dell'uomo destinato a rifulgere nei

pericoli, sulla pacifica moltitudine dei tetti tagliata in due

dalla torbida corrente del fiume, mentre, sparsi ai margini della

pianura circostante, i comignoli delle fabbriche si drizzavano uno

per uno a perpendicolo contro il cielo sporco: sottili come

matite, eruttavan fumo al pari di vulcani. Vedeva grandi navi

partire, chiatte panciute far la spola in continuazione, barchette

laggiù laggiù sotto ai suoi piedi, il fosco splendore del mare

verso l'orizzonte, e la speranza di una vita eccitante in un mondo

pieno d'avventure.

Sotto coperta, in una babele di duecento voci, si spogliava della

propria realtà presente per anticipar con l'immaginazione la vita

di mare quale la letteratura romanzesca glie l'aveva dipinta.

Vedeva se stesso in atto di salvare dei naufraghi, o di tagliar

con l'ascia le alberature nella furia d'un ciclone, o di nuotare

contro il risucchio trascinando un gherlino. Oppure si vedeva

naufrago solitario, scalzo e in brandelli, vagare sui nudi scogli

in cerca di frutti di mare per sfamarsi. Altre volte affrontava i

selvaggi su spiagge tropicali, sedava ammutinamenti in alto mare,

in una barchetta sperduta nell'oceano rincuorava gli affranti

compagni: esempio costante di dedizione al dovere, eroe a tutta

prova, come un personaggio di romanzo.

"E' successo qualcosa. Vieni su!"

Balzò in piedi. Come una fiumana gli allievi facevan le scalette a

quattro a quattro. Si sentiva sul ponte un gran correre e gridare.

Quando fu sbucato dal boccaporto, Jim si fermò di botto allibito.

Era il crepuscolo di una giornata d'inverno. Il vento aveva

rinfrescato nel pomeriggio, bloccando il traffico sul fiume; e ora

soffiava con la violenza d'un uragano, a raffiche capricciose che

rimbombavano come salve di grossi cannoni sull'oceano. La pioggia

veniva giù di traverso a scrosci interrotti, e nelle pause si

offriva a Jim la rapida e minacciosa visione dell'accavallarsi dei

marosi, delle barche sballottate che si urtavano lungo la riva,

dei fabbricati immobili nella bruma fuggente, delle chiatte

panciute che sgroppavano pesantemente tesando le cime

d'ancoraggio, dei grandi pontoni che facevano l'altalena inondati

dagli spruzzi. La raffica che seguì parve spazzasse via tutto.

L'atmosfera era gonfia d'acqua portata dal vento. V'era come un

proposito di ferocia nella bufera, un'intensità furibonda

nell'urlo del turbine, in quel tumulto brutale della terra e del

cielo, che pareva diretto proprio contro di lui, e che lo lasciò

senza fiato, immobile e sgomento. Gli sembrava d'esser trascinato

in un vortice.

Qualcuno gli diede uno spintone. "Armate la lancia!" Ragazzi gli

passarono accanto correndo. Un battello guardacoste, mentre filava

a ripararsi in porto, era andato a sbattere contro una goletta

all'ormeggio: dell'infortunio era stato testimone uno degli

istruttori della nave-scuola. Una folla di allievi si arrampicò

sui bastingaggi, si raggruppò intorno ai paranchi. "Una

collisione... Proprio davanti a noi... Il signor Symons ha visto

benissimo". Un urtone lo scaraventò fin contro all'albero di

mezzana, dove si sostenne afferrandosi ad una cima. La vecchia

nave-scuola costretta dall'ormeggio vibrava tutta, dando

dolcemente la prua al vento, e traverso la sua poca attrezzatura

mormorava con voce di basso profondo l'affannata canzone della sua

giovinezza sul mare. "Cala!" Vide la lancia, con l'equipaggio al

completo, scender rapida al disotto dell'intraversata e si

precipitò da quella parte. Sentì un tonfo. "Molla; libera via!" Si

sporse. Il fiume ribolliva schiumoso lungo la murata. Si scorgeva

nell'oscurità crescente la lancia in balìa del risucchio e del

vento che la tennero per un attimo magicamente in loro potere a

sballottar sul fianco della nave. Una voce tonante gli giunse a

mala pena alle orecchie: "Remate d'accordo, cuccioli che non siete

altro, se volete salvar qualcuno! Remate a tempo!" E

all'improvviso la lancia s'inalberò di prua, e balzando a remi

alzati sopra un'ondata, ruppe il breve incantesimo in cui l'avevan

tenuta il vento e il risucchio.

Jim si sentì stringere una spalla con forza. "Troppo tardi,

giovanotto". Il comandante della nave trattenne con la mano quel

ragazzo che pareva volesse buttarsi in mare, e Jim sollevò verso

di lui uno sguardo pieno di cosciente dolore per la disfatta

subita. Il comandante sorrise con simpatia. "Avrai più fortuna

un'altra volta. Questo t'insegnerà ad esser svelto".

Acute grida d'entusiasmo accolsero la lancia che tornava indietro

a balzelloni, mezza piena d'acqua e con due uomini esausti che

diguazzavano sui paglioli. A Jim il tumulto e la minaccia del

vento e del mare sembravano ormai assolutamente spregevoli, ciò

che accresceva il suo rammarico per essersi lasciato sgomentare

dal loro vano furore. Ora sapeva cosa pensarne. Era ben certo che

della bufera non glie ne importava più nulla. Sarebbe stato capace

di affrontare pericoli ben più grandi. Sicuro: un giorno li

avrebbe affrontati, e meglio di chiunque altro. Non aveva più

neanche un briciolo di paura. Tuttavia se ne rimase la serata

intera in disparte, pensieroso e aggrondato, mentre il capovoga -

un ragazzo con un viso da femminuccia e certi grandi occhi grigi -

era festeggiato come un eroe nel ponte inferiore. Tutti gli si

stringevano attorno con le più appassionate domande. E lui

raccontava: "Non appena ho scorto la sua testa che scompariva e

riappariva, subito ho lanciato in acqua l'alighiero. Gli si è

agganciato ai calzoni e per poco non cascavo in mare, se non era

il vecchio Symons che, lasciato andare il timone, mi ha acciuffato

per le gambe. La lancia è andata a un pelo dal capovolgersi. Gran

brav'uomo quel vecchio Symons. Che m'importa se ogni tanto fa il

brontolone con noi? Tutto il tempo che mi ha tenuto per le gambe

non ha fatto che coprirmi d'improperi, ma quello era il suo modo

di dirmi di non mollar l'alighiero. Certo che il vecchio Symons si

eccita con terribile facilità, vero? No, non il biondino....

voglio dir l'altro, quello grosso, con la barba. Quando l'abbiamo

tirato a bordo gemeva: OH, LA MIA GAMBA! OH, LA MIA GAMBA! e

rovesciò gli occhi fino al bianco. Curioso, un tipo così grosso,

che svenga come una ragazza. Voi sverreste per una botta di

alighiero? Io no sicuro. Gli s'era infilato nella gamba tanto

così" E, suscitando viva emozione, mostrò in giro l'alighiero che

aveva portato apposta sotto coperta. "Ma no, sciocco! Non era la

carne a reggerlo, erano i calzoni. Ma sanguinava anche molto,

s'intende".

A Jim queste parevano penose esibizioni di vanita. La tempesta

aveva provocato un eroismo spurio quanto la sua minaccia era

falsa. Si sentiva irritato contro quel brutale tumulto della terra

e del cielo che l'aveva preso alla sprovvista soffocando a

tradimento il suo slancio generoso verso il rischio. Per il

rimanente era piuttosto soddisfatto di non essere andato con la

lancia, visto che alla bisogna era bastata un'iniziativa di

proporzioni così modeste. Aveva arricchito la propria esperienza

meglio dei materiali esecutori dell'impresa. Quando tutti gli

altri avessero indietreggiato, allora sì - ne era sicuro - lui

solo avrebbe saputo affrontare la falsa minaccia del vento e del

mare. Sapeva ormai cosa pensarne. Obbiettivamente veduta, era una

minaccia spregevole. Non riusciva a trovare in se stesso la minima

traccia di emozione, e insomma l'effetto conclusivo di

quell'avvenimento eccezionale fu che, dimenticato e solo in mezzo

alla chiassosa folla dei compagni, Jim esultò nella rinnovata

certezza del proprio spirito d'avventura e in un sentimento di

multiforme coraggio.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

CAPITOLO 2.

Dopo due anni di tirocinio prese imbarco; ma, addentrandosi in

regioni tanto familiari alla sua fantasia, dovette riconoscerle

stranamente povere di avventure. Fece molte traversate. Conobbe la

magica monotonia di un'esistenza fra cielo e mare; ebbe a subire

le critiche degli uomini, le esigenze del mare, e la prosaica

durezza del compito giornaliero da cui si ricava il pane, ma

anche, in compenso, l'amore per il proprio lavoro. Era un compenso

di cui non godeva: eppure non poteva tornare indietro, perché non

v'è nulla al mondo che seduca, deluda e renda schiavi come la vita

di mare. Senza contare che la carriera prometteva bene. Di modi

distinti e di buon naturale, profondamente conscio dei propri

doveri, era un tipo che ispirava fiducia; sì che, giovanissimo

ancora, si ritrovò primo ufficiale sopra una bella nave, senza

esser mai stato messo a prova da quegli incidenti di navigazione

che dimostrano alla luce del giorno il valore intrinseco d'un

uomo, l'affilatura della sua tempra, la fibra della sua stoffa:

che rivelano il grado della sua resistenza e la segreta verità

delle sue apparenze, non solo agli occhi degli altri, ma ai

propri. Una volta sola in tutto quel periodo ebbe di nuovo il

senso, in una rapida visione, di quanto possa essere intensa la

rabbia del mare. E' una rabbia che si manifesta meno spesso di

quanto può creder la gente. Vi sono molte gradazioni di pericolo,

nelle avventure e nei fortunali: solo ogni tanto appare sul volto

dei fatti la sinistra violenza di un'intenzione; quel quid

indefinibile che forza la mente e il cuore dell'uomo a convincersi

come quella concatenazione d'incidenti, o quella furia degli

elementi che lo assalgono, abbiano un preciso intento di perfidia,

una forza al di là d'ogni controllo, una crudeltà sfrenata che

vuol strappare all'animo speranza e timore, travaglio di

stanchezza e desiderio infinito di riposo; che vuol schiacciare,

distruggere, annientare tutto ciò che fino a quel momento egli ha

visto, conosciuto, amato, goduto, oppure odiato; tutto ciò che è

necessario e senza prezzo: la luce del sole, le memorie,

I'avvenire; che vuole spazzar via d'un colpo dai suoi occhi tutto

il mondo prezioso col solo, semplice e spaventevole gesto di

togliergli la vita.

Ferito da un pennone che gli era caduto addosso al principio d'una

settimana di burrasca (della quale in seguito il capitano, uno

scozzese, usava dire: "Ragazzi! per conto mio è un vero miracolo

se la nave l'ha scampata!"), Jim passò lunghi giorni disteso sul

dorso, con la testa confusa, in un abbattimento senza speranza e

in un'agitazione tale come se avesse toccato il fondo d'un abisso

di irrequietezza. Di come sarebbe finito non gli importava; nei

momenti di lucidità si esagerava la propria indifferenza. Il

pericolo, quando non lo vediamo, ha la stessa confusa imperfezione

del pensiero umano. La paura diventa vaga; e quella nemica

dell'uomo che è l'immaginazione, madre di tutti i terrori, se non

è stimolata dai fatti si affloscia nel tedio dell'emozione

esausta. Jim non vedeva altro che il disordine della sua cabina

sballottata. Giaceva là prigioniero nel bel mezzo d'una piccola

devastazione, segretamente felice di non dover salire in coperta.

Ma di quando in quando un fiotto di incontenibile angoscia lo

sopraffaceva fisicamente, lasciandolo senza fiato a contorcersi

sotto le lenzuola. Allora la stupida brutalità di un'esistenza

così atrocemente schiava di simili sensazioni gli dava un

desiderio disperato di fuggirne ad ogni costo. Poi, col ritorno

del bel tempo, non ci pensò più.

Continuava tuttavia a zoppicare, sì che quando la nave raggiunse

un porto in Oriente bisognò ricoverarlo all'ospedale. La

guarigione tardava, e dovettero lasciarlo a terra.

Nella corsia dei bianchi vi erano altri due soli pazienti: il

commissario di bordo d'una cannoniera che si era rotto una gamba

cadendo in un boccaporto, e una specie d'imprenditore di ferrovie

d'una provincia vicina. Costui, afflitto da una misteriosa

malattia tropicale, riteneva il dottore un vero ciuco, e si

abbandonava a segrete orgie di specialità medicinali che il suo

servo Tamilo gli portava di nascosto con devozione instancabile.

Si raccontarono a vicenda la storia della loro vita, giocavano un

po' a carte, oppure sbadigliando ciondolavano in pigiama dalla

mattina alla sera, sdraiati sulle poltrone senza scambiarsi una

parola. L'ospedale sorgeva sopra una collina, e un'arietta

delicata, entrando dalle vetrate sempre aperte, portava nella

stanza disadorna la morbidezza del cielo, il languore della terra,

l'affascinante respiro delle acque orientali. Vi portava profumi,

suggestioni d'infinito riposo, il dono di sogni senza fine.

L'occhio di Jim spazzava ogni giorno di là dai boschetti dei

giardini, sopra le terrazze della città, oltre le fronde dei

palmizi che crescevano sulla spiaggia, per fermarsi sulla grande

via dell'Oriente: una via costellata d'isolette inghirlandate,

illuminata dal sole delle grandi occasioni, con le sue navi simili

a giocattoli, col suo traffico brillante come una parata festiva,

con in alto l'eterna serenità del cielo orientale, e in basso la

sorridente pace dei mari orientali, padroni dello spazio fino

all'estremo orizzonte.

Non appena gli fu possibile camminare con un bastone, scese in

città a informarsi d'un mezzo per ritornare in patria. Ma non

essendovi nulla in vista per il momento, gli venne naturalmente

fatto, per ingannare l'attesa, d'entrare in relazione con gli

uomini del suo mestiere che si trovavano in porto. Costoro erano

di due categorie. Alcuni, pochi e che si vedevano raramente,

facevan vita misteriosa, avevano conservato un'inalterabile

energia e, insieme con una cert'aria da pirati, occhi da

sognatori. Pareva vivessero in un pazzo labirinto di progetti, di

speranze, di pericoli, d'imprese, al di là della civiltà, negli

oscuri ricetti del mare; la loro morte sembrava poter essere

l'unico avvenimento in qualche modo probabile di quelle

fantastiche esistenze. La maggioranza invece si componeva di

uomini che, capitati là per caso, come Jim, vi eran rimasti come

ufficiali di cabotaggio locale. Ormai pensavano con orrore

all'idea di prestar servizio sui bastimenti dei bianchi, con

quelle condizioni di vita tanto più dure, con quella rigida

concezione del dovere, col rischio delle traversate sugli oceani

bizzosi. S'erano intonati all'eterna pace del cielo e del mare

d'Oriente. Amavano i viaggi brevi, le buone sdraie di coperta, i

folti equipaggi indigeni, e il privilegio d'esser bianchi.

Rabbrividivano al pensiero di dover faticare, e conducevano così

un'esistenza precaria ma comoda, sempre sul punto d'essere

licenziati, sempre sul punto d'essere assunti; al servizio di

Cinesi, di Arabi, di meticci... Anche al soldo del diavolo si

sarebbero messi se ci fosse stato poco da fare. Discorrevano

eternamente di colpi di fortuna: come al Tal dei Tali era stato

affidato un bastimento che faceva un servizio comodo comodo lungo

le coste della Cina; come quell'altro aveva un'occupazione

piacevole in qualche parte del Giappone; come un terzo si faceva

d'oro nella marina siamese. E in tutto quanto dicevano - come

anche nelle azioni, nell'aspetto, nelle persone - si scopriva il

punto debole, il marcio: quel proposito ben determinato di

bighellonar senza rischio attraverso la vita.

A Jim codesta masnada di chiacchieroni, a considerarli come

marinai, sembraron sulle prime irreali più che fantasmi. Ma finì

con lo scoprire un certo fascino in quegli uomini, in quella loro

aria di passarsela a meraviglia con una razione così minuscola di

fatica e di rischio. Col tempo, accanto al suo iniziale disprezzo,

crebbe lentamente in lui un altro sentimento; e all'improvviso,

abbandonata l'idea di tornarsene in patria, prese imbarco sul

Patna come primo ufficiale.

Il Patna era un vapore locale vecchio come il mondo, smilzo come

un levriero e divorato dalla ruggine peggio d'un serbatoio

abbandonato. Proprietà d'un Cinese, era noleggiato da un Arabo e

lo comandava un rinnegato tedesco della Nuova Galles del Sud, il

quale ci teneva moltissimo a maledire pubblicamente la propria

terra d'origine, ma che, traendo forse esempio dalla trionfante

politica di Bismarck, si compiaceva di trattar brutalmente tutti

coloro del quali non aveva paura, e aveva un'aria di "a ferro e

sangue" combinata con un naso violaceo e dei mustacchi rossi. Dopo

che la nave fu ridipinta all'esterno e imbiancata di dentro, a un

dipresso ottocento pellegrini vi vennero imbarcati, mentre stava

all'attracco con le caldaie accese lungo un molo di palafitte.

Al fiotti i pellegrini salivano a bordo per tre passerelle;

salivano a fiotti sospinti dalla fede e dalla speranza del

Paradiso; salivano a fiotti con un struscìo continuo di piedi

scalzi, senza dire una parola, senza né mormorare né guardarsi

indietro: e, non appena fuori dai guardamano che li obbligavano a

procedere incolonnati, dilagarono d'ogni parte sul ponte, fluivano

verso prua e verso poppa, straripavan giù per i boccaporti

spalancati, andavano a riempire i più lontani recessi della nave:

come l'acqua che colma una cisterna, come l'acqua che filtra da

crepacci e fessure, come l'acqua che silenziosa cresce su su fino

all'orlo. Ottocento tra uomini e donne, con la loro fede e

speranza, i loro affetti e ricordi, si erano là riuniti provenendo

dal Nord e dal Sud e dai limiti estremi dell'Oriente, dopo aver

percorso i sentieri della giungla, disceso i corsi dei fiumi,

costeggiato in proe sui bassifondi, traversato in piccole canoe da

un'isola all'altra, sopportato disagi e patimenti, incontrato

spettacoli strani e subìto l'assedio di strane paure, un solo

anelito sostenendoli sempre. Venivano da capanne solitarie

abbandonate in lande deserte, da accampamenti popolosi, da

villaggi in riva al mare. Al richiamo di un'idea avevano

abbandonato le loro foreste, le radure, la protezione dei capi, la

prosperità e la miseria, i luoghi della giovinezza e le tombe dei

padri. Arrivavano coperti di polvere, di sudore, di sudiciume, di

stracci: gli uomini più forti a capo di gruppi di famiglie, i

vecchi scarni che si facevan strada nella calca senza speranza di

ritorno; ragazzi d'occhio ardito che si guardavano attorno con

curiosità, bambine scontrose dai lunghi capelli arruffati; timide

donne imbacuccate che si stringevano al seno, avvolti nei lembi

sciolti delle sporche pezzuole da testa, i loro marmocchi

addormentati; pellegrini inconsci di una ferrea credenza.

"Guardi un po' che mandria", fece il capitano tedesco al suo nuovo

primo ufficiale.

Per ultimo giunse il capo di quella pia carovana, un Arabo. Salì a

bordo lentamente, bello e solenne nella sua tunica bianca e col

suo grande turbante, seguito da uno stuolo di servi carichi dei

suoi bagagli. Il Patna salpò, staccandosi dalla calata a macchina

indietro.

Dapprima diresse la prua verso un passaggio tra due isolette, poi

attraversò in senso obliquo lo spazio d'ancoraggio riservato ai

velieri, descrisse un semicerchio all'ombra di una collina, e

prese la via lungo una scogliera frangiata dalla spuma dei marosi.

Dritto a poppa, l'Arabo recitò ad alta voce la preghiera dei

naviganti. Invocò la protezione dell'Altissimo sul viaggio, ne

implorò la benedizione sulle fatiche degli uomini e sulle segrete

mire dei loro cuori: il piroscafo intanto solcava pulsante nel

crepuscolo le calme acque dello Stretto e laggiù lontano lontano,

a poppavia, un faro piantato da miscredenti sopra una secca

traditrice, sembrava gli strizzasse quel suo occhio di fiamma,

quasi a deriderne la missione di fede.

Uscito fuor dagli stretti il bastimento superò la baia,

proseguendo la sua rotta attraverso il passaggio detto del " Primo

Grado". Puntò direttamente sul Mar Rosso sotto un cielo sereno,

sotto un cielo rovente e senza nubi ravvolto in un fulgore di sole

che annientava il pensiero, opprimeva il cuore, faceva avvizzire

ogni impulso d'energia. E sotto al sinistro splendore di quel

cielo, il mare azzurro e profondo restava immobile, senza un

fremito, senza un'increspatura, senza una ruga: vischioso,

stagnante, morto. Il Patna trascorreva con un lieve sibilo su

quella pianura liscia e luminosa, snodando un nastro di fumo nero

attraverso il cielo, lasciandosi dietro un nastro di spuma candida

che subito si sfaceva e scompariva, come il fantasma d'una scìa

tracciata su un mare senza vita dal fantasma d'una nave.

Tutte le mattine il sole, quasi volesse tener dietro con le sue

rivoluzioni alla marcia dei pellegrini, emergeva dalle acque con

un silenzioso scoppio di luce, sempre alla stessa distanza a poppa

della nave, la raggiungeva sul mezzogiorno, versando il fuoco

concentrato dei suoi raggi sulle pie intenzioni degli uomini; le

scivolava dinanzi nella sua discesa, e sprofondava misteriosamente

nel mare una sera dopo l'altra, conservando sempre la stessa

distanza dalla prua. I cinque bianchi di bordo vivevano a mezza

nave, appartati da quel carico umano. Il tendone copriva il ponte

da prua a poppa come un tetto bianco, e soltanto un debole

mormorìo, un sussurrar di malinconiche voci rivelava la presenza

di una folla sulla distesa immensa e sfolgorante dell'oceano. Tali

erano le giornate immobili, afose e pesanti, che scomparivano una

dopo l'altra nel passato, quasi cadessero nell'abisso

continuamente aperto dalla scìa; e la nave, solitaria sotto un

fiocco di fumo, proseguiva il suo cammino costante, nera e

infuocata in un'immensità luminosa, come arsa dalla fiamma che un

cielo senza pietà le saettava contro.

Le notti calavano su di essa come una benedizione.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

CAPITOLO 3.

Una placidità meravigliosa riempiva il mondo, e pareva che le

stelle effondessero sulla terra, insieme ai loro raggi sereni, la

garanzia di un'eterna sicurezza. La falcata luna giovinetta che

splendeva bassa a ponente, era simile a un truciolo sottile

piallato da una sbarra d'oro, e il mare Arabico, liscio e fresco

all'occhio come una lastra di ghiaccio, stendeva la sua superficie

perfettamente livellata fino al circolo perfetto dell'oscuro

orizzonte. L'elica girava senza intoppo, come se il suo pulsare

rientrasse nello schema d'un universo privo di rischi; e sui

fianchi del Patna due profondi solchi d'acqua, scuri e

ininterrotti sullo scintillìo senza rughe del mare, racchiudevano,

entro i loro orli dritti e divergenti, candidi vortici di schiuma

che si rompevano con un sibilo sommesso creando piccole onde,

increspature leggere, brevi risucchi che un istante agitavano il

mare dopo il passaggio della nave, per poi placarsi con un tenue

sciacquìo e finalmente dissolversi in quell'immobilità circolare

dell'acqua e del cielo che aveva eternamente per centro la macchia

nera del piroscafo in movimento.

Jim, in piedi sul ponte, si sentiva pervaso da una grande

certezza: la certezza di un'incolumità e di una pace senza confini

che si leggeva chiaramente nell'aspetto silenzioso della natura,

così come la certezza d'esser protetti da un amore si legge nella

tenera calma del volto materno. Riparati dal tendone teso come una

tettoia, affidati alla saggezza e al coraggio degli uomini

bianchi, alla potenza del loro scetticismo e al ferreo involucro

della nave col fuoco in corpo, i pellegrini di una fede esigente

si abbandonavano al sonno su stuoie, su coperte, sulle nude tavole

dei ponti, in ogni angolo buio, ravvolti in panni ritinti,

imbacuccati in luridi cenci, con la testa sui loro fagotti e il

volto contro le braccia ripiegate: uomini, donne, bambini; i

vecchi insieme ai giovani, i decrepiti con i vigorosi - tutti

uguali davanti al sonno, fratello della morte.

Una corrente d'aria provocata dalla corsa della nave attraversava

senza posa la lunga zona di penombra fra gli alti bastingaggi,

spazzava le file dei corpi distesi. Poche lampade a globo di

debole fiamma erano appese qua e là con una breve catenella alle

capriate di sostegno del tendone; entro ai torbidi cerchi di luce

proiettati verso il basso, che tremavano appena per l'incessante

vibrazione della nave, appariva qui un mento rivolto in su oppure

due palpebre chiuse, là una mano scura con i suoi anelli d'argento

o una gamba scarna drappeggiata di stracci; qui una testa

ripiegata all'indietro o un piede scalzo, la una gola nuda e tesa

come si offrisse al coltello. I più agiati, con casse pesanti e

stuoie polverose avevan messo insieme dei ricoveri per le loro

famiglie; i poveri riposavano uno vicino all'altro tenendo sotto

al capo tutto ciò che possedevano al mondo avvolto in un cencio; i

vecchi solitari dormivano con le gambe rattratte sui loro tappeti

da preghiera, con le mani sulle orecchie e un gomito per parte

all'altezza delle guance; un padre, con le spalle sollevate e la

fronte sulle ginocchia, stava assopito con un'aria desolata

accanto a un ragazzo che dormiva supino coi capelli arruffati e il

braccio teso in un gesto imperioso; una donna chiusa dalla testa

ai piedi, come un cadavere, in un lenzuolo bianco, teneva un

bambino ignudo nel cavo di ogni braccio; il bagaglio dell'Arabo,

ammucchiato a poppa sulla destra, era come una pesante montagna

dai contorni frastagliati, su cui ciondolava una lampada da stiva;

e più dietro s'intravedeva una gran confusione di forme

eterogenee: panciuti vasi d'ottone che lanciavan riflessi,

l'appoggiapiedi d'una poltrona a sdraio, le lame di certe lancie,

il fodero dritto d'una vecchia sciabola appoggiato a un mucchio di

cuscini, il beccuccio d'una caffettiera di latta. Il solcometro

automatico sul bastingaggio di poppa batteva periodicamente un

tocco argentino per ogni miglio superato da quella spedizione di

fedeli. Talora sopra la massa dei dormienti aleggiava un lieve e

paziente sospiro, l'esalazione d'un sogno agitato; erano altra

volta brevi colpi metallici che risonavano improvvisi nelle

profondità della nave: l'aspro raschiar di una pala, lo sbattere

violento del portello d'una caldaia scoppiavano brutalmente, come

se gli uomini che laggiù maneggiavano quelle cose misteriose

avessero l'animo pieno d'ira selvaggia. Intanto lo scafo alto e

snello del piroscafo proseguiva imperturbato il suo cammino, senza

neanche un'oscillazione della spoglia alberatura, fendendo

ininterrottamente la gran calma delle acque sotto l'inaccessibile

serenità del cielo.

Jim attraversò il ponte, e i suoi passi nel vasto silenzio parvero

fragorosi al suo stesso orecchio, quasi li riecheggiassero le

stelle in agguato. Gli occhi gli andavan vagando lungo la linea

dell'orizzonte, come a scrutare l'irraggiungibile con immensa

avidità. "I fatti imminenti si proiettan dinanzi la propria

ombra": ma egli non sapeva scorgerla. Una sola ombra si vedeva sul

mare, quella del fumo nero che, uscendo dalla ciminiera, svolgeva

pesantemente la sua immensa coda, mentre l'aria ne dissolveva di

continuo l'estremità. Due Malesi, silenziosi e quasi immobili,

governavano ai due lati della ruota del timone, il cui orlo

d'ottone brillava or sì or no nell'ovale di luce irradiato dalla

chiesuola. Di quando in quando una mano, con le dita nere che a

vicenda abbandonavano ed afferravano le caviglie rotanti, appariva

nei punti illuminati; gli anelli della catena della ruota

strisciavano pesantemente entro le scanalature della botte. Jim

diede un'occhiata alla bussola, un'altra in giro verso l'orizzonte

irraggiungibile, si stirò, al colmo del benessere, fino a far

scricchiolare le giunture in un lento avvitarsi delle membra; e

quasi lo rendesse audace quell'aria circostante di calma

invincibile, pensò che non gli importava nulla di quanto avrebbe

potuto accadergli fino alla fine dei suoi giorni. Di tanto in

tanto gettava un occhio indifferente su una carta nautica

appuntata con quattro cimici su un basso tavolino a tre gambe,

dietro alla cassetta dell'apparato di governo. La carta, dov'eran

segnate le profondità marine, presentava la sua superficie lucida

al chiarore dell'occhio di bue appeso a un braccio: una superficie

liscia, livellata e luccicante come quella delle acque. Un regolo

parallelo e un paio di compassi vi stavan gettati sopra; la

posizione della nave al mezzodì del giorno innanzi era marcata con

una crocetta nera. La linea segnata a matita con mano sicura fino

a Perim figurava la rotta della nave: il sentiero delle anime

verso il Luogo Santo, la promessa di salvazione, il premio della

vita eterna. Con la punta aguzza che toccava la costa somala, la

matita giaceva cilindrica e immobile come un nudo pennone

galleggiante sul placido specchio d'acqua d'una darsena. "Guarda

come fila a dovere", pensò Jim con meraviglia, anzi con una sorta

di gratitudine per quella pace profonda del mare e del cielo. In

momenti simili i suoi pensieri eran pieni di gesta valorose: egli

amava infinitamente quei sogni e il successo che coronava le sue

imprese immaginarie. Erano la parte migliore della sua vita, la

sua verità segreta, la sua nascosta realtà. Una magnifica forza

virile era in essi, e insieme il fascino delle cose vaghe; gli

sfilavano davanti a passo eroico: gli si portavan via il cuore, lo

inebriavano col filtro divino di un'illimitata fiducia in se

stesso. Cosa non avrebbe saputo affrontare? Quest'idea gli piacque

tanto che sorrise tenendo gli occhi fissi distrattamente davanti a

sé; poi, quando si volse indietro, vide la linea bianca della scìa

tracciata sul mare con la stessa precisione della linea nera

disegnata con la matita sulla carta.

Nell'andar su e giù le secchie della cenere facevan fracasso

urtando contro i ventilatori delle caldaie, e quello sbatacchìo di

latta lo avvertì che stava per terminare il suo turno di guardia.

Sospirò soddisfatto, ma anche leggermente rammaricato di dover

abbandonare quella serenità che eccitava l'avventuroso sbrigliarsi

dei suoi pensieri. Aveva anche un po' di sonno, e si sentiva un

piacevole languore diffuso per tutte le membra, come se tutto il

sangue delle sue vene si fosse tramutato in buon latte tiepido.

Silenziosamente gli si era fatto vicino il capitano in pigiama,

con la giacca da notte tutta sbottonata. Rosso in viso, ancora

mezzo addormentato, con l'occhio sinistro semichiuso e il destro

d'una fissità stupida e vitrea, curvò la grossa testa sulla carta

grattandosi le costole con aria assonnata. V'era qualcosa di

osceno in quella sua carne nuda. Il petto scoperto luccicava

soffice e unto, come se avesse trasudato grasso nel sonno. Buttò

là un'osservazione tecnica con voce aspra ed afona, simile al

suono rasposo d'una lima sullo spigolo di un'asse di legno. La

piega del doppio mento pendeva come un sacco sospeso alla cerniera

della mascella. Jim si riscosse, e rispose con voce piena di

deferenza; ma quella figura odiosa e flaccida, quasi la vedesse

allora per la prima volta in un attimo di lucidità, gli si fissò

per sempre nella memoria come l'incarnazione di quanto si annida

di spregevole e basso nel mondo che amiamo: nei nostri stessi

cuori dai quali attendiamo salvezza, negli uomini che ci

attorniano, negli spettacoli che ci sazian la vista, nei suoni che

ci colmano le orecchie e nell'aria che ci riempie i polmoni.

L'esile truciolo d'oro della luna, avviandosi lentamente a

tramontare, si era smarrito sulle acque ormai buie, e l'eternità

che è oltre il firmamento sembrava farsi più vicina alla terra,

ora che più scintillavan le stelle e più profonde s'eran fatte le

tenebre sotto la sfolgorante cupola translucida da cui era

ricoperto il disco piatto del mare opaco. La nave avanzava così

liscia che il suo procedere restava impercettibile ai sensi, come

fosse stata un affollato pianeta in corsa attraverso i cupi spazi

dell'etere, al di là della miriade dei soli, in quelle calme e

spaventose solitudini che attendono il soffio di creazioni future.

"Non c'è parola per dire quanto caldo fa sotto coperta", fece una

voce.

Jim sorrise senza voltarsi. Il capitano presentava l'immota

larghezza del dorso: era un vezzo di quel rinnegato mostrarsi

volutamente ignaro della vostra esistenza, a meno che non gli

piacesse gettare su di voi uno sguardo divorante prima di dar la

stura al torrente d'un gergo schiumoso e offensivo che prorompeva

dalla sua bocca come uno spurgo di fogna. Questa volta non emise

che un burbero grugnito; il secondo macchinista, in cima alla

scaletta del ponte di comando, continuò imperterrito, mentre

impastava tra le palme umide uno sporco asciugamani cencioso, a

sgranare il rosario delle sue lamentele. Quassù in coperta i

marinai se la passavano proprio bene; di che utilità fossero mai

al mondo costoro, si sarebbe dannato l'anima per saperlo. Tanto,

toccava sempre a quei poveri diavoli di macchinisti far camminare

la nave; avrebbero potuto benissimo far loro addirittura anche il

resto; i macchinisti, perdinci...

"Silenzio!" ringhiò stolidamente il tedesco. "Già: silenzio... Ma

quando qualcosa non va, se la rifà con noi, eh?" proseguì l'altro.

Si sentiva a un buon punto di cottura, disse: ma almeno non glie

ne importava più niente, oramai, dei peccati che avrebbe commesso,

perché negli ultimi tre giorni aveva superato un ottimo corso di

perfezionamento per quel posto dove vanno i cattivi ragazzi dopo

morti... perdinci, l'aveva superato sul serio... oltre ad essersi

mezzo assordato col frastuono del diavolo che c'era là sotto. Quel

maledetto mucchio d'immondizia marcio e rappezzato, quella vecchia

ferraglia d'una macchina a condensazione strepitava e sbatacchiava

laggiù come un argano decrepito, ma peggio. Perché diavolo lui

rischiasse la vita ogni notte e ogni giorno che Dio fece in mezzo

a quella specie di rifiuto d'un cantiere da demolizione fatto

marciare pazzamente alla velocità di cinquantasette giri, non

riusciva davvero a capirlo. Doveva esser nato pazzo, perdinci.

Doveva... "Chi ti ha dato da bere?" chiese il tedesco, furibondo

ma immobile nella luce della chiesuola, simile alla goffa effigie

d'un uomo scolpita in un blocco di grasso. Jim continuò a

sorridere: aveva il cuore pieno d'impulsi generosi; e se con

l'occhio guardava l'orizzonte fuggente, col pensiero contemplava

la propria superiorità. "Sì, da bere!" ripeté il macchinista con

ironico spregio: si appoggiava con tutt'e due le mani al

bastingaggio, nebulosa figura dalle gambe flessibili. " Non da lei

certamente, capitano. Lei è troppo tirchio, perdinci. Lascerebbe

morire uno piuttosto che dargli una goccia di schnaps. Questa voi

tedeschi la chiamate economia. Ma chi risparmia il soldo spreca la

lira". Poi diventò sentimentale. Il capo macchinista verso le

dieci gli aveva dato quattro dita di un certo liquorino... -

"quattro di numero, che Dio m'aiuti!" - quel brav'uomo d'un capo!

ma quanto a tirar fuori quel vecchio imbroglione dalla sua

cuccetta neppure con un paranco da cinque tonnellate ci si

riuscirebbe. Macché. Per questa notte no di sicuro. Dormiva

placido come un marmocchio, con una bottiglia di brandy di prima

qualità sotto al cuscino. Dalla gola adiposa del comandante del

Patna uscì un sordo borbottìo, sopra al quale il suono della

parola schwein svolazzava su e giù come una piuma capricciosa

presa in una leggera corrente d'aria. Lui e il capo macchinista

erano amici da parecchi anni: sempre al servizio del medesimo

Cinese astuto e gioviale, con gli occhiali montati in corno e i

cordoncini di seta rossa intrecciati nei venerabili capelli grigi

del codino. L'opinione più diffusa sulle banchine del porto dove

il Patna figurava iscritto era che quei due, sul capitolo del

peculato senza scrupoli "avevan fatto di comune accordo quasi

tutto il pensabile". Fisicamente erano male assortiti: l'uno con

gli occhi opachi pieni d'astio, tutto curve molli e carnose:

l'altro asciutto e scavato, con una testa lunga e ossuta come

quella d'un vecchio cavallo: guance infossate, tempie infossate,

sguardo indifferente e vitreo negli occhi infossati. Aveva dato in

secco da qualche parte in Oriente: a Canton, a Sciangai, o forse a

Yokohama: probabilmente non ci teneva neanche lui a ricordarsi il

luogo esatto, e la causa del suo naufragio. In considerazione

della giovane età, s'erano limitati a buttarlo fuori a calci,

senza scandali. Questo era accaduto una ventina d'anni addietro o

forse più; e la cosa avrebbe potuto finire talmente peggio, che

col tempo il ricordo dell'episodio aveva quasi perduto ai suoi

occhi il carattere d'un infortunio. Tuttavia, siccome la

navigazione a vapore andava ormai estendendosi in quei mari, e sul

principio la gente del mestiere era rara, così il macchinista

aveva potuto in un modo o nell'altro tirare avanti. Era ansioso

d'informare i forestieri, con un cupo mormorìo, che lui era

"vecchio di quei posti". A ogni mossa pareva che uno scheletro gli

si agitasse dentro ai panni troppo larghi; aveva un passo sempre

incerto, e usava così andar girellando intorno al lucernario della

sala-macchine, fumando senza gusto del tabacco drogato in una pipa

d'ottone dal cannuccio di ciliegio lungo un metro, con la stolida

solennità d'un pensatore che stesse ricavando un sistema

filosofico dalla nebulosa e fugace visione della verità. Per

solito si mostrava tutt'altro che generoso della sua provvista

personale di liquori: ma quella notte aveva fatto uno strappo,

talché ii suo secondo, uno di Wapping con la testa debole, fra la

sorpresa per il dono e la forza della bevanda, era diventato

all'improvviso molto felice, molto impertinente e molto loquace.

Il Tedesco della Nuova Galles del Sud era fuor di sé dalla rabbia:

soffiava come un tubo di scappamento; ma Jim, benché si divertisse

blandamente alla scena, non vedeva l'ora di poter scendere

abbasso: quegli ultimi dieci minuti di guardia erano irritanti

come un cannone che ritarda lo sparo; e poi costoro non

appartenevano al suo mondo di eroiche avventure, anche se non eran

cattivi ragazzi. Perfino il capitano... Gli venne la nausea alla

vista di quella massa di carne ansimante dalla quale usciva, tra

borbottii e gargarismi, un tortuoso rivolo di laide espressioni.

Ma si sentiva addosso un languore troppo piacevole per provare una

vera antipatia verso costui o chiunque altro. Che razza d'uomini

fossero poco gli importava; viveva spalla a spalla con loro, ma in

realtà non potevan toccarlo; respiravano la stessa aria, ma egli

era diverso... Il capitano le avrebbe suonate al macchinista?...

La vita era facile, e lui troppo sicuro di sé - troppo sicuro di

sé per... La linea che divideva la sua meditazione da un subdolo

pisolino all'impiedi era più sottile del filo d'una ragnatela.

Per via di facili transizioni il macchinista in seconda stava

venendo a valutar lo stato delle proprie finanze e del proprio

coraggio.

"Chi è ubriaco? Io? Ah no, no, capitano! Così non va. Oramai lo

dovrebbe sapere, perdinci, che il capo non è generoso neanche

tanto da fare diventar brillo un passerotto. A me nessun liquore

ha mai fatto effetto; l'hanno ancora da inventare quello capace di

far ubriacare me. Potrei bere fuoco mentre lei beve whisky, tanti

bicchieri lei tanti io, restando fresco come una rosa. Se mi

accorgessi d'essere ubriaco mi butterei in mare; m'ammazzerei,

perdinci. Proprio! Subito! E no, non voglio andar via dal ponte di

comando. Dove crede che potrei prender aria in una notte come

questa, sentiamo? Sotto coperta fra quei pidocchiosi? Probabile...

eh? E poi lei non mi fa paura".

Il Tedesco alzò verso il cielo due pugni pesanti, agitandoli senza

dir nulla.

"Non so neanche che sia, la paura, continuò il macchinista con

l'entusiasmo di un convincimento sincero. "Non mi spaventa neanche

tutto il maledetto lavoro di questa marcia carcassa, perdinci! Eh,

gran fortuna per lei che ci sia qualcuno al mondo che non ha paura

per la propria pelle: se no che ne sarebbe di lei... di lei e di

questa vecchia ciabatta, con le sue lamiere che sembrano di carta

da involtare... carta da involtare, che Dio m'aiuti? Per lei va

benissimo... lei ne ricava un mucchio di quattrini, in un modo o

nell'altro; ma io?... che ci guadagno io? Una paga rognosa di

centocinquanta dollari al mese e mi dica un po' lei... glie lo

domando rispettosamente rispettosamente, le faccio notare - chi

non butterebbe ai pesci un impiego maledetto come questo? Non c'è

sicurezza, Dio m'aiuti! non c'è sicurezza. Fortuna che io sono uno

di quei tipi senza paura che..."

Si staccò dal bastingaggio facendo larghi gesti come per dimostrar

nello spazio la forma e l'estensione del proprio valore; la sua

vocetta esile rimbalzava con squittii prolungati sul mare;

oscillava avanti e indietro sulla punta dei piedi per dar più

enfasi al suo discorso, e d'un tratto ruzzolò a terra come se gli

avessero appioppato una mazzata sulla nuca. "Dannazione!" disse

mentre capitombolava; e seguì un attimo di silenzio. Jim e il

capitano barcollarono in avanti di comune accordo; poi, ripreso

l'equilibrio, rimasero rigidamente fermi a fissar con stupore la

superficie indisturbata del mare. Finalmente guardarono in su,

verso le stelle.

Cos'era accaduto? Gli asmatici tonfi delle macchine continuavano.

Si era forse arrestata la terra nella sua corsa? Non riuscivano a

capire... e all'improvviso quel mare calmo, quel cielo senza nubi

apparvero formidabilmente malsicuri nella loro immobilità, quasi

fossero in bilico sull'orlo d'un vortice di distruzione. Il

macchinista rimbalzò verticalmente quant'era lungo, e ricadde in

un mucchio scomposto. Quel mucchio esclamava: "Cos'è successo?"

con accento velato di terribile angoscia. Un rombo lieve come di

tuono, d'un tuono infinitamente remoto, quasi meno d'un rumore,

poco più d'una vibrazione, trascorse lentamente nell'aria, e la

nave vibrò come se rispondesse, come se quel tuono avesse

brontolato laggiù nella profondità dell'acqua. Gli occhi dei due

Malesi al timone scintillarono in direzione degli uomini bianchi,

ma le loro mani scure rimasero ferme sulle caviglie. L'affilata

carena, procedendo nel suo cammino, parve via via sgroppare di

poche dita in tutta la sua lunghezza, quasi fosse diventata

pieghevole; poi si ripose rigidamente al suo lavoro di solcar la

liscia superficie del mare. S'interruppero le sue vibrazioni, e

anche quel lieve rombo di tuono cessò all'improvviso, come se la

nave avesse attraversato da parte a parte una sottile fascia di

acqua trepidante e d'aria sonora.

CAPITOLO 4.

Un mese o due dopo, rispondendo a domande insidiose, Jim cercò di

essere onesto e franco circa l'accaduto, quando, riferendosi alla

nave, disse: "Passò sopra all'ostacolo, quale che fosse, con la

stessa facilità d'un serpente che striscia sopra un bastone ".

L'immagine era buona; ma le domande miravano a fatti concreti, e

l'inchiesta si svolgeva nel tribunale di polizia di un porto

d'Oriente. Jim stava lassù nel recinto dei testimoni; aveva le

guance infocate, mentre l'ambiente era fresco e alto di soffitto.

La grande intelaiatura dei punkah ondeggiava dolcemente avanti e

indietro sulla sua testa, e dal basso erano fissi su di lui molti

occhi piantati in volti di color scuro, in volti bianchi, in volti

rossi, in volti attenti, ammaliati, come se tutta quella gente

seduta in file ben ordinate su strette panche fosse rimasta

soggiogata dal fascino della sua voce. Una voce fortissima, da cui

restavano colpite le sue stesse orecchie: l'unico suono, gli

pareva, che si potesse udire al mondo, perché quelle domande

terribilmente nitide che gli strappavano una risposta dietro

l'altra sembravan nascere dall'angoscia, dalla sofferenza che

aveva in petto; giungevano a lui strazianti e silenziose come i

tremendi interrogativi della coscienza. Fuori del tribunale

sfolgorava il sole; dentro, c'era il vento dei grandi punkah che

faceva rabbrividire, la vergogna che bruciava, quegli sguardi

intenti che trafiggevano. La faccia glabra e impassibile del

Presidente che lo guardava gli parve pallidissima, tra le facce

paonazze dei due assessori nautici. La luce di un'ampia finestra

sotto al soffitto pioveva dall'alto sulle teste e le spalle dei

tre uomini, che apparivano crudelmente stagliati nella penombra

della vasta sala del tribunale, dove il pubblico sembrava composto

di ombre con gli occhi fissi. Dei fatti, volevano. Dei fatti!

Pretendevan dei fatti da lui, come se i fatti potessero spiegare

qualcosa!

"Dopo che aveste l'impressione d'aver urtato contro una qualche

massa alla deriva, diciamo contro un relitto così pieno d'acqua da

restar sommerso, il capitano vi ordinò di correre a prua per

accertarvi di eventuali avarie. A voi sembrava probabile che ve ne

fossero, data la violenza dell'urto?" chiese l'assessore che

sedeva a sinistra. Costui aveva una corta barbetta a ferro di

cavallo, zigomi sporgenti, e, con i gomiti appoggiati sul banco,

si teneva le mani rugose intrecciate dinanzi al viso, guardando

Jim con pensosi occhi azzurri; l'altro, un tipo grosso e

sprezzante, gettato all'indietro sulla sedia, col braccio sinistro

teso tamburellava delicatamente con la punta delle dita sopra un

foglio di cartasuga; nel mezzo il Presidente, dritto nell'ampia

poltrona, con la testa leggermente inclinata sulla spalla, teneva

le braccia conserte sul petto; in un vaso di vetro accanto al

calamaio c'era qualche fiore.

"No, non mi sembrava probabile", rispose Jim. "Ebbi ordine di non

far chiasso per evitare che nascesse un pànico. La precauzione mi

parve ragionevole. Presi una delle lampade appese sotto il tendone

e andai a prua. Aperto che ebbi il boccaporto della gavona, sentii

uno sciabordìo. Calai giù la lampada quanto lo permetteva la

lunghezza della catena, e constatai che la gavona era già più che

a mezzo invasa dall'acqua. Allora mi resi conto che doveva esservi

una grossa falla sotto alla linea di emersione". E s'interruppe.

"Già", fece il grosso assessore rivolgendo un sorriso distratto

alla cartasuga; le sue dita giocherellavano instancabilmente,

battendo sul foglio senza rumore.

"Lì per lì non pensai al pericolo. Forse rimasi appena appena

sorpreso... Tutto s'era svolto così quietamente e all'improvviso!

Sapevo che, nella nave, di paratie stagne c'era soltanto quella

che divide la gavona dalla stiva di prua. Nel tornare indietro per

informare il capitano, m'imbattei nel secondo macchinista: si

stava rialzando da terra ai piedi della scaletta del ponte di

comando, e sembrava intontito. Mi disse che credeva d'essersi

rotto un braccio: nello scendere era scivolato sul primo gradino,

mentre io andavo a prua. 'Dio mio!' esclamò: 'marcia com'è la

paratia cederà in un minuto, e questa maledetta carcassa andrà a

picco come un pezzo di piombo!' Col braccio destro mi spinse da

parte e si arrampicò su per la scaletta prima di me, gridando

qualcosa. Il sinistro gli pendeva lungo il fianco. Lo seguii in

tempo per vedere il capitano gettarglisi addosso e, con un pugno,

buttarlo lungo disteso per terra. Non lo colpì che una volta; poi

gli si curvò sopra parlando con tono furibondo ma a voce

bassissima. Credo gli domandasse perché diavolo non andava a

fermare le macchine invece di far tutto quel chiasso sul ponte.

Sentii che diceva: 'Alzati! Corri, Vola!' Né mancò qualche

bestemmia. Il macchinista scivolò giù per la scaletta di dritta, e

fece di corsa il giro del lucernario per raggiunger la scaletta

della sala-macchine che si trovava dalla parte opposta. Correndo

si lamentava... "

Parlava lentamente; i ricordi gli si presentavano rapidi e con

estrema chiarezza; avrebbe potuto imitare come un'eco i gemiti del

macchinista, per informarne con precisione quegli uomini che

esigevano "fatti". Dopo aver ceduto in un primo momento a un senso

di ribellione, Jim era arrivato a concludere che soltanto se

avesse deposto con meticolosa esattezza sarebbe riuscito ad

esprimere tutto l'orrore che si nascondeva dietro l'aspetto non

più che impressionante dell'accaduto. I fatti che quegli uomini

tenevan tanto a sapere, erano stati visibili, offerti ai sensi;

avevano occupato il loro posto nello spazio e nel tempo,

richiedendo per manifestarsi un piroscafo di millequattrocento

tonnellate e ventisette minuti d'orologio; avevano determinato un

tutto che aveva una fisonomia, delle sfumature d'espressione, un

apparenza complessa di cui l'occhio poteva serbare il ricordo: ma,

oltre a ciò, anche qualcosa d'altro: qualcosa d'invisibile, uno

spirito di perdizione che aveva mire ben precise e risiedeva

dentro ai fatti stessi, come un'anima malefica dentro a un corpo

repulsivo. A Jim pareva importantissimo far risultare chiaramente

tutto ciò. Quella non era stata una faccenda qualunque: ogni

minimo incidente vi aveva avuto importanza estrema, e per fortuna

lui si ricordava di tutto. Voleva continuare a parlare per amor

della verità, e forse anche per amor di se stesso; ma mentre le

sue parole erano limpide e decise, il cervello vorticava entro

l'angusto cerchio dei fatti che gli si era serrato addosso per

tagliarlo fuori dal resto dei suoi simili. Era come un animale

che, sentendosi rinchiuso in un'alta stecconata, corresse

disperatamente in cerchio nella notte, impazzito, alla ricerca

d'un punto debole, d'una fessura, d'un posto da poter scalare,

d'un varco dove insinuarsi e fuggire. Questa assillante attività

mentale faceva sì che a tratti il suo discorso era un po`

incerto...

"Il capitano continuava ad andar qua e là sul ponte di comando;

sembrava abbastanza calmo, solo che incespicò varie volte; e a un

certo punto, benché stessi parlando proprio a lui, venne a

sbattermi contro come un cieco. Non rispose con precisione a

quanto gli dicevo; borbottava fra sé. Non afferrai che qualche

parola come: 'Maledetto vapore!' e 'Vapore del diavolo!' ...

qualcosa in riguardo al piroscafo, insomma. Mi parve... "

Stava divagando: una domanda precisa gli tagliò la parola in bocca

di netto, come uno spasimo subitaneo, e ad un tratto si sentì

infinitamente scoraggiato e stanco. Stava proprio arrivandoci, era

lì lì per dirlo... e invece, brutalmente interrotto, doveva

rispondere sì o no. Disse la verità, con un secco "Sì". Bello in

volto, aitante della persona, giovanili e malinconici gli occhi,

si teneva dritto, con le spalle ben squadrate, sul banco dei

testimoni, mentre l'anima, dentro, gli si contorceva. Dovette

rispondere a un'altra domanda altrettanto precisa e altrettanto

inutile, poi rimase in attesa. Si sentiva la bocca arida e

insipida come se avesse mangiato polvere, e subito dopo salata e

amara come quando si è bevuto acqua di mare. Si asciugò la fronte

madida, passò la lingua sulle labbra aride, sentì un brivido

scendergli giù per la schiena. Il grosso assessore aveva abbassato

le palpebre, e tamburellava con le dita senza far rumore,

indifferente e lugubre; gli occhi dell'altro, al di sopra delle

mani intrecciate, brune dl sole, parevano brillar di bontà; il

Presidente si era curvato in avanti, dondolando il viso pallido

davanti ai fiori; poi si adagiò di fianco sul bracciolo della

poltrona, la tempia nel palmo della mano. L'ondeggiar dei punkha

agitava l'aria sopra le teste dei presenti, sugli indigeni di

pelle scura ravvolti nei loro voluminosi drappeggi, sugli Europei

accaldati, seduti tutti in gruppo, coi loro abiti di cotone

aderenti come una seconda pelle e i rotondi cappelli di fibra

sulle ginocchia, mentre, scivolando lungo le pareti, i peoni di

servizio, attillati nelle loro palandrane bianche di uscieri del

tribunale, svolazzavano svelti svelti qua e là, correndo sulla

punta dei piedi nudi, con la fusciacca rossa ai fianchi e il

turbante rosso in testa, silenziosi come fantasmi, sempre all'erta

come cani da caccia.

Gli occhi di Jim, vagando a caso per la sala, fra una risposta e

l'altra, si posarono sopra un bianco che se ne stava seduto

discosto dagli altri, stanco e rannuvolato in volto, ma con quieti

occhi che guardavan dritto davanti a sé, limpidi e pieni

d'interesse. Jim rispose a un'altra domanda ancora, ma aveva

voglia di gridare: "A che serve tutto questo, a che serve?" Batté

leggermente un piede per terra, si morse il labbro, e guardò

lontano sopra tutte quelle teste. Incontrò gli occhi del bianco.

Lo sguardo che questi volgeva verso di lui non aveva la fissità

allucinata degli altri. Rispondeva a un atto di volontà, a un

comando dell'intelligenza. Jim, fra due domande, si distrasse

tanto dall'interrogatorio da trovar tempo a riflettere. Quest'uomo

- diceva il suo pensiero - mi guarda come se scorgesse qualcuno o

qualcosa dietro alle mie spalle. Si era già imbattuto in costui...

forse per la strada. Era sicuro però di non avergli mai rivolto la

parola. Da giorni, da parecchi giorni, non aveva parlato con anima

viva, ma intrattenuto se stesso con una conversazione silenziosa,

incoerente e continua, come un prigioniero solitario nella sua

cella o un viandante sperduto in una landa deserta. Ora stava

rispondendo, sì, a domande inutili benché dirette a uno scopo; ma

gli nasceva il dubbio se mai più in vita sua avrebbe parlato

veramente con qualcuno. Il suono delle sue dichiarazioni veritiere

confermava in lui la decisa opinione che la parola non gli avrebbe

mai più servito a nulla. Ecco, quell'uomo laggiù pareva si

rendesse conto della difficoltà disperata in cui si dibatteva. Jim

lo guardò, poi volse altrove gli occhi risolutamente, come dopo un

distacco definitivo.

Molto spesso, più tardi, in lontane parti del mondo, Marlow si

compiaceva di raccontare per disteso o con molti dettagli i suoi

ricordi su Jim.

Ciò accadeva per esempio dopo cena, su una veranda inghirlandata

di immoto fogliame e coronata di fiori, nel profondo crepuscolo

punteggiato dalle estremità incandescenti delle sigarette. La

sagoma bislunga d'ogni poltrona di vimini ospitava un ascoltatore

silenzioso. Di quando in quando un puntino di brace si spostava

all'improvviso e, ravvivandosi, illuminava le dita di una mano

languida, o parte d'un viso profondamente tranquillo; oppure

accendeva un lampo scarlatto su un paio d'occhi pensosi sotto

l'ombra d'un frammento di fronte senza nubi; e appena pronunciata

la prima parola, il corpo di Marlow, abbandonato in riposo sulla

poltrona, s'immobilizzava come se lo spirito ne fosse volato via

risalendo a ritroso nel tempo, e attraverso le sue labbra parlasse

il lontano passato.

 

 

 

 

CAPITOLO 5.

"Ma sì. Seguii l'inchiesta", diceva, "e ancora adesso mi domando

perché vi andai. Eccomi pronto a credere che ognuno di noi abbia

un angelo custode, se in cambio mi concedete che abbiamo anche un

demone familiare. Voglio che lo ammettiate perché non mi piace

sentirmi eccezionale in nessun modo, e io so bene di averne uno:

un demone familiare, voglio dire. Non l'ho mai veduto, s'intende,

ma mi baso su prove circostanziali. Ce l'ho, eccome! e, maligno

com'è, mi ficca sempre in questo genere di pasticci. Quali

pasticci, direte voi? Per esempio il pasticcio di un'inchiesta; il

pasticcio d'un certo cane giallo... non par credibile, vero? che

sia lecito a un rognoso botolo indigeno di far inciampare la gente

sulla veranda d'un tribunale! insomma, quel genere di pasticci che

mi trascina per vie tortuose, inaspettate e propriamente

diaboliche, a incontrarmi sempre con tipi che hanno qualche punto

debole, o qualche punto duro, o qualche punto con la lebbra; e

che, santi numi, scioglie loro la lingua appena mi vedono perché

mi facciano le loro maledette confidenze. Come se, perbacco, non

avessi abbastanza confidenze da fare a me stesso! Come se, Dio

m'aiuti, non avessi tante informazioni confidenziali sul conto mio

da bastare a straziarmi l'anima fino alla fine dei giorni che mi

spettano. Che cos'ho fatto per esser favorito così, vorrei proprio

saperlo. Per conto mio son già pieno di preoccupazioni come

chiunque altro, e memoria ne ho quanta la media dei pellegrini di

questa valle di lagrime; dunque vedete che non sono

particolarmente adatto per far da ricettacolo alle confessioni

altrui. E allora perché? Non saprei... salvo che non sia per far

passare il tempo agli ospiti dopo cena. Carletto, mio caro, il tuo

pranzo era squisito, e per conseguenza anche una partitina

tranquilla questi amici la considerano un occupazione

faticosissima. Si beano nelle tue comode poltrone e pensano in

cuor loro:

'Al diavolo gli sforzi inutili. Discorra Marlow, piuttosto.'

Discorrere? E va bene. Del resto discorrere del signorino Jim è

abbastanza facile, dopo un buon pranzo, a sessanta metri sul

livello del mare, con una scatola di sigari discreti a portata di

mano, in una benedetta serata di frescura e di stelle che farebbe

dimenticare anche al migliore di noi che ci troviamo quaggiù

soltanto per la tolleranza di Qualcuno, e dobbiamo trovar la

strada fra opposti segnali luminosi, badando che ogni minuto può

esser prezioso, e irrimediabile ogni passo, sperando di farcela

ancora a uscirne alla fine in un modo decente - ma senza esserne

molto sicuri, dopo tutto - e aspettandoci un aiuto maledettamente

insignificante da coloro coi quali viviamo a contatto di gomiti.

Beninteso, esistono qua e là uomini che la vita intera la

considerano un dopo cena con un buon sigaro tra le labbra: facile,

piacevole, vuota, magari insaporita da qualche racconto di dure

lotte da dimenticarsi prima ancora d'averne sentita la

conclusione... prima d'averne sentita la conclusione... anche se

per caso una conclusione c'è, all'ultimo.

I miei occhi s'incontraron coi suoi per la prima volta durante

quell'inchiesta. Dovete sapere che chiunque avesse qualcosa a che

fare col mare era presente, perché la faccenda faceva chiasso già

da parecchi giorni, fin da quando era arrivato da Aden quel

misterioso cablogramma a dar la stura alle nostre chiacchiere.

Dico misterioso perché in un certo qual senso lo era, benché si

limitasse ad esporre un nudo fatto; nudo e brutto quanto un fatto

può esserlo. Al porto non si parlava d'altro. Fin dalle prime ore

del mattino, mentre mi vestivo nella mia cabina, sentivo

attraverso il tramezzo il mio dubash ciarlare del Patna col

cambusiere, mentre beveva in dispensa una tazza di tè gentilmente

offertagli. Appena a terra, se incontravo qualche conoscente, le

sue parole erano: 'Hai mai sentito una cosa simile?' e, secondo il

tipo, o sorrideva cinicamente o prendeva un'aria triste o tirava

giù un paio di bestemmie. Gente del tutto estranea si abbordava

familiarmente, solo per sfogarsi sull'argomento; ogni maledetto

fannullone della città rimediava un mucchio di bicchierini

entrando in discussione su quella faccenda; se ne sentiva

discorrere nella capitaneria di porto, negli uffici degli armatori

e dei vostri agenti, da bianchi, da indigeni, da meticci, perfino

dai barcaioli accucciati seminudi sui gradini di pietra

dell'imbarcadero, quando si scendeva a terra... santi numi! Chi

s'indignava, chi scherza; le dispute sulla fine che poteva aver

fatto quella gente erano infinite. Si andò avanti così per un paio

di settimane e più, e già cominciava a prevaler l'opinione che la

faccenda avrebbe finito col mostrare anche un lato tragico, quando

una bella mattina, mentre me ne stavo all'ombra vicino alle scale

della capitaneria, vidi quattro uomini venirmi incontro lungo la

banchina. Mi domandai per un momento da dove potevano esser

saltati fuori quegli strani individui; ma tutto ad un tratto, se

posso esprimermi così, gridai a me stesso: Sono loro!

Erano loro davvero: tre di normale complessione, e uno assai più

largo di circonferenza che non sia lecito ad essere umano. Erano

appena sbarcati, con un'ottima colazione in corpo, da un piroscafo

della Dale Line in viaggio d'andata, giunto in porto un'ora circa

dopo il far dell'alba. Impossibile sbagliarsi: riconobbi l'allegro

capitano del Patna alla prima occhiata: l'uomo più grasso che si

potesse incontrare entro quella benedetta cintura dei tropici che

circonda questo nostro caro vecchio globo. E poi, circa nove mesi

prima, l'avevo veduto per caso a Samarang. Il suo piroscafo stava

caricando nelle Rade, e lui inveiva contro le istituzioni

tiranniche dell'impero germanico ingozzandosi di birra tutto il

giorno e tutti i giorni nel retrobottega di De Jongh, fino a che

lo stesso De Jongh, che pur gli faceva pagare un gulden a

bottiglia senza batter ciglio, mi prese da parte e, col suo

visetto di cuoio tutto corrugato, mi dichiarò confidenzialmente:

'Gli affari sono affari, ma quest'uomo, capitano mi fa troppo

schifo. Pfui!'

Lo osservavo dall'ombra in cui mi trovavo. Procedeva in fretta un

po' avanti agli altri, e la luce del sole che lo investiva in

pieno dava alla sua mole un sorprendente risalto. Mi faceva

pensare a un piccolo elefante ammaestrato che camminasse sulle

zampe posteriori. Inoltre era vestito in modo pazzamente vistoso:

un lercio pigiama da notte, verde vivo a gran righe verticali

color arancione, un paio di pantofole di paglia tutte sdrucite sui

piedi nudi, e un sudicissimo cappello di fibra, evidentemente

smesso da qualcun altro perché gli andava di due misure troppo

piccolo, legato con un pezzo di corda di manilla in cima al suo

testone. Un uomo cosiffatto, capirete, non ha l'ombra d'una

probabilità di trovar roba adatta, se gli tocca rivestirsi di

seconda mano. Benissimo. Veniva avanti di furia, senza guardare né

a destra né a sinistra; mi passò vicino a meno d'un metro, e

nell'innocenza del suo cuore si precipitò su per le scale della

capitaneria di porto per andar a fare la sua deposizione, il suo

rapporto, o come volete chiamarlo.

Pare che per prima cosa si rivolgesse all'ufficiale marittimo.

Archie Ruthvel era arrivato in ufficio da un momento appena, e, a

quanto mi raccontò poi, stava per iniziare la sua giornata di duro

lavoro con una lavata di testa al suo capo ufficio. Qualcuno di

voi costui deve averlo conosciuto... un piccolo meticcio

portoghese, servizievole, con un misero collo allampanato, sempre

in vedetta per farsi regalar dai comandanti delle navi qualcosa di

commestibile: un pezzo di maiale salato, un pacco di biscotti,

delle patate o che so io. Al ritorno da un viaggio, mi ricordo,

gli diedi per mancia una pecora viva avanzata alle mie provviste;

non che avessi bisogno dei suoi servigi - era impossibile che mi

fosse utile in nulla, si capisce - ma perché quella fede infantile

nel suo sacrosanto diritto alle regalìe mi toccò proprio il cuore.

Era così radicata da diventar quasi bella. La sua razza... anzi le

sue due razze... e il clima... Insomma, non importa. So dove

posseggo un amico per la vita.

Basta, Ruthvel dice che gli stava facendo una gran strapazzata -

m'immagino sulla moralità che dovrebbe avere un pubblico ufficiale

- quando sentì dietro di sé una specie di rattenuta agitazione, e,

voltando la testa, vide, per usare le sue parole, qualcosa di

rotondo e di enorme che somigliava a una botte di zucchero da

duecentotrentotto avvolta in una flanellina a righe e lasciata in

piedi sul vasto spazio libero che v'era al centro dell'ufficio.

Rimase così stupefatto, dice, da non rendersi conto per un bel po'

che quell'oggetto era vivo, e se ne restò lì seduto a domandarsi

per quale scopo e con quali mezzi glie l'avessero trasportato

davanti alla scrivania. L'arcata che dava sul vestibolo era

affollata di sventagliatori di punkah, di spazzini, di guardie

peone; v'era anche il comandante e l'equipaggio del rimorchiatore

destinato al servizio di porto, tutti a collo teso e quasi

arrampicati l'uno sulla schiena dell'altro. Una vera rivoluzione.

Ormai l'uomo era riuscito, con uno strappo, a togliersi il

cappello di testa, e avanzava con piccoli inchini verso Ruthvel.

Era un'apparizione talmente sconcertante che questi, come mi

disse, per un po' non seppe far altro che stare ad ascoltarlo,

incapace di capire quel che volesse. L'altro parlava con voce

aspra e lugubre, ma anche intrepida, e a poco a poco Archie

incominciò a rendersi conto che si trattava d'un seguito del caso

Patna. Dice che appena comprese chi gli stava davanti si sentì

proprio rimescolare (Archie è tanto sensibile e facile a

scombussolarsi); ma subito si dominò gridando: 'Aspetti! La cosa

non riguarda me. Lei deve andare dall'ufficiale di servizio. Non

mi riguarda assolutamente. Il capitano Elliot è l'uomo che fa per

lei. Da questa parte, da questa parte!' Balzò in piedi, fece di

corsa il giro di quel suo banco lunghissimo, tirò, spinse: e

quello, sorpreso ma remissivo, lo lasciava fare; finché sulla

porta dell'ufficio del capitano una sorta di istinto animale non

lo fece ritrarsi addietro sbuffando come un torello spaventato.

'Ma insomma! Che succede? Mi lasci andare! Guarda un po'!' Archie

spalancò la porta senza bussare. 'C'è il comandante del Patna!'

grida. 'Entri capitano!' Vide il vecchio alzar la testa dal foglio

su cui stava scrivendo, con un gesto così brusco che gli caddero

gli occhiali dal naso. Allora Archie richiuse la porta con un

tonfo, e tornò di corsa al proprio banco, dove aveva certe carte

da firmare: ma dice che la bufera che si scatenò là dentro era

così spaventosa che non gli riusciva di concentrarsi neppur quel

tanto da ricordar l'ortografia del proprio nome. Archie è il più

sensibile primo capo marittimo dei due emisferi. Dice che si

sentiva come se avesse gettato un uomo in pasto a un leone

affamato. E certo il baccano doveva esser forte, se arrivava a me

che stavo fuori; anzi ho ragione di credere che lo si sentisse

attraverso tutto il Piazzale, fino al chiosco della banda. Il

vecchio papà Elliot aveva una riserva inesauribile di parole,

sapeva urlare che era una bellezza... e non glie ne importava un

corno chi gli stesse di fronte quando urlava. Avrebbe urlato anche

col Viceré. Me lo diceva sempre: 'Sono arrivato all'apice della

carriera; la pensione è assicurata. Ho qualche sterlina da parte;

e se ai miei superiori non garba il mio modo di concepire il

dovere, poco mi fa di andarmene a casa. Sono vecchio, e ho sempre

detto quel che pensavo. Non m'importa d'altro, ormai, che di veder

accasate le mie figliole!' Era un po' fissato su questo punto. Le

sue tre figlie erano molto carine, benché gli rassomigliassero in

modo sorprendente; ma le mattine che gli capitava di svegliarsi

pessimista sulle loro prospettive matrimoniali, l'intero ufficio

glie lo leggeva negli occhi e si metteva a tremare: perché,

dicevano, 'si poteva star sicuri che si sarebbe pappato qualche

impiegato per colazione.' Quella mattina tuttavia non divorò il

rinnegato; ma, se mi è lecito continuar la metafora, se lo masticò

finché l'ebbe ridotto a pezzettini, per così dire, e... puah! lo

risputò subito.

Così, dopo pochissimi minuti, vidi quella mole mostruosa scendere

la scala a precipizio e fermarsi sull'ultimo gradino, proprio

accanto a me. Era chiaro che aveva bisogno di meditare

profondamente. Le enormi guance paonazze gli tremolavano; si

morsicava il pollice. Dopo un po' si accorse della mia presenza, e

mi guardò seccato con la coda dell'occhio. Gli altri tre individui

che eran sbarcati con lui stavano un po' distanti ad attenderlo in

gruppo. L'uno era un meschino omiciattolo col viso giallo e un

braccio al collo; un tipo alto il secondo, con una giacca di

flanella azzurra, asciutto come il legno e magro come un manico di

scopa, coi baffi grigi spioventi: si guardava attorno con un'aria

di pretensiosa imbecillità. Il terzo poi, un giovane dritto della

persona, spalle larghe e mani in tasca, voltava la schiena agli

altri due che discutevano animatamente fra loro. Teneva gli occhi

fissi sul piazzale deserto. Un gharry sconquassato, tutto polvere

e tendine di stuoia, si fermò bruscamente di fronte al gruppo, e

il cocchiere, accavallando le gambe nude, si dedicò a un esame

critico delle dita del proprio piede destro. Senza un gesto, senza

muovere nemmeno la testa, il giovinotto fissava la luce del sole.

Questa fu la mia prima visione di Jim. Appariva distaccato e

inabbordabile come soltanto i giovani sanno esserlo. Stava lì sano

di membra, bello di volto, solidamente piantato: il ragazzo più

promettente su cui mai si posasse il sole; e nel guardarlo, io che

sapevo tutto quel che sapeva lui, e anche qualcosa di più, mi

sentii vincere dall'ira come se l'avessi colto a cercar

d'imbrogliarmi. Non aveva il diritto, ecco, di sembrare così

valido. Pensai fra me: beh, se un tipo simile può andar fuori

strada in quel modo... E mi venne voglia di buttar per terra il

cappello e di ballarci sopra nient'altro che per sfogare la mia

mortificazione, come avevo visto fare una volta al capitano d'un

brigantino italiano quando quell'idiota del suo secondo, mentre

doveva dar fondo all'abbrivo in una rada piena di navi, tra la sua

e le altre ancore aveva combinato un pasticcio inestricabile. Al

vederlo lì con quell'aria così disinvolta, mi domandai: ... è

stupido? è insensibile? Sembrava sul punto di mettersi a

fischiettare. E notate, di come si comportavano gli altri due non

m'importava un fico. Le loro persone, in qualche modo,

s'intonavano con i fatti che erano ormai di pubblico dominio, e

che stavan per formare oggetto d'un'inchiesta ufficiale. 'Quel

vecchio matto di un briccone lassù mi ha dato del cane,' disse il

capitano del Patna. Non so se mi avesse riconosciuto... direi di

sì; comunque i nostri sguardi s'incontrarono. Lui lanciava fiamme

dagli occhi, io sorrisi: cane era l'epiteto più blando che mi

fosse giunto all'orecchio attraverso la finestra aperta.

'Davvero?' dissi, stranamente incapace di tener ferma la lingua.

Egli annuì col capo, tornò a morsicarsi il pollice, cacciò una

soffocata bestemmia; poi, alzando la testa e guardandomi con

aggrondata e feroce impudenza: 'Bah! il Pacifico è grande, amico

mio. Voialtri maledetti Inglesi potete fare tutto quel che volete:

so dove c'è posto a sufficienza per uno come me. Mi conoscono bene

a Apia, a Honolulu, a...' S'interruppe pensosamente, mentre io

potevo raffigurarmi senza il minimo sforzo qual fosse il genere di

persone che lo 'conoscevano bene' in quei luoghi. Non voglio

nascondervi che ne avevo conosciuti parecchi anch'io. Ci son

situazioni che uno e meglio si comporti come se la vita fosse

egualmente dolce in qualsiasi compagnia. Situazioni simili ne son

capitate anche a me; e dirò di più: non voglio atteggiarmi a

vittima della necessità, perché buona parte di quei manigoldi,

proprio per la loro mancanza di una.. di una... come dire? di

un'impostazione morale, erano il doppio più istruttivi e venti

volte più divertenti del solito rispettabile commerciante ladro

che voialtri invitate a pranzo senza necessità alcuna, ma soltanto

per abitudine, per vigliaccheria, per cordialità naturale, o per

altri cento motivi altrettanto inadeguati e meschini.

'Voialtri Inglesi siete tutti bricconi,' riprese il mio patriota

australiano di Flensburg, o di Stettino che fosse. Non ricordo

proprio quale onesto porticciolo delle sponde del Baltico si era

disonorato col dare un nido a quel prezioso uccello. 'Chi siete

voi per urlarmi contro? Eh? Si può sapere? Non valete più di me; e

quel vecchio furfante mi ha fatto una storia dell'altro mondo!'

La sua grossa carcassa tremava sulle gambe come su due pilastri:

tremava dalla testa ai piedi. 'Ecco cosa fate sempre, voialtri

Inglesi: delle storie dell'altro mondo, per qualunque piccolezza,

perché non son nato nel vostro maledetto paese. Levatemi la mia

patente. Levatemela pure. Non ne ho bisogno, io, della patente.

Uno come me non ne ha bisogno, d'una verfluchte patente! Ci sputo

sopra, io!' E sputò. 'Io voglio cittadino americano diventare,'

gridò agitandosi tutto, smaniando e battendo i piedi come per

liberarsi le caviglie da una qualche morsa misteriosa che lo

tenesse inchiodato in quel luogo. Si era scaldato tanto che quella

sua testa a palla gli si vedeva materialmente fumare. Non v'era

nulla di misterioso, invece, in quel che m'impediva di andarmene a

mia volta: la curiosità è il più naturale dei sentimenti, ed era

la curiosità a farmi restar lì per vedere che effetto avrebbe

fatto la nuova rivelazione su quel giovanotto che, mani in tasca e

schiena rivolta al marciapiedi, guardava al di là delle aiuole del

Piazzale, verso il portico color giallo dell'Albergo Malabar, con

l'aria di uno che aspetti gli amici per andare a passeggio

insieme. Ecco l'aria che aveva: un'aria odiosa. Mi trattenni per

vederlo sopraffatto, annichilito, a divincolarsi come uno

scarafaggio infilzato da parte a parte... e nello stesso tempo

avevo quasi paura d'un simile spettacolo: non so se potete

capirmi. Non c'è nulla di più orribile che osservare un uomo

riconosciuto reo, non d'un delitto, ma d'un atto di debolezza

peggio che delittuosa. Se la più elementare forza di volontà ci

impedisce di diventar delinquenti nei senso legale del termine, è

da simili debolezze, sconosciute a noi stessi, ma di cui si ha

tuttavia qualche sospetto - come in certe parti di mondo vien da

sospettare che ogni cespuglio nasconda un rettile velenoso -, è da

debolezze che giacciono nascoste in noi, sorvegliate o non

sorvegliate, tenute lontane pregando Iddio, o disprezzate con

animo virile, represse o fors'anche ignorate per più di metà della

nostra vita, che nessuno può mai sentirsi al sicuro. In certi casi

siamo trascinati ad azioni che ci fanno coprire di epiteti

ingiuriosi; ad azioni che ci portano magari al patibolo: e

tuttavia il nostro spirito sopravvive: sopravvive alla condanna,

sopravvive anche al patibolo, perdiana! E vi sono azioni invece -

sembrano così insignificanti, alle volte! dalle quali restiamo

totalmente, completamente annientati. Osservavo quel ragazzo.

Aveva un'aria simpatica; conoscevo il genere: veniva dalla parte

giusta, era dei nostri. Riassumeva in sé tutti gli ascendenti

della sua razza: uomini e donne tutt'altro che intelligenti o

pittoreschi, ma ben piantati su una fede solida e sull'istinto del

coraggio. Non alludo al coraggio militare o a quello civile, né a

qualunque altro genere particolare di coraggio. Intendo soltanto

la capacita innata di guardare in faccia le tentazioni; un tenersi

pronti, sa Dio con quanto scarso intervento del cervello ma senza

pose; una forza di resistenza, capite: sgraziata, sia pure, ma

impagabile; un irrigidirsi istintivo e benedetto di fronte a tutti

i terrori, esterni ed interni; di fronte alla potenza della natura

e alla seducente corruzione degli uomini: sostenuto, tutto questo,

da una fede invulnerabile nella forza dei fatti, nel contagio

dell'esempio nella sollecitazione delle idee. Al diavolo le idee!

Sono delle vagabonde, delle zingare che bussano alla porta di

servizio della nostra mente, e ognuna di esse vi ruba un po' della

vostra sostanza, ognuna di esse si porta via qualche briciola di

quel vostro credere in poche e semplici nozioni, che è un punto a

cui bisogna tenersi ben aggrappati se si vuol vivere con decenza e

morire con serenità.

Tutto questo non ha direttamente nulla a che vedere con Jim; solo

che, per l'aspetto esteriore, egli rappresentava nel modo più

spiccato quel tipo umano, buono e stupido, da cui fa piacere di

sentirsi circondati nel cammino della vita; quel tipo umano che

non si lascia turbare dai vaneggiamenti dell'intelligenza e dalle

perversioni dei... dei nervi, diciamo. Era il genere d'individuo

che, soltanto a guardarlo, gli avreste affidato la guardia del

ponte, sia in senso letterale che figurato. Per conto mio, glie

l'avrei affidata: e sì che dovrei intendermene. A tempo mio ne ho

iniziati un bel po' di ragazzi, sotto l'insegna dello Straccio

Rosso, al mestiere del mare! Un mestiere che tutto il suo segreto

si potrebbe condensarlo in una laconica frasetta, e che invece

ogni santo giorno bisogna tornarlo a ribadire in quei cervelli

adolescenti fino a che non sia diventato il lievito di ogni loro

pensiero da svegli, e non occupi, quando dormono, tutti i loro

sogni giovanili! Con me il mare è stato galantuomo: ma quando

ripenso a tutti quei ragazzi che mi son passati per le mani,

qualcuno ormai adulto, qualche altro finito ai pesci, ma tutti

trasformati in ottimo materiale per lui, non mi pare d'averlo

trattato male neanch'io. Dovessi tornarmene in patria domani, non

sarebbero passati due giorni, scommetto, che qualche primo

ufficiale bruciato dal sole mi raggiungerebbe sul cancello di una

darsena, e una voce giovanile e profonda risuonerebbe al disopra

del mio cappello: 'Non mi riconosce, capitano? Ma come! il piccolo

Tal-dei-Tali. Sulla nave Così-e-Così. Era la mia prima

traversata.' Allora mi tornerebbe in mente un ragazzuccio tutto

rimescolato, alto come lo schienale d'una seggiola, e, zitta zitta

sulla banchina, una madre, o forse una sorella troppo sconvolta

per sventolare il fazzoletto verso la nave che scivola via

dolcemente tra i moli; oppure un bravo babbo di mezz'età, venuto

di buon'ora col suo ragazzo per vederlo partire, e che poi è

rimasto a bordo tutta la mattinata perché, guarda un po', l'argano

lo interessava enormemente; e così si attardato troppo, tanto che

all'ultimo deve precipitarsi a terra senza più tempo per far gli

addii. Il pilota di fondo basso mi grida con voce strascicata: 'La

tenga ferma un momento col cavo d'ormeggio, capitano. C'è un

signore che deve scendere... Su, forza, signore. Quasi quasi

partiva anche lei per Talcahuano, eh? Ecco il momento giusto:

senza fretta... Bravissimo. Mollate di nuovo a prua.' I

rimorchiatori fumano come il baratro infernale e si mettono in

tirare, sbattendo le acque del vecchio fiume fino a farlo diventar

furioso; il signore che è sceso a terra si spolvera i

ginocchielli; il benevolo dispensiere gli getta l'ombrello che ha

dimenticato a bordo. Tutto molto come si deve. Lui ha offerto il

suo piccolo sacrificio al mare, e ora può tornarsene a casa

fingendo di non darvi importanza; e la piccola vittima volontaria

avrà un terribile mal di mare prima che finisca la notte. Più

tardi, quando avrà imparato tutti i piccoli misteri e l'unico

grande segreto del mestiere, anche lui sarà degno di vivere o di

morire, a seconda che il mare decreterà; e all'uomo che ha giocato

a quel giuoco da pazzi in cui il mare fa lui tutte le prese,

piacerà un mondo sentirsi battere sulla spalla da una pesante mano

giovanile, e udir la voce allegra d'un cucciolo di mare che

esclama: 'Mi riconosce, signore? Il piccolo Tal-dei-Tali.'

Vi dico che è bello; e la prova che una volta almeno nella vita

avete lavorato come si deve. M'è capitato di riceverne, di queste

botte sulla spalla! E ci ho fatto anche una smorfia, perché eran

pesanti; ma dopo mi son sentito contento tutto il giorno, e

andando a letto mi pareva d'esser meno solo al mondo, grazie a

quella manata cordiale. Se riconosco il piccolo Tal-dei-Tali? A

regola, di fisonomie dovrei intendermene. E vi dico che, dopo

un'occhiata appena, a quel giovanotto gli avrei affidato il ponte,

poi sarei andato a dormire fra due guanciali: e, perdiana! avrei

fatto una bella imprudenza. Ci sono abissi di orrore, dentro a

questo pensiero. Sembrava schietto come una sterlina di zecca, ma

nella lega del suo metallo v'era un elemento diabolicamente

impuro. In che quantità? Oh, minima... la goccia più piccola

possibile d'un qualcosa di raro e di maledetto; la più piccola

delle gocce!... ma bastava per far nascere il dubbio - a vederlo

lì in piedi con quell'aria di menimpipo - a far nascere il dubbio

che potesse esser tutto d'un metallo non più prezioso dell'ottone.

Non riuscivo a capacitarmi. Vi giuro che, per l'onore del

mestiere, avrei voluto vederlo divincolarsi. Gli altri due

individui, quelli senza importanza, si accorsero del capitano, e

lentamente si avviarono verso di noi. Venivano avanti pian piano

chiacchierando, e non m'importava nulla di loro, come non fossero

stati visibili. Ridevano... fors'anche scherzavano, può darsi.

Vidi che uno dei due aveva un braccio rotto; mentre l'altro, quel

tipo allampanato coi baffi grigi, era un capo macchinista

abbastanza conosciuto per varie ragioni. Insomma, due vere

nullità. Si avvicinarono. Il capitano stava come imbambolato a

guardarsi fra i piedi; si sarebbe detto che fino a quelle

dimensioni innaturali l'avesse gonfiato una qualche orribile

malattia o l'azione misteriosa d'un veleno sconosciuto. Alzò il

capo, si vide dinanzi i due in attesa, aprì ghignando la bocca con

uno straordinario contorcimento di quel viso incredibilmente

paffuto... e stava, credo, per dir qualcosa, quando parve che un

pensiero lo colpisse. Le grosse labbra violacee tornarono a

chiudersi senza emettere alcun suono; si diresse con passo molle

ma risoluto verso il gharry, e cominciò a scuoterne la maniglia

con tale impaziente brutalità che mi aspettavo da un momento

all'altro di veder l'intera baracca rovesciarsi su un fianco,

cavallino e tutto. Il cocchiere, distolto dalla contemplazione

della pianta del proprio piede, manifestò subito segni del più

intenso terrore. Aggrappatosi al sedile con le due mani, guardava

dall'alto quell'enorme carcassa decisa ad introdursi per forza

nella sua vettura. Il trabiccolo si agitava e rollava

tumultuosamente; la nuca paonazza di quel collo curvo, i polpacci

tesi nello sforzo, l'immenso ansimare di quella miserabile schiena

a strisce verdi e arancioni, tutta la forza d'urto di quella massa

vistosa e sordida turbavano il senso della probabilità con un

effetto comico e pauroso ad un tempo, come una di quelle visioni

insieme nitide e grottesche che spaventano e affascinano il

febbricitante. Ad un tratto scomparve. Mi aspettavo quasi che il

tetto della vettura si spaccasse in due, che quella scatoletta a

ruote scoppiasse come un baccello di cotone maturo... e invece si

limitò ad abbassarsi con un suono metallico di molle che cedono, e

di colpo una delle tendine di stuoia cadde giù srotolandosi

rumorosamente. Riapparvero, compresse entro la piccola apertura,

le spalle c'el gigante, che cacciò fuori la testa tesa e

ballonzolante come un pallone frenato, sudata, furiosa, in una

spruzzaglia di scaracchi. Agguantò il gharry-wallah con un gesto

rabbioso di quel suo pugno massiccio, rosso come un pezzo di carne

cruda, e gli muggì contro di camminare, di andarsene. Dove? Nel

Pacifico, forse. Il cocchiere diede di frusta, il cavallino

sbuffò, s'impenno, e partì al galoppo. Per dove? Per Apia? per

Honolulu? C'erano seimila miglia di cintura tropicale dove

andarsene a zonzo, e a me non riuscì d'afferrar l'indirizzo

preciso. Un cavallino sbuffante lo rapì in un baleno

nell''Ewigkeit,' e non lo rividi mai più. Che dico? non conosco

persona al mondo che gli abbia messo gli occhi addosso da quando

si sottrasse alla mia vista in quel piccolo gharry sgangherato che

svoltava a precipizio entro una bianca nuvola di polvere. Partì,

sparì, svanì; e, quel che è più assurdo ancora, si direbbe che

avesse portato via con sé anche il gharry perché mai più mi è

capitato d'imbattermi in quel cavallino sauro con l'orecchio

spaccato e in quel pigro cocchiere tamilo afflitto da un'ulcera al

piede. Il Pacifico è grande davvero; ma vi abbia trovato o no il

capitano un luogo adatto per mettere in valore le proprie doti,

resta il fatto che scomparve nello spazio come una strega a

cavallo d'una scopa. L'ometto col braccio al collo si diede a

rincorrere la vettura belando: 'Capitano! Ehi, capitano! Ehiii!',

ma dopo pochi passi si fermò di botto, chinò la testa, e tornò

indietro pian piano. All'aspro stridìo delle ruote, il più giovane

s'era rapidamente girato sui tacchi. Ma poi non fece nessun altro

movimento, nessun gesto, nessun segno: restò immobile col viso

rivolto nella direzione del gharry, anche dopo che questo era già

sparito da un pezzo.

Tutto si svolse in assai minor tempo di quanto ora me ne occorra a

raccontarlo, perché io sto cercando di analizzare per voi, con

lente parole, l'effetto istantaneo di parecchie impressioni

visive. Subito dopo entrò in scena l'impiegato meticcio, mandato

da Archie a occuparsi un po' dei poveri naufraghi del Patna.

Costui sbucò fuori dall'edificio di corsa, eccitato e senza nulla

in testa, guardando a dritta e a manca, tutto compreso

dall'importanza della propria missione. La quale era destinata

all'insuccesso per quanto riguarda il personaggio principale; ma

il portoghese si avvicinò agli altri tre con aria di affaccendata

importanza, e quasi immediatamente si trovò coinvolto in un

violento alterco con l'individuo che aveva il braccio al collo e

pareva non chiedesse altro che di fare una bella leticata. Non

riceveva ordini da nessuno, lui, no, perdinci! Ci voleva altro per

spaventarlo che un mucchio di bugie uscite di bocca a uno

sfacciato impiegatucolo meticcio! Non si lasciava maltrattare da

un 'coso del genere,' anche se la storia che raccontava era

'quanto mai' vera! E gridò il suo desiderio, la sua aspirazione,

la sua determinazione di mettersi a letto. 'Se tu non fossi un

Portoghese abbandonato da Dio,' lo udii gridare, 'avresti bell'e

capito che l'ospedale è il posto che ci vuole per me.' Piantò il

pugno del braccio sano sotto al naso dell'impiegato; cominciava a

raccogliersi folla; il meticcio, agitato, ma facendo del suo

meglio per mostrarsi dignitoso, cercava di spiegar le proprie

intenzioni. Io me ne andai senza aspettare la fine della scena.

Ma per l'appunto in quei giorni avevo uno dei miei marinai

all'ospedale, e, nell'andare a prenderne notizie la vigilia

dell'inchiesta, nella corsia dei bianchi ritrovai l'omiciattolo

che smaniava, disteso sul dorso, col braccio ingessato e in preda

al delirio. Con mia grande sorpresa anche l'altro individuo, lo

spilungone coi baffi bianchi spioventi, aveva trovato modo di

entrar là dentro. Ricordavo d'averlo veduto svignarsela durante il

litigio, d'un passo metà disinvolto metà strascicato, e facendo un

gran sforzo per non apparir spaventato. In porto era conosciuto, a

quanto pare; sì che ora, trovandosi nei guai, pensò di cercar

rifugio nel caffè con biliardi di Mariani, accanto al bazar.

Quell'indescrivibile vagabondo di un Mariani, che lo conosceva per

aver provveduto ai suoi vizi in un paio di altri luoghi, baciò la

terra, per così dire, davanti ai suoi piedi, e lo rinchiuse con

una provvista di bottiglie in una camera al primo piano del suo

infame bordello. Pare che il tipo si sentisse vagamente

preoccupato circa la propria sicurezza personale, e desiderasse

rimaner nascosto. Mariani mi disse molto tempo dopo (un giorno che

salì a bordo a reclamare dal mio dispensiere il pagamento di certi

sigari) che lui per quell'uomo avrebbe fatto ben altro, senza

chiedergli nessuna spiegazione, tanto gli era grato per qualche

spregevole favore ricevuto da lui molti anni prima, a quanto mi

riuscì di capire. Si batté due volte il petto muscoloso, roteando

gli enormi occhi bianchi e neri, lucidi di lagrime. 'Antonio non

dimentica mai... Antonio non dimentica mai!' La precisa origine di

codesta immorale riconoscenza non venni mai a conoscerla; ma,

quale che fosse, quell'individuo ebbe tutte le agevolazioni per

restarsene ben chiuso a chiave, con una sedia, un tavolo, un

materasso in un angolo, e un mucchio di sudiciume sul pavimento,

in preda a un irragionevole pànico che cercava di vincere con i

tonici di cui Mariani gli era generoso. La faccenda andò avanti

fino alla sera del terzo giorno, quando, dopo aver emesso alcuni

orribili urli, fu costretto a cercar scampo nella fuga contro una

legione di millepiedi. Sfondò la porta, discese d'un unico salto

disperato la scaletta sghimbescia, finì di peso sul ventre di

Mariani, si rialzò, e fuggì via come un coniglio per la strada. La

polizia lo raccolse sopra un cumulo d'immondizie la mattina dopo,

all'alba. A tutta prima pensò che volessero portarlo via per

impiccarlo, e lottò per la libertà come un eroe; ma quando io mi

sedetti sulla sponda del suo letto, era calmo da ormai due giorni.

La scarna testa abbronzata, con quei baffi bianchi, avrebbe potuto

apparir bella e serena sul guanciale come la testa d'un soldato

che le battaglie avessero logorato, ma rimasto fanciullescamente

candido nell'animo, non fosse stato per un accenno di spettrale

paura che, annidata nel luccichìo dello sguardo atono, faceva

pensare a un'indistinta immagine del terrore appiattata in

silenzio dietro a un vetro. Era così incredibilmente calmo, che mi

abbandonai all'assurda speranza di aver qualche spiegazione dal

suo punto di vista sulla famosa faccenda. Perché poi io provassi

tanto desiderio di frugare nei deplorevoli dettagli d'un

avvenimento che, dopo tutto, non mi riguardava affatto se non come

membro d'un'oscura associazione di gente riunita insieme da una

comunanza di fatiche ingloriose e di fedeltà a una certa linea di

condotta, non so proprio spiegarmelo. Chiamatela pure curiosità

morbosa, se volete; ma fatto sta che avevo bisogno di trovare

qualcosa. Forse, inconsciamente, speravo di scoprire una qualche

giustificazione riposta, l'ombra almeno di una scusante. Oggi vedo

bene che speravo l'impossibile. Speravo di veder sgominare il più

ostinato fantasma a cui l'uomo abbia mai dato forma: quel dubbio

febbrile che si diffonde come una nebbia, che rode occulto come un

tarlo, più agghiacciante che la certezza della morte: il dubbio

che a dominare una certa linea di condotta sia un potere

dispotico. E' la cosa più dura contro cui si possa inciampare; è

la cosa che suscita il pànico urlante e le brave piccole

mascalzonate compiute in silenzio; è la vera ombra della calamità.

Credevo dunque in un miracolo? e perché lo desideravo così

ardentemente? Era egoismo quello che mi spingeva a cercar anche

l'ombra d'un'attenuante per quel giovanotto che non avevo mai

visto prima? Era bastato il suo solo aspetto per aggiungere una

sfumatura d'interesse personale ai pensieri che mi suggeriva il

convincimento della sua debolezza, e per rendere questa debolezza

una cosa di mistero e di terrore, quasi un accenno a un destino

d'annientamento in agguato dietro le spalle di tutti coloro la cui

giovinezza aveva somigliato, un tempo, alla sua giovinezza? Ho

paura che il motivo segreto della mia curiosità fosse proprio

quello. Certo è che stavo cercando un miracolo. Oggi, dopo tanto

tempo, l'unica cosa che mi sembri miracolosa è l'enormità della

mia stupidaggine. Perché non c'è dubbio che qualche esorcismo

contro lo spettro del dubbio sperai di ottenerlo da quell'ammalato

losco e consunto. Dovevo esser davvero sulle spine se, senza

perdere tempo, dopo qualche frase indifferente e cordiale a cui

rispose con languida prontezza, come farebbe qualunque malato

rispettabile, tirai subito fuori la parola Patna avvolta in una

delicata domanda come in una matassina di seta morbida. Per

egoismo, ero così delicato: non volevo spaventarlo, semplicemente;

non che provassi la minima sollecitudine verso di lui. Non mi

faceva né rabbia né compassione; poco o nulla m'importava sapere

quale fosse stata la sua esperienza personale; l'eventualità d'una

sua redenzione mi riusciva del tutto indifferente. Era invecchiato

in mezzo ad iniquità di piccolo calibro, e non poteva più ispirare

né pietà ne avversione. Ripeté: Patna in tono interrogativo, come

se facesse un breve sforzo di memoria, e poi disse: 'Già. Sono

vecchio di questi luoghi, io. L'ho veduta affondare.' Mi disponevo

a dar libero corso al mio sdegno per una bugia così stupida,

quand'egli soggiunse tranquillamente: 'Era piena di rettili.'

Queste parole mi trattennero. Che intendeva dire? Fu come se

l'ondeggiante fantasma del terrore appiattato dietro ai suoi occhi

vitrei si fermasse di colpo e guardasse malinconicamente nei miei.

'Mi cavaron fuori dalla cuccetta a metà guardia,' proseguì in tono

pensoso. La voce gli si era fatta all'improvviso troppo forte, e

io mi pentii della mia follia. Nessuna candida cuffia alata

d'infermiera in vista, svolazzante nella prospettiva della corsia;

v'era soltanto laggiù, nel mezzo d'una lunga fila di letti di

ferro vuoti, un infortunato di qualche nave delle Rade, seduto,

abbronzato e fantomatico, con una benda bianca di traverso sulla

fronte. Di scatto il mio interessante malato sfoderò un braccio

magro come un tentacolo, afferrandomi per una spalla. 'Io solo

avevo occhi abbastanza buoni per vederla. Sono famoso, io, per la

vista. E forse fu proprio per questo che mi chiamarono. Nessuno di

loro fu tanto svelto da scorgerla mentre affondava, ma videro bene

quando fu scomparsa, e allora urlarono tutti insieme... così...'

Un ululato da lupo mi penetrò fin nei precordi. 'Oh, lo faccia

star zitto,' gemette l'infortunato con irritazione. 'Forse lei non

mi crede,' continuò l'altro con un'ineffabile espressione di

vanità. 'Le dico che non ci sono occhi come i miei, da questa

parte del Golfo Persico. Guardi sotto al letto.'

Naturalmente mi curvai subito. Vorrei sapere chi non avrebbe fatto

altrettanto. 'Che vede?' domandò. 'Nulla,' risposi pieno di

vergogna. Mi scrutò in viso con un disprezzo così selvaggio da

annichilirmi. 'Già,' fece, 'ma se guardassi io, vedrei... Non

esistono occhi come i miei, le dico.' Mi afferrò di nuovo,

tirandomi a sé, nella sua ansia di liberarsi l'anima con una

confidenza. 'Milioni di rospi rosa. Non esistono occhi come i

miei. Milioni di rospi rosa. E' peggio che veder affondare una

nave. Potrei star tutto il giorno a guardare navi che affondano

senza smettere di fumar la pipa. Perché non mi rendono la mia

pipa? Potrei fare una fumatina guardando i rospi. Il piroscafo

n'era pieno zeppo. Bisogna tenerli d'occhio, sa': e ammiccava

scherzosamente. Il sudore della mia fronte gli sgocciolava

addosso; la giacca di cotone mi s'incollava alla schiena bagnata;

la brezza pomeridiana trascorse impetuosa sulla fila di letti, le

pieghe rigide delle tende si agitarono perpendicolarmente,

stridendo sulle aste d'ottone, le coperte dei letti vuoti

sventolarono senza rumore sul pavimento nudo della corsia, e io

rabbrividii fino al midollo delle ossa. Il dolce vento dei tropici

giocherellava in quella sala spoglia come una malinconica bufera

invernale in un vecchio granaio inglese. 'Non gli lasci

ricominciare i suoi urli, signore,' strillò da lontano

l'infortunato. Quella voce ansiosa e piena di rabbia giunse fino a

me risuonando fra le pareti come un grido fioco entro un tunnel.

La mano mi artigliava la spalla; l'uomo tornò a farmi l'occhietto

con aria d'intesa. 'Ne era piena zeppa, sa, e bisognò svignarsela

in un battibaleno,' sussurrò a precipizio. 'Tutti rosa. Tutti

rosa... grossi come mastini, con un occhio in cima alla testa e

delle grinfie tutt'intorno alla loro bocca schifosa. Uh! Uh!'

Rapidi sussulti come di scosse elettriche rivelarono, sotto le

coperte, la sagoma di due gambe magre e agitate. Lasciò andar la

mia spalla e cercò di afferrare qualcosa per aria; il corpo teso

gli tremava come una corda d'arpa appena abbandonata dal dito; e,

mentre lo guardavo, l'orrore spettrale che era in lui tornò ad

affiorare nel suo sguardo vitreo. All'istante quella sua faccia da

vecchio soldato, così nobile e calma di linee, si decompose

davanti ai miei occhi come corrotta da una furberia sotterranea,

da una prudenza abominevole e da una paura disperata. Trattenne un

grido: ... 'Ssssh! cosa stanno facendo là sotto?' chiese additando

il pavimento, con nella voce e nei gesti certe fantastiche

precauzioni il cui significato, ora che mi s'era rivelato d'un

lampo in tutta la sua luridezza, mi nauseò della mia intelligenza.

'Dormono tutti,' risposi osservandolo attentamente. Ecco. Era

questo che voleva: erano proprio queste le parole che potevan

calmarlo. Tirò un lungo respiro. 'Ssssh! Zitti, piano. Sono

vecchio, io, di queste parti. Le conosco quelle bestiacce. Botte

in testa al primo che si muove. Troppi ce ne sono, troppi: non

potrà galleggiare più di dieci minuti.' Ansimò di nuovo. 'Presto!'

gridò a un tratto; e poi, tutto in un urlo: 'Sono tutti svegli!

Sono milioni! Mi pesticciano! Aspettate! Oh! aspettate! Li

spiaccicherò a mucchi, come mosche. Aspettatemi! Aiuto! aiuto!'...

Un urlo tenuto, interminabile, completò la mia umiliante disfatta.

Vidi laggiù l'infortunato portarsi le mani alla testa bendata con

un gesto di disperazione; un infermiere, chiuso in un grembiale

che gli arrivava al mento, apparve in fondo alla prospettiva della

corsia, come guardato con un cannocchiale a rovescio. Mi confessai

vinto, e, infilando senz'altro uno dei finestroni aperti, fuggii

nel corridoio esterno. L'urlo m'inseguì come una vendetta. Svoltai

in un pianerottolo deserto, e all'improvviso tutto fu immobile e

silenzioso intorno a me. Scesi le lucide e nude scale in un

silenzio che mi consentì di raccogliere i miei pensieri sconvolti.

Al pianterreno incontrai uno dei medici interni, che stava

attraversando il cortile e che mi fermò. 'E' stato a trovare il

suo marinaio, capitano? Credo che potremo lasciarlo uscire domani.

Questi idioti, però, non hanno proprio idea di cosa significhi

badare alla propria pelle! A proposito, sa che abbiamo qui il capo

macchinista di quella nave dei pellegrini? Delirium tremens della

peggior specie. Ha bevuto come una spugna per tre giorni di fila

nella bettola di quel Greco, o Italiano che sia. Che altro ci si

poteva aspettare? Quattro bottiglie di brandy al giorno, mi han

detto: e di quella qualità poi! Meraviglioso, se è vero. Ha da

esser foderato di lamiera da caldaie. La testa, eh! la testa, si

capisce, è andata; ma lo strano è questo, che nel suo divagare c'è

una specie di metodo: sto cercando d'individuarlo. Caso

eccezionalissimo, un fil di logica in un delirium simile. Se

seguisse la tradizione dovrebbe veder serpenti; e invece non ne

vede affatto. Oggigiorno le buone vecchie tradizioni sono in

ribasso... Bah, che vuol farci? Le... come dire?... le visioni di

costui sono di tipo batracico. Ah! ah!... No, parlando seriamente,

non ricordo d'aver mai veduto un caso di sbronzatura così

interessante. E badi che, dopo un simile esperimento di baldoria,

sarebbe stato suo dovere andarsene all'altro mondo. Sì! è un tipo

duro, quello. E con ventiquattro anni di tropici sulle spalle,

come se non bastasse. Dovrebbe proprio dargli un'occhiata. Un

vecchio beone con un'aria molto nobile. Il tipo più straordinario

ch'io abbia incontrato mai... dal punto di vista medico,

beninteso. Non vuol vederlo?' Fino allora avevo manifestato i

consueti segni di cortese interessamento, ma a questo punto,

assumendo un'espressione di rammarico, mormorai che mi mancava il

tempo, e gli strinsi in fretta la mano. 'Senta,' mi gridò dietro,

'quel tale non potrà mica venirci, all'inchiesta. Crede che la sua

testimonianza possa essere importante?'

'Oh no, niente affatto,' risposi dalla soglia del cancello

d'ingresso".

 

 

 

 

 

CAPITOLO 6.

Evidentemente le autorità furono della mia stessa opinione.

L'inchiesta non venne rinviata, e si svolse entro il termine

voluto dalla legge. Gran folla vi presenziò, forse per l'interesse

umano che presentava. Dubbi circa i fatti non ne esistevano:

voglio dire in riguardo all'unico fatto materialmente assodato.

Come il Patna avesse subìto avarìa non era possibile accertare, né

il tribunale contava che elementi nuovi in proposito risultassero

dal dibattimento. D'altronde, anche nel pubblico non v'era una

sola persona a cui interessasse questo problema. E sì che, come vi

ho detto, tutti i marinai del porto erano presenti, e il commercio

marittimo era rappresentato al completo. Se ne rendessero conto

oppur no, l'interesse che attirava là quella gente era puramente

psicologico: l'attesa di qualche rivelazione fondamentale sulla

forza, la potenza, l'orrore cui possono giungere le emozioni

umane. Ma nulla di tutto questo, naturalmente, sarebbe stato

detto. L'interrogatorio dell'unica persona capace di stare a un

tema simile e disposta a confessarsi, si andava futilmente

aggirando intorno a un fatto già ben noto, e la schermaglia delle

domande in proposito era utile come battere con un martello su un

recipiente di ferro, per scoprire cosa contiene. D'altra parte

un'inchiesta ufficiale non poteva essere diversa. Suo scopo non

era l'essenziale 'perché', ma il superficiale 'in che modo' della

faccenda.

Quel perché il giovanotto avrebbe saputo esporlo benissimo; ma

sebbene fosse proprio codesto il punto che interessava il

pubblico, il modo come le domande gli venivan rivolte lo

allontanava per forza da quella che a me, per esempio, sarebbe

parsa la sola verità degna d'essere conosciuta. Non si può

aspettarsi che le autorità costituite indaghino sulle condizioni

dell'anima di una persona... o meglio sarebbe dire su quelle del

suo fegato? A loro spettava di venire alle conseguenze, e,

francamente, da un magistrato di polizia noncurante e da due

assessori nautici non c'è da attendersi molto più di così. Non

intendo insinuare che costoro fossero degli stupidi. Il magistrato

era molto paziente; uno degli assessori, capitano di velieri,

aveva una barba rossiccia e tendenze bigotte. L'altro era Brierly.

Il grosso Brierly. Qualcuno di voi deve aver sentito parlare del

grosso Brierly: il capitano della miglior nave della Blue Star

Line. Lui, sì.

Sembrava enormemente seccato dall'onore propinatogli. Mai in vita

sua aveva fatto uno sbaglio, mai gli era capitato un incidente,

mai una disgrazia, mai un intoppo nella sua carriera sempre più

brillante: uno di quegli individui fortunati che non conoscono

l'indecisione, e meno ancora la sfiducia in se stessi. A trentadue

anni aveva uno dei migliori comandi che esistano nelle linee

d'Oriente, ed era estremamente soddisfatto della propria

posizione. Secondo lui non ve n'era una come quella nel mondo

intero; e ho idea che se glie lo avessero chiesto di punto in

bianco, avrebbe confessato che, a suo giudizio, al mondo non

esisteva nemmeno un capitano come lui. Insomma, per quel posto

unico, la scelta era caduta sull'uomo più adatto. Ai suoi occhi il

resto dell'umanità, esclusa dal comando del piroscafo d'acciaio

Ossa, velocità sedici nodi, era costituita da creature

assolutamente insignificanti. Aveva salvato delle vite sul mare,

aveva soccorso navi pericolanti, possedeva un cronometro d'oro

regalatogli da un gruppo di ammiratori, e un binocolo con su

incise appropriate parole, dono di qualche Governo straniero, in

riconoscimento dei suoi servigi. Valutava al giusto i propri

meriti e le ricompense avute. A me era abbastanza simpatico; ma

conosco qualcuno - gente mite e cordiale del resto - che non lo

poteva assolutamente soffrire. Non ho il minimo dubbio che si

stimasse, e di molto, superiore a me: in effetti, anche a esser

stati Imperatori d'Oriente e d'Occidente, impossibile non rendersi

conto della propria inferiorità in sua presenza; con tutto questo

non riuscivo a sentirmi veramente offeso. Difatti non mi

disprezzava per qualcosa che dipendesse da me, o inerente alla mia

persona, capite? Soltanto ero una quantità trascurabile,

semplicemente perché non ero l'unico uomo davvero fortunato di

questo mondo: perché non ero Montague Brierly comandante

dell'Ossa; non ero il proprietario di un cronometro d'oro con

dedica, né d'un binocolo montato in argento a testimonianza della

mia eccellenza nell'arte nautica e del mio indomabile ardire; non

sapevo rendermi esatto conto dei miei meriti e del valore delle

mie ricompense; e non potevo vantar l'amore, la devozione d'un can

da caccia nero, il più meraviglioso della razza dei retriever: mai

uomo pari a quello era stato parimenti amato da un cane pari a

quello. Sì, certo, trovarsi costretti ad ammettere tutto questo

era abbastanza esasperante; ma, riflettendo che sì fatali

manchevolezze le condividevo con dodici milioni a dir poco di

essere umani, sentivo di poter sopportare la mia porzione di

benevola e sprezzante pietà in riguardo a qualcosa d'indefinito e

di attraente che v'era in lui. Non ho mai chiarito a me stesso

qual genere d'attrazione fosse mai quello, ma c'eran momenti in

cui arrivavo a individuarlo. Sul suo animo compiaciuto l'aculeo

della vita non poteva incidere più del graffio d'uno spillo sulla

superficie levigata di una roccia. E questo era invidiabile. Lo

guardavo a fianco del pallido e modesto magistrato che presiedeva

all'inchiesta: la sua soddisfazione di sé offriva a me e al mondo

una superficie dura come il granito. Pochissimo dopo si suicidò.

Era naturale che il caso di Jim lo annoiasse; e mentre io

riflettevo, con un sentimento non molto lontano dalla paura,

sull'immensità del suo disprezzo verso quel giovanotto sottoposto

all'interrogatorio, egli stava invece probabilmente svolgendo una

ben diversa inchiesta sul proprio caso: e il verdetto dev'esser

stato di colpevolezza senza attenuanti, ma il segreto delle prove

a carico se lo portò via con sé in quel suo salto nel mare. Se

sono capace di comprender qualcosa dell'animo umano, la faccenda

senza dubbio era per lui di grandissimo momento: una di quelle

inezie che risveglian le idee, danno vita a pensieri coi quali un

uomo, non avvezzo a compagnie del genere, trova impossibile

vivere. Sono in grado di sapere che non si trattava né di danaro

né di vizio del bere, e neppur d'una donna. Si buttò in alto mare

poco più d'una settimana dopo la conclusione dell'inchiesta, meno

di tre giorni dopo aver lasciato il porto con la sua nave; come se

proprio in quel punto preciso dell'oceano avesse visto

all'improvviso le porte dell'altro mondo spalancarsi per

riceverlo.

Eppure non aveva obbedito a un impulso improvviso. Il suo secondo,

un tipo coi capelli grigi e marinaio di prim'ordine, affabile

verso gli estranei ma il più arcigno ufficiale ch'io abbia mai

veduto nei suoi rapporti col comandante, raccontava la storia con

gli occhi pieni di lagrime. Sembra che, quand'egli salì in coperta

la mattina, Brierly fosse chiuso a scrivere nella cabina delle

carte nautiche. 'Mancavano dieci minuti alle quattro,' raccontava,

'e quindi la guardia di notte non aveva ancora avuto il cambio.

Sentì la mia voce sul ponte di comando mentre stavo parlando al

secondo ufficiale, e mi chiamò. Non avevo voglia d'andarci,

confesso la verità, capitano Marlow: non lo potevo soffrire, il

povero capitano Brierly. E lo dico a mia vergogna, perché

purtroppo non si sa mai di che stoffa sia fatto un uomo. Troppe

promozioni aveva avuto passando sulla testa d'altra gente, senza

contar la mia; e aveva il maledetto vizio di farvi sentire piccini

piccini, soltanto da come vi diceva buongiorno. Non gli rivolgevo

mai la parola, signore, tranne che per servizio, e anche allora

dovevo fare uno sforzo per mostrarmi educato.' (In questo

s'illudeva. Mi ero chiesto spesso come Brierly avesse potuto

tollerar le sue maniere per più di una traversata). 'Ho moglie e

figliuoli' soggiunse, 'ed ero da dieci anni nella Compagnia,

sempre ad aspettare che toccasse a me il primo comando vacante,

stupido che ero. Lui mi dice, proprio a questo modo: - Entri,

signor Jones. - E io entrai. Facciamo il punto, - dice curvandosi

sulla carta, con un paio di compassi in mano. Stando agli ordini

in vigore, sarebbe toccato all'ufficiale che smontava di fare il

punto al termine della sua guardia. Tuttavia non dissi nulla, e

rimasi a guardarlo mentre segnava la posizione con una crocettina,

e poi l'ora e la data. Lo vedo ancora tracciare quelle sue nitide

cifre: diciassette, otto, quattro A. M. L'anno era scritto in

inchiostro rosso sul bordo superiore della carta. Non le usava mai

più d'un anno, il capitano Brierly. Quell'ultima, ora è rimasta a

me. Quando ebbe finito indugiò un po' a guardare il segno che

aveva fatto, sorridendo fra sé; poi alza gli occhi e mi guarda. -

Deve fare ancora trentadue miglia sempre in questa direzione, -

dice; poi ne saremo fuori, e lei potrà modificare la rotta di

venti gradi verso sud -. (Passavamo al nord della secca di Hector,

in quel viaggio). Risposi: - Va bene, signore -; e intanto mi

domandavo di cosa mai si stesse preoccupando, visto che in ogni

modo avrei dovuto chiamarlo prima di cambiar rotta. Proprio in

quel momento la campana di bordo batté il quarto: uscimmo sul

ponte di comando, e l'ufficiale in seconda prima di allontanarsi

butta lì nel solito modo: - Settantuno sul solcometro -. Il

capitano Brierly guarda prima la bussola e poi tutt'intorno a sé.

La notte era buia e pur limpida: si vedevano nitide tutte le

stelle, come in certe notti di gelo nelle alte latitudini. Al un

tratto dice con una specie di piccolo sospiro: - Vado a poppa e le

metto io a zero il solcometro, perché non vi siano errori.

Trentadue miglia ancora su questa rotta, e poi siamo al sicuro.

Vediamo un po'... Ia correzione sul solcometro è del sei per cento

addizionale; diciamo dunque, trenta da superare secondo il

quadrante; e poi può deviar subito di venti gradi a dritta.

Inutile allungare la strada... vero? - Non l'avevo mai sentito

parlar tanto di fila, e, a mio giudizio, così inutilmente. Non

dissi nulla. Scese la scaletta, e il cane, che gli stava sempre

alle calcagna notte e giorno, lo seguì scivolando col naso avanti.

Sentii il ticchettare dei tacchi delle sue scarpe sul ponte di

poppa; poi si fermò a parlare al cane: - Torna addietro, Rover.

Sul ponte di comando! Va' via, va'... Piglia! Poi grida a me

dall'oscurità: - Chiuda il cane nella cabina delle carte, signor

Jones, per favore.- Fu questa l'ultima volta che sentii la sua

voce, capitano Marlow. Queste sono le ultime parole che lui ha

pronunciato e che orecchio umano abbia udite, signore.'

A questo punto la voce del bravo vecchio s'incrinò. 'Aveva paura

che la povera bestia gli saltasse dietro, capisce?' riprese con un

tremito. 'Proprio così, capitano Marlow.' Regolò il solcometro per

me. Lo crederebbe? Ci mise dentro anche una goccia d'olio.

L'oliatore stava ancora dove lui l'aveva posato, lì accanto. Alle

cinque e mezzo il secondo del nostromo andò a poppa con la sistola

per lavare il ponte; dopo un poco pianta lì il suo lavoro, e corre

sul ponte di comando. - Scenda a poppa, per favore, signor Jones,

- dice. - C'è una cosa buffa. Non mi va di toccarla -. Era il

cronometro d'oro del capitano Brierly appeso con cura per la

catena al bastingaggio. Ci avevo appena posato su gli occhi, che

capii, signore. Le gambe mi si piegarono sotto. Era come se

l'avessi veduto buttarsi giù: e sapevo anche con precisione di

quanto lo avevamo lasciato indietro. Il solcometro del coronamento

di poppa segnava diciotto miglia e tre quarti; e mancavano quattro

cavicchi di ferro intorno all'albero di maestra. Se li sarà messi

in tasca per aiutarsi ad andare a fondo, immagino: ma, Dio mio,

che differenza potevan fare quattro cavicchi a un uomo grosso come

il capitano Brierly? Forse la sua fiducia in se stesso in quegli

ultimi momenti era un po' scossa. E' l'unico segno d'agitazione,

direi anzi, che abbia dato in vita sua; ma sono pronto a garantir

per lui che, una volta fatto il salto, non ha tentato di dare

nemmeno una bracciata, per quello stesso coraggio che l'avrebbe

fatto nuotare un giorno intero dietro a un filo di speranza, se in

acqua ci fosse cascato accidentalmente. Sissignore. Non era

secondo a nessuno: e poco importa se era lui stesso a dichiararlo,

come l'ho sentito una volta con queste orecchie. Durante la

guardia di notte aveva scritto due lettere: una alla Compagnia e

un'altra a me. Mi dava un mucchio di istruzioni circa la

traversata - a me che ero nel mestiere prima che lui venisse al

mondo - e un'infinità di consigli sul come condurmi con i nostri

principali di Shangai perché il comando dell'Ossa restasse a me.

Mi scriveva come farebbe un padre al figlio prediletto, capitano

Marlow, e io avevo venticinque anni più di lui, e avevo assaggiato

l'acqua salata quando a lui non avevano ancora messo le prime

brachette. Nella lettera agli armatori - l'aveva lasciata aperta

apposta perché io la leggessi - diceva di aver sempre fatto il suo

dovere verso di loro... fino a quel momento; e anche ora, diceva,

non veniva meno alla loro fiducia, dacché lasciava la nave nelle

mani del marinaio più competente che ci fosse. Parlava di me,

signore, parlava di me! Diceva che, se l'ultimo gesto della sua

vita non gli aveva tolto ogni credito ai loro occhi, sperava

avrebbero apprezzato il mio fedele servizio e tenuto in conto la

sua calda raccomandazione quando si sarebbe trattato di

rimpiazzarlo. E molte altre cose del genere, signore. Non potevo

credere ai miei occhi. 'Mi sentivo una curiosa sensazione dalla

testa ai piedi,' soggiunse tutto turbato il bravo vecchio,

schiacciandosi qualcosa nell'angolo dell'occhio con l'estremità

d'un pollice largo come una spatola. 'Si sarebbe detto, signore,

che fosse saltato in mare soltanto per offrire a un uomo poco

fortunato un'ultima occasione di farsi strada. Un po' per

l'impressione d'averlo veduto scomparire in quella maniera

avventata e terribile, un po' per l'idea che un avanzamento di

carriera l'avrei dovuto a un aiuto simile, rimasi fuor di me per

una settimana. Ma niente paura. Sull'Ossa fu trasferito il

capitano del Pelton (prese imbarco a Sciangai)... un piccolo

bellimbusto, signore, con un abito grigio a quadretti e la

scriminatura in mezzo alla testa: Hem... io sono... hem... il suo

nuovo capitano, signor... signor... hem... Jones -. Era affogato

nel profumo... puzzava addirittura, capitano Marlow. Fu l'occhiata

che gli diedi, credo, a farlo balbettare. Borbottò qualcosa sulla

mia delusione: naturalissima... Era meglio sapessi subito che il

suo secondo era stato promosso capitano del Pelton... Lui non

c'entrava, s'intende... la Compagnia sapeva quel che faceva... era

spiacente... Io rispondo: - Non si preoccupi per il vecchio Jones,

signore; c'è avvezzo, maledetta l'anima sua -. Capii subito d'aver

scandalizzato le sue orecchie delicate. Poi, mentre si stava a

pranzo insieme per la prima volta, cominciò a trovar da ridire in

modo poco simpatico su questa e quella cosa che aveva osservato a

bordo. Non ho mai sentito una voce di Pulcinella come la sua.

Strinsi i denti e fissai gli occhi sul piatto restandomene cheto

il più possibile; ma alla fine dovetti pur rispondere qualcosa;

lui salta su, in punta di piedi, arruffando le sue belle pennucce

come un gallo in pieno combattimento. - Si accorgerà d'aver a che

fare con un tipo diverso dal defunto capitano Brierly -. - Me ne

sono già accorto, - risposi io con grande malinconia, ma fingendo

d'essere impegnatissimo con la mia bistecca. - Lei è un vecchio

furfante, signor... hem... Jones; e le dirò anche che per tale è

conosciuto in sede -, squittisce. Quei maledetti marinai del

servizio di mensa erano tutti lì impalati ad ascoltare, con le

bocche spalancate da un'orecchia all'altra.- Sarò anche un

delinquente incallito, - dissi, - ma non al punto da poter

sopportare di vederla seduto al posto del capitano Brierly -. E

con queste parole abbandono sulla tovaglia coltello e forchetta.-

Le piacerebbe di sedersi lei... ecco dove le duole il dente -,

ribatté lui con aria beffarda. Me ne uscii dalla saletta da

pranzo, raccolsi i miei cenci, e mi trovai sulla banchina con

tutto il mio bagaglio ai piedi quando ancora gli scaricatori di

porto non si erano rimessi al lavoro. Già. Alla deriva... a

terra... dopo dieci anni di servizio... e con una povera donna e

quattro bambini seimila miglia lontano, che ogni boccone che

mangiavano lo dovevano alla metà del mio stipendio. Sissignore!

Piantai tutto, piuttosto che sentir insolentire il capitano

Brierly. Mi aveva lasciato il suo telescopio notturno : eccolo

qua; e m'aveva pregato di prender cura del suo cane: eccolo qui

anche lui. Olà, Rover, vecchio mio. Dov'è il capitano, Rover?' Il

cane sollevò su di noi i malinconici occhi gialli, diede in un

latrato di desolazione, abbaiò e strisciò sotto la tavola.

Questa scena accadeva, più di due anni dopo, a bordo di quel

rudere nautico che era il Fire-Queen, di cui Jones aveva avuto il

comando, grazie a una curiosa combinazione, per il tramite di

Matherson.

Matherson il pazzo, lo chiamavan di solito: quello che bazzicava

sempre a Hai-phong, sapete, prima dell'occupazione. Il vecchio

Jones proseguì, con quella sua voce nasale: 'Sissignore, qui il

capitano Brierly sarà ricordato, anche se il resto del mondo

dovesse dimenticarlo. Scrissi a lungo a suo padre, ma non ebbi una

parola di risposta: né Grazie né Va' al diavolo! Niente! Forse

avrebbero preferito non sapere.'

La vista del vecchio Jones con gli occhi umidi, che si asciugava

la testa calva con un fazzoletto di cotone rosso; il guaìto

malinconico del cane; lo squallore di quel quadrato pieno di

mosche, ormai unico santuario della memoria di Brierly, gettavano

un velo inesprimibilmente umile e patetico sul ricordo dello

scomparso: postuma rivincita del fato per quella fiducia nel

proprio fulgore che dalla vita di lui aveva quasi eliminato i più

legittimi terrori. Quasi? Interamente, forse. Chi può dire di qual

splendore Brierly fosse riuscito a circonfondere dinanzi a se

stesso anche il proprio suicidio?

Giungendo le mani, Jones mi chiese: 'Perché mai, capitano Marlow,

crede lei che abbia commesso quel gesto inconsulto? Perché? Io non

arrivo a capirlo. Perché?' Si batté la fronte bassa e rugosa.

'Fosse stato povero, vecchio e indebitato... senza mai un po' di

fortuna... oppure matto. Ma non era tipo da diventar matto, lui.

Creda pure a me. Quello che un secondo ignora del proprio

capitano, non val la pena di essere conosciuto. Giovane, sano,

agiato, senza preoccupazioni... Qualche volta me ne sto seduto qui

a pensare, a pensare, finché comincia a ronzarmi la testa. Una

ragione deve pur esserci stata!'

'Stia certo, capitano Jones,' risposi, 'che è una ragione che non

avrebbe turbato gran che nessuno di noi due,' dissi. Allora, come

se una luce si fosse improvvisamente accesa nella confusione del

suo cervello, alla fine il povero vecchio Jones trovò una parola

di sorprendente profondità. Si soffiò il naso, annuendo

tristemente col capo. 'Già, già! ma né lei né io, signore, abbiamo

mai avuto un'opinione così buona di noi stessi.'

Naturalmente il ricordo della mia ultima conversazione con Brierly

è influenzato dal fatto che ora so quanto da vicino lo seguì la

fine di lui. Gli parlai per l'ultima volta durante l'inchiesta. Fu

dopo la prima udienza; mi si avvicinò per istrada. Era in uno

stato d'irritazione che notai con sorpresa; di solito il suo

comportamento, quando accondiscendeva a conversar con qualcuno,

era perfettamente calmo, con un barlume di divertita degnazione,

come se l'esistenza del suo interlocutore fosse uno scherzo

abbastanza spiritoso. 'Mi hanno accalappiato per questa inchiesta,

ha veduto?' cominciò; e per un poco si profuse in lamentele sulla

noia di doversi recar tutti i giorni in tribunale. 'E sa Dio

quanto durerà ancora. Tre giorni m'immagino!' Lo ascoltavo in

silenzio, che era un modo come un altro, secondo me, di esprimere

la mia opinione. 'E a che serve poi? E' la cosa più stupida che si

possa immaginare,' soggiunse con ira. Gli chiesi che altro si

sarebbe potuto fare. M'interruppe con una specie di violenza

trattenuta. 'Mi sento come un imbecille tutto il tempo

dell'udienza.' Lo guardai. Quella, per un Brierly che parlava di

Brierly, era già una frase fuor del comune. S'interruppe di colpo,

e, afferrandomi per il bavero, mi diede una piccola stratta.

'Perché mai stiamo tormentando quel giovanotto?' chiese. La

domanda era così all'unisono con i rintocchi di un certo mio

pensiero, che - con negli occhi l'immagine del rinnegato

introvabile - risposi subito: 'Al diavolo se lo so; a meno che non

sia perché è lui che ve lo lascia fare.' Fui stupito di veder come

si schierava, per così dire, dalla parte d'una frase che avrebbe

dovuto sembrargli un indovinello. Disse irritato: 'Ma già. Non se

ne accorge, dunque, che quel gaglioffo d'un capitano ha tagliato

la corda? Cosa si aspetta che possa succedere? Niente può

salvarlo. E' buscherato!' Facemmo qualche passo in silenzio.

'Perché mangiare tutto quel fango?' esclamò valendosi

d'un'energica espressione orientale (press'a poco l'unico genere

d'energia di cui si possa trovar traccia a oriente del

quindicesimo meridiano). In quel momento non riuscivo a immaginar

la direzione dei suoi pensieri; ma oggi ho fondato sospetto che

fossero perfettamente in carattere: ossia che il povero Brierly

stesse, in sostanza, pensando a se medesimo. Gli feci osservare

che era notorio come il capitano del Patna avesse saputo

imbottirsi bene il nido, così da potersi procurar quasi dovunque

il modo per mettersi al sicuro. Ma per Jim le cose stavano

diversamente. Intanto, a ospitarlo era il Governo, nell'Asilo del

Marinaio: e con tutta probabilità non aveva in tasca il becco d'un

quattrino. Per scappare ci voglion soldi. 'Davvero? non sempre,'

fece con una risata amara. E poi, in risposta a qualche altra mia

osservazione: 'Beh, allora, che si ficchi dieci metri sotto terra,

e che ci rimanga! Perdio! Io al suo posto farei così.' Non so

perché il suo tono m'irritò, e ribattei: 'C'è una specie di

coraggio anche nell'affrontar tutto questo come sta facendo lui:

tanto più sapendo benissimo che, se fuggisse, nessuno si darebbe

la pena di corrergli dietro.' 'Al diavolo il coraggio!' brontolò

Brierly. 'Codesta specie di coraggio non serve a tenere un uomo

sulla strada buona; non darei un soldo per un coraggio simile.

Perché non dire invece che è una specie di vigliaccheria?... di

mollezza? Sa cosa le dico? Scommetto duecento rupie contro cento

che lei ci riesce, se s'impegna a farlo scappare domattina presto.

E' un gentiluomo, benché faccia schifo... Capirà. Bisogna che

capisca! Questa maledetta pubblicità è troppo scandalosa; lui se

ne sta lì, e intanto tutti quegli indigeni del diavolo, serang,

lascar, quartiermastro, fanno deposizioni da ridurre un uomo in

cenere dalla vergogna. E' abominevole. Ma non le pare, Marlow, non

sente anche lei che è abominevole? Lo dica, su, da buon marinaio!

Se lui se ne andasse, tutto questo finirebbe subito!' Brierly

pronunciò queste parole con animazione insolita, e fece l'atto di

tirar fuori il portafogli. Lo trattenni dichiarando freddamente

che la vigliaccheria di quei quattro individui non mi sembrava poi

cosa tanto importante. 'E lei si considera un marinaio, vero?'

esclamò con ira. Risposi che infatti mi consideravo tale e speravo

anche di esserlo. Mi ascoltava con un atteggiamento del suo grosso

braccio che pareva mi volesse privare d'ogni personalità per

ricacciarmi nella folla. 'Il peggio è,' soggiunse, 'che nessuno di

voialtri ha il senso della dignità; non pensate abbastanza a ciò

che siete idealmente.'

Avevamo camminato a lenti passi, chiacchierando, e ora ci fermammo

davanti alla capitaneria di porto, vicino al punto dove l'enorme

capitano del Patna era così totalmente scomparso come una piccola

piuma spazzata via dalla furia dell'uragano. Sorrisi. Brierly

riprese: 'E' una vergogna. Ce n'è di tutte le specie fra noi...

compreso qualche furfante della più bell'acqua; ma, diamine,

dobbiamo pur serbare un certo decoro professionale, altrimenti Ci

riduciamo al livello dei vagabondi che girano per le campagne. La

gente ha fiducia in noi. Capisce?... Ha fiducia! A dirla franca,

di tutti i pellegrini che mai siano usciti dall'Asia a me non

importa un fico, ma un uomo con un minimo di dignità non si

sarebbe comportato così nemmeno con un carico di stracci vecchi.

Non siamo una classe organizzata, noi, e la sola cosa che ci tiene

insieme è proprio la fama di cui godiamo d'aver quella certa

dignità. Un processo come questo ci toglie la fiducia. Un marinaio

può passare l'intera vita senza che gli si presenti l'occasione di

mostrar del fegato. Ma quando il momento viene... Ah! se io...'

S'interruppe, e riprese con altro tono: 'Le darò subito duecento

rupie, Marlow, semplicemente perché lei gli parli. Maledetto!

Magari non fosse mai capitato qui. Fatto è che qualcuno della mia

famiglia credo conosca i suoi parenti. Suo padre è un pastore

anglicano, e ora ricordo d'averlo incontrato una volta, quando ero

ospite di mio cugino nell'Essex, l'anno scorso. Se non sbaglio, il

vecchio sembrava avesse una predilezione per questo figlio

marinaio. Orribile. Io non posso farlo... ma lei...'

Così, a proposito di Jim, ebbi una rapida visione del vero

Brierly, pochi giorni prima ch'egli affidasse realtà e posa

insieme della sua natura alla custodia del mare. Naturalmente

rifiutai d'immischiarmi nella faccenda. Il tono di quell'ultimo

'ma lei' (povero Brierly, non aveva potuto trattenersi), in cui

era implicito ch'io non contavo più d'un insetto, mi fece

considerar la proposta con indignazione; e, fosse per questo o per

qualche altro motivo, mi convinsi che l'inchiesta stessa

rappresentava una punizione sufficiente per quel Jim, e che il

fatto di affrontarla (si può dire di sua libera volontà) era un

elemento purificatore nell'abbominevole faccenda. Finallora non ne

ero stato tanto sicuro. Brierly se ne andò tutto arrabbiato. Lì

per lì il suo stato d'animo mi restò più misterioso di quanto non

mi sembri adesso.

Il giorno dopo arrivai tardi in tribunale, e mi sedetti da una

parte. Naturalmente non potevo dimenticare quella conversazione

con Brierly, e adesso avevo entrambi gli uomini sotto gli occhi.

Il contegno dell'uno sembrava dimostrare una cupa insolenza, e

quello dell'altro una noia sprezzante; eppure l'atteggiamento

dell'uno poteva non essere più schietto di quello del secondo; e

ormai sapevo che uno dei due non era sincero. Brierly non era

affatto annoiato... era esasperato; e dunque anche Jim poteva non

essere insolente davvero. Anzi, secondo la mia teoria non lo era.

Pensai che fosse piuttosto senza speranza. Fu allora che i nostri

sguardi s'incontrarono. S'incontrarono, e l'occhiata che mi diede

sarebbe bastata a togliermi ogni velleità di parlargli, anche se

l'avessi avuta. Qualunque delle due ipotesi fosse la giusta -

insolenza o disperazione - sentii che non potevo essergli utile in

nulla. Quello era il secondo giorno del processo. Poco dopo il

nostro scambio d'occhiate l'inchiesta fu nuovamente rinviata

all'indomani. I bianchi cominciarono a sfollare subito in gruppo.

Jim aveva già avuto il permesso di lasciare il suo banco, e poté

quindi andarsene fra i primi. Vidi le sue spalle larghe e la sua

testa profilarsi nella luce della porta, e mentre mi avviavo

lentamente verso l'uscita chiacchierando - qualche estraneo che mi

aveva rivolto la parola per caso -, lo scorgevo dalla sala del

tribunale con i gomiti appoggiati alla ringhiera della veranda e

la schiena rivolta verso la corrente della folla che discendeva i

pochi gradini fra un mormorio di voci e lo strascicare dei piedi.

Il processo seguente riguardava un'aggressione con vie di fatto ai

danni, se ben ricordo, d'un usuraio; e il convenuto - un venerando

campagnolo con una barba bianca tagliata dritta stava seduto sopra

una stuoia subito fuori dell'uscio insieme ai figli, alle figlie,

ai generi con le loro mogli, e, direi, a metà del villaggio per

sovrappiù, chi accovacciato per terra e chi in piedi vicino a lui.

Una donna bruna e slanciata, con parte della schiena e una spalla

nude, e un sottile anello d'oro al naso, cominciò a un tratto a

parlare con voce acuta e bisbetica. Quel tale che era con me alzò

gli occhi istintivamente a guardarla. Eravamo appena fuori

dell'uscio, e stavamo passando dietro la poderosa schiena di Jim.

Se fossero stati quei contadini a portarsi dietro il cane giallo

non so. In ogni modo il cane c'era, e si ficcava fra le gambe

della gente con quel fare silenzioso e furtivo che è dei cani

indigeni. Il mio compagno v'inciampò; il cane balzò via senza un

guaito, e l'uomo, alzando un poco la voce, disse con una risatina

soffocata: 'Guardi là quel cane rognoso!' Subito dopo ci trovammo

separati da un gruppo di gente che si era spinta in mezzo a noi.

Io mi tirai addietro un momento contro il muro mentre lo

sconosciuto, che aveva già finito di scendere i gradini,

scomparve. Vidi Jim voltarsi di colpo. Fece un passo avanti e mi

tagliò la strada. Eravamo soli; mi guardava con occhi infuocati e

un'aria di cocciuta risolutezza. Mi resi conto d'esser nelle sue

mani, per così dire, come fossi stato in un bosco solitario. La

veranda ormai era vuota, ogni rumore e movimento eran cessati

nella sala del tribunale: cadde un grande silenzio; mentre chissà

da dove, da qualche remota stanza dell'edificio, una voce di

timbro orientale incominciava un abbietto piagnisteo. Il cane,

proprio nell'atto che tentava di intrufolarsi nell'uscio,

s'accucciò di colpo per cercarsi le pulci.

'Diceva a me?' domandò Jim a voce bassissima, curvandosi in avanti

non tanto verso di me, se capite cosa voglio dire, quanto contro

di me. Risposi: 'No' immediatamente. Qualcosa nel suono di quella

voce pacata mi avvertì di tenermi in guardia. Lo osservai. Il

nostro era davvero come un incontro in un bosco: ma più incerto

nelle conseguenze, perché lui non voleva certamente la mia borsa

né la mia vita... nulla ch'io potessi consegnargli senz'altro, o

difendere con la coscienza pulita. 'Già, dice di no,' ribatté

torbido, 'ma io ho sentito.' 'Si sbaglia,' protestai, non

comprendendo assolutamente cosa volesse dire e senza levargli gli

occhi di dosso. Guardarlo in viso era come scrutare un cielo che

si annuvola prima d'un rombo di tuono. Impercettibilmente gli

calava addosso un'ombra dopo l'altra, e l'oscurità si faceva

misteriosamente intensa in quella calma dove andava maturando lo

scoppio della violenza.

'Per quel che so non ho aperto bocca,' affermai con assoluta

schiettezza. L'assurdità di quella discussione cominciava anche a

darmi un poco sui nervi. Mi colpisce il pensiero, adesso, di non

esser mai stato in vita mia così vicino a esser picchiato:

materialmente picchiato, voglio dire: a forza di pugni. Avevo però

un vago presentimento, suppongo, che ci fosse in aria una simile

eventualità. Non che Jim mi minacciasse col gesto. Tutt'altro; era

stranamente inattivo... capite? ma si curvava in avanti e, benché

non fosse eccezionalmente grosso, pareva capacissimo, tutto

sommato, di demolire un muro. Il sintomo più rassicurante che

notai fu una specie di lenta e pesante esitazione che interpretai

come un tributo all'evidente sincerità delle mie maniere e del mio

tono. Ci guardammo in faccia. Nel tribunale si stava intanto

svolgendo il processo per aggressione. Afferrai le parole: 'Beh...

bufalo... bastone... fu tale la mia paura...'

'Cosa voleva dire quel tenermi gli occhi addosso tutta la

mattina?' disse Jim finalmente. Mi squadrò e poi riabbassò lo

sguardo. 'Si aspettava forse che si restasse tutti quanti a occhi

bassi per un riguardo alla sua suscettibilità?' ribattei

seccamente. Non avevo nessuna intenzione di menargli buone le sue

strampalerie. Alzò di nuovo gli occhi, e questa volta continuò a

guardarmi dritto in faccia. 'No. Questo è vero,' dichiarò con

l'aria di aver vagliato fra sé la giustezza dell'asserzione. 'Su

questo non c'è nulla da dire; e lo sopporterò fino in fondo.

Soltanto,' e qui prese un tono più concitato, 'non permetterò a

nessuno d'insolentirmi fuori del tribunale. C'era un tale con lei.

Lei gli ha parlato... Oh sì... lo so ; d'accordo: si rivolgeva a

lui; con l'intenzione però che sentissi anch'io... '

Lo assicurai che era vittima di uno straordinario equivoco. Non

avevo idea di come potesse esserci caduto. 'Lei credeva che non

avrei avuto il coraggio di risentirmi,' soggiunse con appena una

punta di amarezza. Provavo abbastanza interesse alla scena per

cogliere anche le minime sfumature della sua espressione; tuttavia

non riuscivo ancora a capir nulla, benché un qualcosa in quelle

parole, forse soltanto l'intonazione della frase m'inducesse

all'improvviso ad accordargli tutte le attenuanti possibili.

Quanto v'era d'inaspettato nella situazione cessò d'irritarmi.

Doveva sbagliarsi; era vittima di un equivoco; e intuivo che

quell'equivoco doveva essere di natura disgraziata e antipatica.

Ero ansioso di porre termine alla scena per ragioni di decoro,

così come si è ansiosi di tagliar corto a una confidenza non

richiesta e vergognosa. Il più buffo era che, in mezzo a tutte

queste considerazioni d'ordine superiore, mi accorgevo di provare

una certa trepidazione circa la possibilità- anzi la probabilità -

che lo scontro andasse a finire in una rissa volgare, di cui

sarebbe stato impossibile spiegare le ragioni e che mi avrebbe

fatto fare una figura ridicola. Non aspiravo affatto a tre giorni

di celebrità come colui che aveva avuto un occhio pesto o qualcosa

del genere dall'ufficiale in seconda del Patna. Con ogni

probabilità lui era pronto a tutto, e comunque si sarebbe sentito

pienamente giustificato ai propri occhi. Non c'era bisogno

d'essere indovini per capire che era straordinariamente arrabbiato

per qualche cosa, con tutto che le sue maniere fossero tranquille

o addirittura torpide. Non nego che non avrei desiderato di meglio

che rappacificarlo a qualunque costo, avessi saputo da che parte

rifarmi. Ma non lo sapevo, come vi potete immaginar facilmente.

Brancolavo in una completa oscurità, senza il minimo barlume.

Stavamo l'uno di fronte all'altro in silenzio. Lui sospese il

fuoco per circa quindici secondi; poi fece un passo avanti, e io

mi preparai a parare il colpo, pur senza muovere un muscolo,

credo. 'Anche se fosse grosso come due uomini e forte come sei,'

disse pian piano, 'le direi lo stesso cosa penso di lei. Lei...'

'Un momento!' esclamai; e ciò valse a trattenerlo per un secondo.

'Prima di dirmi cosa pensa di me,' ripresi in fretta, 'vuol essere

tanto gentile da dirmi cos'ho detto o fatto di male?' Nella pausa

che seguì mi esaminò con indignazione, mentre io facevo sforzi

soprannaturali di memoria, sforzi resi anche più ardui dal suono

della voce orientale che all'interno del tribunale protestava con

appassionata volubilità contro l'accusa di mendacio. Poi parlammo

quasi contemporaneamente. 'Le farò vedere ben presto che non sono

quello che ha detto,' sbottò lui in un tono tale da lasciar

credere che si avvicinasse una crisi. 'Dichiaro di non saperne

nulla,' esclamavo io con calore nello stesso momento. Cercò di

schiacciarmi con un'occhiata di sprezzo. 'Ora che vede che non ho

paura cerca di tirarsi indietro,' disse. 'Chi di noi è un cane

rognoso adesso... eh?' Allora, finalmente, capii.

Mi stava scrutando in faccia come cercasse il posto più adatto per

piantarvi un pugno. 'Non permetterò a nessuno...,' borbottò

minacciosamente. Era davvero un equivoco orribile: egli si era

tradito a fondo. Non so dirvi quanto rimasi male. Credo mi abbia

letto in viso qualche riflesso dei miei sentimenti, perché mutò un

poco d'espressione. 'Buon Dio!' balbettai, 'non crederà mica che

io...' 'Sono sicuro d'aver sentito,' insisté; e per la prima volta

dall'inizio di quella scena deplorevole aveva alzato la voce. Poi,

con un'ombra di disprezzo, soggiunse: 'Sicché non è stato lei?

Benissimo; non mi resta che trovare quell'altro.' 'Non faccia

l'imbecille!' gridai esasperato: 'si trattava di tutt'altro.' 'Ho

sentito benissimo,' tornò a ripetere Jim con cupa e incrollabile

ostinazione.

Qualcuno forse avrebbe riso della sua insistenza. Ma io non risi.

Oh no! Mai uomo si era più spietatamente scoperto da sé, seguendo

l'impulso della propria natura. Era bastata una parola a

strappargli di dosso tutto il suo ritegno: quel ritegno più

necessario alla decenza del nostro io interno che gli abiti alla

decenza del nostro corpo. 'Non faccia l'imbecille!' ripetei.

'Però quell'altro l'ha detto, questo non lo nega, vero?' disse

scandendo le parole e guardandomi negli occhi senza batter ciglio.

'No, non lo nego,' feci fissandolo a mia volta. Finalmente il suo

occhio seguì verso il basso la direzione che gli accennava il mio

indice teso. A tutta prima parve che non capisse, poi che

rimanesse confuso, e finalmente stupito e spaventato come se un

cane fosse un mostro e lui non ne avesse mai visto uno. 'Nessuno

si è sognato d'insultarla,' conclusi.

Jim contemplò il disgraziato animale, che immobile come una statua

stava seduto con le orecchie dritte e il muso aguzzo rivolto verso

la porta. E improvvisamente diede un morso in aria per acciuffare

una mosca, come se un meccanismo gli fosse scattato dentro.

Guardai il giovanotto. La sua abbronzata carnagione di biondo

s'incupì a un tratto sotto la peluria delle guance, il rossore gli

invase la fronte, si estese fino alla radice dei capelli ricciuti.

Le orecchie gli diventarono d'un rosso acceso, e perfino l'azzurro

chiaro dei suoi occhi si fece assai più scuro per l'afflusso

improvviso del sangue. Una smorfia gli alterò le labbra che

tremarono come fosse sul punto di scoppiare in lagrime. Mi resi

conto che l'estrema umiliazione gli impediva di pronunciare una

sola parola. Forse c'entrava anche un po' di delusione... chissà?

Può darsi che avesse pensato con gioia alle botte che mi avrebbe

dato per riabilitarsi, per rimettersi in pace con se stesso. Chi

può dire qual sollievo credeva di poter trovare in una rissa

eventuale? Era abbastanza ingenuo per aspettarsi qualunque cosa; e

invece si era tradito senza motivo. Era stato franco con se stesso

con me poi, non ne parliamo neanche - nella pazza speranza di

raggiunger così una confutazione efficace: invece le ironiche

stelle non gli erano state propizie. Dalla gola gli uscì un suono

tronco e profondo, come a un uomo mezzo accoppato da un colpo sul

cranio. Era una cosa pietosa.

Non lo raggiunsi che quando era già uscito dal cancello. Alla fine

dovetti persino trottare un poco, ma quando mi trovai sfiatato al

suo fianco accusandolo di voler scappare, disse: 'Mai!',

mettendosi subito sulla difensiva. Gli spiegai che non intendevo

dire che volesse sottrarsi a me. 'A nessuno... a nessuno al

mondo,' affermò con un'espressione ostinata. Mi trattenni

dall'additargli quell'unica eccezione evidente, davanti alla quale

fuggirebbero anche i più coraggiosi; pensavo che l'avrebbe

scoperta prestissimo da sé. Mi guardò pazientemente mentre cercavo

qualcosa da dirgli: ma non trovai nulla lì per lì, e lui riprese a

camminare. Io gli tenni dietro, e, nell'ansia di non perderlo, gli

dissi in fretta che non potevo lasciarlo sotto la falsa

impressione del mio... del mio... Balbettavo. La stupidità delle

mie parole mi fece inorridire mentre tentavo di dar loro una

conclusione; ma l'efficacia di una frase non ha niente a che

vedere col suo significato o con la logica della sua costruzione.

Quel mio borbottìo idiota sembrò fargli piacere. Lo interruppe per

dire, con una placidità cortese che dimostrava un'immensa forza di

controllo su se stesso, oppure una meravigliosa elasticità di

umore: 'L'errore è tutto mio.' Mi stupii moltissimo di

quest'espressione, che sarebbe stata tutt'al più adatta per un

incidente insignificante. Ma dunque non aveva capito il

significato deplorevole dell'episodio? 'Può ben scusarmi,'

soggiunse; e riprese con aria cupa: 'In tribunale, tutta quella

gente con gli occhi fissi mi sembrava talmente idiota che... che

sarebbe potuto accadere benissimo quello che mi era parso.'

Queste parole aprirono improvvisamente alla mia meraviglia un

nuovo orizzonte su di lui. Lo guardai con curiosità, ma gli occhi

che incontrai erano imperturbati e impenetrabili. 'Non posso

tollerare questo genere di cose,' disse molto semplicemente, 'e

non intendo tollerarle. In tribunale è diverso: quello lo devo

sopportare - e lo posso, anche.'

Non dico che lo comprendessi. Le brevi visioni che mi permetteva

d'aver di lui erano come quei lembi di paesaggio che appaiono tra

le smagliature della nebbia portata dal vento: frammenti di

dettagli vividi e subito scomparsi, che non danno nessuna idea

logica dell'aspetto complessivo di un panorama. Alimentavano la

curiosità senza soddisfarla: non servivano a nulla per orientarsi.

Tutto sommato era un essere inafferrabile. Tali le mie conclusioni

a suo riguardo quando mi lasciò: il che fu a tarda sera. Io

alloggiavo all'Hôtel Malabar per qualche giorno e, cedendo alle

mie insistenze, egli vi aveva pranzato in mia compagnia."

 

 

CAPITOLO 7.

"Un postale in viaggio d'andata era entrato in porto quel

pomeriggio, e la grande sala da pranzo dell'albergo era più che a

metà piena di gente con in tasca biglietti per il giro del mondo

al prezzo di cento sterline. C'erano coppie di sposi novelli che a

mezzo viaggio avevano già un'aria d'abitudine e di noia reciproca;

c'erano gruppi piccoli e grandi, e individui solitari; chi

pranzava con solennità e chi faceva chiassose gozzoviglie, ma

tutti pensavano, conversavano, scherzavano o erano di malumore

proprio come a casa loro, reagendo alle nuove impressioni con la

medesima intelligenza dei bagagli depositati nelle loro camere.

D'ora innanzi avrebbero portato addosso, come le loro valige,

l'etichetta che dimostrava che eran passati per questo o per quel

luogo. Avrebbero tenuto cara una simile distinzione, conservando i

cartellini incollati sulle valige come documenti indiscutibili,

come unica traccia permanente del vantaggio culturale ricavato

dalla loro impresa. I camerieri di pelle scura scivolavano

leggeri, senza rumore, sul vasto pavimento lucido; di quando in

quando si sentiva zampillare la risata di una giovinetta,

innocente e vuota come il suo cervello; oppure, in un'improvvisa

pausa dell'acciottolìo delle stoviglie, si udivano poche parole

pronunciate con voce languida e affettata da qualche bello

spirito, che ricamava, per lo spasso d'una tavolata sogghignante,

sull'ultimo pettegolezzo di bordo. Due vecchie zitelle nomadi,

tutte in fronzoli per il miraggio d'una conquista, studiavano la

lista con sostenuta acrimonia: le labbra avvizzite si scambiavano

bisbigli, i visi strani e legnosi le facevano simili a spauracchi

di lusso. Un po' di vino aprì il cuore di Jim e gli sciolse la

lingua. Notai anche che aveva buon appetito. Era come se avesse

seppellito chissà dove l'episodio inaugurale della nostra

conoscenza: pareva un argomento di cui non si sarebbe parlato mai

più in questo mondo. E tutto il tempo avevo di fronte a me quei

fanciulleschi occhi azzurri, che guardavano dritto nei miei, quel

viso giovane, quelle spalle poderose, quella fronte aperta e

abbronzata con una linea bianca sotto la radice dei folti e

ricciuti capelli biondi, quell'aspetto che, fin dal primo momento,

aveva attirato tutta la mia simpatia: una fisonomia schietta, un

sorriso sincero, quella serietà giovanile... Era del ceppo buono;

era uno dei nostri. Parlava pacato, con una specie di sobria

confidenza e con una tranquilla compostezza che potevano derivare

tanto da un autocontrollo virile come da un'impudenza o

incoscienza colossale, quanto anche da una duplicità mostruosa.

Chi può dirlo? Dal tono della nostra conversazione, si sarebbe

potuto credere che parlassimo d'una terza persona, o d'una partita

a calcio, o del tempo che faceva l'anno scorso. La mia mente si

perdeva in un mare di congetture: finché la piega della

conversazione non mi consentì, senza indiscrezione offensiva per

il mio interlocutore, di osservare che, tutto sommato,

quell'inchiesta doveva riuscirgli abbastanza penosa. Lanciò il

braccio attraverso la tovaglia e, afferrando la mano che tenevo

accanto al piatto, mi fissò con occhi infuocati. Rimasi proprio

sbalestrato. 'Sì, dev'essere terribilmente penoso,' balbettai,

tutto confuso da questa muta esplosione di sentimento.' '... è un

inferno,' si lasciò sfuggire con voce rauca.

Quel gesto, e le sue parole, fecero alzar gli occhi con

inquietudine a due turisti elegantissimi, che al tavolo vicino

stavano curvi sui loro dolci glassati. Mi alzai, e passammo nella

grande galleria esterna per prendere il caffè e fumare un sigaro.

Sui tavolini ottagonali ardevano delle candele entro globi di

cristallo; ciuffi di piante dalle foglie rigide dividevano in

tanti gruppi le accoglienti poltrone di vimini, e fra le colonne

abbinate, i cui fusti rossastri riflettevano in lunga fila la luce

dei finestroni, sembrava che la notte buia e scintillante pendesse

come un drappeggio sontuoso. I fanali di navigazione delle navi

occhieggiavano da lontano come stelle al tramonto, e le colline al

di là della rada sembravan le rotonde masse di pece d'immobili

nuvole temporalesche.

'Non potevo svignarmela,' cominciò Jim. 'Il capitano l'ha fatto...

affar suo. Io non potevo e non volevo. Tutti si sono arrangiati in

un modo o nell'altro, ma per me non era il caso.'

Ascoltavo con attenzione concentrata, non osando muovermi sulla

sedia; volevo sapere... ma oggi ancora non so nulla, posso

soltanto indovinare. Egli appariva tutt'insieme fiducioso e

depresso, come se il convincimento di un'innata innocenza

ricacciasse indietro la verità che ad ogni passo gli si contorceva

dentro per saltar fuori. La prima cosa che disse, col tono d'un

uomo che si riconosca incapace di saltare un muro di sei metri, fu

che ormai non sarebbe più tornato a casa: il che mi fece ricordare

di quanto mi aveva detto Brierly sul 'vecchio pastore dell'Essex

che pareva avesse un debole particolare per quel suo figliolone

marinaio.'

Non saprei dirvi se Jim avesse coscienza di quel 'debole

particolare'; ma il tono come accennava al 'mio babbo' voleva

certo dar l'impressione che mai uomo migliore di quel buon vecchio

decano campagnolo avesse sentito tutta la responsabilità d'una

famiglia numerosa. Questo convincimento Jim non lo manifestava

esplicitamente, ma nel suo sottintenderlo si leggeva l'ansia che

non sorgessero dubbi in proposito: un'ansia davvero piena di

sincerità e di grazia, ma che in quel suo evocare esistenze

lontane aggiungeva un senso doloroso agli altri elementi della

storia. 'Ormai deve averlo letto in tutti i giornali inglesi,'

fece Jim. 'Non potrò mai più guardare in faccia quel povero

vecchio.' Non osai alzar gli occhi fino a che non sentii che

soggiungeva: 'Non riuscirei mai a spiegargli la verità. Non

capirebbe.' Allora lo guardai: fumava con aria assorta; ma dopo un

momento si riscosse e riprese a parlare. Manifestò subito il

desiderio ch'io non lo confondessi con i suoi complici nel... nel

delitto, diciamo così. Non era dei loro, lui, ma di tutt'altra

razza. Io non manifestai segno alcuno di dissenso. Non avevo la

più lontana intenzione, per amor della nuda verità, di rubargli

neanche un atomo di grazia redentrice, se glie n'era toccata in

sorte. Non sapevo fino a qual punto credesse alle proprie parole,

né a che mirasse (se pur mirava a qualcosa): ho idea che non lo

sapesse nemmeno lui, tanto sono convinto che nessuno si rende mai

ben conto delle proprie ingegnose gherminelle per sfuggire

all'ombra torva della conoscenza di se stesso. Mi guardai

dall'aprir bocca mentre egli si chiedeva 'cosa avrebbe potuto fare

una volta finita quella stupida inchiesta.'

Aveva l'aria di condividere il disprezzo di Brierly verso codesti

procedimenti voluti dalla legge. Non avrebbe saputo da che parte

voltarsi, confessò: e si vedeva chiaro che, più che parlare con

me, stava riflettendo ad alta voce. Perduta la patente, spezzata

la carriera, senza danaro per andarsene, credeva che non avrebbe

più trovato lavoro di nessuna specie. In patria forse avrebbe

potuto rimediare un impieguccio: ma questo significava rivolgersi

ai suoi per aiuto, e non voleva farlo. L'unica possibilità era un

imbarco come semplice marinaio... forse non gli avrebbero negato

un posto di quartiermastro su qualche piroscafo. Sì, il

quartiermastro avrebbe potuto farlo... 'Lo crede proprio?'

domandai spietatamente. Si alzò di scatto e, avvicinatosi alla

balaustra di pietra, si mise a scrutare la notte. Ma quasi subito

tornò indietro: dominava con l'alta statura su me seduto, il volto

giovanile ancora contratto nella sofferenza di un'emozione

contenuta. Aveva capito benissimo che non era della sua capacità a

governare una nave che dubitavo. Con voce leggermente tremante mi

chiese perché avevo detto così. Ero stato "tanto mai buono" con

lui.. Non avevo nemmeno riso di lui quando - e qui incominciò a

barbugliare - "quell'equivoco, sa... ho fatto una figura da

imbecille". L'interruppi per dire con un certo calore che a me in

un equivoco simile non pareva ci fosse nulla da ridere. Sedette e

bevve il suo caffè con aria decisa, vuotando la tazzina fino

all'ultima goccia. 'Questo non significa ch'io ammetta neppure per

un momento che quella definizione mi si adatti,' dichiarò

nettamente. 'Davvero?' domandai. 'No,' affermò con tranquilla

decisione. 'Lo sa cosa avrebbe fatto lei al mio posto? Lo sa? E sì

che lei non si crede un...' (parve che inghiottisse qualcosa) 'non

si crede un... un cane rognoso, vero?'

E così dicendo - parola d'onore! - mi guardava con aria

interrogativa. Era proprio una domanda: una domanda bona fide! Ma

non aspettò la risposta. Prima ch'io mi rimettessi, guardando

fisso davanti a sé come se leggesse delle parole scritte sulla

carne della notte, riprese: 'Tutto sta nell'esser pronti. E io non

lo ero... non lo ero ancora, in quel momento. Non cerco scusanti:

ma vorrei spiegare... vorrei che qualcuno capisse... qualcuno...

una persona almeno! Lei! Perché non lei?'

Era una scena un po' solenne e anche un po' ridicola, come sempre

lo sono gli sforzi d'un uomo che tenti di salvar dal fuoco la

propria personalità etica, quale avrebbe dovuto essere nell'idea

ch'egli se ne è fatto: idea preziosa benché si tratti di pura

convenzione, di una fra le regole del gioco e nulla più; eppure

terribilmente efficace, per quel tanto di illimitato potere che ha

sugli istinti naturali e per il terribile prezzo che costano le

sue sconfitte. Egli incominciò il suo racconto con abbastanza

calma. A bordo di quel piroscafo della Dale Line che aveva

raccolto i quattro naufraghi da un battello alla deriva sul

semispento fulgore del mare al tramonto, fin dal secondo giorno si

erano messi a guardarli di traverso. L'enorme capitano tedesco

aveva raccontato non so che storiella, ascoltata in silenzio da'

loro salvatori, che lì per lì glie la menarono buona. A nessuno

verrebbe in testa di sottoporre a interrogatorio dei poveri

naufraghi che si è avuto la fortuna di salvare, se non da una

morte crudele, per lo meno da crudeli sofferenze. Dopo,

ripensandoci su, forse balenò alla mente degli ufficiali

dell'Avondale che nella faccenda potesse esserci qualcosa di

losco; ma naturalmente si tennero i loro dubbi per sé. Avevano

raccolto il capitano, il secondo, e due macchinisti d'un vapore

affondato; e, da persone beneducate, non domandavan di più. Non

interrogai Jim sulla natura dei suoi sentimenti durante i dieci

giorni che passò a bordo. Da come ne parlava mi era lecito dedurre

che fosse rimasto stordito dalla propria scoperta - la scoperta

del fondo di se stesso - e che facesse di tutto per cercar di

darne una spiegazione esauriente all'unico uomo capace di

valutarne la spaventosa enormità. Capitemi bene: non tentava in

nessun modo di attenuar l'importanza del fatto. Di questo sono

sicuro; e qui sta la sua attrattiva. Delle sue sensazioni quando,

sceso a terra, venne a conoscere l'inaspettata conclusione della

storia cui aveva preso parte in modo così pietoso non mi disse

nulla, ed è difficile immaginarsele. Chissà se si sentì mancare il

terreno sotto i piedi? Chissà? Ma certo riuscì a trovare ben

presto un nuovo punto di appoggio. Rimase a terra in attesa due

settimane intere, nella Casa del Marinaio, dove in quel periodo

v'erano altri sei o sette ricoverati, dai quali ebbi occasione di

sentir parlare un poco di lui. La loro languida opinione pareva

fosse questa, che, a prescindere dagli altri suoi difetti, Jim era

un animale sempre ammusonito. Aveva trascorso quelle giornate

sepolto in una poltrona a sdraio della veranda, e usciva da quella

tomba soltanto nelle ore dei pasti o la sera tardi, per girellare

sulle banchine tutto solo, estraneo a quanto lo circondava,

incerto e silenzioso come uno spettro a cui manchi una casa dove

aggirarsi. "Non credo d'aver rivolto tre parole ad anima viva

durante tutto quel periodo", disse, ispirandomi molta compassione;

e subito dopo soggiunse: 'Qualcuno di quei tipi si sarebbe certo

abbandonato a considerazioni che non avrei saputo tollerare, e non

volevo scene. No! Allora, no. Ero troppo... troppo... non mi

andava, ecco.' 'Dunque quella paratìa ha resistito, dopo tutto,'

osservai allegramente. 'Già,' mormorò, 'ha resistito. Eppure le

giuro che l'ho sentita incurvarsi sotto la mia mano.' 'E'

straordinario, certe volte, a quali tensioni può reggere il ferro

vecchio,' dissi. Gettato all'indietro sulla poltrona, con le gambe

rigidamente allungate e le braccia penzoloni, annuì leggermente

col capo a più riprese. Non si potrebbe immaginare spettacolo più

malinconico. A un tratto rialzò il capo e si drizzò a sedere,

dandosi una manata sulla coscia. 'Ah! che occasione perduta! Mio

Dio! che occasione perduta!' esclamò con calore; e in quell'ultimo

'perduta' sentii come la vibrazione d'un grido che gli fosse

strappato da un dolore fisico.

Tornò silenzioso, e nel suo sguardo fisso e lontano c'era una

voglia feroce di codesta gloria mancata, mentre le narici gli si

dilatavano un attimo ad aspirare l'odore inebriante di

quell'occasione andata in fumo. Se credete che io fossi sorpreso o

scandalizzato mi fate proprio torto. Ah, era un ragazzo pieno

d'immaginazione, quello! Si sarebbe tradito; si sarebbe arreso.

Dentro a quel suo sguardo immerso nella notte scorgevo la sua più

segreta natura proiettata a capofitto nel regno fantasioso delle

aspirazioni temerarie, degli eroismi inauditi. Non pensava nemmeno

pl a rimpiangere quel che aveva perduto, tanto era completamente

assorbito dal miraggio di ciò che non era riuscito a raggiungere.

Era lontanissimo da me, che lo osservavo da un metro di distanza.

Attimo per attimo stava penetrando più addentro nel mondo

impossibile delle gesta romantiche: e alla fine vi giunse proprio

nel cuore! Una strana espressione di beatitudine gli si diffuse in

volto, e gli occhi gli luccicarono alla luce della candela che

stava fra me e lui; arrivò addirittura a sorridere! Sì, era

arrivato proprio nel cuore... nel più profondo cuore di quel

mondo! Un sorriso estatico, il suo, che sui vostri visi non si

vedrà mai, e nemmeno sul mio, cari ragazzi. Lo ricondussi in un

attimo alla realtà, dicendo: 'Se lei fosse rimasto sulla nave,

eh?'

Volse verso di me due occhi improvvisamente sbigottiti e pieni di

dolore, un volto confuso, interdetto, sofferente, come se l'avessi

fatto piombar giù da una stella. Né voi né io avremo mai uno

sguardo simile. Rabbrividì profondamente, come se la punta d'un

dito di ghiaccio gli avesse toccato il cuore. In ultimo sospiro.

Io non mi sentivo d'umor compassionevole. Quelle sue

sfacciataggini contraddittorie m'irritavano. 'Peccato che non

l'abbia saputo prima!' dissi, con le più malvagie intenzioni; ma

la mia perfida frecciata cadde senza ferire - gli cadde ai piedi

come uno strale esausto, per così dire, ed egli non pensò neanche

a raccoglierla. Forse non l'aveva nemmeno veduta. Dopo un poco,

sistemandosi più comodamente sulla sdraia, fece: 'Al diavolo! Le

dico che si era incurvata. Andavo esplorando con la lampada il

ponte inferiore di stiva lungo lo spigolo di ferro, quando una

falda di ruggine grande come il palmo della mano si staccò da sé

dalla lamiera.' Si passò la mano sulla fronte. 'La falda di

ruggine si mosse e saltò via, mentre guardavo, come una cosa

viva.' 'Dev'esser stata una brutta impressione, no?' osservai con

noncuranza. 'Ma lei crede forse,' ribatté, 'che pensassi alla mia

pelle, con centosessanta passeggeri dietro a me profondamente

addormentati in quel corridoio del ponte di prua, e parecchi di

più a poppa; e altri ancora sopra coperta... addormentati... senza

sospettare di nulla.. il triplo di quanti potessero entrarcene

nelle scialuppe, anche se ci fosse stato il tempo di calarle in

mare? Mi aspettavo di veder la piastra di ferro spaccarsi da un

momento all'altro, e l'acqua precipitarsi su di loro, distesi

com'erano... Cosa potevo fare?... cosa?'

Non facevo fatica a figurarmelo nel buio cavernoso di quell'antro

stivato di corpi giacenti, dove la lampada a globo non rischiarava

che un breve tratto di quella paratìa che con l'altra faccia

sosteneva tutto il peso dell'oceano, ed egli aveva nelle orecchie

il respiro di tutti quei dormienti ignari. Lo vedo che fissa la

parete di ferro con occhi infuocati, atterrito dalla ruggine che

si stacca, sopraffatto dalla certezza di una morte imminente.

Tutto questo accadeva, a quanto capii, la seconda volta che era

stato mandato a prua dal capitano, soprattutto per allontanarlo,

penso, dal ponte di comando. Mi disse che il suo primo impulso era

stato quello di gridare, facendo balzar su di colpo dal sonno

tutta quella gente terrorizzata; ma lo sopraffece tale un senso

della propria impotenza che non fu capace di articolare alcun

suono. Questo si deve voler esprimere quando si dice che la lingua

s'appiccica al palato. 'Troppo arida,' disse concisamente Jim per

spiegare la sua sensazione. Così, in silenzio, si precipitò sopra

coperta dal boccaporto numero uno. Una manica a vento lì fuori gli

sbatté contro per caso, e Jim si ricordava che il lieve tocco

della tela sul suo viso per poco non era bastato a farlo ruzzolare

giù per la scaletta.

Mi confessò che i ginocchi gli tremavano forte mentre s'era

fermato sul ponte di prua a guardare un'altra massa di dormienti.

Le macchine erano ormai ferme e gli ultimi sbuffi di vapore

uscivano dalla ciminiera con un muggito cupo che faceva vibrar la

notte come una corda di contrabbasso. La nave ne tremava tutta.

Vedeva qua e là una testa sollevarsi dalla stuoia, una forma vaga

drizzarsi a sedere, stare un momento in ascolto piena di sonno, e

poi risprofondarsi in quella montuosa confusione di bagagli,

verricelli a vapore e ventilatori. Si rendeva conto che quella

gente era troppo all'oscuro di tutto per attribuire un significato

preciso a quel rumore anormale. La nave di ferro, gli uomini dai

visi bianchi, tutto quel che si vedeva e si udiva a bordo, ogni

cosa per quella pia e ignorante moltitudine era egualmente strana,

tanto degna di fiducia quanto incomprensibile. Gli venne fatto di

maledire codesta fiducia cieca: ma era un pensiero tremendo.

Dovete ricordarvi che era convinto - e chiunque altro lo sarebbe

stato al suo posto - che la nave sarebbe colata a picco da un

momento all'altro: le piastre rigonfie, divorate dalla ruggine,

che trattenevano l'oceano, dovevano cedere fatalmente tutto d'un

colpo, come una diga minata dal di sotto che apra la via a

un'improvvisa e travolgente inondazione. Restava immobile a

guardare quei corpi distesi, come un condannato cosciente del

proprio destino che contemplasse la compagnia silenziosa dei

morti. Perché eran già morti: nulla poteva salvarli! C'eran forse

scialuppe sufficienti per la metà di loro, ma in ogni modo non

c'era tempo. Non c'era tempo! non c'era tempo! Non valeva la pena

di aprir la bocca, di muovere una mano o un piede. Prima che

avesse potuto urlar tre parole o muovere tre passi, starebbe a

dibattersi in un mare reso orribilmente spumeggiante dagli sforzi

disperati di esseri umani, echeggiante delle loro angosciate grida

d'aiuto. Ma nessun aiuto era possibile. Immaginava perfettamente

quel che sarebbe accaduto; l'intera scena gli passò dinanzi agli

occhi, mentre se ne restava immobile vicino a quel boccaporto, con

la lanterna in mano; l'intera scena gli passò dinanzi agli occhi

fino ai minimi, ai più atroci dettagli; e credo che, mentre mi

stava raccontando queste cose di cui non poteva parlare in

tribunale, quella visione gli si ripresentasse ancora.

'Vidi chiaro come vedo lei adesso che non avrei potuto far nulla,

e questo pensiero mi svuotava di vita le membra. Mi dissi che

tanto valeva rimanere addirittura dov'ero, e aspettare. Non

credevo di avere ancora molti secondi a disposizione...' A un

tratto gli sbuffi di vapore cessarono. Quel frastuono faceva

impazzire; ma il silenzio diventò subito opprimente,

intollerabile.

'Mi pareva che prima ancora d'affogare sarei morto soffocato,'

disse.

Insisté che non pensò neppure a salvarsi. L'unico pensiero nitido

che si formava, svaniva, e tornava a formarsi nel suo cervello era

questo: ottocento passeggeri e sette scialuppe; ottocento

passeggeri e sette scialuppe.

'Qualcuno parlava a voce alta nella mia testa,' fece, un po fuori

di sé. 'Ottocento passeggeri, sette scialuppe... e non c'era

tempo! Pensi cosa significa.' Si curvò verso di me attraverso il

tavolino, e io cercai di evitare il suo sguardo fisso. 'Crede che

avessi paura di morire?' domandò a bassa voce, con una sorta di

ferocia. E lasciò cadere la mano aperta sul tavolo con un colpo

che fece traballare le tazzine da caffè.

'Sono pronto a giurare che non ne avevo... non ne avevo... per

Dio!... no!' Si raddrizzò sulla vita incrociando le braccia; il

mento gli cadde sul petto.

Un leggero acciottolìo di stoviglie giungeva attutito fino a noi

dai finestroni. Ci fu uno scoppio di voci, e un gruppo di gente

allegra uscì nella galleria scambiandosi umoristiche reminiscenze

sui somarelli del Cairo. Un giovanotto pallido e con l'aria

inquieta che camminava senza rumore sulle lunghissime gambe, era

preso in giro da un globe-trotter pettoruto e rubicondo a

proposito dei suoi acquisti al bazar. 'No, via... credi che mi sia

lasciato mettere in mezzo fino a questo punto?' domandò in tono

deciso e caloroso. La brigata si allontanò, rovesciando due

seggiole al passaggio; fiammeggiarono dei cerini, illuminando per

un secondo dei volti completamente inespressivi e la lucida

superficie piatta degli sparati bianchi; il brusìo di molte

conversazioni animate dal calore del banchetto mi parve un suono

assurdo e infinitamente remoto.

'Qualche marinaio dormiva sul boccaporto numero uno, a portata del

mio braccio,' riprese Jim.

Dovete sapere che su quella nave si montava la guardia all'uso

Kalashee; la notte l'intero equipaggio dormiva, e non si faceva il

cambio che dei quartiermastri e delle vedette. Jim fu tentato di

afferrare e scuotere per la spalla il 'lascar' più vicino, ma non

lo fece. Qualcosa gli tenne fermo il braccio lungo il fianco. Non

aveva paura... oh, no! solo che non poteva... ecco tutto. Forse,

infatti, non aveva paura della morte, ma ve lo diro io di che

aveva paura: aveva paura del disastro. La sua maledetta

immaginazione gli aveva evocato tutti gli orrori di un panico, il

precipitarsi furioso, le urla pietose, le scialuppe stracariche

che imbarcavano acqua - tutti insomma gli atroci episodi d'un

disastro in mare, quali li conosceva da letture e racconti. Forse

a morire era rassegnato; ma suppongo che volesse morire senza

terrori in soprappiù, silenziosamente, in una specie di coma

tranquillo. Una certa qual attitudine alla morte non è poi tanto

rara, ma raro è incontrar uomini la cui anima, chiusa

nell'impenetrabile e ferrea armatura della risolutezza, siano

pronti a combattere fino all'ultimo una battaglia perduta: il

desiderio di pace aumenta via via che la speranza svanisce, finché

giunge a superare il desiderio stesso di vivere. Chi di noi non ha

osservato questo fatto, o non ha addirittura provato in se stesso

un po' di questo sentimento: un'estrema stanchezza delle emozioni,

L'inanità dello sforzo, l'immenso desiderio di riposo? Coloro che

lottano contro forze brute lo conoscono bene: i naufraghi

abbandonati sulle scialuppe, i viaggiatori sperduti nei deserti,

tutti gli uomini che combattono contro le potenze cieche della

natura o contro la stupida brutalità delle folle".

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

CAPITOLO 8.

"Quanto tempo rimase immobile vicino al boccaporto, aspettandosi

da un istante all'altro di sentir la nave sprofondarglisi sotto i

piedi e un fiotto d'acqua investirlo alle spalle, sballottarlo di

qua e di là come un fuscello, non lo saprei dire. Certo non

molto... forse due minuti. Un paio d'uomini che non riuscì a

distinguere cominciarono a discorrere con voce assonnata, e gli

giunse all'orecchio, non sapeva da dove, uno strano scalpiccìo. Ma

sovrastante a codesti lievi rumori c'era quella calma terribile

che precede le catastrofi, quel silenzio insostenibile che si fa

un attimo prima del crollo; allora gli balenò nella mente che

forse avrebbe avuto il tempo di precipitarsi a tagliar tutte le

cime dei paranchi, in modo che, affondando la nave, le scialuppe

si trovassero a galleggiare per conto loro.

Il Patna aveva un ponte di comando più lungo che per solito non

usi, e tutte le scialuppe si trovavano lassù, quattro da una parte

e tre dall'altra; la più piccola era sospesa sulla sinistra, quasi

di traverso all'apparato di governo. Jim mi assicurò, con evidente

ansia d'esser creduto, che si era sempre preoccupato con ogni

diligenza di tenerle pronte per l'uso. Conosceva il suo dovere. E'

probabile che, da questo punto di vista, fosse un bravo ufficiale.

'Mi è sempre parsa una buona cosa tenersi pronti al peggio,'

soggiunse fissandomi inquieto. Annuii con aria di approvazione, ma

distogliendo gli occhi dallo spettacolo di quell'astuzia malfida.

Incominciò a correre con difficoltà. Dovette scavalcar delle

gambe, stare attento a non inciampare contro delle teste. Al un

tratto qualcuno lo afferrò per le falde della giacca, mentre una

voce angosciata gli parlava di sotto al gomito. Il raggio della

lampada che teneva nella destra cadde sopra un viso rivolto in su,

i cui occhi erano supplichevoli come la voce. Con quel poco che

Jim aveva imparato della lingua dei pellegrini, capì la parola

acqua ripetuta varie volte con insistenza, in tono di preghiera,

quasi di disperazione. Diede uno strattone per liberarsi, e sentì

che un braccio gli si avvinghiava a una gamba.

'Mi teneva stretto come quando uno sta affogando,' disse con tono

mordente. 'Acqua, acqua? Di che acqua voleva parlare? Cosa sapeva?

Con quanta calma potei, gli ordinai di lasciarmi. Mi tratteneva,

il tempo stringeva, altra gente cominciava ad agitarsi: avevo

bisogno di tempo... di tempo per sciogliere le scialuppe. Poi mi

afferrò la mano, e capii che stava per mettersi a gridare. Mi

balenò alla mente che sarebbe bastato questo per provocare un

panico, e allora col braccio libero gli sbattei il lume sulla

faccia. Il vetro tintinnò, la fiamma si spense, ma il colpo gli

fece lasciar presa, e io corsi via... Volevo raggiungere le

scialuppe; volevo raggiungere le scialuppe. Quegli mi saltò

addosso alle spalle. Mi voltai. Non voleva smetterla; cercò di

gridare; e prima di capire cosa volesse l'avevo già mezzo

strangolato. Dell'acqua, voleva... acqua da bere! Perché deve

sapere che eran tenuti strettamente a razione, e quello aveva con

sé un ragazzetto che avevo notato varie volte. Ora il bambino era

malato... aveva sete. Egli mi aveva visto passare, e mi supplicava

di dargli un po' d'acqua. Ecco tutto. Eravamo sotto al ponte di

comando, nel buio. Continuava a stringermi i polsi: non c'era modo

di liberarsene. Mi precipitai nella mia cabina, afferrai la

borraccia e glie la misi in mano. Scomparve. Non mi ero accorto

fino allora quanto bisogno avessi anch'io di bere.' Si appoggiò a

un gomito con una mano sugli occhi.

Una specie di brivido mi corse giù per la schiena; c'era qualcosa

di strano, in tutto questo... Le dita che gli nascondevan la

fronte tremavano leggermente. Ruppe il breve silenzio.

'Cose come queste succedono una volta sola nella vita d'un uomo,

e... Bene: allorché raggiunsi finalmente il ponte dl comando, quei

mascalzoni stavano calando una scialuppa giù dai paranchi. Una

scialuppa! Io correvo su per la scaletta quando un colpo pesante,

passandomi a un pelo dalla testa, mi cadde sulla spalla. Ma non

bastò a fermarmi; e il capo macchinista - erano riusciti a tirarlo

fuori dalla sua cuccetta - alzò di nuovo su di me il poggiapiedi

della scialuppa. Non so perché, ma non mi sorprendevo più di

nulla. Mi sembrava tutto naturale... e orribile... orribile.

Scansai quel miserabile pazzo, poi saltandogli addosso lo sollevai

su dal ponte come fosse stato un bambino, e lui cominciò a

sussurrarmi, mentre lo tenevo così in braccio: - No! mi lasci!

Credevo fosse un di quei negri -. Lo scaraventai lontano:

ruzzolando lungo il ponte andò a finir tra le gambe di quell'altro

omettino, il secondo macchinista, e lo fece cadere a sua volta. Il

capitano, che si dava da fare intorno alla scialuppa, si voltò e

mi venne contro a testa bassa, grugnendo come un animale

selvatico. Io rimasi immobile come una roccia. Ero duro, lì in

piedi, duro quanto questo': e batté leggermente con le nocche sul

muro vicino alla sua poltrona. 'Mi pareva d'aver già sentito, già

visto, già vissuto tutto questo venti volte. Non avevo paura di

loro. Tirai indietro il pugno pronto a colpire, e lui si fermò di

colpo, borbottando:

- Ah, è lei. Mi dia una mano, presto! -. Ecco cosa disse: PRESTO!

Come se si fosse potuto fare abbastanza presto! - Sicché lei non

ha intenzione di far qualcosa? - domandai. - Sì. Di squagliarmela

-, sogghignò senza voltarsi.

Non credo d'aver capito lì per lì cosa intendesse dire. Gli altri

due si erano ormai rimessi in piedi, e si precipitavano insieme

sulla scialuppa. Pestavano i piedi, ansavano, facevan forza di

spalle, maledicevano la scialuppa, la nave, si maledicevano a

vicenda... e maledicevano me. Tutto a bassa voce. Io non mi

muovevo, non dicevo nulla. Tenevo d'occhio la pendenza del

piroscafo. Stava immobile come lo sostenessero i puntelli in

bacino di carenaggio... soltanto che stava così.' Alzò una mano

col palmo verso il basso, inclinando la punta delle dita. 'Così,'

ripeté. 'Davanti a me vedevo, chiara come un tocco di campana, la

linea dell'orizzonte, al disopra della ruota di prua; vedevo

laggiù l'acqua nera e lucente, quieta... quieta come uno stagno,

mortalmente quieta, più di quanto fosse mai stata... più di quanto

potessi sopportar di vederla. Ha mai visto, lei, un piroscafo con

la prua in giù, che non va a picco perché una piastra di ferro

vecchio regge ancora... regge, ma e troppo marcia perché si possa

puntellarla? L'hai mai visto? Eh, già, puntellarla! Ci pensai...

pensai tutto quello che si può pensare; ma è possibile puntellare

una paratìa in cinque minuti?... o anche in cinquanta, del resto?

Dove avrei trovato gli uomini da far scendere nella stiva? E il

legname... il legname? Avrebbe avuto il coraggio, lei, di dare il

primo colpo di martello, dopo aver veduto quella paratìa? Non mi

dica di sì; lei non l'ha veduta; nessuno avrebbe avuto il

coraggio. Al diavolo!... per fare una cosa simile, si sarebbe

dovuto credere a una possibilità: almeno a una su mille; all'ombra

di una possibilità: e neanche lei ci avrebbe creduto. Nessuno ci

avrebbe creduto. Lei mi giudica un cane rognoso perché sono

rimasto lì senza far niente, ma cosa avrebbe fatto lei? Cosa? Non

si sa... nessuno può saperlo. Bisogna avere almeno il tempo di

guardarsi intorno. Cosa vuole che facessi? Bell'atto di bontà

sarebbe stato far impazzire di paura tutta quella gente che da

solo non potevo salvare... che nulla poteva salvare! Senta: come è

vero che son seduto su questa poltrona...'

Ogni due o tre parole ansimava lanciandomi rapide occhiate, come

se, nella sua angoscia, volesse leggermi in viso l'effetto che

produceva. Non stava parlando a me; parlava soltanto davanti a me,

alle prese con una personalità invisibile, con un antagonista

ormai inseparabile dalla sua esistenza: con un altro padrone

dell'anima sua. Queste erano quistioni che esulavano dalla

competenza d'un tribunale; era una controversia grave e sottile

sulla più vera essenza della vita, e non richiedeva un giudice.

Egli aveva bisogno d'un alleato, d'un aiutante, d'un complice. Mi

rendevo conto che stavo correndo il rischio di lasciarmi circuìre,

acciecare, prendere in trappola, forse obbligare con la violenza

ad assumere una parte precisa in quella disputa, che non aveva

conclusione possibile se si voleva esser giusti verso tutti gli

elementi in campo: sia verso i diritti dell'onesto quanto verso le

esigenze dell'essere abbietto che è in noi. Non posso spiegare, a

voi che non avete conosciuto Jim e che sentite le sue parole

soltanto dalla mia bocca, il contrasto dei miei sentimenti. Era

come se mi si obbligasse a comprendere l'Inconcepibile - e non

conosco disagio paragonabile a quello d'una sensazione simile. Mi

si obbligava a contemplar quanto di convenzionale si annida in

ogni verità e la fondamentale sincerità della menzogna. Si faceva

appello in una volta sola a tutti i lati della mia coscienza... al

lato che sta perpetuamente rivolto verso la luce del sole, e a

quel lato di noi che, come l'altro emisfero della luna, esiste

segretamente in un'oscurità perenne, e i cui orli soltanto sono

sfiorati a momenti da una spaventosa luce cinerea. Egli mi

dominava: lo confesso, lo confesso. Il fatto in sé era oscuro,

insignificante... quei che volete: un giovane finito male, uno fra

un milione di suoi simili... ma era uno dei nostri! L'incidente

era privo d'importanza come un formicaio allagato: e tuttavia il

mistero dell'atteggiamento di Jim s'impossessò di me come se egli

fosse stato in prima fila fra i suoi pari, come se l'oscura verità

della sua condotta avesse un tal peso da influire sul concetto che

di se stessa può farsi l'umanità..."

Marlow s'interruppe per riaccendere il sigaro morente. Per un

istante parve aver completamente dimenticato quel che stava

dicendo; poi all'improvviso riprese:

"La colpa era mia, si capisce. Non bisognerebbe mai interessarsi

davvero alle cose. E' una mia debolezza. La sua invece era d'un

altro genere. La mia debolezza consiste nel non avere occhio

critico per tutto ciò che è accidentale, esteriore: nessuna

capacità di distinguere tra la cesta del cenciaiolo e la

biancheria fine del mio prossimo. Il mio prossimo... dico bene. Ho

incontrato tanti uomini!" soggiunse Marlow con una passeggera

sfumatura di malinconia..., "li ho incontrati anche con una

certa... una certa... violenza, diciamo; come quel ragazzo lì, per

esempio... e ogni volta non ho saputo vedere in essi che l'essere

umano. Un maledetto modo democratico di vedere, che varrà anche

più della cecità totale, può darsi, ma non mi è stato mai di

nessun vantaggio... ve lo posso assicurare. Gli uomini si

aspettano che si faccia gran conto della loro biancheria fine; io

invece non sono mai riuscito a entusiasmarmi per queste faccende.

Oh! è un difetto, lo so: è un difetto; poi capita una serata

soave, un gruppo di amici troppo indolenti per giuocare a whist...

e un racconto..."

S'interruppe di nuovo, forse per aspettare una riflessione

incoraggiante: ma nessuno aprì bocca. Soltanto il padrone di casa,

quasi adempisse contro voglia a un dovere, mormorò...

"Sei così cavilloso, Marlow!"

"Chi, io?" replicò Marlow a bassa voce. "Oh no! ma 'lui' sì che lo

era; e benché faccia di tutto per portare a buon fine questa

storia, mi sto lasciando sfuggire una quantità di sfumature...

troppo sottili, troppo difficili da rendere in parole scolorite.

Perché complicava le cose, a furia d'essere così semplice, lui...

il più semplice dei poveri diavoli!... Perdiana! Era stupefacente.

Se ne stava lì seduto dinanzi a me dicendomi che, così come lo

vedevo, non avrebbe avuto paura di affrontar nulla al mondo... e

sono sicuro che ci credeva. Vi dico che era una cosa di

un'innocenza favolosa, ed anche enorme, enorme! Lo tenevo d'occhio

senza parere, proprio come se lo sospettassi intenzionato a farmi

un brutto colpo. 'Se il gioco è leale,' affermava con sicurezza,

'ma leale davvero;' intendiamoci, non c'era nulla che lo potesse

spaventare. Fin da quando era 'alto così' - un ragazzino, proprio

- si era preparato a tutto quel che può capitare in terra e per

mare. Era orgoglioso di questa specie di previdenza. Si era

rappresentato ogni sorta di pericoli e tutti i modi di pararli,

aspettandosi sempre il peggio e sempre di sé dando il meglio.

Dev'esser stata, la sua, l'esistenza di un esaltato. Ve

l'immaginate? Una sequela di avventure, uno splendore di gloria,

una marcia continuamente vittoriosa; e ogni giorno della sua vita

interiore trionfalmente dominato dal sentimento profondo della

propria sagacia. In quel momento era del tutto fuori dalla realtà;

gli luccicavano gli occhi; e ad ogni sua parola il mio cuore,

sempre più penetrato dalla luce della sua mentalità assurda, mi si

faceva più pesante nel petto. Non avevo voglia di ridere; e

tuttavia, per paura di sorridere, mi diedi un'espressione stolida.

Jim incominciò ad irritarsi.

'E' sempre l'inaspettato a succedere,' osservai in tono

propiziatorio.

La mia ottusità lo fece uscire in un 'puah!' sprezzante.

Probabilmente voleva dire che l'inaspettato non poteva toccarlo;

nel suo stato di preparazione perfetta, soltanto l'inconcepibile

poteva aver la meglio su di lui. Era stato preso alla

sprovvista... e mormorò fra i denti una maledizione contro le

acque e il firmamento, contro la nave, contro gli uomini. Tutto lo

aveva tradito! Con l'inganno era stato ridotto a quella specie di

altera rassegnazione che gli impedì di muovere anche un dito,

mentre quegli altri, che al contrario si rendevano chiarissimo

conto delle necessità impellenti, si montavano addosso, sudavano,

si arrabbattavano da disperati intorno alla scialuppa. Qualcosa si

era guastato proprio all'ultimo momento. Sembra che, nella furia,

fossero riusciti in qualche misteriosa maniera a bloccar la

chiavarda scorrevole d'uno dei paranchi della prima scialuppa, e

così, davanti a quella catastrofe, avevan finito di perdere quel

po' di testa che ancora avevano. Doveva essere un bello

spettacolo, sulla nave immobile, galleggiante in pace nel silenzio

d'un mondo addormentato, il dimenarsi indiavolato di quei

miserabili che si agitavano per far presto a liberare la

scialuppa, si trascinavano a quattro zampe, e si rialzavano in

piedi disperati, tiravano, spingevano, si scambiavano ringhiando

insulti velenosi, pronti a uccidere, sul punto di scoppiare in

pianto, e che dal prendersi l'un l'altro alla gola tratteneva

soltanto la paura della morte, silenziosa alle loro spalle come un

sorvegliante inflessibile, con gli occhi di ghiaccio. Oh sì,

doveva essere un bello spettacolo! Jim l'aveva veduto, e poteva

parlarne con disprezzo e amarezza; ne aveva afferrato i minimi

dettagli per mezzo d'un sesto senso, direi, perché mi giurò che si

era tenuto da parte senza gettare un'occhiata né sugli uomini né

sulla scialuppa... neanche un'occhiata. E ci credo. Doveva esser

troppo occupato a osservare l'inclinazione minacciosa della nave,

quella sospesa minaccia rivelatasi nel bel mezzo della più

perfetta sicurezza; troppo affascinato dalla spada che pendeva per

un filo sulla sua testa immaginosa. Nulla al mondo che si muovesse

dinanzi ai suoi occhi; nulla che gli impedisse di rappresentarsi

l'improvviso balzo all'insù dell'orizzonte buio, il subitaneo

impennarsi della vasta pianura del mare, il rapido, silenzioso

sollevamento, lo schianto brutale, la stretta dell'abisso, la

lotta senza speranza, la luce delle stelle che gli si sarebbe

rinchiusa per sempre sul capo come la pietra d'un sepolcro, la

ribellione della sua giovane vita, la fine nera. Sapeva

figurarselo benissimo. Perdiana! E chi non avrebbe saputo? Dovete

anche ricordarvi che su quel particolare terreno era un artista

compiuto, un povero diavolo dotato di un'antiveggenza fulminea. Le

visioni suscitategli da codesta facoltà davanti agli occhi della

fantasia l'avevan mutato dalla pianta dei piedi alla nuca in una

gelida pietra; ma nella sua testa c'era una danza infuocata

d'idee, un turbine d'idee zoppe, cieche, mute... una ridda di

ripugnanti mutilati. Non vi ho detto che si confessava a me come

se io avessi avuto il potere di legare e di sciogliere? Si scavava

profondo nel cuore, sperando in una assoluzione, che non gli

sarebbe servita a nulla. Il suo era uno di quei casi che nessuna

solenne menzogna avrebbe potuto placare; a cui nessuno può prestar

rimedi; uno di quei casi in cui lo stesso Creatore sembra

abbandonare il peccatore alle proprie risorse.

Stava sulla dritta del ponte, lontano il più possibile da quegli

uomini curvi sulla scialuppa, accaniti al fatto loro con

un'agitazione da forsennati e una cautela da cospiratori. I due

Malesi non avevano mollato la barra. Immaginatevi gli attori di

quel dramma del mare, di quell'episodio unico, grazie a Dio!... i

quattro uomini esausti di sforzi, selvaggi e furtivi, e gli altri

tre che li guardavano immobili come statue davanti ai tendoni che

coprivano la profonda inconsapevolezza di centinaia di esseri

umani, addormentati nella loro stanchezza, nei loro sogni,

trattenuti da una mano invisibile sull'orlo dell'abisso. Che

fossero proprio sull'orlo dell'abisso, date le condizioni della

nave, per me è assolutamente fuori dubbio; nessuna avaria avrebbe

potuto esserle altrettanto fatale. Quei disgraziati intorno alla

scialuppa avevano tutte le ragioni di perder la testa dal terrore.

Francamente, mi ci fossi trovato, non avrei dato un soldo per

l'eventualità che la nave restasse a galla fino al seguente minuto

secondo. Eppure galleggiava! Quei pellegrini addormentati erano

destinati a seguitare il loro pellegrinaggio fino all'amarezza di

un'altra fine. Si sarebbe detto che l'onnipotenza da cui

invocavano misericordia avesse bisogno per qualche momento ancora

della loro umile testimonianza su questa terra, e avesse chinato

gli occhi sull'oceano con un gesto di comando: 'Non voglio!' La

loro sopravvivenza mi colpirebbe come un miracolo inesplicabile,

se non sapessi quanta resistenza possano avere i ferri vecchi

resistenza analoga a quella di certe carcasse umane incontrate qua

e là, ridotte a un'ombra, e che pure sopportano ancora tutto il

peso della vita. Non è per me la sorpresa minore di quei venti

minuti il comportamento dei due timonieri. Facevano parte di quel

gregge variopinto di indigeni menato da Aden per venire a

testimoniare all'inchiesta. Uno di essi, giovanissimo, lottava

contro un'estrema timidezza, e la sua faccia glabra, giallastra e

gioviale, lo faceva ancora più giovane di quel che fosse. Ricordo

perfettamente che Brierly gli fece domandare dall'interprete che

cosa avesse pensato in quel momenti; e l'interprete, dopo un breve

colloquio, volgendosi alla Corte con aria importante: 'Dice che

non pensava niente.' L'altro, con i suoi occhi remissivi che

sbatteva continuamente, col suo fazzoletto di cotone azzurro,

scolorito dai molti lavaggi e annodato con arte su una massa di

ciocche grigie, aveva un viso scavato da dure pieghe, e una pelle

bruna che faceva sembrare più scura una rete di rughe; aveva

coscienza che una sciagura si era abbattuta sulla nave: ma non

aveva ricevuto ordini: per lo meno non se ne ricordava: perché

avrebbe dovuto lasciar la barra? Di fronte a più precise domande

gettò indietro le magre spalle, e dichiarò che non lo aveva

neanche sfiorato l'idea che gli uomini bianchi potessero aver

abbandonato la nave per paura della morte. Non ci credeva ancora.

Potevano aver avuto ragioni segrete. Scuoteva la vecchia testa con

l'aria di chi la sa lunga. Certo! ragioni segrete... Era uomo

d'esperienza, e voleva far capire a quel Tuan lì - si volse verso

Brierly, che non alzava il capo - che lui ne aveva imparate tante

in tanti anni al servizio di uomini bianchi sul mare; e,

improvvisamente, con agitazione febbrile, scaricò sulla nostra

attenzione ansiosa un fiotto di nomi che suonavano strani, nomi di

capitani scomparsi, nomi dalle consonanze familiari e storpiate e

velieri dimenticati, come se la mano del tempo vi avesse gravato

sopra da secoli. Finirono col farlo tacere. Il silenzio cadde sul

tribunale - un silenzio totale che durò oltre un minuto prima di

risolversi in un mormorio profondo. L'episodio fu l'avvenimento

sensazionale della seconda udienza e scosse tutto il pubblico,

tutti fuorché Jim, il quale sedeva aggrondato all'estremità del

primo banco, e non alzò mai gli occhi su quel testimone strano e

terribile che sembrava seguire un suo misterioso metodo di difesa.

Così quei due lascar erano dunque rimasti alla barra della nave

senza governo, e ve li avrebbe trovati la morte, se tale fosse

stato il loro destino. I bianchi non li degnarono nemmeno di uno

sguardo; probabilmente si erano dimenticati della loro esistenza.

Jim non se ne ricordava certamente più. Ricordava soltanto di non

poter far nulla, ora che era solo. Altro non rimaneva che

scomparire con la nave. A che scopo far del chiasso? A che scopo?

Aspettava in piedi, senza una parola, irrigidito in un'attitudine

di eroico riserbo. Il capo macchinista gli corse incontro in punta

di piedi attraverso il ponte di comando e lo tirò per la manica.

'Venga a aiutarci! Per amor di Dio venga a aiutarci!'

Corse di nuovo verso la scialuppa in punta di piedi, ma poi tornò

subito indietro a tirarlo per la manica, supplicando e

bestemmiando.

'Credo che mi avrebbe baciato le mani,' diceva Jim, violento, 'e,

subito dopo, cominciò a schiumare di rabbia, bestemmiandomi in

faccia: - Se avessi tempo sarei felice di spaccarle la testa.- Lo

respinsi. A un tratto mi afferrò per il collo. Maledetto! Lo

colpii. Lo colpii senza guardare. - Allora non vuol salvarsi la

vita, lei... maledetto vigliacco! singhiozzava. Vigliacco! Mi

chiamò maledetto vigliacco! Ah! ah! ah! ah! mi chiamò... ah! ah!

ah!...'

Si era rovesciato indietro, in un convulso di riso. Non avevo mai

udito in vita mia un riso così amaro. Cadeva come un vento

malefico sopra l'allegria delle chiacchiere sugli asinelli, sulle

piramidi, sui bazar, e tutto il resto. Nella penombra della lunga

galleria le voci tacquero, le macchie pallide dei visi si volsero

tutte insieme verso di noi e si fece un così profondo silenzio che

il tintinnìo di un cucchiaino caduto sul pavimento della veranda

lo riempì di un piccolo rumore argentino.

'Non rida così, con tutta questa gente intorno,' protestai con

aria di rimprovero. 'Fa un brutto effetto, sa.'

Da principio parve non aver sentito; ma fissò un attimo sul vuoto

uno sguardo che, senza vedermi, contemplava una visione orribile,

e borbottò con noncuranza: 'Oh, crederanno che sono ubriaco.'

E, dopo, a guardarlo, si sarebbe pensato che non avrebbe più detto

una parola. Ma... neanche per sogno! Non poteva smettere di

parlare, ora, più di quanto non avrebbe potuto smettere di vivere

per pura forza di volontà".

 

 

 

 

 

 

 

CAPITOLO 9.

"'Io dicevo tra me: - E va' a fondo... maledetta! Va' a fondo! -'

Con queste parole riprese il discorso. Non desiderava se non che

fosse finita. Gli altri con disprezzo lo avevano lasciato da

parte, ed egli nella sua testa lanciava questa apostrofe alla nave

in tono di invocazione e d'imprecazione, mentre, e nello stesso

tempo, gustava il privilegio di esser testimonio di scene- a mio

parere - di bassa commedia. Quelli continuavano ad arrabattarsi

intorno alla chiavarda. Il capitano dava ordini. 'Buttatevi là

sotto e cercate di sollevarla;' e gli altri naturalmente si

schermivano. Capirete che trovarsi appiattiti sotto la chiglia di

una scialuppa non è una posizione ideale, con una nave che può

affondare da un momento all'altro. 'Perché non ci va lei... lei -

il più forte?' guaì il piccolo macchinista. 'Gott-for dam! Sono

troppo grosso,' borbottò il capitano disperato. Era buffo da far

piangere gli angeli. Rimasero lì immobili un momento, e poi a un

tratto il capo macchinista si buttò contro Jim.

'Venga a aiutare, lei! E' matto a voler gettare via l'unica sua

speranza? Venga a aiutare, lei! lei! Guardi... guardi!'

E finalmente Jim guardò verso poppa dove l'altro indicava con

insistenza di maniaco. Vide un silenzioso tendone nero che s'era

già mangiato un terzo del cielo. Sapete come vengono su quei nembi

da quelle parti, in quella stagione. Prima si vede oscurarsi

appena appena l'orizzonte - niente altro; poi si alza una nuvola

opaca come un muro. Un orlo diritto di vapore sfrangiato da

luccicori lividi e giallastri monta da sudovest, ingoiandosi le

stelle a intere costellazioni; la sua ombra vola sulle acque, e

confonde mare e cielo in un unico abisso di oscurità. E tutto è

calmo. Né tuoni né vento né rumori; non un bagliore di lampi. Poi

nella tenebrosa immensità appare una cappa livida; una o due onde

lunghe, quasi il fiatare della stessa oscurità, passano veloci, e

improvvisamente vento e pioggia si abbattono insieme con

particolare impetuosità, come se avessero sfondato un ostacolo

solido. Una di codeste nuvole s'era levata senza che ci avessero

fatto caso. Ora la scorsero, si resero esattamente conto che, se

nella calma assoluta c'era qualche possibilità che la nave

restasse a galla ancora qualche minuto, non appena il mare si

fosse mosso le avrebbe dato subito il colpo di grazia. Il suo

primo sbandamento avanti il rompersi di uno di quei nembi sarebbe

stato anche l'ultimo, si sarebbe risolto in un tuffo, si sarebbe,

per così dire, prolungato in un lungo inabissarsi, giù giù, fino

in fondo. Donde quei loro scossoni di paura, quei nuovi gesti

buffoneschi con cui dimostravano che non eran disposti a morire.

'Era nera, nera,' continuava Jim con una calma tetra. 'Ci era

venuto su, sornione sornione alle spalle, quel dannato! In fondo

al cervello mi doveva essere rimasta un'ombra di speranza. Non so.

Ma ormai era finita. Mi esasperava di trovarmi preso così. Ero

furibondo di sentirmi in trappola. E c'ero in trappola! Mi ricordo

che la notte era calda, molto: non un soffio d'aria.'

Se ne ricordava così bene, che, ansimando sulla sua poltrona,

sembrava sudare e soffocare davanti ai miei occhi. Certo che il

nembo lo aveva esasperato: lo aveva messo a terra una seconda

volta, per modo di dire - ma gli aveva anche fatto tornare in

mente lo scopo importante che lo aveva spinto a precipizio sul

ponte e che lì poi gli era svanito subito dalla mente. Voleva

liberare le scialuppe di salvataggio. Tirò fuori il coltello e si

mise a dar di taglio come se non avesse veduto nulla, udito nulla,

e non conoscesse nessuno a bordo. Gli altri pensarono che gli

avesse dato di volta il cervello e che fosse matto senza rimedio,

ma non osarono protestare a voce alta contro quell'inutile perdita

di tempo. Quando ebbe terminato, tornò nel punto preciso da cui si

era mosso. Il capo macchinista era lì, pronto ad afferrarlo e a

sussurrargli, con la testa vicino alla sua, rabbiosamente, come se

volesse mordergli l'orecchio...

'Imbecille! E lei crede di avere un'ombra di probabilità di

salvarsi quando quel branco di bestie saranno nell'acqua? La

prenderanno a colpi in testa da codeste scialuppe.'

E si torceva le mani, accanto a Jim che non gli badava

menomanente. Il capitano continuava a battere i piedi borbottando:

'Martello! Martello! Mein Gott! andate a prendere un martello '

Il piccolo macchinista piagnucolava come un bambino, ma, con tutto

il suo braccio rotto, si dimostrò meno vigliacco degli altri,

pare; perché in realtà trovò tanto coraggio da correre

ubbidientemente nella sala macchine. Non è cosa da poco, a voler

esser giusti con lui, questa. Jim mi disse che lanciava occhiate

di disperazione come uno messo alle strette, aveva dato soltanto

un gemito sordo, e era corso via. Tornò immediatamente,

incespicando, col martello in mano, e senza fermarsi si gettò

sulla chiavarda. Gli altri abbandonarono subito Jim e corsero ad

aiutarlo. Jim udì i colpi del martello, e il rumore della zeppa

che cadeva. La scialuppa era libera. Soltanto allora si voltò a

guardare - soltanto allora. Ma mantenne le distanze... mantenne le

distanze. Desiderava farmi capire che manteneva le distanze; che

non c'era nulla in comune fra lui e quegli uomini... quelli del

martello. Assolutamente nulla. Molto probabilmente si sentiva

separato da loro da uno spazio insuperabile, da un abisso senza

fondo. Si teneva alla massima distanza da loro... l'intera

larghezza della nave.

Teneva i piedi abbarbicati in quel punto isolato e gli occhi fissi

sul gruppo indistinto di quegli uomini curvi che avevano strani

ondeggiamenti nell'angoscia collettiva della paura. Una lampada

portatile appesa a un sostegno sopra un tavolino messo sul ponte

di comando - il Patna non aveva una cabina di guardia a mezza nave

- gettava un po' di luce sulle loro spalle tese nello sforzo,

sull'oscillare delle loro schiene arcuate. Spingevano la scialuppa

da prua, la spingevano avanti nella notte; spingevano, e non si

curavano più di lui. Lo avevano lasciato perdere come se veramente

fosse stato tanto lontano e senza rimedio separato da loro, da non

meritare neanche un richiamo, uno sguardo, un cenno. Non avevano

tempo di voltarsi a osservare il suo eroismo passivo, di sentire

l'aculeo della sua astensione. La scialuppa era pesante; la

spingevano da prua senza che avanzasse fiato per una parola

d'incitamento; ma l'orgasmo di terrore che aveva disperso il loro

coraggio come pula al vento, trasformava i loro sforzi disperati

in una specie di farsa. Una vera farsa da pagliacci in un circo.

Spingevano con le mani, con la testa, spingevano disperatamente

con tutto il peso del corpo, spingevano con tutta la forza della

loro anima - se non che, appena riuscivano con la prua a

oltrepassare la gru, smettevano tutti come un sol uomo, si

arrampicavano per gettarsi come matti nella barca. La scialuppa,

manco a dirlo, tornava indietro di colpo, rigettandoli a terra

senza rimedio, e ammucchiandoli uno contro l'altro. Per un poco

rimanevano lì intontiti, scambiandosi in un feroce brontolìo gli

epiteti più infamanti che venivano loro alla bocca, e poi

riprendevano da capo. Per tre volte si ripeté la scena. Jim me la

descriveva con una tetra precisione. Non un gesto gli era sfuggito

di quella scena comica. 'Li odiavo. Li aborrivo. E ho dovuto

vedere tutto questo,' disse senza enfasi, volgendosi verso di me

con uno sguardo cupo e sospettoso. 'Ci fu mai nessuno messo a più

vergognosa prova?'

Si prese la testa fra le mani per un momento, come uno uscito di

senno per qualche indicibile offesa. Queste cose non poteva

spiegarle al tribunale - e nemmeno a me; ma sarei stato poco degno

di ricevere le sue confidenze se non avessi saputo ogni tanto

capire anche le pause tra le parole. In questo assalto contro la

sua forza d'animo c'era l'intenzione beffarda di una vendetta vile

e maligna; c'era qualcosa di buffonesco nella prova a cui era

sottoposto... qualcosa di degradante nelle comiche smorfie che

accompagnavano l'avvicinarsi della morte o del disonore.

Mi riferì fatti che non ho dimenticati, ma a tanta distanza di

tempo non potrei rammentarmi le sue precise parole; ricordo

soltanto che riuscì magnificamente col nudo racconto degli

avvenimenti a manifestare il rancore che covava nell'animo. Due

volte, mi disse, aveva chiuso gli occhi nella certezza che fosse

scoccata la sua ultima ora, e due volte ebbe a riaprirli. Ogni

volta notò più oscurità nella grande calma. L'ombra della nuvola

silenziosa, che cadeva ormai a perpendìcolo sulla nave, sembrava

aver estinto ogni suono in quella sua vita formicolante. Non si

sentiva più una voce sotto i tendoni. Mi disse che ogni qual volta

aveva chiuso gli occhi un lampo di pensiero gli aveva mostrato,

chiaro come il sole, quella folla di corpi distesi, pronti per la

morte. Quando li riapriva, vedeva la lotta confusa e caparbia dei

quattro uomini che si accanivano come matti intorno alla barca. Di

quando in quando arretravano, e si mettevano a inveire uno contro

l'altro, per poi precipitarsi avanti di nuovo tutti in una

volta... 'C'era da morir dal ridere,' commentò a occhi bassi: poi,

alzandomeli in viso un momento con un sorriso malinconico: 'Dovrei

avere un avvenire allegro, perché, per Dio! quel buffo spettacolo

lo avrò davanti agli occhi un bel po' di volte prima di morire.'

Abbassò gli occhi di nuovo. 'Negli occhi e nelle orecchie... negli

occhi e nelle orecchie...' disse due volte, con un lungo

intervallo pieno di uno sguardo assorto.

Si riscosse.

'Mi ero imposto di tener gli occhi chiusi,' riprese, 'ma non mi

riuscì. Non mi riuscì, e non m'importa che si sappia. Si provino a

passare per certe esperienze, prima di parlare. Si provi... e a

far meglio:... ecco tutto. La seconda volta le palpebre mi si

aprirono di colpo, e anche la bocca. Avevo sentito muover la nave.

S'era abbassata un poco di prua - per risollevarsi pian piano -

lenta... lenta un'eternità e appena appena. Da giorni e giorni non

faceva così. La nuvola era trascorsa, e questa prima onda lunga

sembrava avanzare su un mare di piombo. Non c'era vita in quel

movimento. Eppure bastò a sconvolgere qualcosa nella mia testa.

Che avrebbe fatto lei? E' sicuro di sé, no? Ma che farebbe se

sentisse ora, sul momento, muoversi la casa, qui, muoversi appena

d'un tantino, sotto la sua poltrona? Un salto! Un salto -

perdiana! - da qui dove è seduto fino a quel gruppo di cespugli

laggiù.'

Tese il braccio verso la notte oltre la balaustra di pietra.

Tacqui. Mi guardava con occhi fermi, severi. Non c'era dubbio, mi

trovavo io, ora, a mal punto e mi conveniva non dar segno né con

un gesto né con una parola che mi mettesse a rischio di venir

trascinato a qualche fatale ammissione in rapporto con quella

faccenda. Non ero affatto disposto a correre un rischio del

genere. Non dimenticate che Jim io me lo trovavo di fronte, e che,

realmente, era troppo dei nostri per non riuscire pericoloso. Non

ho vergogna a dirvi - se volete saperlo - che con un rapido

sguardo scandagliai la distanza che mi separava da quella massa

d'ombra più densa che spiccava nel mezzo dell'aiuola, davanti alla

veranda. Aveva esagerato. Con un salto non sarei mai arrivato

tanto lontano... ed è l'unica cosa di cui sono piuttosto sicuro.

Il momento estremo era giunto - pensava - ma non si mosse. I piedi

gli rimanevano abbarbicati al piancito, è i pensieri gli

turbinavano nella testa. In quel momento vide uno degli uomini

intorno alla scialuppa arretrare improvvisamente di un passo,

batter l'aria con le braccia alzate, barcollare e accasciarsi.

Non proprio caduto, ma scivolato dolcemente a sedere, tutto

raggomitolato, e con le spalle appoggiate al fianco del lucernario

della sala macchine. 'Era il fuochista. Un tipo macilento,

pallido, con baffi ispidi. Fungeva da terzo macchinista,' spiegò.

'Morto,' dissi. Ne avevamo sentito accennare in tribunale.

'Così dicono,' pronunciò con cupa indifferenza. 'In verità non

l'ho capito allora. Malato di cuore. Si lamentava, da qualche

tempo, di non sentirsi molto in gamba. L'eccitazione. Lo sforzo.

Lo sa il diavolo. Ah! ah! ah! Si vedeva bene che neanche lui

voleva morire. Buffo, no? Che io possa morire ammazzato se non

l'avevano trascinato ad uccidersi! Trascinato... né più né meno.

Trascinato, perdiana! Proprio come me... Ah! Se non si fosse

mosso! se avesse detto a quei tre di andare all'inferno quando

erano corsi a strapparlo dalla cuccetta perché la nave stava

affondando! Se si fosse tenuto da parte con le mani in tasca e

glie ne avesse dette quattro!'

Si alzò, agitò il pugno, mi guardò con occhi di fuoco, e si rimise

a sedere.

'Un'occasione perduta, eh?' mormorai.

'Perché non ride?' fece. 'Uno scherzo combinato nell'inferno.

Debolezza di cuore!... Qualche volta vorrei averla avuta anch'io,

la debolezza di cuore!'

Questo mi irritò. 'Davvero?' esclamai con profonda ironia. 'Sì!

Non lo capisce?', gridò. 'Non so che altro avrebbe potuto

desiderare, lei,' ribattei con ira. Mi guardò con aria di assoluta

incomprensione. Anche questa freccia non era andata a segno, ed

egli non era tipo da preoccuparsi di frecce sperdute. Parola mia,

era troppo poco sospettoso; non era un giuoco leale. Fui contento

di avere sprecato il mio dardo... che lui non avesse udito nemmeno

la vibrazione dell'arco.

Di certo, allora, non poteva sapere che quell'uomo era morto. Il

minuto seguente - il suo ultimo a bordo - fu pieno d'un tumulto di

casi e di sensazioni che gli si rovesciarono addosso come il mare

su uno scoglio. Adopro di proposito questo paragone perché dal suo

racconto debbo credere che abbia mantenuto per tutto lo svolgersi

di questi avvenimenti una strana illusione di passività, come se

non fosse stato lui l'agente, ma uno strumento nelle mani di

potenze infernali che lo avevano scelto a vittima del loro scherzo

diabolico. La prima cosa di cui riebbe coscienza fu lo stridore

delle pesanti gru che si misero finalmente in moto oscillando...

uno stridore pungente che parve propagarglisi in corpo dal ponte

attraverso le piante dei piedi, e su su lungo la spina dorsale

fino alla sommità del capo. Allora, nell'imminenza del nembo ora

vicinissimo, un'onda più alta sollevò lo scafo inerte a una

altezza paurosa che gli tolse il respiro, mentre grida di terrore

come pugnalate gli passavano cuore e cervello. 'Molla! per amor di

Dio, molla! Molla! Va giù.' Subito dopo le cime di sostegno

scorsero nei bozzelli e molti uomini sotto i tendoni si diedero a

parlare con voce spaventata. 'Quegli sciagurati, perduto ogni

ritegno, cominciarono a strillare che avrebbero svegliato un

morto,' disse. Poi, dopo il colpo e lo sciacquìo della scialuppa

messa di peso in acqua, sentì rumori sordi e lo scalpiccìo di

quelli che si buttavano nella scialuppa, in una confusione di

grida: 'Scoccia! Scoccia! Spingi! Scoccia! Spingi per amor di Dio!

Ecco, il nembo ci viene addosso!...' Udì, alto sopra il suo capo,

il lieve sussurro del vento; e, sotto i piedi, un grido di dolore.

Una voce sperduta da sottobordo si alzò a bestemmiare contro una

gaffa. La nave cominciò a ronzare da poppa a prua come un'arnia

infastidita; e, con la stessa calma con cui mi aveva raccontato

tutto questo perché in quel momento era calmo nell'atteggiamento,

nel volto, nella voce - Jim soggiunse, per così dire, senza

preavviso: 'Inciampai nelle sue gambe.'

Era il primo accenno al fatto di essersi mosso. Non potei

trattenere un segno di sorpresa. Qualcosa lo aveva finalmente

fatto muovere, ma quando esattamente, e per qual motivo si fosse

distolto dalla sua immobilità, egli non sapeva più di quanto un

albero sradicato ne sappia del vento che lo ha buttato a terra. Ai

suoi sensi erano arrivati i suoni, le immagini, I'urto contro le

gambe del morto... perdiana! Lo scherzo diabolico gli era stato

ficcato in gola da una potenza infernale, ma - badate non avrebbe

mai ammesso di aver consentito, lui, con un pur minimo movimento

di deglutizione. E' straordinario come riusciva a trascinarvi

nella sua illusione. Lo ascoltavo come si ascolta una storia di

magìa nera operata su un cadavere.

'Cadde piano piano di fianco; e questa è l'ultima cosa che mi

rammento di aver veduta a bordo,' continuò. 'Di quel che facesse

non mi curavo. Sembrava volesse tirarsi su, e mi parve naturale.

Mi aspettavo di vedermelo correre davanti a buttarsi di là dai

bastingaggi, nella scialuppa, dietro agli altri che sentivo

urtarsi di qua e di là, lì sotto, e una voce che sembrava venire

dal fondo di un pozzo chiamò: - Giorgio! - Poi tre voci urlarono

contemporaneamente. Ma mi arrivarono ben distinte: un belato, uno

strillo, un guaìto. Puah!'

Ebbe un brivido, e lo vidi alzarsi lentamente in piedi, come se

una mano ferrea lo avesse tirato su dalla poltrona per i capelli.

Su, lento - quanto era alto; e quando le ginocchia si furono tese,

quella mano lo lasciò, ed egli vacillò un poco. C'era un tal senso

di paurosa immobilità nel suo volto, nei suoi movimenti, perfino

nella sua voce quando disse 'urlarono' che involontariamente tesi

le orecchie per ascoltare il fantasma di quel grido che tra poco

avrei certamente udito in quell'effetto di illusorio silenzio.

'C'erano ottocento persone sulla nave,' disse Jim, inchiodandomi

contro lo schienale della poltrona col suo terribile sguardo

vuoto. 'Ottocento persone vive: e loro urlavano a quell'unico

morto di buttarsi giù e di salvarsi. Salta, Giorgio! Salta! Oh!

Salta! - Io stavo lì, con la mano sulla gru. Ero molto calmo.

S'era fatto buio come la pece. Non si vedeva né cielo né mare. Per

un momento non udii più che la scialuppa sbattere, sbattere

sottobordo, contro lo scafo, mentre la nave sotto di me era piena

di brusìo. A un tratto il capitano urlò: - Mein Gott! Il nembo! il

nembo! Tiriamoci fuori! - Col primo fischio di pioggia e la prima

raffica di vento gridarono: Salta, Giorgio! Ti prendiamo noi!

Salta! - La nave beccheggiò lentamente; la pioggia la spazzava

come colpi di mare, il berretto mi volò via; il vento mi

ricacciava in gola il respiro. Come dall'alto di una torre udii un

ultimo grido selvaggio: Giooorgio! Oh, salta! - La nave stava

affondando, affondando sotto i miei piedi... a cominciar dalla

prua.'

Si portò deliberatamente una mano al viso, muovendo le dita come

per togliersi delle ragnatele che gli dessero fastidio; poi si

guardò per un attimo la palma aperta prima di sputar fuori le

parole:

'Mi ero buttato giù...' S'interruppe, volse gli occhi... 'Pare,'

soggiunse.

I suoi occhi celesti si volsero verso di me con uno sguardo

penoso, e vedendolo lì, in piedi davanti a me, confuso e accorato,

mi sentii oppresso da un senso triste di rassegnata saggezza,

misto alla pietà distaccata e profonda di un vecchio, impotente

davanti al malestro fatto da un bambino.

'Già, sembrerebbe,' borbottai.

"Non me ne accorsi finché non guardai in su", spiegò in fretta. E

anche questo è possibile. Bisognava starlo a sentire, come un

ragazzetto nei guai. Non se n'era accorto. La cosa era andata

così... ma non sarebbe mai più successo. Era cascato quasi addosso

a uno, di traverso, su un banco. Ebbe l'impressione di essersi

sfondato tutto il costato sinistro: poi rotolò, e vide

confusamente sopra di lui la nave che aveva abbandonata, con il

fanale rosso di fianco che nella pioggia sembrava più grande, come

un fuoco in cima a una collina visto attraverso la nebbia.

'Sembrava più alta di un muro; dominava la scialuppa come una

rupe... Desiderai di morire,' gridò. 'Non c'era modo di tornare

indietro. Era come se mi fossi buttato in un pozzo... in un buco

fondo senza fine.'".

 

 

 

 

 

 

 

 

 

CAPITOLO 10.

"Intrecciò le dita, poi le disciolse con uno strappo. Non c'era

nulla di più vero: era saltato proprio in un buco fondo senza

fine. Era caduto da un'altezza che mai più avrebbe potuto scalare.

Frattanto la scialuppa alla deriva aveva sorpassato la prua. Era

troppo buio in quel momento perché potessero vedersi i quattro

uomini, accecati, per di più, e mezzo affogati dalla pioggia. Mi

disse che era come se fossero stati trascinati da un'inondazione

attraverso una caverna. Voltavano le spalle al nembo; il capitano,

pare, aveva messo fuori un remo da poppa per mantenere la barca

prua a vento, e per due o tre minuti fu un finimondo con quel

diluvio in un'oscurità di pece. Il mare fischiava 'come ventimila

pentole.' Il paragone è suo, non mio. Immagino non ci fosse più

molto vento, dopo quella prima raffica; e lui stesso aveva

ammesso, all'inchiesta, che il mare non era cresciuto gran che

durante la notte. Si accoccolò a prua guatandosi alle spalle. Vide

un'unica luce gialla: quella del fanale a riva dell'albero

maestro, alto e incerto come un'ultima stella sul punto di

spegnersi. 'Mi fece drizzare i capelli, a vederlo ancora lì,'

disse. Questo disse. Ciò che lo empì di terrore fu l'idea che la

nave non fosse ancora affondata. Senza dubbio desiderava che

quell'abominio fosse finito al più presto possibile. Nessuno

fiatava nella scialuppa. Nell'oscurità la barca sembrava volare,

ma naturalmente non doveva far molta strada. Poi l'acquazzone

passò oltre, veloce; e il vasto sibilo che li ossessionava la

seguì allontanandosi, e si spense. Non si udiva altro che un

leggero sciabordare lungo i fianchi della barca. Uno batteva forte

i denti. Una mano toccò la schiena di Jim. Una voce fioca disse:

'Ci sei?' Un'altra, tremula, esclamò: 'Se n'è andata!' e tutti

insieme si alzarono in piedi a guardare verso poppa. Non si vedeva

più il fanale. Tutto buio. Una pioggerella fredda e sottile

batteva le facce. La barca rollò leggermente. I denti batterono

più in fretta, poi più nulla, poi ricominciarono due volte a

battere prima che l'uomo riuscisse a dominare il proprio tremito

tanto da dire: 'G... g... g... Giusto in t... t... t... tempo...

Brrr.' Jim riconobbe la voce del primo macchinista che diceva in

tono burbero: 'L'ho vista affondare. Mi sono voltato per caso.' Il

vento era caduto quasi del tutto.

Scrutavano l'oscurità stando rivolti contro vento, come in attesa

di udire delle grida. Da principio si sentì grato alla notte di

avergli nascosto alla vista la scena; ma poi il fatto che tutto

era accaduto senza che egli avesse visto né udito nulla gli parve

in qualche modo il punto saliente di un'orribile disgrazia.

'Strano, vero?' mormorò, interrompendosi nella sua saltuaria

narrazione.

A me non parve tanto strano. Doveva aver avuto una inconsapevole

convinzione che la realtà non avrebbe potuto essere neanche

lontanamente brutta, angosciosa, spaventosa e crudele quanto il

terrore creato dalla sua immaginazione. Sono sicuro che, in quel

primo momento, il suo cuore dovette essere dilaniato da tutta

intera la sofferenza, la sua anima aver assaporato il cumulo di

paura, di orrore, di disperazione di quegli ottocento esseri umani

afferrati in piena notte da una morte subitanea e violenta; se no,

perché avrebbe detto: 'Mi pareva di dover saltar giù da quella

maledetta barca, per tornar indietro a nuoto a vedere... Un mezzo

miglio... di più... qualunque distanza... fino al punto

preciso...?' Perché questo impulso? Ne capite il significato?

Perché indietro, nel punto preciso? Perché non affogarsi lì vicino

alla barca - se intendeva affogarsi - perché tornare nel punto

preciso, a vedere... come se la sua immaginazione avesse avuto

bisogno di placarsi nella certezza che tutto era finito prima di

cercare una liberazione nella morte? Sfido chiunque di voi a

trovare un'altra spiegazione. Era, attraverso la nebbia, uno di

quei bizzarri e commoventi barlumi che vi ho detto. Una

rivelazione straordinaria: egli la buttò fuori come la cosa più

naturale del mondo. Aveva soffocato quell'impulso; poi si rese

conto del silenzio intorno. Me ne accennò. Silenzio del mare, del

cielo, fusi in una unica immensità indefinibile, ferma come la

morte, intorno a quelle vite salve, palpitanti. 'Si sarebbe

sentito cadere uno spillo, in quella barca,' disse con una strana

contrazione delle labbra, come un uomo che si sforzi di dominare

la propria sensibilità mentre racconta un fatto di una estrema

commozione. Il silenzio! Soltanto Iddio, che aveva voluto Jim così

com'era, sapeva che cosa significava quel silenzio per il suo

cuore. 'Non credevo che al mondo ci fosse un luogo così cheto,'

disse. 'Non si distingueva il mare dal cielo: non si vedeva, non

si sentiva nulla. Non una luce, non una forma, non un suono. Si

sarebbe detto che la terraferma fosse sprofondata tutta fino

all'ultima zolla; che tutti gli uomini della terra, eccetto quei

tali della scialuppa e io, fossero affogati.' Si curvò sulla

tavola con le nocche delle mani puntate tra le tazzine da caffè, i

bicchierini da liquore, le cicche di sigarette. 'Mi pareva di

crederlo davvero. Tutto scomparso, e... tutto finito...' sospirò

profondamente... 'per me.'".

Marlow si drizzò di colpo sulla sedia, e gettò via con forza il

sigaro che seguì una traiettoria rossa, come un razzo da bambini

lanciato attraverso il drappeggio dei rampicanti. Nessuno si

mosse.

"Ehi, che ve ne pare?" esclamò con improvvisa vivacità. "Era in

linea con se stesso, no? La sua vita salvata era perduta perché

gli mancava la terra sotto i piedi, gli mancava la vista per gli

occhi, gli mancavano voci per le sue orecchie. Annichilimento..

ehi! E sempre soltanto il cielo torbido, la bonaccia senza

frangenti, e un'aria senza moto. Nient'altro che la notte;

nient'altro che il silenzio.

"Così durò per un poco; poi improvvisamente gli altri tre si

misero a schiamazzare sul loro salvataggio. 'Lo sapevo fin dal

primo momento che sarebbe andata giù.' 'In tempo in tempo.'

'Scampati proprio per un pelo, porca miseria!' Lui non disse

nulla, ma la brezza che era caduta riprese, una bava di vento

venne rinfrescando gradatamente, e il mare unì il suo mormorio a

quello schiamazzo di reazione dopo i primi istanti di muto

spavento. Sparita! Sparita! Non c'era dubbio. Nessuno avrebbe

potuto farci niente. Ripetevano le medesime parole, sempre quelle,

come se non potessero farne a meno. Non avevano mai dubitato che

sarebbe andata giù. I fanali erano scomparsi. Non c'era da

sbagliare. I fanali erano scomparsi. Non c'era da aspettarsi

altro. Doveva andar giù per forza... Notò che parlavano come se si

fossero lasciati dietro una nave vuota. Conclusero che doveva

averci messo poco, una volta che aveva cominciato ad affondare.

Ciò sembrava procurar loro una specie di soddisfazione. Si

rassicuravano l'uno con l'altro: doveva averci messo poco...

'Calata giù come un ferro da stiro.' Il primo macchinista dichiarò

che il fanale a riva dell'albero maestro, al momento d'affondare,

era precipitato 'come a buttar via un fiammifero acceso.' A queste

parole, il secondo macchinista scoppiò in una risata isterica.

'Sono c-c-contento, sono c-c-contento.' I suoi denti continuavano

a battere 'come una raganella,' disse Jim, 'e tutto a un tratto si

mise a piangere. Piangeva e frignava come un bambino, tirando il

fiato e singhiozzando: - Oh, Dio! Oh Dio! Oh Dio! - Si

interrompeva per un po', e poi ricominciava tutto a un tratto: -

Oh il mio povero braccio! Oh, il mio povero bra-a-accio -. Lo

avrei picchiato. Qualcuno sedeva sul cordame di poppa. Potevo

appena intravvedere le loro ombre. Mi arrivavano voci, borbottii,

mugolii, grugniti. Tutto questo era difficile da sopportarsi.

Avevo anche freddo. E non potevo far nulla. Mi pareva che se mi

fossi mosso avrei finito col gettarmi in acqua e...'

Poiché con la mano brancicava a caso, venne a contatto con un

bicchierino da liquore, e la ritrasse di colpo, come se avesse

toccato un carbone acceso. Gli avvicinai un poco la bottiglia.

'Non ne vuole un altro po'?' domandai. Mi lanciò un'occhiata

rabbiosa. 'Crede che io non possa dirle quello che c'è da dire

senza farmi ubriacare?' domandò. Il gruppo di globe-trotters era

andato a letto.

Eravamo rimasti soli; c'era soltanto un'incerta forma bianca,

dritta nell'ombra, che, quando si sentì guardata, si sporse in

avanti, esitò, e si allontanò in silenzio. Si faceva tardi, ma non

diedi fretta al mio ospite.

Nella sua desolazione sentì i compagni inveire contro qualcuno.

'Che aspettavi a saltar giù, pezzo di scemo?' gridò una voce

aspra. Il primo macchinista scese dal cordame di poppa e avanzò

incespicando come mosso da intenzioni ostili contro "il più grande

imbecille del mondo". Il capitano, dal suo posto dove era seduto

reggendo il remo, con voce rauca, sforzata, lanciava insulti. Jim

a questo berciare alzò la testa e sentì chiamare: 'Giorgio!'

mentre una mano nel buio lo colpiva al petto. 'Avanti! Che hai da

dire, stupido?' domandò qualcuno, con una rabbia che ricordava

quella della virtù offesa. 'Ce l'avevano con me,' disse. 'Mi

insultavano - mi insultavano - continuando a chiamarmi Giorgio.'

S'interruppe per fissare il vuoto, cercò di sorridere, volse gli

occhi e riprese: 'Quel mezz'uomo del sotto capo macchinista ecco

che mi mette la testa sotto al naso. - Ma è quel maledetto

ufficiale in seconda! - Come? - urla il capitano dall'altra

estremità della scialuppa. - Ma no! - grida il capo. E anche lui

si chinò per guardarmi in faccia.'

Il vento s'era improvvisamente calmato. Ricominciò a piovere, e si

udì nella notte tutto intorno il suono dolce, ininterrotto, un

poco misterioso dell'acquazzone sul mare. 'Lì per lì non dissero

altro tanto erano sbalorditi,' proseguì con voce ferma; 'e io che

potevo dire?' La voce gli mancò un momento; poi, con uno sforzo,

riprese a dire: 'Mi ricopersero degli insulti più ignominiosi.' La

sua voce, che s'era venuta spegnendo, a tratti si riaccendeva

all'improvviso, indurita dalla violenza del suo disprezzo, come se

stesse svelando qualche segreto abominio. 'Non mi facevano niente

con i loro improperi,' disse a muso duro. 'Si sentiva l'odio nelle

loro parole. Per fortuna. Non potevano perdonarmi di essere lì in

quella barca. L'idea li rivoltava; eran furibondi...' Ebbe un

breve riso... 'Ma fu proprio questo a trattenermi da... Guardi!

Sedevo a braccia conserte sul bordo!...' Si sedette addirittura

sull'orlo del tavolino, a braccia conserte... 'Così... vede? Una

spintina e sarei andato... a raggiungere gli altri. Una

spintina... da niente... appena appena...' Aggrottò le

sopracciglia, e battendosi in fronte la punta del medio: 'C'era da

un pezzo, qui,' disse in tono solenne. 'Da un pezzo - quel

pensiero. E la pioggia... fredda, fitta, fredda come neve

sciolta... più fredda... sui miei vestiti leggeri di cotone... non

avrò mai più tanto freddo in vita mia, lo so. E il cielo era

nero..., tutto nero. Non una stella, non una luce da nessuna

parte. Nulla fuorché quella maledetta barca e quei due che mi

abbaiavano addosso come una coppia di botoli ringhiosi che

incalzano un ladro. Bau! Bau! Che fai qui? Bel genere! Troppo

delicato il signore per dare una mano. E s'è svegliato, eh? Per

intrufolarsi qua con noi! Vero? Bau! Bau! Non è degno di stare al

mondo! Bau! Bau! Due alla volta, e cercando di abbaiare uno più

forte dell'altro. E il terzo latrava da poppa attraverso la

pioggia... non potevo capire le sue sudicie parolacce. Uà! uà!

Bauau-au-au-au. Uà! uà! Bau! Bau! Era un dolce sentire; mi legava

alla vita... le dico. Ci si misero d'impegno, come se volessero

gettarmi in mare a forza di berci!... Mi meraviglio che abbia

avuto il fegato di buttarsi di sotto. Non ce lo vogliamo qui. Se

avessi saputo che era lei, l'avrei scaraventato fuori bordo...

coniglio che non è altro! Che ne ha fatto del nostro compagno?

Dove ha trovato tanto fegato da buttarsi di sotto?... vigliacco!

Chi c'impedisce a noi tre di cacciarla in mare? Non avevan più

fiato; l'acquazzone dileguò sul mare. Poi più nulla. Nulla intorno

alla barca, nemmeno un rumore. Avrebbero voluto vedermi in mare,

eh? Perdio! Credo che il loro desiderio sarebbe stato soddisfatto

senz'altro, se fossero rimasti tranquilli. Gettarmi fuori bordo!

Davvero? - Provateci, dissi. - Per due soldi lo faccio -. -Troppo,

per lei! urlarono tutti insieme. Era così buio che soltanto quando

l'uno o l'altro si muoveva ero proprio sicuro di vederlo.

Perdiana! Magari ci avessero provato!'

Non potei trattenermi dall'esclamare: 'Straordinario!'

'Non c'è male... eh?' disse con una cert'aria stupita. 'Fecero

finta di credere che quel fuochista, per qualche motivo, l'avessi

levato di mezzo. Perché lo avrei fatto? E come diavolo potevo

sapere? Non c'ero comunque arrivato in quella barca? in quella

barca... io...' I muscoli della bocca gli si contrassero in una

smorfia involontaria sotto la maschera della sua espressione

abituale... un segno violento, istantaneo, rivelatore come il zig-

zag d'un lampo che apra all'occhio per un attimo la segreta

geografia di una nuvola. 'C'ero: c'ero evidentemente lì con

loro... no? Non è terribile che un uomo possa essere trascinato a

fare una cosa in quel modo... e ne debba poi rispondere? Che ne

sapevo di quel Giorgio di cui stavano berciando? Ricordavo di

averlo veduto sul ponte raggomitolato su se stesso. - Vigliacco

assassino! - continuava a gridarmi il capo-macchinista. Sembrava

incapace di ricordare altre parole che quelle due. Non me

n'importava niente, a me, ma il baccano che faceva, quello sì

cominciava a seccarmi. - Falla finita! - dissi. Allora raccolse

tutte le sue forze per urlare da maledetto: - Lei l'ha ucciso! Lei

l'ha ucciso! - No! gridai, ma ammazzerò te se séguiti -. Balzai in

piedi, e lui cadde riverso sul banco con un tonfo pauroso. Non so

come. Troppo buio. Forse, nel tentativo di tirarsi indietro.

Cercai di guardar bene da poppavia dove quel mezzo uomo del

secondo macchinista si sentiva ora piagnucolare: - Avrebbe il

coraggio, lei, di mettersi con un disgraziato che ha un braccio

rotto... e poi dice di essere un gentiluomo...- Sentii un passo

pesante... uno... due... e un gorgoglio asmatico. Era l'altro

bestione, che mi serrava addosso, sbattendo il suo remo sulla

poppa. Lo vidi venire avanti, grande, grande... come si vede un

uomo nella nebbia, o in sogno.- Fatti avanti -, gridai. Gli sarei

piombato addosso come una valanga. Si fermò, brontolò qualche

cosa, e tornò indietro. Forse aveva sentito il vento. Io no. Fu

l'ultima raffica greve che ci investì. E fece ritorno al suo remo.

Peccato! Mi sarebbe piaciuto di... di...'.

Aprì e richiuse le dita adunche; le sue mani ebbero un fremito

d'impazienza feroce. 'Calma, calma,' mormorai.

'Eh? Come? Sono calmo" protestò, terribilmente offeso; e con uno

scatto convulso del gomito rovesciò la bottiglia del cognac. Feci

un balzo, tirandomi dietro la poltrona. Scattò giù dal tavolo come

se una mina gli fosse esplosa alle spalle, e, fatto un mezzo giro

prima di toccar terra, restò accoccolato sul pavimento con occhi

atterriti e un orlo di pallore intorno alle narici. Poi ebbe uno

sguardo d'intenso fastidio. "Sono mortificatissimo. Che sventato!'

borbottò tutto indispettito, mentre nella pura, fresca oscurità

della notte l'odore pungente dell'alcool spanto ci avviluppò

tutt'a un tratto in una avvinazzata atmosfera da bettola. Nella

sala da pranzo erano state spente le luci; la nostra candela

ardeva solitaria per tutta la lunghezza della galleria, e le

colonne s'erano fatte nere dal basamento al capitello. Contro le

stelle vivide, lo spigolo superiore della Capitaneria di Porto

spiccava distintamente di là dal piazzale, come se quella massa

oscura fosse scivolata avanti, avvicinandosi a noi per meglio

vederci e ascoltarci.

Affettò un'aria d'indifferenza.

'Oserei dire di esser meno calmo adesso che allora. Ero pronto a

tutto. Quelle mi sembravano piccolezze...'

'Lei se la deve essere spassata in quella scialuppa', osservai.

'Ero pronto,' ripeté. 'Scomparsi i fanali del piroscafo, qualunque

cosa sarebbe potuta succedere nella barca - qualunque cosa al

mondo - che nessuno ne avrebbe mai saputo niente. Questo lo

sentivo, e mi faceva piacere. C'era anche un discreto buio.

Eravamo come uomini murati alla rinfusa in una tomba capace.

Nessun rapporto con nessuna cosa al mondo. Tutto senza importanza'

Per la terza volta nel corso di quella conversazione rise amaro,

ma non c'era nessuno lì in giro che potesse crederlo ubriaco. 'Né

paure, né leggi, né rumori, né sguardi - nemmeno i nostri... fino

almeno alla levata del sole.'

Fui colpito dalla suggestione di verità che nasceva dalle sue

parole. Una barchetta in mezzo al mare immenso dà una sua

particolare sensazione. Sulle vite sottratte all'ombra della morte

sembra incombere l'ombra della pazzia. Perdendo la vostra nave, vi

sembra di perdere tutto il vostro mondo: il mondo che vi ha fatti,

vi ha tenuti a freno, che si è preso cura di voi. Come se le anime

degli uomini, a galla sull'abisso e in contatto con l'immensità,

fossero libere di oltrepassare ogni limite di eroismo, di

assurdità, o di abominio. Naturalmente, anche per i naufragi, come

per la fede, per il pensiero, l'amore, l'odio, le convinzioni e

perfino per l'aspetto visibile delle cose materiali, tanti sono i

casi quanti sono i tipi di uomini; e in questo qui c'era qualcosa

d'abietto che rendeva più completo l'isolamento; c'era nelle sue

contingenze una bruttura che tagliava fuori nel modo più preciso

quegli uomini da tutta quella parte di umanità, il cui ideale del

costume non era mai stato sottoposto alla prova di uno scherzo

così diabolico e spaventoso. Erano esasperati contro di lui che

ritenevano uno scroccone vile; e lui li gratificava d'un odio

globale, per tutta quella faccenda: avrebbe voluto trar su di loro

una vendetta esemplare per l'odiosa occasione che gli avevano

fornito. Servitevi di una barca in alto mare per far emergere

l'Irrazionale che si annida in fondo a ogni nostro pensiero, e

sentimento, e sensazione o emozione. Fu ancora un segno della

meschinità buffonesca insita in quel particolare sinistro nautico,

il fatto che i naufragi non arrivarono a scazzottarsi. Tutto si

limitò a minacce, a una finzione terribilmente efficace; una

commedia dal principio alla fine, preparata dal supremo scherno

delle Potenze Oscure i cui terrori reali, sempre sull'orlo del

trionfo, restano perpetuamente smontati dalla costanza degli

uomini. Domandai, dopo una breve pausa d'attesa: 'Beh, che

accadde?' Futile domanda. Troppe già ne sapevo per poter sperare

la grazia che tutto avesse a riscattarsi con un sol tocco:

l'attenuante di un sospetto di pazzia, di un'ombra di orrore.

'Nulla,' disse. 'Io facevo sul serio, ma loro facevano solo per

chiasso. Non accadde nulla.'

E l'alba lo trovò esattamente come quando era saltato sulla prua

della scialuppa: pronto in attesa. Che costanza! Se n'era stato

tutta la notte con in mano la barra del timone. Il timone l'avevan

perso in mare nel tentativo di gettarlo a bordo, e, probabilmente,

un calcio aveva buttato la barra verso prua mentre correvano su e

giù per la scialuppa cercando di far mille cose in una volta nella

fretta di allontanarsi dalla nave. Era un pezzo di legno duro,

lungo e pesante: deve esserselo tenuto stretto in pugno per circa

sei ore. Se non si chiama questo essere pronti! Ve lo figurate?

Taciturno, in piedi per metà della notte, faccia alle raffiche di

pioggia, fissi gli occhi su quelle forme d'ombra, attento a ogni

cenno di movimento, con le orecchie tese per afferrare i mormorii

sommessi che venivano dalla poppa! Saldezza di coraggio, o sforzo

di paura? Che vi pare? Innegabilmente, anche capacità di

sopportazione. Sei ore più o meno sulla difensiva; sei ore di

immobilità guardinga, mentre la barca o avanzava lenta o fluttuava

immobile a capriccio del vento; mentre il mare, ora in bonaccia

finalmente, dormiva sorvolato dalla nuvolaglia; mentre il cielo da

un'immensità di opaco e di nero si delimitava in una volta scura e

traslucida cosparsa di un più lucente scintillìo, sfumava verso

levante, sbiadita allo zenith; e quelle ombre oscure, che là da

poppa nascondevano alla vista le stelle basse, prendendo a poco a

poco rilievo e contorno, diventavano spalle, teste, facce,

fattezze; là di fronte a lui, con sguardi fissi e tetri; capelli

scomposti, abiti strappati, le palpebre arrossate e inquiete nel

pallore dell'alba. 'Sembrava gente che avesse sguazzato per le

pozzanghere della strada, in un'ubriachezza di sette giorni,'

disse con un'immagine visiva; e poi borbottando ricordò quella

levata di sole come una di quelle che annunciano una bella

giornata. Conoscete l'abitudine dei marinai di riferirsi al tempo

che fa a proposito di tutto. E a me bastarono quelle poche parole

smozzicate a mostrarmi al vivo l'orlo inferiore del disco solare

staccarsi dalla linea dell'orizzonte, e il fremito di una larga

increspatura scorrere a vista d'occhio su tutta la stesa del mare,

come se le acque avessero rabbrividito nel partorire il globo di

luce, mentre l'ultimo soffio di brezza moveva I'aria in un sospiro

di sollievo.

'Stavano seduti a poppa, spalla contro spalla, col capitano nel

mezzo, come tre brutti gufi, e mi fissavano,' disse con un accento

d'odio che versava un tossico erosivo in quelle parole banali,

come versare una goccia di potente veleno in un bicchier d'acqua;

ma il mio pensiero si era fermato su quella levata di sole.

Immaginavo sotto la vacuità pellucida del cielo quei quattro

uomini prigionieri della solitudine di quel mare, il sole

ascendere solitario, incurante di quell'atomo di vita, su per

l'arco limpido del cielo come per voglia di contemplare da più

alto il proprio splendore riflesso nello specchio immobile

dell'oceano. 'Da poppa, alzando la voce, mi parlarono,' disse Jim,

'come se fossimo stati amiconi. Li udivo. Mi pregavano di essere

savio e di lasciare quel PEZZO DI LEGNO DEL DIAVOLO. Perché mai

volevo prenderla su questo tono? Non mi avevano fatto niente di

male, no? Male a nessuno... Niente di male!'

Avvampò come se non riuscisse a tirare il fiato. 'Niente di male!'

esclamò. 'Giudichi lei, che può capire. Vero? Che potevano fare di

peggio? Ah sì, lo so benissimo... sono saltato giù... Certo. Sono

saltato giù! Glie l'ho detto da me che sono saltato giù; però

anche le dico che quelli erano troppo forti per chiunque. Erano

stati loro; chiaro solare; come se mi avessero tirato giù con un

raffio. Non capisce? Eppure deve capirlo. Su, parli... cuore in

mano!'

I suoi occhi turbati si fermarono sui miei, con aria di

interrogazione, di preghiera, di spavento, di implorazione. Non

potei trattenermi dal mormorare: 'Certo, lei è stato messo a dura

prova.' 'Più del dovere,' ribatté pronto. 'C'era poco da

scegliere, con una cricca simile. E ora trattavano da amici...

così maledettamente da amici! Camerati, compagni di mare. Tutti

nello stesso guaio. Prendiamola per il meglio. Con me non ci

avevano proprio niente. Di Giorgio non glie ne importava un fico.

Giorgio era tornato in cabina a prender qualcosa all'ultimo

momento, e era rimasto in trappola. Quell'uomo era un fior

d'imbecille. Certo la cosa non era molto allegra... Avevano gli

occhi su di me. Muovevano le labbra, scuotevano la testa,

all'altra estremità della barca; mi facevano cenni... a me. Perché

no? Non m'ero buttato di sotto? Non dissi nulla. Non ci sono

parole per esprimere cose del genere di quelle che volevo dire. Se

avessi aperto bocca in quel momento avrei urlato come una bestia.

Mi domandavo quando mi sarei svegliato. Mi invitarono con

insistenza, ad alta voce, a portarmi a poppa per sentire con calma

quel che il capitano aveva da dirmi. Ci avrebbero ricuperati senza

dubbio prima di sera - eravamo proprio sulla rotta di tutto il

traffico del Canale; già si vedeva del fumo a nord-ovest.

'Ebbi un colpo al cuore alla vista di quella vaga, tenue macchia;

quella traccia bassa di nebbia color marrone che lasciava

trasparire la linea di demarcazione tra mare e cielo. Gridai loro

che li sentivo benissimo da dove mi trovavo. Il capitano si mise a

bestemmiare, più rauco d'una cornacchia. Non intendeva sgolarsi

per far comodo a me. - Ha paura che lo sentano da terra? -

domandai. Roteò gli occhi come se avesse avuto voglia di sbranarmi

con le unghie. Il primo macchinista gli consigliò di lasciar

perdere. Disse che non ero ancora tornato del tutto in me. L'altro

si alzò in piedi, da poppa, e si mise a parlare - a parlare...'

Jim s'interruppe, soprappensiero. 'Ebbene?' dissi. 'Cosa m'importa

che storiella s'eran combinati fra loro?' gridò eccitato.

'Potevano dire tutto quello che gli andava a genio. Affar loro. La

storia vera, la sapevo io. Nulla di quanto sarebbero riusciti a

far credere alla gente avrebbe potuto cambiare la mia verità. Lo

lasciai parlare, argomentare... parlare, argomentare. E avanti-

avanti-avanti... A un tratto mi sentii cedere le gambe. Ero

nauseato, stanco... stanco... da morire. Lasciai cadere la barra,

voltai le spalle ai tre, e sedetti sul banco più vicino. Ne avevo

abbastanza. Mi gridarono se avevo capito - non era, parola per

parola, la verità? Perdio, se era la verità! Non voltai la testa.

Li sentii che tenevan conciliabolo. - Quel pezzo d'asino non dirà

niente -. - Oh, capisce benissimo! - Lo lasci stare; funzionerà a

dovere -. Tanto, che cosa può fare? - Che potevo fare? Non eravamo

tutti nello stesso guaio? Cercai di restar sordo. Il fumo era

scomparso in direzione Nord. C era una bonaccia marcia. Bevvero al

barile e bevvi un sorso anch'io. Dopo si diedero un gran da fare a

stendere la vela sul carabottino. Mi domandarono se mi sarei

prestato a far da vedetta. Si infilarono sotto, che non li vedevo,

grazie a Dio! Mi sentivo stanco morto, esausto, come se non avessi

dormito un'ora dal giorno ch'ero nato. L'acqua non si scorgeva,

tanto il barbaglio del sole. Di quando in quando uno di loro

veniva fuori carponi, si alzava in piedi per dare un'occhiata in

giro, e poi si rinfilava sotto. Sentivo russare a tratti di sotto

la vela. Dunque qualcuno riusciva a dormire. Uno almeno. Io no!

Tutto era luce, luce, e la barca sembrava vi sprofondasse

attraverso. Ogni tanto provavo una vera sorpresa a ritrovarmi lì

su un banco...'

Cominciò a far su e giù a passi misurati davanti alla mia

poltrona, con una mano nella tasca dei calzoni, la testa china.

pensieroso, sollevando ogni tanto il braccio destro come a toglier

di mezzo un invisibile intruso.

'Lei penserà che diventavo matto?' riprese con tono diverso. 'E

non avrebbe torto, se si ricorda che avevo perduto il berretto. Il

sole mi batté per tutto intero il suo arco da est a ovest sul capo

nudo, ma si vede che quel giorno là non mi poteva succedere nulla.

Il sole non riuscì a farmi diventar matto... Col braccio destro

respinsi l'idea della pazzia... Né a uccidermi...' Di nuovo

ricacciò un'ombra col braccio... 'Questo dipendeva da me.'

'Davvero?' esclamai, profondamente stupito a questa svolta

inattesa, e guardandolo con l'espressione che sarebbe stata

naturale se Jim, fatta una piroetta, mi fosse riapparso col viso

d'un altro.

'Non mi presi un'insolazione, e nemmeno cascai morto,' proseguì.

'Non mi scomposi affatto per tutto quel sole che mi batteva sulla

testa. Riflettevo con la stessa calma di uno che, seduto

all'ombra, segua i suoi pensieri. Quel bestione sugnoso del

capitano spinse fuori il suo testone rasato di sotto la tela e

fissò su di me i suoi occhi di pesce. - Donnerwetter! Lei si

piglia un accidente -, brontolò, ritraendosi nel guscio come una

tartaruga. Lo avevo veduto. Lo avevo udito. Ma non mi mossi. Stavo

concludendo, proprio in quel momento, che non sarei morto.'

Cercò di sondare i miei pensieri lanciandomi un'occhiata

penetrante nel passarmi davanti. 'Lei vuol dire che stava

decidendo in se stesso, se morire o no?' domandai, col tono più

impenetrabile che mi riuscì di assumere. Annuì col capo senza

fermarsi. 'Sì, c'ero arrivato mentre stavo seduto là, da solo,'

disse. Fece qualche passo fino al limite immaginario della sua

marcia, e quando si voltò di scatto per tornare indietro, s'era

ficcato tutt'e due le mani in tasca fino in fondo. Si fermò di

colpo davanti alla mia poltrona e mi guardò dall'alto in basso:

'Non mi crede?' domandò con tesa curiosità. E mi sentii portato a

dichiarare solennemente d'esser pronto a credere implicitamente a

tutto ciò che gli fosse piaciuto di raccontarmi".

 

CAPITOLO 11.

"Mi stava a sentire con la testa inclinata da una parte, e fu per

me un'altra schiarita, come uno squarcio nella nebbia entro a cui

si muoveva la sua sostanza viva. Lo vedevo appena, alla luce

debole di una candela che sfrigolava nel suo globo di vetro;

dietro di lui la notte buia con le limpide stelle, il cui

scintillìo remoto attirava l'occhio attraverso una successione di

piani di tenebra sempre più fitta; e tuttavia una luce misteriosa

sembrava scoprirmi la sua testa di ragazzo, come se in quel

momento la gioventù che era in lui si fosse effusa in un attimo di

chiarore subito spento. 'E' proprio buono, lei, ad ascoltarmi

così,' disse. 'Mi fa bene. Non può sapere che significhi per me.

Lei non...' Parve non trovare le parole. Questa volta in un netto

chiarore vidi che era un giovanotto del tipo di quelli che ci

vediamo volentieri d'attorno; del tipo a cui ci piace immaginare

di aver somigliato un tempo; del tipo il cui aspetto richiama per

affinità illusioni che credevamo perdute, estinte, fredde, e che,

quasi riaccese dall'accostarsi di un'altra fiamma, danno ancora un

guizzo in qualche punto laggiù, laggiù... dal profondo; un guizzo

di luce... di calore!... Sì, ebbi una illuminazione di lui in quel

momento... e non fu l'ultima... 'Non può immaginare che significhi

per uno nella mia situazione essere creduto... poter raccontare

tutto a un più anziano. E' così difficile... così terribilmente

iniquo... così duro da capire.'

La nebbia si riaddensava. Non so quanto gli sembrassi vecchio... o

quanto saggio. Assai meno vecchio di quanto mi sentivo io in quel

momento; e assai meno saggio (di una saggezza inutile) di quanto

mi conoscevo. Certo, in nessun altro mestiere quanto nel

marittimo, il cuore di chi è già varato, per naufragare o per

restar a galla che sia, si sente più vicino ai giovani che guardan

dall'orlo con occhi accesi lo scintillare della vasta superficie,

che altro non è se non il riflesso dei loro sguardi infuocati. C'è

una così magnifica indeterminatezza nelle speranze che hanno

spinto ognuno di noi verso il mare, una così meravigliosa

indefinitezza, una così bella sete di avventure che hanno soltanto

in se stesse la loro ricompensa! Con che costrutto poi - beh,

lasciamo andare - ma esiste chi tra noi riuscirà a trattenere un

sorriso? In nessun altro genere di vita l'illusione è così lontana

dalla realtà... in nessun altro l'esordio è così tutto

illusione... e la delusione così pronta... così completo

l'asservimento. Non avevamo cominciato tutti con le stesse

aspirazioni, finito con la stessa esperienza, portato il ricordo

dello stesso incantesimo lungo le nostre giornate sordide

d'imprecazioni? Che meraviglia, dunque, se, quando capita addosso

qualche grossa tegola, ci si accorge che il legame resiste; che

oltre al senso di consorteria e di mestiere c'è la forza di un più

profondo sentimento... il sentimento che unisce un adulto a un

bambino. Era lì, davanti a me, fiducioso che l'età e la saggezza

possano trovare un rimedio contro lo squallore della verità e mi

rivelava in lui, di colpo, un giovanotto che si è messo in un

guaio che è l'anima dei guai, uno di quei guai davanti ai quali i

barbogi scuotono il capo solenni, nascondendo un sorriso. Dunque,

tra sé, aveva pensato alla morte... maledetto! Aveva trovato

questo bell'argomento da meditare, perché gli pareva di essersela

salvata la vita, dopo aver perduto tutta la sua aureola - quella

notte - insieme alla nave. Che c'era di più naturale? Piuttosto

tragico e buffo, in coscienza, quel chiedere a gran voce

compassione. Valevo io forse più degli altri per rifiutargli la

mia pietà? E già mentre ancora lo stavo guardando, la nebbia

riavvolse lo squarcio, e non udii più che la sua voce:

'Ero così sperso, capisce. Era una di quelle cose che uno non se

l'aspetta mai. Non come una battaglia, per esempio.'

'Infatti,' annuii. Sembrava cambiato, come se si fosse maturato

tutt'a un tratto.

'Non si poteva essere sicuri,' borbottò.

'Ah! Lei non era sicuro,' feci, placato però dall'alito di un

lieve sospiro che passò fra di noi come il fruscìo di un'ala nella

notte.

'Non ero sicuro,' ripeté deciso. 'Come quella storia meschina che

avevano inventato quei tre. Che non era una menzogna... ma non era

nemmeno la verità. Era una certa cosa... Una menzogna vera e

propria si riconosce. C'è meno d'un capello tra il bene e il male,

in questa faccenda.'

'Che voleva di più, lei?' chiesi; ma credo di averlo detto così

piano che, non afferrò le mie parole. Aveva sostenuto la sua tesi

come se la vita fosse un intreccio di sentieri separati da abissi.

La sua voce aveva un tono di convinzione.

'Mettiamo che io non avessi... insomma, mettiamo che io fossi

rimasto sulla nave. Bene. Per quanto tempo ancora? Diciamo un

minuto - mezzo minuto. Ecco. Dopo trenta secondi, come allora

sembrava certo, mi sarei trovato in acqua; e crede lei che non mi

sarei afferrato alla prima cosa che mi fosse capitata sottomano...

un remo, un salvagente, un pagliolo... qualunque cosa. Non lo

crede?' 'E si sarebbe salvato,' feci.

'Avrei cercato di salvarmi,' ribatté. 'E questo è più di quanto

intendevo fare quando...' rabbrividì come chi ingoia una droga

nauseabonda... 'quando mi buttai di sotto,' disse con uno sforzo

convulso che, quasi si propagasse in onde d'aria, mi fece

trasalire sulla poltrona. Mi fissò con occhi cupi. 'Non mi crede?'

esclamò. 'Lo giuro!... Accidenti! Mi ha fatto venir qui a parlare,

e... Lei deve! Deve credermi!... Lei ha detto che mi avrebbe

creduto.' 'Certo che le credo,' risposi con un tono naturale che

ebbe un effetto calmante. 'Mi scusi,' fece. 'Naturalmente non le

avrei parlato di tutto questo se lei non fosse un gentiluomo.

Avrei dovuto capire... Sono... sono... un gentiluomo anch'io...'

'Sì, sì,' dissi subito. Mi guardò dritto in faccia, poi lentamente

distolse lo sguardo. 'Ora capisce perché, dopo tutto, non... non

ho seguito la mia prima idea. Non volevo aver paura di quel che

avevo fatto. E, in ogni modo, se fossi rimasto sulla nave avrei

cercato con ogni mezzo di salvarmi. Si sa di gente che è rimasta a

galla per delle ore... in alto mare... e fu ricuperata in

condizioni abbastanza buone. Io avrei potuto resistere meglio di

tanti altri. Io il cuore ce l'ho sano.' Si tolse di tasca il pugno

destro, e il colpo che si diede sul petto risuonò nel buio come

una detonazione sorda.

'Già,' dissi. Meditava, con le gambe leggermente divaricate e il

mento sul petto. 'Un filo di rasoio,' borbottò. 'Un filo di

rasoio, fra questo e quello. E lì per lì...'

'E' difficile vedere un filo di rasoio a mezzanotte,' commentai

con un po' di veleno, forse. Lo capite che intendo io per

solidarietà di mestiere? Ero irritato contro di lui come se avesse

rubato a me... a me personalmente!... una splendida occasione per

confermare le illusioni dei miei primi tempi; come se avesse tolto

alla nostra vita comune l'ultima scintilla del suo splendore. 'E

così lei se n'è andato... subito.'

'Saltato di sotto,' corresse con tono deciso. 'Saltato... badi!'

ripeté, e io mi stupii dell'evidente, ma oscuro, sottinteso.

'Ebbene, sì! Forse non ci ho visto chiaro, sul momento. Ma poi

ebbi tanto tempo per schiarirmi bene le idee in quella scialuppa.

E per riflettere, anche. Nessuno ne avrebbe saputo nulla,

naturalmente, ma questo non migliorava la mia condizione. Lei deve

credermi anche in questo. Io non avevo in mente di far tutte

queste chiacchiere... No... Sì... non voglio mentire... Ne avevo

bisogno; era la cosa che desideravo di più... laggiù. Crede che

lei o chiunque altro avrebbe potuto obbligarmi se io... Non ho...

non ho paura di parlare. Come non avevo paura di riflettere. Ho

guardato bene le cose in faccia. Non intendevo scappare. Da

principio... durante la notte, non fosse stato per quegli uomini,

forse avrei... No! perdio! Non intendevo dar loro quella

soddisfazione. Si erano già spinti anche troppo. Avevano inventato

una storia, e, per quanto ne so, ci credevano. Ma io conoscevo la

verità e, giorno per giorno, con le mie sole forze, sarei riuscito

a sgretolarla ed a vincerla. Non intendevo cedere a una così

bestiale ingiustizia. Cosa provava, dopo tutto? Ero maledettamente

giù. Nauseato della vita... a dirle la verità; ma a cosa sarebbe

servito di sfuggirle in... in... quella maniera? Non era quella la

buona via. Credo... credo che non avrebbe... non avrebbe messo

fine... a nulla.'

Andava in su e in giù, ma a quest'ultima parola si volse di scatto

verso di me.

'Che ne pensa, lei?' domandò con violenza. Seguì una pausa, e a un

tratto mi sentii carico di una stanchezza profonda e disperata,

come se la sua voce mi avesse strappato fuori da un vagare, in

sogno, fra gli spazi vuoti di una immensità che mi torturava

l'anima e mi estenuava il corpo.

'... non avrebbe messo fine a nulla,' insisté dopo un poco,

borbottando, dominandomi con la persona. 'No! Non c'era altro da

fare che affrontar tutto questo... da me solo... aspettare

un'altra occasione... scoprire...'".

 

 

 

CAPITOLO 12.

"Intorno, tutto era silenzio fin dove si arrivava coll'udito. La

nebbia dei sentimenti di Jim che stagnava tra noi, ora, come se

l'avessero agitata gli sforzi di lui, si franse, e negli squarci

di quel velo immateriale, egli apparve ai miei occhi fissi netto

nei suoi contorni e carico di un fascino vago, come una figura

simbolica in un quadro. Il rigore della notte mi pesava addosso

come una lastra di marmo.

'Capisco,' mormorai, più che altro per provare a me stesso che ero

in grado di rompere quel mio stato di torpore.

'L'Avondale ci raccolse poco prima del tramonto,' osservò con aria

imbronciata. 'Filò dritto su di noi. Non avemmo che da star ad

aspettarlo, seduti.'

Dopo un lungo intervallo, soggiunse: 'Gli altri raccontarono la

loro storiella.' Seguì un altro silenzio opprimente. 'Soltanto

allora capii la portata della mia decisione,' fece poi.

'Lei non disse nulla,' mormorai.

'Che potevo dire?' domandò, anche a lui a bassa voce... 'Urto

leggero. Fermata la nave. Accertato il danno. Prese le misure

necessarie per mettere in mare le scialuppe senza creare panico.

Mentre si calava la prima, la nave, presa in un nembo, andò giù.

Affondò come piombo... Che poteva esserci di più chiaro...'

abbassò il capo... 'e di più orribile?' Gli tremarono le labbra

mentre mi fissava dritto negli occhi. 'Mi ero buttato giù... non è

vero?' domandò, sgomento. 'Ecco cosa dovevo scancellare con la mia

vita. La storiella non contava...' Giunse le mani un attimo,

gettando uno sguardo a destra e a sinistra nel buio. 'Era come

ingannare i morti,' balbettò.

'E morti non ce n'erano,' feci.

A queste parole svanì. Non posso altrimenti dare un'idea del suo

movimento. Vidi a un tratto la sua schiena contro la balaustra.

Rimase un poco lì, quasi ammirasse quella purezza e quella pace

della notte. Qualche cespo fiorito, dal giardino di sotto, esalava

il suo profumo potente nell'aria umida. Tornò dietro a passi

affrettati.

'E neanche questo contava niente,' disse, testardo come un mulo.

'Può darsi,' ammisi. Cominciavo a dubitare se non fosse lui più

forte di me. Dopo tutto, che ne sapevo?

'Morti o non morti, non potevo cavarmela così,' disse. 'Dovevo pur

continuare a vivere, no?'

'Beh, sì... se la prende da questo lato,' mormorai.

'Naturalmente fui ben contento,' gettò lì con indifferenza, con la

mente fissa altrove... 'della chiarificazione,' soggiunse

lentamente; e alzò il capo. 'Sa lei quale fu il mio primo pensiero

quando seppi? Un senso di sollievo. Di sollievo nel sapere che

quelle grida... le ho detto che avevo udito delle grida? No? Beh,

le avevo udite. Grida di aiuto... portate dal vento con la

pioggia. Immaginazione, suppongo. Eppure, mi sarebbe difficile...

Che stupidaggine... Gli altri non le avevano udite. Glie lo

domandai, dopo. Dissero tutti di no. No? E io le udivo ancora!

Avrei dovuto capire... ma non facevo riflessioni... ascoltavo

soltanto. Fievolissime grida... giorno per giorno. Poi quel

piccolo meticcio mi si avvicinò e mi parlò.- Il Patna... una

cannoniera francese... riuscita a rimorchiarlo fino a Aden...

Indagine... Capitaneria di porto... Casa del Marinaio... Tutto

sistemato. Vitto e alloggio! - Lo seguii, contento del silenzio,

finalmente. Dunque non c'erano state grida. Immaginazione.

Bisognava credergli. Non udivo più nulla. Mi domandavo per quanto

tempo avrei potuto reggerci. Di male in peggio... sì, voglio dire,

sempre più forti...'

Si immerse nei suoi pensieri.

'E invece non avevo udito nulla! Bene. E sia. Ma i fanali? I

fanali erano scomparsi! Non li abbiamo visti più. Se li avessimo

visti ancora, sarei tornato indietro fino alla nave a gridare. Li

avrei scongiurati di riprendermi a bordo... Avrei riavuto una

possibilità di salvezza... Lo mette in dubbio?... Come può sapere

quello che sentivo io? Che diritto ha di dubitare?... Anche così

fui sul punto di farlo... capisce?' Poi, a voce più bassa: 'Non

c'era nemmeno una luce... neppur l'ombra...' protestò lugubre.

'Non capisce che se ci fosse stato anche un barlume lei, adesso,

non mi vedrebbe qui? Mi vede qui... e dubita?'

Negai col capo. Quella faccenda dei fanali scomparsi alla vista

quando la scialuppa non poteva essere a più d'un quarto di miglio

dalla nave, offriva molta materia di discussione. Jim si teneva

fermo alla versione che non si era visto più niente dopo il primo

acquazzone; e gli altri avevano confermato la cosa davanti agli

ufficiali dell'Avondale. Naturalmente la gente scuoteva il capo e

sorrideva. Un vecchio capitano seduto vicino a me in tribunale mi

fece il solletico nell'orecchio con la sua barba bianca per

mormorare: 'E' naturale che mentiscano.' In realtà non avevano

mentito affatto; nemmeno il capo macchinista con la sua storia del

fanale che aveva fatto una traiettoria come un fiammifero buttato

via. Per lo meno, non aveva mentito in mala fede. Un uomo col

fegato in quello stato può benissimo aver veduto una luminella

all'angolo dell'occhio nel volgere una rapida occhiata alle sue

spalle. Non videro luci di nessun genere pur essendo tanto vicini;

e non se lo seppero spiegare che in un modo solo: la nave era

affondata. Era consolante certezza. E la immediatezza onde la loro

previsione si era avverata aveva giustificato la loro

precipitazione. Naturale che non si fossero indugiati in cerca di

altre ipotesi. Eppure la vera era la più semplice, e appena

Brierly l'ebbe accennata alla Corte, cessò ogni discussione su

quel punto. Se ricordate, la nave era ferma, con la prua sulla

rotta seguìta fino a quel momento, con la poppa sollevata e la

prua ingavonata per l'allagamento del quadrato prodiero. Essendo

così in panna, quando il nembo la investì da poppa, virò

rapidamente prua a vento come se fosse stata all'àncora. Questo

giro di posizione nascose in un batter d'occhio tutti i fanali

dalla vista della scialuppa, di sottovento. Può darsi benissimo

che, se fossero stati visibili, quei fanali avrebbero avuto

l'effetto di una muta invocazione - la loro luce solitaria, contro

l'oscurità della nuvolaglia, avrebbe forse avuto il misterioso

potere di uno sguardo umano, capace di risvegliare il senso del

rimorso e della pietà. Avrebbe detto: 'Sono qui - ancora qui...' e

cosa può dire di più l'occhio del più abbandonato essere umano? Ma

la nave voltò le spalle come per disprezzo della loro sorte: aveva

virato di bordo, col suo peso d'acqua, a contemplare ostinatamente

con sguardi accesi sul mare aperto il pericolo a cui doveva

sopravvivere in un modo così impensato, per terminare i suoi

giorni in un cantiere di demolizione, come se fosse stato

stabilito dal destino che dovesse fare una morte oscura sotto i

colpi di tanti martelli. Quale fine avesse riservato la sorte ai

pellegrini, non sono in grado di dirlo io; ma il loro immediato

avvenire portò sul luogo, alle nove circa del mattino dopo, una

cannoniera francese che rimpatriava, proveniente da Réunion. Il

rapporto del suo comandante era di dominio pubblico. Aveva

dirottato alquanto per vedere cosa fosse successo a quel piroscafo

che navigava paurosamente appruato su un fosco mare in bonaccia.

C'era una bandiera nazionale capovolta che sventolava sul suo

picco di maestra (il serang aveva avuto il buon senso di metter

questo segnale di pericolo appena giorno); ma i cuochi stavano

preparando come al solito il cibo nelle cassette di cottura a

prua. I ponti erano gremiti come stazzi di pecore; c'era gente

arrampicata su tutti i bastingaggi, stipata sul ponte di comando

in massa compatta; centinaia d'occhi fissavano la cannoniera, e

non si udì una voce mentre questa si dirigeva sul Patna, come se

quel mucchio di labbra fosse stato sigillato da un incantesimo.

Il comandante chiamò, e non avendo ricevuto risposta

intelligibile, dopo essersi accertato col binocolo che la folla

sul ponte non aveva l'aria di essere appestata, decise di mandare

una scialuppa. Due ufficiali salirono a bordo, ascoltarono il

serang, tentarono di parlar con l'Arabo, ma non riuscirono a

levare un ragno dal buco; comunque, la natura del pericolo era

abbastanza evidente. I Francesi rimasero anche molto colpiti nel

vedere un bianco morto, tranquillamente raggomitolato sul ponte di

comando. 'Fort intrigués par ce cadavre,' come mi disse molto

tempo dopo un tenente anziano che incontrai a Sidney, per uno

stranissimo caso, in una specie di caffè, e che si ricordava

benissimo dell'incidente. In realtà quella faccenda, detto tra

parentesi, aveva una straordinaria potenza per sfidare la brevità

della memoria e la lunghezza del tempo: sembrava persistere con

una sorta di vitalità dispettosa nella mente e sulla lingua degli

uomini. Ho avuto il dubbio piacere di risentirla spesso, anni più

tardi, a migliaia di miglia di distanza, emergere dai discorsi

meno attinenti, portata alla superficie dalle allusioni più

lontane. Non è forse venuta a galla anche stasera fra noi? E io

sono il solo uomo di mare, qui. Sono il solo per il quale questa

storia rappresenti un ricordo. Eppure ha trovato la via per saltar

fuori! Se due uomini al corrente della faccenda, ma all'insaputa

uno dell'altro, si fossero incontrati per puro caso in un punto

qualunque della terra, era immancabile come il destino che questa

cosa, prima di separarsi, venisse in ballo tra loro. Non avevo mai

conosciuto quel Francese, e un'ora dopo avevamo già chiuso i

nostri rapporti per tutta la vita: non sembrava nemmeno molto

comunicativo: era anzi un tipo tranquillo, massiccio, con la

divisa ciancicata, seduto, sonnacchioso, davanti a un mezzo

bicchiere di un liquido scuro. Aveva le controspalline un po'

opache, guance ben rasate larghe e pallidicce: sembrava un tipo da

fiutar tabacco - sapete? Non dico che ne fiutasse davvero: ma che

a un tipo così quell'abitudine sarebbe stata in carattere.

Cominciò così: lui mi porse attraverso il tavolino di marmo un

numero del Home News che non m'interessava affatto. Dissi:

'Merci.' Scambiammo qualche frase apparentemente senza importanza,

e a un tratto, prima di poter sapere com'era successo, eravamo

entrati in pieno nella faccenda del Patna, e quegli mi stava

raccontando come 'erano rimasti perplessi di fronte a quel

cadavere.' Risultò che lui era uno degli ufficiali saliti a bordo.

In quel locale c'era una gran varietà di bibite straniere, per gli

ufficiali di marina di passaggio, e il mio compagno bevve un sorso

di quella roba scura, dall'aspetto medicinale, che probabilmente

era un innocente cassis à l'eau; poi, gettando con un occhio solo

uno sguardo nel bicchiere, scosse leggermente la testa.

'Impossible à comprendre - vous concevez,' disse, con una strana

mistura di indifferenza e di riflessione. Potevo agevolmente

rendermi conto di come fosse stato impossibile per loro capire.

Nessuno sulla cannoniera sapeva tanto l'inglese da seguir la

storia raccontata, a modo suo, dal serang. E si faceva anche un

gran baccano attorno ai due ufficiali. 'Molti li avevamo tra i

piedi; altri stavano in cerchio intorno al morto (autour de ce

mort)' raccontò. 'C'era da badare a cose più urgenti. Quella gente

cominciava ad agitarsi... Parbleu! Una folla così... capisce?'

esclamò con filosofica indulgenza. Quanto alla paratìa, lui aveva

detto al comandante che la cosa migliore era di lasciarla stare,

tanto aveva un'aria malsicura. Portarono immediatamente (en toute

hâte) a bordo due gherlini, e presero il Patna a rimorchio - per

la poppa! - il che, data la situazione, non era poi una

sciocchezza, ché il timone, un bel po' fuori dell'acqua, non

poteva servire gran che a governare, e questa manovra alleggeriva

lo sforzo della paratìa, il cui stato, come mi spiegò con

loquacità volubile, voleva le massime precauzioni (exigeait les

plus grands ménagements). Non potevo fare a meno di pensare che la

mia nuova conoscenza doveva aver avuto una parte consultiva in

quasi tutte codeste operazioni: sembrava un ufficiale degno di

fiducia, non più molto agile, ma d'aspetto in certo modo assai

marinaresco, benché, mentre sedeva lì, con le grosse dita

intrecciate sul ventre, facesse venire in mente uno di quei preti

di campagna tabaccosi e tranquilli, nelle cui orecchie si

riversano peccati, sofferenze, rimorsi di generazioni di

contadini, e la cui espressione placida e semplice è come un velo

gettato sul mistero di tanti dolori e miserie. Avrebbe dovuto

indossare una soutane nera e consunta, liscia, abbottonata fino

all'ampio mento, invece della finanziera con le controspalline e i

bottoni d'ottone. Il suo largo petto si sollevava regolarmente,

mentre seguitava a raccontarmi che era stato un lavoro del

diavolo, come certamente (sans doute) potevo figurarmi, nella mia

qualità d'uomo di mare (en vôtre qualité de marin). Alla fine

della frase curvò appena il corpo verso di me, e, spingendo un

poco in fuori le labbra rasate, cacciò una specie di sibilo. 'Per

fortuna,' soggiunse, 'il mare era liscio come questa tavola e non

c'era più vento che qui...' In realtà il locale sapeva di chiuso

in un modo intollerabile; faceva molto caldo; il viso mi bruciava

come se fossi stato tanto giovane da arrossire di imbarazzo.

Avevano fatto rotta, continuò, verso il porto inglese più vicino

'naturellement,' dove si scaricarono di quella responsabilità

'Dieu merci...' Gonfiò un poco le guance piatte... 'Perché, badi

(notez bien) durante tutta l'operazione due quartiermastri

rimasero piazzati con delle ascie vicino ai gherlini, pronti a

liberarci dal rimorchio nel caso che...' Abbassò lentamente le

palpebre pesanti, rendendo di piena evidenza il proprio

pensiero... 'Che vuole! Si fa quel che si può (on fait ce qu'on

peut)' e per un momento riusci a permeare di un'aria di

rassegnazione la sua poderosa immobilità. 'Due quartiermastri per

trenta ore - sempre lì. Due!' ripeté, alzando un poco la destra e

mostrando due dita. Era il primo gesto che gli vedevo fare, e mi

fornì l'occasione di osservare una cicatrice a stella sul dorso

della mano - prodotta evidentemente da pallottola di fucile; e

come se mi si fosse acuita la vista per questa scoperta, mi

accorsi anche della sutura di una vecchia ferita, che partendo da

un po' sotto la tempia andava a perdersi tra i corti capelli grigi

da un lato della testa - il solco di una lancia o il taglio di una

sciabola. Di nuovo intrecciò le mani sul ventre. 'Rimasi a bordo

di quel, di quel... la mia memoria se ne va (s'en va). Ah! Patt-

nà. C'est bien ça. Patt-nà. Merci. E' buffo come svanisce la

memoria. Rimasi a bordo trenta ore...'

'Davvero!' esclamai. Sempre guardandosi le mani, strinse un poco

le labbra ma senza fischiare, stavolta. 'Parve opportuno,' disse

sollevando pacato le sopracciglia, 'che uno degli ufficiali

rimanesse lì a tener d'occhio (pour ouvrir l'oeil...)' sospirò a

caso... 'e per i segnali di collegamento con la cannoniera...

capisce... E anch'io ero d'accordo. Mettemmo le nostre scialuppe

in posizione di ammaraggio... e anch'io su quel piroscafo avevo

preso le opportune misure... Enfin! Si è fatto il possibile. Era

una posizione delicata. Trenta ore. Mi prepararono da mangiare.

Quanto al vino... col binocolo!... nemmeno una goccia.' Io non so

per che straordinaria maniera, senza nessun percettibile mutamento

nel suo aspetto inerte e nella placida espressione del suo volto,

riuscì a dare l'idea di un profondo disgusto. 'Io... sa... quando

si tratta di mangiare senza il mio bicchiere di vino... non mi ci

ritrovo.'

Temevo che l'avrebbe fatta lunga sul tema di quel torto patito;

perché, pur senza muovere membro né batter ciglio, riusciva a

manifestare l'alto grado di irritazione che gli suscitava quel

ripensamento. Ma poi sembrò dimenticarsene del tutto. Consegnarono

il loro ricupero alle 'autorità portuali' come disse lui. Era

rimasto colpito dalla calma con cui lo ricevettero. 'Si sarebbe

detto che di questi buffi oggetti rinvenuti (drôle de trouvaille)

ne ricevessero in consegna uno tutti i giorni. Siete straordinari

- voialtri,' commentò, con la schiena appoggiata al muro,

mostrando a sua volta l'aspetto di un essere incapace di reazioni

emotive quanto un sacco di farina. C'era per caso una nave da

guerra e un piroscafo della marina indiana in porto in quel

momento, e il Francese non nascose la sua ammirazione per la

sveltezza onde le scialuppe delle due navi liberarono il Patna dei

suoi passeggeri. In verità, con quel suo aspetto torpido non

lasciava nulla inespresso: aveva quei potere misterioso, quasi

miracoloso, di raggiungere effetti impressionanti con mezzi

impercettibili; che è il non plus ultra della grande arte.

'Venticinque minuti - orologio alla mano - venticinque, non

più...' Aprì e intrecciò di nuovo le dita senza togliere le mani

di sul ventre, arrivando a un effetto molto più efficace che se

avesse alzato le braccia al cielo in gesto di stupore... 'Tutta

quella gente (tout ce monde) a terra... con le loro carabattole...

a bordo soltanto una squadra di marinai (marins de l'Etat) e

quell'interessante cadavere (cet intéressant cadavre)...

Venticinque minuti...' Con gli occhi bassi e la testa un tantino

piegata da una parte, sembrava assaporarsi da conoscitore, tra

lingua e palato, una fettina di quella brillante operazione. Dava

la persuasione in tale modo, senz'altro segno, che il suo

gradimento era di gran peso, e, riassumendo quella sua immobilità

che non aveva quasi mai interrotto, riprese a parlare per

informarmi che, avendo ricevuto l'ordine di recarsi a Tolone al

più presto, ripartirono meno di due ore dopo, 'talché (de sorte

que) molte cose in questo episodio della mia vita (dans cet

épisode de ma vie) mi sono poi rimaste oscure.'".

CAPITOLO 13.

"Dopo queste parole, e senza mutar posizione, egli, per così dire,

si sottomise a uno stato di silenzio passivo. Gli tenni compagnia;

e ad un tratto, ma non in modo brusco, come se fosse giunto il

momento prestabilito per far uscire dal chiuso la sua voce calma e

roca, esclamò: 'Mon Dieu! come passa il tempo!' Nulla poteva

essere più banale di questa osservazione; ma venne a sorprendermi

in un momento di visione. E' straordinario: noi passiamo

attraverso la vita con gli occhi semichiusi, con le orecchie

ovattate, col pensiero addormentato. Forse è meglio così; e può

darsi che sia proprio questo attutimento dei sensi a far la vita

sopportabile e gradita alla stragrande maggioranza della gente.

Tuttavia, ben pochi di noi non avranno mai vissuto uno di quei

rari momenti di risveglio, quando viviamo ascoltiamo,

comprendiamo tante cose - tutte - in un lampo prima di ricadere

nella nostra dolce sonnolenza. A quelle sue parole alzai gli occhi

e lo vidi come per la prima volta. Vidi il suo mento abbassato sul

petto, le goffe pieghe della sua giacca, le sue mani giunte, la

sua immobilità che dava la stranissima idea di un oggetto

abbandonato lì. Ne era passato davvero tanto, del tempo: e lo

aveva raggiunto e sorpassato, lasciandoselo irrimediabilmente alle

spalle, con pochi, poveri doni: i capelli grigio-ferro, la pesante

stanchezza del viso abbronzato, due cicatrici, un paio di

controspalline che avevano perso il lustro; uno di quegli uomini

solidi, di fiducia, che sono la materia prima delle grandi

reputazioni; una di quelle vite che non si calcolano, che si

seppelliscono senza tamburi né trombe sotto le fondamenta dei

successi monumentali. 'Ora sono capitano di corvetta sulla

Victorieuse,' (era l'ammiraglia della squadra francese del

Pacifico in quel periodo), disse, staccando di cinque centimetri

le spalle dal muro per presentarsi. M'inchinai leggermente dalla

mia parte del tavolo, dicendogli che comandavo una nave mercantile

ancorata in quel momento nella Rushcutters' Bay. L'aveva

'rimarcata': un bel bastimentino. Pur nella sua impassibilità, su

questo argomento fu molto gentile con me. Mi pare che arrivasse

perfino a muovere la testa per complimento, mentre ripeteva a

bassissima voce 'Ah sì. Un bastimentino verniciato di nero...

molto carino... molto carino (très coquet)'. Dopo un po' fece una

lenta conversione per volgersi alla porta a vetri sulla nostra

destra. 'Città malinconica (Triste ville)' osservò, fissando la

strada. Era una giornata luminosa; faceva vento di scirocco:

vedevamo i passanti, uomini e donne, schiaffeggiati dalla buriana

lungo i marciapiedi, e le facciate solatìe delle case di fronte

seminascoste dagli alti mulinelli di polvere. 'Ero sceso a terra,'

disse, 'per sgranchirmi un po' le gambe, ma...' S'interruppe, e

ricadde nelle profondità del suo riposo. 'Mi dica un po', scusi,'

riprese, risalendo faticosamente alla superficie. 'Che c'era

precisamente (au juste) in fondo a quella faccenda? Curiosa cosa!

Quel cadavere, per esempio... e tutto quanto.'

'E i vivi,' risposi. 'Qualcuno, anche molto più strano del morto.'

'Senza dubbio, senza dubbio,' annuì come un soffio; poi, quasi

dopo matura riflessione, mormorò: 'Evidentemente.' Non ebbi

difficoltà a comunicargli quel che più mi aveva colpito nella

faccenda. Mi sembrava che avesse il diritto di saperlo: non aveva

passato trenta ore sul Patna - non ne aveva, per così dire,

raccolto l'eredità, non aveva fatto 'il possibile?' Mi ascoltò

con un aspetto più sacerdotale che mai e con un'aria probabilmente

per via di quei suoi occhi bassi - di devoto raccoglimento. Una o

due volte sollevò le sopracciglia (ma senza alzare le palpebre)

come uno che dicesse 'Diavolo!' Una volta esclamò con calma: 'Ah,

bah!' sottovoce, e quando ebbi terminato spinse le labbra in fuori

con decisione emettendo un leggero sibilo di pena.

In qualunque altra persona questo avrebbe significato uno stato di

noia, un segno d'indifferenza; ma lui, col suo metodo misterioso,

riuscì a dare alla sua immobilità un profondo senso di risposta,

piena di pensieri importanti come un uovo è pieno di sostanza. Ciò

che disse alla fine non fu che un 'molto interessante' pronunciato

con cortesia, e poco più forte di un sussurro. Prima che mi fossi

rimesso dalla mia delusione, soggiunse, come parlando fra sé:

'Già. Proprio così.' Il mento sembrò sprofondarglisi ancor più nel

petto, il suo corpo pesare ancor più sulla sedia. Stavo per

domandargli che intendesse dire, quando una specie di tremito

preparatorio lo trascorse per tutta la persona, come quella

leggera increspatura che si scorge sulle acque di uno stagno prima

che si metta il vento. 'E così quel povero giovanotto se ne scappò

con gli altri,' disse, con pacata severità.

Non so che cosa mi fece sorridere: è l'unico mio sorriso sincero

che ricordi in tutta questa storia di Jim. Comunque, anche questa

semplice dichiarazione suonava buffa, in francese... 'S'est enfui

avec les autres,' aveva detto il tenente. E a un tratto cominciai

ad ammirare la prontezza di quell'uomo, che aveva colto subito il

punto della questione; aveva afferrato subito l'unica cosa per me

importante. Mi parve di essere a consulto da un avvocato. La sua

maturità calma e imperturbabile era quella di un esperto in

possesso dei fatti, per il quale le perplessità altrui non sono

che giochi di bambini. 'Ah! la gioventù, la gioventù,' disse con

indulgenza. 'E dopo tutto, di questo non si muore.' 'Di che cosa

non si muore?' domandai subito. 'Di paura.' Chiarito il suo

pensiero, buttò giù un sorso della sua bibita.

Mi accorsi che il medio, l'anulare e il mignolo della sua mano

ferita erano rigidi e senza facoltà di movimento autonomo, sicché

teneva il bicchiere in modo un po' sgraziato. 'Si ha sempre paura.

Si può discorrere quanto si vuole, ma...' Posò il bicchiere... 'La

paura, la paura... badi... è sempre qui...' Si toccò il petto

vicino a uno dei bottoni di metallo, proprio nel punto dove Jim si

era dato una manata quando aveva dichiarato che il suo cuore era

sanissimo. Mi sfuggì forse un moto di dissenso, perché insistette:

'Sì! Sì! Si discorre, si discorre; va tutto benissimo, ma alla

resa dei conti uno non è più intelligente di un altro... e nemmeno

più coraggioso. Coraggioso! Questo resta sempre da vedersi. Ho

viaggiato un mucchio (roulé ma bosse)' disse, usando quel termine

del gergo con imperturbabile serietà in tutte le parti del mondo;

'ho conosciuto uomini coraggiosi - alcuni celebri addirittura.

Allez!...' Bevve con aria indifferente... 'Coraggiosi... lei lo

capisce... in servizio... bisogna esserlo... lo richiede il

mestiere (le métier veut ça). No?' Si volse a me in tono calmo.

'Eh bien! Ognuno di loro - dico ognuno di loro, se fosse stato

sincero - bien entendu - avrebbe confessato che c'è un punto c'è

un punto - per il più in gamba di noi - c'è più in qua o più in là

il punto che si lascia andare ogni cosa (vous lâchez tout). E

bisogna vivere con questa certezza... Capisce? In certe date

coincidenze di casi, la paura non può mancare. Una fifa terribile

(un trac épouvantable). E anche per coloro che non credono a

questa verità, la paura c'è ugualmente... la paura di se stessi.

Non si scappa. Creda a me. Sì. Sì... Alla mia età si parla a

ragion veduta... que diable!...' Aveva scodellato tutto ciò nella

sua immobilità, come un portavoce della saggezza astratta; ma a

questo punto accrebbe quel senso di distacco mettendosi a girare

lentamente i pollici. 'E' chiaro... parbleu!' riprese; 'perché, ha

voglia uno di essersi preparato l'animo, basta un semplice mal di

capo o una indisposizione di stomaco (un dérangement d'estomac)

a... Guardi me, per esempio... io ne ho passate abbastanza... Eh

bien! Io che le parlo, una volta...'

Scolò il bicchiere, e poi riprese a far girare i pollici. 'No, no;

non si muore di questo,' dichiarò con aria conclusiva; e quando

capii che non intendeva continuare il racconto del suo fatto

personale rimasi estremamente deluso; tanto più che eravamo in un

campo che, si sa, non è mai il caso di spingere la gente a

confidarsi. Rimasi in silenzio, e anche lui; come se niente

potesse riuscirgli più gradito. Erano fermi, adesso, perfino i

suoi pollici. A un tratto cominciò a muovere le labbra. 'E' così,'

riprese, placidamente. 'L'uomo nasce vigliacco (L'homme est né

poltron). E' una difficoltà parbleu! Altrimenti sarebbe troppo

facile. Ma l'abitudine... la necessità... capisce?... l'occhio

degli altri... voilà. Ci si vince. E poi l'esempio degli altri,

che non valgono più di noi, eppure si tengono su...'. Tacque.

'Quel giovane - lei lo avrà notato - non aveva di questi

stimolanti... almeno in quel momento,' osservai.

Alzò le sopracciglia con aria benevola. 'Non dico, non dico. Il

giovanotto in questione poteva avere le migliori qualità - le

migliori ,' ripeté ansando un poco.

'Sono contento di vedere che lei considera la cosa con tanta

indulgenza", dissi. "I sentimenti di quel giovane, in materia,

erano... ah!... ottimisti, e...'

Lo stropiccìo dei suoi piedi sotto la tavola m'interruppe. Tirò su

le palpebre pesanti. Tirò su, dico - nessun'altra espressione

potrebbe descrivere la calma decisa dell'atto - e finalmente mi si

rivelò del tutto. Mi stavano addosso due cerchietti grigi,

stretti, come due minuscoli anelli di acciaio intorno al nero

carico delle pupille. Quello sguardo acuto, da quel corpo

massiccio, dava un senso di estrema potenza, come un'affilatura di

rasoio su un'ascia da battaglia. 'Domando scusa, disse con un po'

di pedanteria. Alzò la mano destra e si piegò in avanti. 'Mi

permetta... Sostenevo che si può vivere sapendo benissimo che il

coraggio non viene da sé (ne vient pas tout seul). In questo non

c'è nulla di male. Una verità di più non sarà quella che rende la

vita impossibile... Ma l'onore - l'onore, monsieur!.. . L'onore...

quella è una realtà. .. quella! E che valore può aver la vita

quando,'... si alzò in piedi con pesante impeto, come un bue

spaventato si tira su dall'erba... 'quando l'onore se n'è andato -

ah! ça par exemple - non posso esprimere una opinione. Non posso

esprimere un'opinione... perché... monsieur - non ne so nulla.'

Mi ero alzato in piedi anch'io, e, sforzandoci di manifestare la

più gran cortesia con i nostri atteggiamenti restammo l'uno di

fronte all'altro, muti, come due cani di porcellana su un

caminetto. Al diavolo anche quello lì! Aveva bucato la bolla di

sapone. Il demone della futilità che tende l'agguato ai discorsi

degli uomini era piombato in mezzo alla nostra conversazione,

riducendola a una vuota discussione di suoni. 'Benissimo,' dissi,

con un sorriso impacciato. 'Ma forse basterebbe non essere

scoperti?' Fece il gesto di ribattere subito, ma quando parlò

aveva cambiato idea. 'Questo, monsieur, è troppo sottile per me -

mi supera di molto - non ci voglio pensare.' S'inchinò

profondamente, tenendo il suo berretto davanti a sé, per la punta,

fra il pollice e l'indice dalla mano ferita. Mi inchinai anch'io.

Ci inchinammo insieme uno di fronte all'altro con gran strusciar

di piedi e salamelecchi, sotto gli occhi d'una specie di cameriere

bisunto che ci osservava con aria di critico, come se avesse

pagato il biglietto per quello spettacolo. 'Serviteur,' disse il

Francese. Un'altra strisciatina di piedi. 'Monsieur...'

'Monsieur...' La porta a vetri si richiuse dietro alla sua schiena

voluminosa. Vidi la sciroccata investirlo e portarselo via col

vento in poppa, una mano sulla testa, le spalle squadrate, e le

falde della giacca appiccicate alle gambe.

Tornai a sedermi, solo e scoraggiato - scoraggiato per il caso di

Jim. Non vi meravigliate che dopo più di tre anni la faccenda

fosse ancora presente al mio spirito. Jim, io lo avevo riveduto

poco prima. Venivo dritto da Samarang dove avevo fatto carico per

Sydney: un affare privo assolutamente di interesse - una di quelle

cose che Carletto, qui, chiamerebbe una delle mie transazioni

razionali: e a Samarang avevo visto Jim. Lavorava allora per De

Jongh, su mia raccomandazione. Commissionario marittimo. 'Il mio

commesso galleggiante,' lo chiamava De Jongh. Non potete

immaginare vita più povera di consolazioni, con meno possibilità

di rallegrarsi per una scintilla di bellezza. Soltanto quella di

un agente di assicurazioni è peggiore. Il piccolo Bob Stanton -

Carletto, qui, lo conosceva bene - ci è passato. Parlo di quel Bob

che annegò nel tentativo di salvare una cameriera nel naufragio

del Sephora: quel caso di collisione- ve lo ricorderete certo -

una mattina di nebbia lungo la costa spagnola. Tutti i passeggeri

erano stati sistemati a dovere nelle scialuppe e spinti lontano

dalla nave, quando Bob tornò ancora sottobordo e si arrampicò sul

ponte a riprendere quella ragazza. Come mai l'avessero

dimenticata, non so capacitarmene; comunque, era impazzita: non

voleva abbandonare la nave - si reggeva al bastingaggio con tutte

le sue forze. Dalle scialuppe questa lotta si vedeva benissimo; ma

il povero Bob era il più basso di statura degli ufficiali in prima

di tutta la marina mercantile: e la donna, alta un metro e

settantacinque, pare che fosse robusta come un accidente. Così,

tira di qua, e tira di là; e quella disgraziata che urlava senza

tregua, e Bob che ogni tanto dava uno strillo per raccomandare

alla scialuppa di tenersi lontana dalla nave. Uno dei marinai mi

raccontò, sorridendo al ricordo: 'Sembrava proprio, signore, un

bambino cattivo alle prese con la mamma.' Aggiunse: 'Alla fine

vedemmo che il signor Stanton aveva rinunciato all'idea di staccar

la donna dal bastingaggio, e si teneva semplicemente vicino a lei,

come in osservazione. Pensammo poi che doveva aver fatto calcolo

sulla forza del mare, che forse, dopo, l'avrebbe strappata di lì

dandogli modo di salvarla. Avvicinarci noi sottobordo, neanche a

dirlo: difatti, poco dopo, la vecchia nave, dopo una sbandata a

dritta, andò giù di colpo: plop! Il risucchio fu una cosa

terribile. Non vedemmo tornar a galla niente: né vivo né morto.'

Il periodo di vita a terra del povero Bob fu, credo, un episodio

d'un suo affare di cuore. Sperava seriamente di averla finita per

sempre col mare, e gli pareva di toccare il cielo con le dita, ma

alla fine dovette acconciarsi a un lavoro duro. Il posto glie

l'aveva trovato un suo cugino di Liverpool. Ci raccontava sempre

quanto aveva tribolato a far quel mestiere. Ci faceva ridere fino

alle lagrime e, incoraggiato dal successo, piccolo com'era e

barbuto fino alla cintura come uno gnomo, si alzava sulla punta

dei piedi in mezzo a noi, e diceva: 'Ridete pure, voialtri, ma la

mia anima immortale si riduceva alle proporzioni di un pisello

secco, dopo una settimana di quel lavoro.' Non so come si

adattasse la natura di Jim alle sue nuove condizioni di vita -

avevo già dovuto sudar sangue per trovargli un'occupazione che gli

conservasse l'anima in corpo ma sono convinto che la sua fantasia

avventurosa ha dovuto soffrire tutte le pene dell'inedia non

avendo certamente di che nutrirsi nel suo nuovo impiego. Faceva

pena vederlo lavorare, benché ci si mettesse con una serena

pertinacia degna di ogni rispetto. Tenevo d'occhio la sua costanza

in quel noioso lavoro, che mi pareva una forma di punizione per le

fanfaronate della sua fantasia - un castigo per la sua aspirazione

a una bellezza per la quale non gli sarebbero bastate le forze.

Gli era troppo piaciuto immaginarsi come un magnifico cavallo da

corsa; e ora era condannato a faticar senza gloria come il ciuco

d'un erbivendolo. Era bravissimo. Si chiudeva in se stesso,

abbassava la testa, e non diceva mai una parola. Bene; benissimo -

eccetto quando tornava disgraziatamente a galla l'insopprimibile

storia del Patna, ché allora scoppiavano scenate fantastiche e

violente. Per sua sventura, quello scandalo dei mari d'Oriente era

duro a morire. E perciò non avevo mai la sensazione di averla

finita con Jim.

Rimasi seduto pensando a lui dopo che l'ufficiale francese se ne

fu andato; però non lo rivedevo nel retrobottega fresco e

malinconico di De Jongh, dove ci eravamo stretti la mano qualche

tempo prima, ma come tre anni fa, agli ultimi guizzi della

candela, nella lunga galleria dell'Hôtel Malabar, col freddo, il

buio della notte alle spalle. La rispettabile spada della patria

Legge gli pendeva sospesa sul capo. Domani - o oggi? (la

mezzanotte era scivolata via molto prima che ci separassimo) il

magistrato faccia di marmo, dopo aver distribuito multe e prigione

nel processo di aggressione con vie di fatto, avrebbe impugnato la

sua terribile arma, e lo avrebbe colpito sul collo proteso. Il

nostro colloquio durante quella notte era stato incredibilmente

simile all'ultima veglia di un condannato. Anche lui era

colpevole. Era colpevole - me l'ero ripetuto tante volte;

colpevole e finito; e tuttavia desideravo risparmiargli i

particolari di un'esecuzione formale.

Non mi proverò a spiegare le ragioni di quella mia disposizione

d'animo - non credo che potrei; ma se non siete arrivati ormai a

farvene un'idea, allora devo esser stato assai poco chiaro nel mio

racconto, oppure avete troppo sonno per afferrare il significato

delle mie parole. Io non difendo la mia moralità. Non c'era una

questione di moralità nell'impulso che mi spinse a offrirgli il

piano d'evasione di Brierly - se così posso chiamarlo - in tutta

la sua semplicità primitiva. Le rupie c'erano - le avevo in tasca

assolutamente pronte per lui, a sua disposizione. Oh! non era che

un prestito; un prestito, si capisce - e se una presentazione a un

tale (a Rangoon) che poteva trovargli qualche lavoro... Ma col

massimo piacere! Avevo penna, inchiostro e carta in camera, al

primo piano. E già mentre parlavo ero impaziente di cominciare la

lettera: giorno, mese, anno, ore 2.30 antimeridiane... in nome

della nostra vecchia amicizia ti prego di trovare un'occupazione

per il signor Giacomo Tal dei Tali, nel quale, ecc. ecc.... Per

lui ero pronto perfino a scrivere in quel tono. Se non si era

conquistato la mia simpatia, per sé aveva fatto di più - era

penetrato fino alla sorgente e alla radice di quel sentimento,

aveva toccato la segreta sensibilità del mio egoismo. Non vi

nascondo nulla, perché se lo facessi il mio atto apparirebbe più

inspiegabile di quanto sia lecito a qualsiasi atto umano; senza

contare che domani avrete dimenticato la mia sincerità come tutte

le altre lezioni del passato. In questa faccenda, a parlar chiaro,

I'uomo irreprensibile ero io; ma le raffinate intenzioni della mia

immoralità furono vinte dalla semplicità morale del colpevole.

Aveva anche lui, senza dubbio, la sua parte d'egoismo, ma di

un'origine più alta, e per uno scopo più elevato. Mi accorsi che,

qualunque cosa io dicessi, lui era ansioso di presentarsi alla

cerimonia dell'esecuzione; né dissi gran che, perché sentivo che

in una discussione tra noi la sua gioventù avrebbe avuto buon

giuoco contro di me: egli credeva ancora in ciò su cui da un pezzo

io avevo cessato d'illudermi. C'era una certa bellezza nella

follia della sua inespressa, quasi non formulata speranza.

'Svignarmela! Non ci penso nemmeno,' fece, scuotendo il capo. 'Le

faccio una offerta per la quale non pretendo né mi aspetto neanche

l'ombra della gratitudine,' dissi; 'mi restituirà il danaro a suo

comodo, e...' 'Lei è molto buono,' borbottò senza alzare gli

occhi. Lo osservai a fondo; l'avvenire doveva sembrargli

orribilmente incerto; ma non esitò un attimo, come se davvero nel

suo cuore non ci fosse stato nulla di men che buono. Mi sentii

irritato non era la prima volta, in quella sera. 'Tutta questa

disgraziata faccenda,' dissi, 'è già abbastanza dura, direi, per

un uomo come lei...' 'Infatti, infatti,' mormorò due volte, con

gli occhi fissi sul pavimento. Spezzava il cuore. Era lì dritto,

alto sopra il lume, e vedevo la peluria della sua guancia, il

colorito caldo sotto la pelle liscia del suo viso. Credetemi o no,

vi dico che faceva spezzare il cuore. Mi sentii spinto alla

brutalità. 'Sì,' feci; 'e mi permetta di confessarle la mia

impossibilità assoluta di vedere che vantaggio c'è a voler

arrivare così fino alla feccia.' 'Vantaggio!' mormorò senza un

gesto. 'Dio mi dànni se ce lo vedo,' ribattei, furibondo. 'Per

farle capire che cosa c'è sotto...,' seguitò lentamente, come

preparasse un argomento inconfutabile. 'Ma, dopo tutto, è un guaio

mio personale.' Aprii la bocca per ribattere, ma mi accorsi d'un

tratto di aver perduto ogni fiducia in me stesso; e mi parve che

anche lui mi avesse tolta la sua stima, perché borbottò come uno

che riflette a mezza voce: 'Chi scappato - chi all'ospedale...

Nessuno di loro ha voluto affrontare... Loro!...' Agitò lievemente

la mano in segno di spregio. 'Ma io ho da superare questa prova,

senza sottrarmi a nulla, altrimenti...' Tacque. Fissava il vuoto

come allucinato. La sua faccia inconsapevole rifletteva il

susseguirsi di varie espressioni: disprezzo, disperazione,

risolutezza - le rifletteva a turno, come in uno specchio magico

il passaggio labile di forme ultraterrene. Viveva in un cerchio di

spettri fallaci, di ombre austere. 'Oh, sciocchezze, ragazzo,'

cominciai. Ebbe un moto d'impazienza. 'Sembra che non mi abbia

inteso bene,' fece con tono incisivo; poi, guardandomi senza

batter palpebra: 'Mi son buttato giù, è vero, ma non sono uno che

scappa.' 'Non intendevo offenderla,' dissi; poi soggiunsi come uno

stupido: 'Uomini meglio di lei hanno trovato opportuno, talvolta,

di scappare.' Arrossì tutto, mentre io per poco non soffocavo

dalla mortificazione. 'Forse è così,' disse alla fine. 'Io non

valgo abbastanza: non posso permettermi questo lusso. Debbo

lottare contro questo... Sto lottando anche adesso.' Mi alzai

dalla poltrona, e mi sentii tutto irrigidito. Il silenzio era

penoso, e per finirla non seppi trovar nulla di meglio che

osservare con disinvoltura: 'Non credevo fosse così tardi...' 'Lei

ne ha abbastanza - credo - di questa storia,' disse bruscamente:

'e, per dire la verità,' - cominciò a cercar con gli occhi il suo

berretto - 'anch'io.'

Bene! Aveva rifiutato quella straordinaria offerta. Aveva respinto

la mia mano tesa ad aiutarlo; ora era pronto ad andarsene, e al di

là della balaustra la notte sembrava aspettarlo immobile, come la

vittima designata. Udii la sua voce. 'Ah! eccolo qui.' Aveva

trovato il berretto. Per pochi secondi rimanemmo sospesi. 'Che

farà quando... quando...' domandai a voce bassissima. 'Andrò al

diavolo, molto probabilmente,' rispose in un borbottio roco. Mi

ero un po' ripreso, e mi parve meglio prender la cosa alla

leggera. 'La prego di ricordarsi,' dissi, 'che sarei molto lieto

di rivederla prima della sua partenza.' 'Perché no? Questa

maledetta storia non mi renderà mica invisibile.' replicò con

intensa amarezza... 'Magari!' Allora, al momento di congedarsi, fu

una serie di balbettii, di gesti incerti, di tremende esitazioni.

Dio gli perdoni, a lui... e anche a me! Si era ficcato in quella

sua testa fantastica che forse avrei avuto difficolta a

stringergli la mano. Una cosa tremenda! Credo che gli gridai

qualcosa a un tratto, come si urlerebbe a un uomo sul punto di

metter piede sopra un burrone; ricordo che alzammo la voce, e

ricordo l'apparire sul suo volto di un povero sorriso, una stretta

di mano da stritolarmela, e la sua risatina nervosa. La candela si

spense sfrigolando, e la cosa finì, se Dio vuole, con un gemito

che mi giunse per l'aria nel buio. In qualche modo riuscì ad

allontanarsi. La notte ne inghiottì la sagoma. Era uno spaventoso

pasticcione. Spaventoso. Sentii lo scricchiolìo della ghiaia sotto

le sue scarpe. Se n'andava di corsa; proprio di corsa, senza un

posto al mondo dove andare. E non aveva ancora ventiquattr'anni".

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

CAPITOLO 14.

"Dormii poco, mangiai un boccone in fretta e decisi, dopo un

attimo di titubanza, di saltare la visita mattutina alla mia nave.

Facevo uno strappo grave perché il mio primo ufficiale di bordo,

sebbene fosse in tutto e per tutto un eccellente uomo, era

soggetto a così nere fantasie che, se non riceveva una lettera

dalla moglie nel termine stabilito, diventava addirittura matto di

rabbia e di gelosia; lasciava perdere il suo lavoro, litigava con

tutti i marinai, e se non si ritirava a piangere in cabina,

s'inaspriva al punto di portar l'equipaggio sull'orlo della

rivolta. Questa faccenda non l'avevo mai capita: erano sposati da

tredici anni: lei l'avevo vista di sfuggita una volta e in

coscienza non si arriva a immaginare un donnaiolo di così buon

palato da cadere in tentazione per quello straccetto. Non so se ho

fatto male a non aprir gli occhi in proposito al povero Selvin,

quando quel disgraziato si creava un inferno in terra che, di

contraccolpo, investiva anche me; ma una certa, indubbiamente

falsa, delicatezza mi trattenne. I rapporti coniugali dei marinai

sarebbero un interessante argomento; io potrei raccontarvi

episodi... Ma ciò sarebbe fuor di tempo e di luogo: qui noi ci

stiamo occupando di Jim - che era celibe. Qualora per il suo

carattere estroso o il suo orgoglio, ovvero per tutte quelle

fantasmagorie e ombre austere di cui ebbe le calamitose

visitazioni in gioventù, non fosse riuscito a sfuggire al ceppo,

io che, naturalmente, non ho mai ricevuto visitazioni simili,

neanche il sospetto, ero spinto da una forza irresistibile ad

assistere alla sua decapitazione. Presi la via del tribunale. Non

pensavo affatto di rimanere molto colpito o edificato, o eccitato

e nemmeno impaurito, sebbene un bello spavento ogni tanto sia

disciplina salutare finché uno ha vita da vivere. Ma non mi

aspettavo nemmeno che la faccenda mi avrebbe così terribilmente

depresso. L'amarezza del suo castigo era tutta in quell'atmosfera

gelida e meschina. La vera essenza del delitto sta nel mancar di

fede al consorzio umano; da questo punto di vista Jim non era un

traditore da poco, ma la sua esecuzione fu una cerimonia pietosa.

Né la solennità del patibolo, né i drappi rossi (si usavano i

drappi rossi a Tower Hill? Avrebbero dovuto esserci) né

moltitudini esterrefatte dall'orrore del delitto, e commosse fino

alle lacrime per la fine del reo - né l'aspetto d'una cupa

giustizia punitrice. Splendeva, sui miei passi, un limpido sole

troppo vivo per riuscir consolante, le strade piene d'un

guazzabuglio di note di colore, come in un caleidoscopio rotto:

giallo, verde, azzurro, bianco da levar gli occhi; la nudità

scoperta di una spalla abbronzata, un carro di buoi con un

baldacchino rosso, una compagnia di fanteria indigena in un blocco

color nocciola opaco punteggiato di teste nere, che marciava con

gambaletti coperti di polverone; un agente indigeno in uniforme

scura di taglio striminzito, con cintura di cuoio lucido, che mi

guardò con occhi d'un'accoratezza orientale, come se il suo

spirito trasmigratore soffrisse troppo di quell'imprevista come si

chiama?... avatar... incarnazione. All'ombra di un albero

solitario nel cortile, i contadini implicati nel processo

d'aggressione, in gruppo pittoresco, seduti, sembravano la

cromolitografia di un accampamento per un libro di viaggi in

Oriente. Veniva fatto di cercare l'immancabile fil di fumo in

primo piano e le bestie da soma a brucare in libertà. Più alto

dietro l'albero si levava un liscio muro giallo e rifletteva il

bagliore del sole. L'aula del tribunale, così buia, sembrava più

grande. Lassù nella zona in penombra i punkahs oscillavano avanti

e indietro, avanti e indietro. Qua e là una figura drappeggiata,

rimpicciolita dalla nudità delle pareti, stava immobile in mezzo

alle file di banchi vuoti, come assorta in pia meditazione. Il

querelante, quello che era stato bastonato, un obeso color

cioccolato con la testa rapata, col petto oleoso scoperto e un

segno di casta di un giallo brillante sopra la radice del naso,

sedeva in pomposa immobilità, rotando nell'ombra gli occhi

scintillanti, e dilatando nel respiro e riabbassando le narici con

energia. Brierly si abbandonò sulla sedia e pareva esausto, come

se avesse passato la notte a correre su una pista di cenere. Il

pio capitano di veliero sembrava eccitato e aveva scatti nervosi,

come se trattenesse a stento l'impulso di balzare in piedi per

esortarci solennemente alla preghiera e al pentimento. La testa

del magistrato, di uno squisito pallore sotto le chiome ravviate

con cura, sembrava la testa d'un malato incurabile che, ben lavato

e pettinato, avessero messo a sedere sul letto, sollevato sui

cuscini. Spostò il vaso da fiori - un mazzo di corolle purpuree su

gambi lunghi, con qualche punteggiatura di rosa - poi, sollevato a

due mani un foglio di carta azzurrina, lo scorse con gli occhi,

appoggiò gli avambracci sull'orlo della scrivania, e cominciò a

leggere ad alta voce in tono uguale, nitido e assente "Perdiana!

Con tutte le mie sciocchezze a proposito di patiboli, e di teste

tagliate - io vi assicuro che fu infinitamente peggio di una

decapitazione. Un grave senso di ineluttabilità incombeva, senza

neanche il sollievo di quella speranza di riposo e di sicurezza

che segue il cadere della mannaia. Questo giudizio legale aveva la

freddezza vendicativa di una sentenza di morte, aveva la crudeltà

di un bando di esilio. Così per lo meno mi parve quella mattina -

e ancora adesso mi sembra di riconoscere un innegabile fondo di

verità in quella mia valutazione eccessiva d'un fatto di cronaca.

Potete dunque farvi un'idea dell'intensità dei miei sentimenti in

quel giorno. Per questo, forse, non riuscivo a persuadermi che il

giudizio fosse definitivo. La questione, per me, restava aperta;

ero ancora ansioso di rimetterlo in discussione, come se non fosse

già esaurita - suffragandola di pareri individuali - di opinioni

internazionali, magari. Per esempio, quella del Francese. E costui

aveva emesso il giudizio di tutto il suo Paese con la fraseologia

spassionata e precisa di una macchina, se le macchine sapessero

parlare. La testa del magistrato restava mezzo nascosta dal

foglio, la sua fronte sembrava d'alabastro.

Vari quesiti vennero sottoposti alla Corte. Primo, se la nave era,

sotto ogni punto di vista, in efficienza e in condizione di

reggere il mare. La Corte rispose: no. Il secondo quesito,

ricordo, era se fino al momento dell'incidente il Patna avesse

navigato con le debite e specifiche norme nautiche. A questo

risposero: sì - Dio sa perché - e poi dichiararono che non era

emerso alcun elemento probatorio sulle precise cause del sinistro.

Probabilmente un relitto vagante. Mi ricordavo di un tre alberi

norvegese, che faceva rotta con un carico di pino americano e fu

dato disperso verso quell'epoca: giusto il tipo di nave da

scuffiare sotto un fortunale e seguitar poi a galleggiare, chiglia

in su, per dei mesi - una specie di versiera marina, alla ricerca

di preda nell'oscurità. Tali cadaveri vaganti sono piuttosto

comuni nell'Atlantico settentrionale, infestato com'è da tutti i

terrori del mare nebbie, icebergs, carcasse di navi all'agguato, e

la maledizione di burrasche insistenti, che ti si attaccano

addosso come vampiri, e non mollano finché non hanno succhiato

tutte le forze, tutto il coraggio, e perfino la speranza, e ti

riducono un uomo a un guscio vuoto. Ma lì - in quei mari - il caso

era tanto raro da sembrare piuttosto il personale proposito di una

provvidenza maligna: la quale, tranne non si fosse proposta come

scopo preciso la morte d'un fuochista e peggio della morte per

Jim, appariva un gioco diabolico assolutamente gratuito. Queste

considerazioni che mi spuntavano in mente, mi sviarono

l'attenzione. Per un certo tempo la voce del magistrato non la

sentii più che come puro suono; ma improvvisamente riprese a

scandirsi in parole definite... 'con assoluta noncuranza del loro

preciso dovere,' diceva. La frase successiva, non so come, mi

sfuggì. E poi... 'abbandonando nel momento del pericolo le vite e

la roba a loro affidate...' continuò la voce in tono monotono, e

quindi si tacque. Due pupille sotto a una fronte bianca gettarono

un cupo sguardo di sopra il margine del foglio. Cercai subito Jim

con gli occhi, come se mi aspettassi di non trovarlo più li. Era

fermo immobile - ma c'era, seduto, biondo, roseo, raccolto. 'Per

questi motivi...' riprese la voce, enfatica. Jim con gli occhi

fissi e la bocca semiaperta, pendeva dalle parole di quell'uomo di

là dalla scrivania: cadevano esse nel silenzio intorno, librandosi

sul vento mosso dai punkahs: e io, che badavo al loro effetto su

Jim, non afferravo che a frammenti quella terminologia

ufficiale... 'La Corte... Gustavo Tal-dei-Tali, capitano... nato

in Germania... Giacomo Tal-dei-Tali... primo ufficiale... radiati

dall'albo.' Seguì in silenzio. Il magistrato aveva lasciato cadere

il foglio, e, chinandosi di traverso su un bracciolo della

poltrona, si mise a parlare tranquillamente con Brierly. La gente

si avviava all'uscita; altri cercavano di entrare, io mi avviai

alla porta. Fuori, mi fermai; e quando Jim mi passò vicino,

diretto al cancello, lo presi per un braccio. L'occhiata che mi

diede mi turbò come se fossi stato responsabile della sua

situazione: mi guardò come se fossi io, in carne e ossa, il male

della vita. 'E' finita,' balbettai. 'Già,' ribatté con voce afona.

'E ora, che nessuno...' con uno strappo si liberò il braccio dalla

mia stretta, e lo vedevo di schiena allontanarsi. La strada

correva dritta ed egli mi rimase in vista per un pezzo. Camminava

piuttosto adagio, con le gambe un po' aperte, come se gli

riuscisse difficile seguire una linea retta. Poco prima di

perderlo d'occhio, mi parve di vedere che barcollava un po'.

'Un uomo in mare,' disse una voce profonda dietro di me.

Voltandomi, vidi un tipo che conoscevo appena, un Australiano

dell'Ovest: un tal Chester. Anche lui l'aveva accompagnato con gli

occhi. Era un uomo con un torace immenso, un viso scabro, raso,

color mogano, e due ciuffetti di peli grigio ferro, folti, duri,

sul labbro superiore. Era stato pescatore di perle, recuperatore

di relitti, commerciante e anche pescatore di balene, credo;

secondo quanto diceva lui stesso, aveva fatto tutto ciò che un

uomo può fare in mare, eccetto il pirata. Il Pacifico del Nord e

del Sud era la sua bandita di caccia; ma adesso era arrivato fino

a quel porto in cerca di un piroscafo da comprare a buon mercato.

Recentemente aveva scoperto in qualche parte - a sentir lui -

un'isola di guano, ma c'era un approdo pericoloso e l'ancoraggio,

allo stato delle cose, si presentava innegabilmente, a dir poco,

malsicuro. 'Vale una miniera d'oro,' esclamava. 'Proprio in mezzo

alle scogliere di Walpole, e anche se non si trova, magari, dove

dar fondo a meno di quaranta braccia, che importa? E ci sarà

magari qualche ciclone. Però è un affare di prim'ordine. Vale una

miniera d'oro... di più! Eppure non ce n'è uno, di questi

imbecilli, che se ne renda conto. Non mi riesce di trovare un

capitano o un armatore che ci si voglia accostare. Così ho deciso

di caricarla da me quella grazia di Dio...' Ecco perché cercava un

piroscafo, e sapevo che proprio allora stava trattando con grande

entusiasmo con una ditta Parsi per un vecchio anacronismo

attrezzato a brigantino, della forza di novanta cavalli. Ci

eravamo incontrati varie volte, e avevamo fatto quattro

chiacchiere insieme. Ora guardava Jim allontanarsi, e con aria di

chi è al corrente, domandò con sarcasmo: 'E quello se la prende,

eh?' 'Moltissimo,' risposi. 'Allora è un buono da niente,'

concluse. 'Tante storie per uno straccio di pergamena: roba che

non è mai servita a fare un uomo! Bisogna vedere le cose come sono

- altrimenti meglio piantarla, che tanto non si farà mai nulla in

questo mondo. Guardi me. Mi sono fatto una regola di non

pigliarmela mai di nulla.' 'Già,' feci. 'Vede le cose come sono,

lei.' 'Vorrei veder arrivare il mio socio, ecco cosa vorrei

vedere,' disse. 'Lo conosce lei il mio socio? Il vecchio Robinson.

Già: il Robinson. Non lo conosce, lei? Il famoso Robinson. L'uomo

più in gamba al mondo per contrabbandare l'oppio e sgraffignar

foche. Dicono che costumava arrembare gli schooner dei cacciatori

di foche su verso l'Alaska quando la nebbia era così fitta che

Domeneddio solo poteva riconoscere un uomo da un altro. Robinson

il Terrore di Dio. Ecco chi è il mio socio, in quell'affare di

guano. La migliore occasione che gli sia capitata in vita sua.'

Avvicinò le labbra al mio orecchio. 'Cannibale? - beh, lo

chiamavano così tanti e tanti anni fa. Si ricorda della storia? Un

naufragio sulla costa occidentale dell'isola Stewart; appunto;

arrivati a toccar terra in sette, pare che non andassero gran che

d'accordo. C'è sempre il fegatoso che niente gli va bene e piglia

tutto per traverso che non vede le cose come stanno - ma proprio

come stanno, caro mio! E allora come va a finire? E' chiaro! Guai,

guai! e la bona in testa, si sa, poi ci scappa, e meritata,

magari. Quei tipi li fan più comodo morti. Vuol la leggenda che

una scialuppa della Regia Nave Wolverine lo trovò inginocchiato

sulle alghe, nudo bruco, che cantava qualcosa come un salmo, sotto

un nevischio leggero. Aspettò che la barca fosse a un remo dalla

riva, poi si rialzò, e via. Gli diedero la caccia per un'ora su e

giù per la scogliera, e alla fine un marinaio gli tirò un sasso

che lo pigliò provvidenzialmente dietro l'orecchio e lo stese in

terra svenuto. Solo? Si capisce. Ma è come quell'altra storia

degli schooner dei cacciatori di foche, che Dio solo sa il vero e

il falso di quella faccenda. Quelli della scialuppa non andarono a

cercar tanto in là. Lo avvilupparono in una incerata e se lo

portarono via in fretta, che già faceva buio, il tempo minacciava

e la nave sparava colpi d'appello ogni cinque minuti. Tre

settimane dopo era più in gamba che mai. Non si curò né tanto né

poco delle storie che mettevano in giro a terra; strinse forte le

labbra, e che la gente cantasse pure. Era già un guaio grosso aver

perduto nave e ogni cosa, senza dover anche far attenzione agli

insulti della gente. Ecco l'uomo che fa per me.' Alzò un braccio

per far cenno a qualcuno in fondo alla strada. 'Ha un po' di

quattrini, e così ho dovuto metterlo a parte dell'affare. Per

forza! Sarebbe stato un delitto buttar a mare una simile scoperta!

E io ero a secco. Mi piangeva il cuore, ma a guardar la faccenda

esattamente com'era, non potevo far a meno di dividere l'impresa

con qualcuno - e allora, pensai- viva la faccia di Robinson. L'ho

lasciato che faceva colazione in albergo, perché son voluto venire

in tribunale, per via di una certa idea... Ah! buongiorno capitano

Robinson... Un mio amico, il capitano Robinson.'

Un emaciato patriarca, con un vestito di cotonina bianca, un casco

orlato di verde sul capo tremulo di vecchiaia, ci raggiunse dopo

aver attraversato la strada con un trottellerino strascicato; e si

fermò, con le due mani appoggiate sul manico dell'ombrello. Una

barba bianca striata d'ambra gli scendeva a bioccoli fino alla

vita. Sbatté le palpebre rugose guardandomi con aria sperduta.

'Come sta? come sta?' cinguettò amabilmente, e barcollò. 'Un po'

sordo,' mi confidò Chester. 'E lei se lo è strascinato dietro per

seimila miglia per comprare un piroscafo a buon mercato?'

domandai. 'Gli avrei fatto fare due volte il giro del mondo

soltanto perché ci desse un'occhiata,' rispose Chester con una

straordinaria energia. 'Quel vapore sarà la nostra fortuna, caro

mio. E' forse colpa mia se tutti i capitani e armatori della mia

benedetta Australasia non sono che dei maledetti imbecilli? Una

volta ci persi tre ore a parlare con uno a Auckland. - Mandi una

nave -, gli dissi, - mandi una nave. Le do metà del primo carico,

gratis et amore Dei... per niente, regalo: solo per cominciare. -

Dice lui: - Ma neanche se non avessi altro posto al mondo da

mandarci una nave. - Quell'asino calzato e vestito, capisce?

Scogli, correnti, niente baie riparate, roccia a strapiombo nel

punto di ancoraggio, nessuna compagnia d'assicurazione che voglia

correre un rischio simile, non vedeva come si sarebbe potuto fare

il carico in meno di tre anni... Asino. Quasi quasi mi ci

inginocchiavo davanti. - Ma guardi la cosa esattamente com'è -

dissi. - Macché scogli e cicloni del diavolo. La guardi com'è. C'è

guano laggiù, roba che i piantatori di zucchero del Queensland ci

farebbero a botte... a botte sulla banchina, glie lo dico io... -

Che si può combinare con un imbecille?... - Questo è uno dei suoi

scherzetti, Chester, - dice... Scherzetti! Mi sarei messo a

piangere. Lo domandi al capitano Robinson, qui... E c'era un altro

tipo di armatore - un grassone in panciotto bianco, a Wellington,

che pareva avesse paura di esser magari messo in mezzo. - Non so

che genere d'imbecille lei stia cercando, dice, ma in questo

momento ho da fare. Arrivederla. - Avevo una voglia matta di

prenderlo a due mani e buttarlo fuori per la finestra del suo

ufficio. Ma non lo feci. Mi tenni dolce come un sagrestano. - Ci

pensi, - dico. - Ci pensi, la prego. Ripasso domani. - Grugnì che

sarebbe stato 'fuori tutto il giorno'. Scendendo le scale avrei

battuto la testa contro il muro dalla rabbia. Il capitano

Robinson, qui, glie lo può dire. Era una disperazione pensare a

tutto quel ben di Dio, fermo, inutilizzato, sotto al sole - roba

da mandar le canne da zucchero a bucare il cielo. La fortuna del

Queensland! La fortuna del Queensland! E a Brisbane, dove andai

per un ultimo tentativo, mi diedero del matto. Imbecilli! L'unica

persona di buon senso capitatami fu il vetturino che mi portò in

giro. Doveva essere un pezzo grosso decaduto - positivo! Ehi!

Capitano Robinson! Si ricorda quello che le ho detto del mio

vetturino di Brisbane - eh? Quello aveva un occhio straordinario

per le cose. Vide l'affare di colpo. Era un piacere parlare con

lui. Una sera, dopo una giornata infernale tra gli armatori, mi

sentii così a mal partito che, dico: - Qui o prendo una sbornia o

impazzisco. - Ci sto - dice lui. - E subito. - Non so cos'avrei

fatto senza di lui. Ehi! Capitano Robinson!'.

Ficcò un dito nelle costole del suo socio. " Eh! eh! eh!" rise

quell'Antico guardando giù per la strada con occhio svagato, e poi

dandomi un'occhiata dubbiosa con le sue pupille tristi e opache...

'Eh! eh! eh!'... Si appoggiò con più forza sull'ombrello e abbassò

gli occhi a terra. Io - neanche a dirlo - avevo cercato varie

volte di andarmene, ma Chester aveva sventato ogni mio tentativo

semplicemente afferrandomi per la falda della giacca. 'Un minuto.

Ho un'idea.' 'Che è questa maledetta idea?' gridai alla fine. 'Se

crede di trascinarmici dentro...' 'No, no, caro. Troppo tardi,

anche se ne morisse di voglia. Abbiamo il piroscafo, ormai!'

'Avete un fantasma di piroscafo, feci. 'Per cominciare, basta...

non abbiamo sciocche pretese, noi. Vero, capitano Robinson?' 'No!

no! no!' gracchiò il vecchio senza alzare gli occhi, ma con tanta

risolutezza che il tremito della sua testa divenne quasi

spasmodico. 'So che lei conosce quel giovanotto,' disse Chester

accennando col capo verso la strada per la quale era scomparso Jim

un bel po' prima. 'Ha mangiato con lei al Malabar ieri sera - me

l'hanno detto!'

Risposi che era vero; e quegli mi confidò che anche a lui piaceva

viver bene e con eleganza, ma che, per il momento, doveva spellare

il centesimo; 'non ce n'è mai abbastanza, per il nostro affare!

Vero, capitano Robinson?' Poi drizzo le spalle, e si lisciò i

baffetti, mentre il famoso Robinson, al suo fianco, nei colpi di

tosse si attaccava più che mai al manico del suo ombrello, e

sembrava sul punto di dissolversi insensibilmente in un mucchietto

di vecchie ossa lì a terra. 'Capisce, è il vecchio che ci mette i

quattrini,' mormorò Chester confidenzialmente. 'Io sono rimasto a

secco nel tentativo di riparare quella maledetta caffettiera. Ma

aspetti un po', aspetti e vedrà! Si avvicina il momento buono.'

D'un tratto sembrò stupirsi dei miei segni d'impazienza. 'Oh!

canchero!' esclamò, 'io gli parlo dell'affare più grandioso che si

sia mai visto, e lui...' 'Ho un appuntamento,' dichiarai con aria

di umile preghiera. 'E che importa?' domandò con schietta

sorpresa. 'Li faccia aspettare.' 'E': proprio quello che sto

facendo,' osservai. 'Non farebbe più presto a dirmi che vuole?'

'Arrivare a comprare venti alberghi come quello,' brontolò fra sé,

'e anche tutti i buffoni che ci abitano... comprarli venti volte.'

Alzò la testa di scatto. 'Mi occorre quel giovanotto.' 'Non

capisco,' feci. 'E' un buon da niente, vero?' disse Chester con

vivacità. 'Non ne so nulla,' protestai. 'Ma se me l'ha detto

proprio lei che se la prendeva tanto per quel suo guaio 'ribatté

Chester. 'Beh, secondo me, un tipo che... In ogni caso, di scarso

valore certo; d'altra parte, sto cercando gente, e ho per

l'appunto un lavoro adatto per lui: un impiego sulla mia isola.' E

fece col capo un cenno significativo. 'Ci sgnacco un quaranta

coolies - dovessi rapirli. Qualcuno ci ha pur da lavorare a quella

roba. Oh! intendo far le cose a modo: baracca di legno, tetto di

lamiera, conosco un tale a Hobart che mi accetta un effetto a sei

mesi per i materiali. Davvero. Giuro. Poi c'è la riserva d'acqua.

Devo mettermi in giro presto per trovare qualcuno che mi fornisca

su parola una dozzina di serbatoi di seconda mano. Per captare la

pioggia, capito? A lui la direzione. Lo faccio direttore generale

dei coolies. Buon'idea, no? Che ne dice, lei?' 'Passano anni

interi senza che caschi una goccia d'acqua a Walpole,' risposi,

troppo stupito per poter ridere. Si morse il labbro e parve

perplesso. 'Oh, beh, mi arrangerò in qualche modo- magari ci porto

una provvista d'acqua - accidenti! Non è questo il problema.'

Non risposi. Vidi come in un lampo Jim arrampicarsi per una

sassaia bruciata, immerso nel guano fino alle ginocchia, con le

orecchie intronate dagli strilli dei gabbiani, e la palla

incandescente del sole sopra la testa; il cielo deserto e l'oceano

deserto a perdita d'occhio, frementi di una stessa tensione

torrida. 'Neanche al mio peggior nemico...' cominciai. '"Che va

cercando?' gridò Chester; 'intendo dargli un ottimo stipendio -

voglio dire, appena la cosa sia ben avviata, si sa. Un incarico

facile come lasciarsi cadere da un ramo. Assolutamente niente da

fare; due pistole a sei colpi nella cintura... Non avrà mica

paura, quello, di ciò che possono fare quaranta coolies...

disarmati, e lui con due pistole. Molto meglio che non sembri a

prima vista. Lei mi deve aiutare a convincerlo.' 'No!' gridai. Il

vecchio Robinson alzò un attimo la malinconia dei suoi occhi

cisposi; Chester mi guardò con un supremo disprezzo. 'Dunque lei

non glie lo vuol proporre?' disse lentamente. 'No certo,' risposi,

indignato come se mi avesse chiesto di aiutarlo ad assassinare

qualcuno. 'E poi sono sicuro che lui non accetterebbe. E' molto

avvilito, ma non è matto, ch'io sappia.' 'Non può più fare niente

al mondo,' ribatté Chester ad alta voce. 'Mi andava proprio bene.

Se lei sapesse veder le cose come sono, capirebbe che è proprio

quello che fa per lui. E poi... Ma come! Ma se è l'occasione più

rara, la più sicura...' E, d'un tratto, furibondo: 'Ho bisogno di

un uomo. Ecco!...' Batté un piede in terra, con un sorriso

antipatico. 'Comunque, la mia isola garantisco che non gli si

affonderebbe sotto i piedi... e mi pare che questa sia una

circostanza di particolare valore per lui.' 'Buongiorno,' dissi io

secco secco. Mi guardò come se fossi stato un assurdo imbecille...

'Bisognerà levar l'àncora, capitano Robinson,' urlò a un tratto

nell'orecchio del vecchio. 'Questi citrulli di Parsee ci stanno

aspettando per concluder l'affare.' Con una stretta energica

afferrò il socio per un braccio, gli fece fare un mezzo giro su se

stesso, e, improvvisamente, si voltò lanciandomi un'occhiata

furbesca di sopra le sue spalle. 'Intendevo di fargli un piacere,'

asserì, con un'espressione e un tono di voce che mi rimescolarono

il sangue. 'Le pare - grazie per lui,' ribattei. 'Oh, lei ha un

punto più del diavolo,' disse a scherno; 'ma è anche lei come

tutti gli altri. Troppo nelle nuvole. Vedremo che ne saprà fare,

lei, di quell'individuo.' 'Non credo di volerne far nulla.'

'Davvero?' Sputacchiò; dalla rabbia gli si drizzarono i baffi

grigi, mentre il famoso Robinson puntellato dall'ombrello gli

stava al fianco volgendomi le spalle, paziente immobile come un

esausto brocco di carrozzella. 'Io non ho trovato isole di guano,'

feci. 'Sono convinto che lei non saprebbe trovarne, quando anche

ce lo portassero per mano,' ribatté sùbito. 'E in questo mondo

bisogna prima vederla una cosa, per poterla mettere a partito.

Bisogna vederla da parte a parte, né più né meno.' 'E persuadere

anche gli altri a vederla,' insinuai con un'occhiata alla schiena

curva che gli stava vicino. Chester grugnì. 'Gli occhi ce l'ha

buoni abbastanza... non abbia paura. Non è mica un cucciolo.' 'Oh,

mai più!' dissi. 'Venga via, capitano Robinson,' urlò, con una

specie di deferenza dispotica, sotto alla falda del cappello del

capitano; il Terrore di Dio fece un salterello remissivo. Un

fantasma di piroscafo li aspettava; come pure la Fortuna su

quell'isola bella! Formavano una curiosa coppia di Argonauti.

Chester a passi lenti, ben costruito, maestoso e in aspetto di

dominatore - l'altro, allampanato, smunto, cadente, attaccato al

suo braccio, trascinava in affannosa fretta le cianche vizze".

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

CAPITOLO 15.

"Non andai sùbito in cerca di Jim perché avevo davvero un

appuntamento a cui non potevo mancare. Poi accadde che,

nell'ufficio del mio agente, fossi bloccato da uno arrivato di

fresco dal Madagascar con uno schema di progetto per un affare

mirabolante. Si trattava di bestiame, di cartucce e di un tal

principe Ravonalo; ma il perno dell'intera faccenda era la

stupidità di un ammiraglio - l'Ammiraglio Pierre, mi pare. Tutto

convergeva lì, e quel tipo non riusciva a trovare parole

abbastanza efficaci ad esprimere tutta la sua fiducia. Aveva due

occhi a globo che gli uscivano dalle orbite, con una rifrazione da

pesce, forti bozze frontali e capelli lunghi tirati indietro senza

scriminatura. Aveva una sua frase favorita che ripeteva

trionfalmente: 'Il minimo rischio col massimo profitto è il mio

motto. Eh?' Mi diede il mal di capo, mi rovinò la colazione, ma mi

sfruttò a suo piacere; e appena me lo fui levato dai piedi, mi

diressi al mare. Trovai Jim appoggiato al parapetto della

banchina. Vicino a lui tre barcaioli indigeni che litigavano per

cinque anni facevano un baccano del diavolo. Non mi sentì

arrivare, ma quando lo toccai si voltò di colpo come se il lieve

contatto del mio dito avesse fatto scattare una molla. 'Guardavo,'

balbettò. Non ricordo che dissi, certo poche parole, ma si lasciò

condurre all'albergo senza difficoltà.

Mi seguì con la docilità d'un bambinetto, e un'aria ubbidiente,

senz'ombra di reazione, quasi fosse stato lì ad aspettare ch'io

venissi a prenderlo e condurlo via. Non avrei dovuto rimanere così

sorpreso della sua docilità. In tutta la sfera del mondo, che a

qualcuno sembra così grande e che altri fan mostra di considerare

alquanto più piccola di un seme di mostarda, per lui non esisteva

un luogo dove avrebbe potuto - come dire? - dove avrebbe potuto

rifugiarsi. Ecco! Rifugiarsi - essere solo con la propria

solitudine. Mi camminava al fianco, molto calmo, guardando un po'

qua e un po' là, e una volta girò il capo per seguire con lo

sguardo un pompiere Sidiboy dalla giacca a coda di rondine e i

calzoni giallini, con un volto nero dai riflessi di seta come un

pezzo d'antracite. Stimo però che non vedesse nulla, in realtà, e

che neppur si accorgesse sempre neanche della mia esistenza,

perché se non lo avessi ora spinto un po` a sinistra, ora tirato

un po' a destra, credo che avrebbe proseguito dritto davanti a sé

in qualsiasi direzione, finché non lo avesse fermato un muro o

qualche altro ostacolo. Lo portai in camera mia, e mi misi subito

a sedere per scrivere delle lettere. Era l'unico posto al mondo

(oltre, forse, le scogliere di Walpole: ma quelle non erano così

sotto mano) dove potesse concentrarsi in se stesso senza esser

disturbato dal resto dell'universo. Quella maledetta faccenda -

l'aveva detto lui stesso - non lo aveva reso invisibile, ma io mi

comportavo proprio come se lo fosse. Appena messomi a sedere, mi

chinai subito sul mio tavolino, come uno scriba medioevale, e,

tranne il movimento della penna, rimasi in una ansiosa immobilità.

Non che avessi paura; ma è certo che mi tenni immobile come se

nella stanza ci fosse una presenza pericolosa, pronta a balzarmi

addosso al primo accenno di movimento da parte mia. Non c'era gran

che nella stanza: sapete come sono combinate le camere d'albergo -

una specie di letto a colonne sotto a una zanzariera, due o tre

sedie, il tavolo al quale sedevo, un pavimento nudo. Una porta a

vetri dava su una veranda, e Jim se ne stava in piedi di fronte a

quella, in un isolamento assoluto, alle prese col proprio dramma.

Calò il crepuscolo; accesi una candela con la massima parsimonia

di movimenti, guardingo come se fosse un atto clandestino. Non c'è

dubbio che fosse per lui un momento difficile, e anche per me,

tanto che, lo confesso, arrivai in cuor mio a mandarlo

all'inferno, o almeno alle scogliere di Walpole. Una o anche due

volte mi venne fatto di pensare che, dopo tutto, Chester poteva

essere davvero l'uomo adatto, provvidenziale, in un disastro

simile. Quel curioso tipo d'idealista aveva trovato subito il lato

pratico della questione, diciamo così. Tanto da farmi supporre

che, forse, lui fosse in grado sul serio di vedere il vero aspetto

di cose che, a persone di minore immaginazione, apparivano

misteriose e del tutto disperate. Scrivevo, scrivevo; sbrigai

tutta la corrispondenza arretrata e poi mi misi a scrivere a gente

che non aveva nessun motivo di aspettarsi da me una lettera di

chiacchiere a vuoto. Ogni tanto lo sbirciavo con la coda

dell'occhio. Ci pareva radicato, lì, ma si vedeva che brividi

convulsi gli correvano per la schiena; a tratti scuoteva le

spalle, di colpo. Lottava, lottava... più che altro, o almeno in

apparenza, per tirare il respiro. Le ombre massicce, proiettate

tutte da una parte dalla fiamma diritta della candela, sembravano

possedute da una cupa consapevolezza; il mobilio immobile pareva

al mio occhio furtivo in sospensione attenta. Mi si accendeva la

fantasia in quei miei laboriosi scarabocchi; e sebbene, quando

s'interrompeva un momento lo stridore della mia penna, nella

stanza succedesse un silenzio pieno e un'immobilità assoluta,

tuttavia provavo quella penosa confusione mentale e quel profondo

turbamento provocati normalmente da un fragore violento e pauroso

- per esempio da una grossa burrasca in mare. Qualcuno di voi,

forse, sa cosa intendo dire: quel misto di ansia, di pena, di

irritazione e quel filo di vigliaccheria che vi s'insinua dentro;

che, piuttosto difficile da confessare, dà tuttavia un valore

speciale alla nostra forza d'animo. Non voglio farmi un merito per

aver resistito alla tensione emotiva di Jim; avevo, nelle mie

lettere, una diversione; potevo anche scrivere a degli

sconosciuti, se volevo. A un tratto, mentre prendevo un altro

foglio di carta, sentii come un gemito sommesso: il primo suono

che, da quando eravamo chiusi insieme, mi fosse giunto

all'orecchio nella silenziosa penombra della stanza. Restai a capo

chino, con la mano sospesa. Chi ha mai vegliato vicino al letto di

un infermo sa che cosa sono questi suoni leggeri nel silenzio

delle ore notturne, strappati dalla sofferenza del corpo, dalla

stanchezza dell'anima. Spinse la porta con tanta forza, che ne

rintronarono tutti i vetri: lo ascoltai uscire trattenendo il

respiro e tendendo le orecchie senza sapere che altro mi

aspettassi. Davvero se la prendeva troppo per una vuota formalità

che al rigoroso senso critico di Chester appariva di nessun peso,

per chi vede le cose come sono. Una vuota formalità: un pezzo di

pergamena. Già, già. Quell'inaccessibile banco di guano, invece,

era tutt'un'altra storia. Di questo si poteva, non senza ragione,

farsi una spina al cuore. Una sorda folata di voci mescolate a un

tintinnìo d'argenterie e di cristalli salì dalla sala da pranzo.

Attraverso la porta aperta l'estremo orlo di luce della mia

candela batteva fioco sulla schiena di Jim; di là, era tutto buio.

Stava sul margine di una vasta oscurità, come una figura solitaria

sulla spiaggia di un oceano disperatamente buio. In quell'oceano

c'era la scogliera di Walpole - questo sì - un puntino nella vuota

oscurità, una festuca per un uomo che affoga. La mia compassione

per lui si concretò in questo pensiero: non avrei voluto che la

sua gente lo vedesse in quel momento. Era già una pena per me.

L'ansito non gli scuoteva più la schiena: stava lì in piedi,

dritto come una freccia, appena visibile e fermo; e il significato

di quell'immobilità mi scese in fondo all'animo come piombo

nell'acqua, e con tanto peso che per un attimo mi augurai di tutto

cuore mi restasse un'unica cosa da fare: pagargli il funerale.

Ormai neppure la legge aveva più nulla da spartire con lui.

Seppellirlo sarebbe stato un atto di bontà così facile, e così in

accordo con la saggezza della vita, la quale vuole che

scancelliamo in noi ogni rievocazione delle nostre follie, delle

nostre debolezze, della nostra natura mortale: tutto ciò che può

diminuire il nostro rendimento - il ricordo dei nostri mancamenti,

l'incubo dei nostri timori sempre vivi, i cadaveri dei nostri

amici morti. Forse davvero se la prendeva troppo. E in tal caso...

l'offerta di Chester... A questo punto presi un foglio bianco e mi

misi a scrivere, risoluto. Non c'ero che io fra lui e il buio

oceano. Sentii tutta la mia responsabilità. Se avessi parlato,

quel giovane lì fermo, in pena, non avrebbe forse fatto un salto

nel buio... per afferrarsi a una festuca? Capii come può essere

difficile talvolta uscir dal silenzio. C'è un potere magico nella

parola detta. E perché no, che diavolo! Me lo domandavo con

insistenza mentre seguitavo faticosamente a scrivere. Tutto a un

tratto mi si insinuarono di sorpresa sul foglio bianco, proprio

sotto la punta della penna, le due figure di Chester e del suo

vetusto socio, nitidissime e complete, col loro passo e i loro

gesti, come riprodotte sullo schermo d'un qualche giocattolo

ottico. Le osservai un attimo. No! Erano troppo spettrali e

stravaganti per influire sul destino di un uomo. E una parola può

portare lontano... molto lontano... portare col tempo la

distruzione, come una pallottola nella sua traiettoria. Non dissi

nulla; e Jim era in piedi, lì fuori, con le spalle alla luce, come

incatenato e imbavagliato da tutti i nemici invisibili dell'uomo,

senza un gesto né una parola".

 

 

 

 

CAPITOLO 16.

Giorno sarebbe venuto nel quale l'avrei visto amato, stimato,

ammirato; il suo nome aureolato da una leggenda di forza e di

ardimento, come se fosse stato della stoffa degli eroi. E' proprio

vero... ve lo assicuro: com'è vero che io sono qui seduto a

parlare di lui senza costrutto. Jim, da parte sua, aveva quel dono

di scoprire, al minimo accenno, il volto del suo desiderio e la

forma del suo sogno, dono senza il quale non ci sarebbe al mondo

né un amante ne un avventuriero. Si acquistò molto onore e una

felicità arcadica (dell'innocenza non parlo) nel "bush", e ciò

valeva per lui quanto l'onore e la felicità arcadica che altri

uomini trovano nelle strade delle città. La felicità, la

felicità... come dire?... si attinge da una tazza d'oro sotto

qualunque latitudine: il gusto ne è in noi... solo in noi, che lo

possiamo rendere inebriante a volontà. Lui era tipo da berne a

fondo, come potete intuire da quello che ho detto finora. Lo

ritrovai, se non proprio ubriaco, alquanto acceso dalle reiterate

libagioni di quell'elixir. Non lo aveva però scoperto subito.

Aveva avuto, come sapete, un periodo di tirocinio in mezzo a quei

diavoli di fornitori marittimi, e in quel tempo aveva sofferto e

io mi ero molto preoccupato per... per - come dire? - per il mio

pupillo... Né posso dire di sentirmi tranquillo del tutto neanche

adesso, dopo averlo veduto in tutto il suo splendore: è proprio

questo l'ultimo ricordo rimastomi di lui: radioso, dominatore,

eppure in perfetto accordo col suo mondo: con la vita della

foresta e con la vita degli uomini. Confesso di esser rimasto

colpito lì per lì, ma devo anche confessare a me stesso che dopo

tutto quella non fu un'impressione durevole. Era protetto dal suo

isolamento, esemplare unico di una razza superiore, a stretto

contatto con la natura, che tiene fede con tanta liberalità a chi

l'ama. Ma non riesco a fissare davanti agli occhi l'immagine di

lui già salvo. Lo ricorderò sempre come lo vidi attraverso la

porta aperta della mia camera, quando se la prendeva tanto, e

forse troppo, per le naturali conseguenze della sua mancanza. Sono

contento, si capisce, che un po' di bene - e anche un certo

splendore - sia risultato dai miei sforzi; ma a volte mi pare che

sarebbe stato meglio, per la tranquillità del mio spirito, di non

essermi trovato tra lui e quell'offerta maledettamente generosa di

Chester. Chissà che ne avrebbe fatto la sua immaginazione

esuberante, di quell'isoletta delle Walpole - il briciolo di terra

più disperatamente abbandonato sulla faccia delle acque!

Probabilmente non ne avrei saputo mai più nulla, perché, vi dirò,

Chester, dopo essersi fermato in un porto australiano per far

rabberciare quel suo anacronismo marittimo attrezzato a

brigantino, partì verso il Pacifico con un equipaggio di ventidue

uomini in tutto; e la sola notizia che forse poteva collegarsi al

mistero del suo destino fu di un uragano che circa un mese dopo

avrebbe investito le secche delle Walpole. Degli Argonauti mai più

neanche il segno; non una voce uscì da quel nulla. Finis! Il

Pacifico è il più discreto fra gli oceani di temperamento

turbolento; anche il gelido Antartico sa serbare un segreto, ma

piuttosto come lo serba una tomba.

"C'è un senso di finalità divina in tale discrezione, che noi

tutti più o meno sinceramente siamo pronti a riconoscere;

cos'altro c'è infatti di così adatto a rendere accettabile l'idea

della morte? La fine! Finis! Quella parola potente di esorcismo

che scaccia dalla casa della vita lo spettro incombente del fato.

Ecco - nonostante la testimonianza dei miei occhi, e le sue stesse

affermazioni calorose - quel che mi manca quando considero il

successo di Jim. Finché c'è vita c'è speranza, è vero; ma c'è

anche paura. Non che io rimpianga il mio atto; non che io voglia

far credere che ciò mi tolga il sonno la notte! ma mi si presenta

insistente l'idea che lui facesse troppo caso al suo disonore,

mentre quello che importa è soltanto la colpa. Egli per me aveva

perduto - per così dire la sua limpidità. Ai miei occhi non era

limpido. E c'è da credere che non fosse limpido neanche ai suoi.

Rimanevano certe sue raffinate sensibilità, i suoi raffinati

sentimenti, le sue aspirazioni raffinate - una specie di

sublimato, di idealizzato egoismo. Era - lasciatemelo dire - molto

raffinato; molto raffinato - e molto disgraziato. Una natura un

po' più grezza non avrebbe retto a quella tensione; sarebbe venuta

a patti con se stessa - con un sospiro, un grugnito o magari con

una risata; una natura ancora più grezza sarebbe rimasta immersa

in un'ignoranza invulnerabile e del tutto priva d'interesse per

me.

Ma lui era troppo interessante o troppo disgraziato per esser

buttato ai cani, o anche a Chester. Me ne resi conto mentre ero

seduto col viso sul foglio e lui lottava ansimando e cercando di

riprender fiato in quel suo modo di pena segreta, in camera mia;

me ne resi conto vedendolo precipitarsi in veranda come per

buttarsi di sotto - ma non si buttò; me ne resi conto sempre più e

meglio tutto il tempo che rimase là fuori, rischiarato appena

sullo sfondo della notte, come sul margine di un mare buio senza

speranza.

Un grave rombo improvviso mi fece alzare il capo. Sembrò rotolar

via; un subito bagliore penetrante e violento accese il volto

cieco della notte. Il barbaglio sostenuto e abbacinante sembrò

durare per un tempo infinito. Il brontolìo del tuono cresceva

mentre guardavo Jim, nitido e nero, piantato solido sulla riva di

un oceano di luce. Al momento di più intenso bagliore, successe

una più fonda oscurità nell'acme del tuono; ed egli mi sparve

tutto dalla vista abbacinata come mi si fosse dissolto in atomi in

quel fragore. Passò nell'aria un fiato strepitoso; mani furibonde

sembrarono strappare arbusti, agitare cime d'alberi sotto la

finestra, sbattere porte, rompere vetri lungo tutta la facciata

dell'edificio. Jim rientrò, chiudendosi l'uscio alle spalle, e mi

trovò sempre curvo sul mio tavolo; mi prese una grandissima ansia

improvvisa per ciò che avrebbe detto, un'ansia assai vicina alla

paura. 'Posso prendere una sigaretta?' domandò. Gli spinsi la

scatola senza alzare il capo. 'Ho bisogno... ho bisogno di

fumare,' borbottò. Mi sentii tutto sollevato. 'Un momento,'

mormorai con cortesia. Fece un po' su e giù per la stanza. 'E'

passata,' lo sentii dire. Un lontano tuono isolato arrivò dal mare

come una cannonata d'allarme. 'Il monsone ha rotto per tempo

quest'anno,' osservò in tono di conversazione, da un punto alle

mie spalle. Questo mi persuase a voltarmi, appena messo

l'indirizzo sull'ultima busta. Fumava avidamente, nel mezzo della

stanza; e nonostante il rumore che feci muovendomi, continuò a

volgermi le spalle per un bel po'.

'Beh - me la son cavata abbastanza bene,' fece, girando tutt'a un

tratto sui tacchi. 'Un po' l'ho pagata - ma non tanto. Chissà che

altro mi succederà.' Non mostrava nessuna emozione in viso, solo

sembrava un po' più scuro e teso, come se avesse trattenuto il

respiro. Sorrise, si direbbe, di controvoglia, e mentre lo

guardavo in silenzio soggiunse: '... Grazie, però... la sua

stanza... una bella comodità... per uno... a mal partito...'. La

pioggia tamburellava e scrosciava nel giardino; una grondaia

(doveva esserci un buco) faceva proprio davanti alla finestra la

parodia di un dirotto pianto con ridicoli singhiozzi e

lamentazioni gorgogliose, interrotti da strappi di silenzio

spasmodico... 'Una specie di ricovero...' mormorò, e tacque.

Il bagliore smorzato di un lampo dardeggiò attraverso la cornice

nera della finestra, e svanì senza rumore. Studiavo il modo di

avvicinarmi a lui (non volevo esser respinto malamente un'altra

volta) quando abbozzò una risatina. 'Né più né meno che un

vagabondo adesso...' la cicca della sigaretta gli finiva di

bruciare tra le dita... 'senza neanche un... un...' disse

lentamente; 'eppure...'. S'interruppe, la pioggia cadeva con

raddoppiata violenza. 'Ha da capitare, un giorno o l'altro, per

forza, l'occasione di recuperare ogni cosa. Per forza!' mormorò

bene scandito e con gli occhi fissi sulle mie scarpe.

Non arrivavo a capire cosa desiderava tanto di recuperare; che

cosa avesse perduto così tragicamente. Forse era cosa tanto

importante che a lui riusciva difficile anche parlarne. Uno

straccio di diploma in pergamena, secondo Chester... Alzò su di me

uno sguardo interrogativo. 'Può darsi. Se le basterà la vita,'

borbottai fra i denti con un'irritazione senza motivo. 'Non ci

conti troppo.'

'Perdiana! Ho idea che ormai niente mi può far più niente,' fece,

in tono di cupa convinzione. 'Se questa storia non ce l'ha fatta a

mettermi a terra, non c'è pericolo che ora mi manchi il tempo

per... per arrampicarmi, e...' Guardò per aria.

Mi balenò l'idea che è tra individui simili che si recluta il

grande esercito dei vagabondi e dei reietti, l'esercito in marcia

sempre più giù, sempre più giù per tutti i pantani del mondo.

Appena lasciata la mia stanza, quella 'specie di ricovero,'

avrebbe preso posto nei ranghi, iniziando la sua marcia verso

l'abisso senza fondo. Io, per lo meno, non mi facevo illusioni; ma

ero pur sempre io che, così sicuro fino a un momento prima della

potenza delle parole, ora avevo paura di parlare, così come non si

osa muoversi per tema di perdere una presa vacillante. Proprio

quando ci troviamo di fronte alle esigenze più intime del nostro

prossimo, allora ci appare chiaro quanto indecifrabili, cangianti

e nebulosi siano gli esseri compartecipi con noi dello spetta olo

delle stelle e del calore solare. E' come se la solitudine fosse

una dura e assoluta condizione d'esistenza; l'involucro di carne e

sangue su cui fermiamo lo sguardo sfugge di sotto la mano tesa, e

rimane soltanto il capriccioso, inconsolabile ed elusivo spirito

che l'occhio non può seguire, che la mano non afferra. Era il

timore di perderlo, quello che mi teneva in silenzio, perché ebbi

la sensazione immediata e stranamente precisa che se lo avessi

lasciato scivolar via nella notte non me lo sarei perdonato mai

più.

'Beh - grazie... ancora una volta. E' stato... hem...

straordinariamente... proprio non ci sono parole per...

Straordinariamente. Davvero non so perché... Temo di non riuscire

a dimostrarmi tanto grato quanto potrei se tutta questa faccenda

non mi fosse piovuta addosso in un modo così brutale. Perché in

fondo... anche lei...'. Balbettava.

'Può darsi,' risposi. Aggrottò le sopracciglia.

'Siamo, malgrado tutto, degli esseri responsabili.' Mi fissava

come un falco.

'E anche questo è vero,' dissi.

'Beh. Ho sopportato fino in fondo, e non intendo che nessuno venga

a rivedermi le bucce senza... senza... averla da fare con me.'

Strinse i pugni.

'Ha sempre da vedersela con se stesso,' ribattei con un sorriso -

Dio sa se poco allegro - ma bastò perché mi guardasse con cipiglio

minaccioso.

'Questo è affar mio,' disse. Un'aria di risolutezza indomita gli

si accese sul viso, subito spenta come un'ombra vana e passeggera.

Un attimo dopo tornò il bambino crucciato di prima. Gettò via la

sigaretta. 'Addio,' disse con l'improvvisa furia di chi si è

indugiato troppo da un lavoro urgente che lo aspetta; ma per un

paio di secondi rimase lì senza il minimo movimento. L'acquazzone

cadeva con lo scroscio pesante e continuo della corrente impetuosa

di un fiume in piena, con un fragore furibondo, prepotente e senza

ritegno, che richiamava alla mente immagini di ponti crollati, di

alberi sradicati, di montagne sconvolte. Nessun uomo avrebbe

potuto affrontare il flutto colossale e turbinoso che sembrava

infrangersi e mulinare contro l'isola di pacata penombra in cui

stavamo, precariamente riparati. La grondaia forata gorgogliava,

rantolava, sputava e sciaguattava; odiosa parodia di nuotatore che

lotta per la vita. 'Piove,' avvertii, 'e io...' 'Piova o splenda

il sole,' cominciò deciso; ma s'interruppe e si avvicinò alla

finestra. 'Un vero diluvio,' borbottò dopo un poco; appoggiò la

fronte al vetro. 'E poi è buio.'

'Sì. Molto,' feci.

Girò sui tacchi, attraversò la stanza, e, prima che io fossi

balzato dalla seggiolina aveva già aperto la porta che dava sul

corridoio. 'Aspetti,' gridai. 'Voglio che lei...'. 'Non posso mica

cenare con lei un'altra volta questa sera,' esclamò con un piede

già fuori della porta. 'Non ho la più lontana intenzione di

invitarla,' risposi. Allora ritrasse il piede, ma rimanendo con

aria sospettosa sulla soglia. Lo pregai senz'altro e con

insistenza di non fare assurdità; di tornar dentro e chiudere la

porta".

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

CAPITOLO 17.

"Finalmente rientrò; ma credo che fu soprattutto per via della

pioggia; stava diluviando in quel momento con una violenza

rabbiosa che venne poi calmandosi a poco a poco mentre

discorrevamo. Si portava in modo calmo e deciso;

nell'atteggiamento di un uomo naturalmente taciturno e dominato da

un pensiero fisso. Io, prospettandogli il lato materiale della sua

situazione, con l'unico scopo di salvarlo dall'abbrutimento, dalla

rovina e dalla disperazione che fanno così presto, laggiù, a

riversarsi sull'uomo senza amici e senza casa, lo supplicai di

accettare il mio aiuto; gli portai argomenti solidi; ma ogni volta

che alzavo gli occhi su quel volto assorto e liscio, così giovane

e serio, provavo il disagio di essergli non di aiuto ma piuttosto

di ostacolo, per non so quale misteriosa, inesplicabile,

impalpabile reazione del suo spirito ferito.

'Immagino che intenda mangiare, bere e dormire sotto un tetto come

tutti,' ricordo di aver detto con irritazione. 'Lei dice di non

voler neanche toccare il danaro che le è dovuto...' Fece il più

vivo gesto d'orrore di cui sia capace un individuo del suo tipo.

(Gli venivano, di paga, tre settimane e cinque giorni come primo

ufficiale del Patna). 'Beh, comunque è troppo poco per

occuparsene; ma che farà domani? Dove si rivolgerà? Deve pur

vivere...' 'Non è questo,' commentò tra i denti. Feci finta di non

averlo udito, e continuai confutando quelli che supponevo fossero

gli scrupoli di una eccessiva delicatezza. 'Lei deve comunque

permettermi d'aiutarla,' conclusi. 'Non si può,' rispose con molta

semplicità e dolcezza, seguendo una sua idea profonda, che potevo

intravvedere come uno specchio d'acqua nel buio, ma senza speranza

di poter mai tanto avvicinarmi ad esso da riuscire a sondarne la

profondità. Considerai la sua ben proporzionata struttura. 'Ad

ogni modo,' feci, 'posso aiutarla per quel che di lei è

l'esteriore. Non pretendo arrivare più in là.' Scosse il capo,

senza guardarmi, incredulo. Mi sentii le fiamme al viso. 'Posso!

posso!' insistei. 'E posso fare forse anche di più. Già lo sto

facendo. Io le faccio credito...' 'I quattrini...' cominciò a

dire. 'Parola mia, meriterebbe che io la mandassi al diavolo,'

esclamai, sforzandomi di apparire molto indignato. Sorrise

perplesso; io cercai di sfruttare quel vantaggio iniziale. 'Non si

tratta di quattrini. Affatto! Lei è troppo superficiale,' dissi (e

pensavo tra me: Piglia su! che, in fondo, è forse proprio così).

'Guardi: questa è una lettera che voglio consegnarle. Ho scritto a

una persona a cui non ho mai chiesto un favore; e ho parlato di

lei in termini che non si osa adoperare se non scrivendo di un

amico molto intimo. Mi assumo a suo riguardo tutte le

responsabilità; senza riserve. Ecco che sto facendo io per lei. E

in realtà, se lei volesse riflettere un momento sul significato di

questo mio atto...'

Alzò il capo. L'acquazzone era passato; solo dalla grondaia

seguitava uno stillicidio di lagrime ridicole lì, fuori della

finestra. Nella stanza tutto era tranquillo, con quelle zone

d'ombra addensata negli angoli, lontano dalla fiamma della candela

dritta e ferma come un pugnale; e il suo volto, a poco a poco,

apparve soffuso d'un tenue riflesso di pallida luce, come se fosse

già spuntata l'alba.

'Perdiana!' sospirò. 'Un gesto veramente nobile il suo...'

Se mi avesse lì per lì mostrato a scherno la lingua, non mi sarei

sentito più mortificato. Pensai fra me: mi sta bene a fare il

moralista a collotorto... Mi fissava in faccia con occhi accesi,

ma non d'ironia. Poi, tutto a un tratto, si riscosse, preso da una

improvvisa agitazione spasmodica, come una marionetta mossa dai

suoi fili. Alzò le braccia, poi le riabbassò con rumore. Divenne

un altr'uomo. 'E non l'avevo capito,' gridò, mordendosi il labbro

e aggrottando le sopracciglia. 'Che asino sono stato,' aggiunse

lento e sbigottito. 'Lei è un asso!' gridò con voce rotta: e mi

afferrò la mano come se l'avesse scoperto allora allora, e subito

me la lasciò. 'Ma come! se proprio questo io... lei... io...'

balbettò; poi, tornando al suo primo atteggiamento stolido, vorrei

dire mulesco, riprese a stento: 'Ma ora sarei una bestia se...'

Qui parve gli si spezzasse la voce. 'Sì, sì; va bene,' dissi. Mi

aveva un po' scombussolato questa piena di sentimenti, da cui

traspariva uno strano giubilo. Involontariamente avevo, per così

dire, tirato i fili giusti, senza conoscere la meccanica del

giocattolo. 'Ora devo andare,' disse. 'Perdio! Lei mi ha aiutato

sul serio! Non sto più nei panni. Proprio quello che...'

Proprio quello - sicuro! questo era il punto. Dieci contro uno,

che l'avevo salvato da morir di fame - quella particolare sorta di

fame che quasi invariabilmente si associa all'ubriachezza. Ecco

tutto. Non faceva ombra di dubbio in proposito; ma, osservandolo,

mi permisi di domandare a me stesso che sorta di miraggio fosse

quello che negli ultimi tre minuti gli si era evidentemente creato

dentro. Lo avevo costretto ad accettare un piano per tirare

avanti, con qualche decenza, in quella cosa seria che e la vita;

per procurarsi anche lui da mangiare e da bere e un asilo come

tutti; mentre il suo spirito ferito, come un uccello con un'ala

rotta, si sarebbe infrattato a salti e sbalzi in qualche buco a

morir d'inedia, in silenzio. Quel che l'aveva spinto ad accettare

era, in ultima analisi, una cosa da nulla: e invece, miracolo! per

il modo come l'aveva accettata, ora essa ci dominava, nella

incerta luce della candela, come un'ombra enorme, indistinta e

forse minacciosa. 'Non faccia caso se non so trovare le parole

adatte,' esclamò. 'Ma non ci sono parole che bastino. Già ieri

sera lei mi ha fatto un bene incalcolabile standomi a sentire...

capisce? Le do la mia parola che ho sentito più di una volta

scoppiarmi il cervello...' Si slanciò - proprio si slanciò - da un

punto all'altro della stanza; si infilò le mani in tasca d'un

tratto, e le tirò di nuovo fuori; si buttò il berretto in testa.

Non riuscivo a immaginare che avesse in corpo da essere così

arioso e vivace. Dava l'idea di una foglia secca presa in un

mulinello, e intanto un'apprensione misteriosa, un gravame di

oscuri dubbi mi inchiodava sulla sedia. Rimase fermo impietrito,

come folgorato da una sùbita illuminazione. 'Lei mi ha ridato

fiducia,' dichiarò senza enfasi. 'Oh, per amor di Dio, figliolo...

basta così!' lo supplicai, come se mi avesse offeso. 'Va bene: non

dirò più niente - né ora né mai. Però lei non può impedirmi di

pensare... che... Non fa niente!... Vedrà... vedrà...' Corse alla

porta, sostò un attimo a testa bassa, tornò indietro con passo

risoluto. 'Ho sempre pensato se un uomo non potrebbe ricominciare

da capo, a pagina bianca... e ora lei... fino a un certo punto...

sì... pagina bianca.' Gli feci un saluto con la mano, e lui uscì

senza voltarsi; il suono dei suoi passi a poco a poco si spense di

là dalla porta chiusa - il passo sicuro di un uomo che procede

nella luce piena del sole.

Ma io, rimasto solo con la mia candela solitaria, io mi trovavo

per contro in pieno buio. Non ero più tanto giovane da scoprire a

ogni svolta il magnifico splendore che guida i nostri passi

perduti verso il bene o il male. Sorrisi al pensiero che, dopo

tutto, di noi due, era lui che possedeva la luce. E mi sentii

triste. Una pagina bianca aveva detto, eh? Come se la parola

iniziale nel destino di ciascuno di noi non fosse incisa a lettere

indelebili sul vivo di una roccia!".

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

CAPITOLO 18.

"Sei mesi dopo ricevetti una lettera dal mio amico. Era costui uno

scapolo su per giù di mezza età, cinico, in fama d'eccentrico,

proprietario di un mulino da riso. Dal calore della mia

raccomandazione, aveva stimato che la cosa mi stesse a cuore, e

perciò nello scrivermi si diffuse alquanto sulle doti, pacate, ma

efficaci, di Jim. 'Non essendo riuscito a trovarmi in cuore più

che una rassegnata sopportazione di fronte a tutti gli altri

esemplari della razza umana, ho vissuto finora solitario in una

casa che anche in questo clima torrido potrebbe considerarsi

troppo grande per una persona sola. Me lo sono preso in casa tempo

fa: e, a quanto pare, non è stato uno sbaglio.' Mi domandavo,

leggendo questa lettera, se il mio amico si fosse scovato in

cuore, meglio che un sentimento di tolleranza verso Jim, il

preannuncio di una vera simpatia. E si esprimeva in un modo tutto

personale. Punto primo, Jim si conservava fresco in quel clima.

'Se fosse una ragazza,' scriveva il mio amico, 'si potrebbe dire

che fiorisce - fiorisce quieto quieto come una violetta, non come

uno dei nostri roboanti fiori tropicali.' Da sei settimane abitava

in casa sua, e non si era ancora spinto a dargli una manata sulla

schiena, o a chiamarlo 'vecchio mio,' o a dargli la sensazione di

considerarlo un annoso fossile. Non aveva il vizio di

chiacchierare, proprio dei giovani. Era di buon carattere, di

poche parole, non troppo intelligente 'se Dio vuole' - scriveva il

mio amico. Abbastanza però, da apprezzare tranquillamente le

arguzie dell'ospite che a sua volta era molto rallegrato

dall'ingenuità del ragazzo. 'Ha ancora addosso la rugiada, e da

quando ho avuto la buona idea di dargli una stanza in casa mia e

tenermelo a tavola mi par di rinverdire. L'altro giorno si è messo

in testa di attraversare tutta la stanza solo per aprirmi una

porta; e questo mi ha fatto sentire in accordo con l'umanità; che

da anni non mi capitava. Buffo, no? Non mi sfugge che qualche

mistero sotto ci ha da essere; qualche brutto piccolo guaio - di

cui tu sei al corrente - ma se anche si tratta di cosa

riprovevole, con un po' di buona volontà credo che si possa

passarci sopra. Per parte mia, confesso che non riesco a

immaginarlo reo se non, tutt'al più, di aver rubato della frutta

in un orto. Si tratta davvero di cosa molto più grave? Me ne

avresti forse dovuto parlare: ma da tanto tempo siamo diventati

santi, noi due, che devi esserti scordato che i nostri peccati, al

tempo nostro, li abbiamo fatti anche noi. Può darsi che un giorno

te lo abbia da chiedere, e allora bisognerà che tu mi risponda.

Non voglio interrogarlo io direttamente finché non ho almeno

un'idea di quel che si tratta. E poi, è ancora troppo presto.

Lasciamolo aprirmi la porta qualche altra volta...' Così il mio

amico. Ero soddisfatto per tre ragioni per la buona riuscita di

Jim, per il tono della lettera, per la mia perspicacia.

Evidentemente avevo agito con criterio; avevo studiato a fondo i

caratteri delle persone; e così via. E se ne fosse venuto fuori

qualche risultato inatteso e meraviglioso? Quella sera, steso su

una sdraia all'ombra del mio tendone di poppa (ero nel porto di

Hong-Kong), posai in onore di Jim la prima pietra d'un castello in

aria.

In seguito, di ritorno da un viaggetto nel nord, trovai tra la

posta in giacenza un'altra lettera del mio amico. L'apersi per

prima: 'Posate non ne mancano, a quanto pare,' diceva la prima

riga; 'e non mi son curato di farne la verifica, perché non mi

importa molto. Se n'è andato, lasciandomi sulla tavola da pranzo

un bigliettino di scuse convenzionali, che denota o stupidità o

mancanza di cuore. Probabilmente tutt'e due le cose insieme, per

me è lo stesso. Permettimi di dirti, casomai tu avessi in serbo

qualche altro giovinotto misterioso, che ho chiuso bottega,

definitivamente e per sempre. Sarà stata la mia ultima

eccentricità. Non devi credere che me ne importi un fico secco; ma

ha lasciato molti rimpianti sui campi di tennis, e, nel mio stesso

interesse, ho dovuto raccontare una storia plausibile al

circolo...'. Misi la lettera da parte e mi posi a frugare fra le

altre ammucchiate sul mio tavolino, finché mi capitò sott'occhio

la calligrafia di Jim. Lo credereste? Un caso su cento! Ma è

sempre quel centesimo caso che càpita! Il secondo macchinista del

Patna, quel mezz'uomo, era saltato fuori in condizioni più o meno

disperate, ed aveva ottenuto l'incarico temporaneo di sorvegliante

al macchinario del mulino. 'Non potevo sopportare la confidenza

che si pigliava quell'animale,' scriveva Jim da un porto di mare a

settecento miglia più a sud del luogo dove avrebbe dovuto essere a

far vita da re. 'Per il momento lavoro da Egström e Blake,

fornitori marittimi, come... ecco... galoppino, a dirla com'è. Per

le referenze, ho dato il suo nome, che naturalmente conoscono; e

se lei volesse mettere una buona parola, il mio impiego potrebbe

diventare stabile.' Ero rimasto schiacciato sotto le rovine del

mio castello ma, naturalmente, scrissi quanto mi veniva richiesto.

Prima della fine dell'anno, il mio nuovo ingaggio mi portò da

quelle parti, e così ebbi occasione di vederlo.

Lavorava ancora per Egström e Blake, e c'incontrammo nel

'salottino,' come chiamavano una stanzetta che dava sul magazzino.

Tornava da una nave appena attraccata, e mi affrontò a fronte

bassa, pronto a battagliare. 'Che ha da dire a sua difesa?'

cominciai, appena ci fummo stretti la mano. 'Quello che le ho

scritto, niente di più,' disse, in tono scontroso. 'Quello ha

chiacchierato... o che cosa?' domandai. Alzò gli occhi,

guardandomi, con un sorriso turbato. 'Oh no! chiacchierato no. Ma

ne aveva fatto una specie di legame confidenziale tra noi.

Prendeva una maledetta aria di mistero ogni volta che io andavo al

mulino; mi strizzava l'occhio molto compunto, come per dire: NOI

SAPPIAMO QUEL CHE SAPPIAMO. E poi, sempre con un maledetto

servilismo e una familiarità... eccetera, eccetera.' Si lasciò

andare su una seggiola con lo sguardo fisso sulle sue gambe. 'Un

giorno ci capitò di ritrovarci soli, e quell'individuo ebbe la

faccia di dirmi: - Beh, signor Giacomo - (lì mi chiamavano tutti

signor Giacomo, come fossi il figlio del padrone) - eccoci un

altra volta insieme. Meglio qui che su quel ferrovecchio, no? Non

era orribile? Lo guardai, e lui prese un'aria furba. Niente

paura, signor Giacomo, - dice. - Riconosco un gentiluomo a colpo

d'occhio, e so come un gentiluomo la intende. Spero, quindi, che

lei mi terrà a questo posto. L'ho passata brutta anch'io per via

di quella vecchia maledetta storia del Patna. Perdiana! era

spaventoso. Non so che avrei detto o fatto se in quel momento non

avessi sentito dal corridoio la voce del signor Denver che mi

chiamava. Era ora di pranzo; attraversammo insieme il cortile e il

giardino per entrare nel bungalow. Cominciò a stuzzicarmi, col suo

modo così pieno di bontà... credo che mi volesse bene...'

Jim rimase un po' in silenzio.

'Lo so che mi voleva bene: e proprio per questo mi sentivo tanto a

disagio. Un uomo così straordinario!... Quella mattina mi prese

sotto braccio... Anche lui mi trattava con familiarità.' Scoppiò

in una risata secca e piegò il mento sul petto. 'Bah! Ricordavo le

parole e il modo di quello schifoso vermiciattolo,' riprese a un

tratto con voce tesa, 'e mi ribellai all'idea che io... Lei lo

sa...' Annuii col capo. 'Più che un padre,' esclamò; poi abbassò

la voce. 'Dovevo dirgli tutto. Così non si poteva seguitare, no?'

'Beh?' mormorai, dopo un momento di attesa. 'Ho preferito

andarmene,' rispose lento; 'questa faccenda bisogna seppellirla.'

Sentivamo Blake in negozio scaricare una volata d'improperi contro

Egström con grandi strilli e berci. Erano soci da molti anni. E

ogni giorno, dall'apertura del negozio fino all'ultimo minuto

prima della chiusura, si sentiva Blake, un omino dai capelli lisci

lisci, nerissimi, e due occhietti tondi, scontenti, strapazzare

così, senza posa, il suo socio, con una specie di furia astiosa e

lagnosa. Il frastuono di quelle eterne scenate faceva parte

dell'ambiente con tutto il resto della mobilia; i forestieri

imparavano anche loro molto presto a non farci più caso e si

limitavano a borbottare qualche volta: 'Accidenti!' o ad alzarsi

di colpo dalla sedia per chiudere la porta del 'salottino'.

Intanto Egström, uno scandinavo massiccio, dalle ossa a fior di

pelle, e due immensi scopettoni biondi, seguitava indaffarato a

dar ordini ai suoi dipendenti, a registrar pacchi, a preparar

conti o a scrivere lettere su un alto bancone in negozio,

comportandosi insomma in mezzo a quell'ira di Dio come se fosse

sordo spaccato. A tratti, e per scarico di coscienza, lanciava un

'Sshh!' che non produceva, né intendeva produrre, il minimo

effetto. 'Mi trattano molto bene, qui,' fece Jim. 'Blake è una

canaglietta, ma Egström è in gamba.' Balzò in piedi, e,

avvicinandosi al treppiede che sosteneva il telescopio puntato

alla finestra verso la baia, vi applicò un occhio. 'Ecco la nave

rimasta in panne stamani al largo e che ha trovato alla fine una

bava di vento per entrare,' osservò tranquillamente. 'Devo andare

a bordo.' Ci stringemmo la mano in silenzio, e si avviò per

uscire. 'Jim!' esclamai. Si volse con la mano sulla maniglia.

'Lei... lei ha buttato via qualcosa come una fortuna.'

Riattraversò tutta la stanza e mi si avvicinò. 'Un così

straordinario vecchio...' fece. 'Come potevo? Come potevo?' Gli

tremavano le labbra. 'Qui, non ha importanza.' 'Oh! che... che...'

cercavo la parola adatta, ma prima che arrivassi a rendermi conto

che non c'era un epiteto confacente, Jim se n'era andato. Udii da

fuori la voce profonda e dolce di Egström che diceva allegramente:

'E' il Sara W. Granger, Jimmy. Devi far di tutto per trovarti a

bordo prima di tutti,' e subito interloquì Blake, strillando come

un pappagallo infuriato. 'Di' al capitano che abbiamo posta per

lui, qui. Vedrai che viene subito. Capito, signor Come-ti-chiami?'

E la risposta di Jim a Egström con un che di fanciullesco nel

tono. 'Va bene. Si va in regata!' Sembrava consolarsi della

miseria di quel mestiere prendendolo dal lato marinaresco.

Non lo vidi più in quel mio viaggio, ma durante il seguente (avevo

un contratto di sei mesi) tornai all'emporio. A dieci metri

dall'ingresso mi arrivò all'orecchio il blaterare di Blake, il

quale, quando fui entrato, mi lanciò un'occhiata piena di uno

scoramento totale; Egström, tutto sorrisi, avanzò, tendendomi una

grande mano ossuta. 'Molto lieto di vederla, capitano... Sshh...

Lo dicevo io che doveva esser in via di ricapitare da queste

parti. Come dice, signore?... Sshh... Ah! quello lì! Se n'è

andato. Si accomodi in salottino.'... Richiuso l'uscio, la voce

stridula di Blake arrivò alquanto smorzata, come di uno che

facesse sfoghi disperati in mezzo al deserto... 'Ci ha messo in un

grosso impiccio, anche. Si è comportato male con noi, se l'ho da

dire...' 'Dov'è andato? Lo sa?' domandai. 'No. A lui era inutile

chiederlo,' rispose Egström, rimasto in piedi davanti a me, con i

suoi scopettoni, servizievole, le braccia goffe lungo i fianchi, e

l'esile catenina d'argento dell'orologio attaccata molto in basso

su un panciotto di lana blu tutto ciancicato. 'Un uomo così non ha

mai una particolare direzione.' La notizia mi rattristava troppo

per lasciarmi la voglia di farmi spiegare questa sua teoria; egli

proseguì: 'E' partito... vediamo un poco... proprio il giorno che

riparò qui in porto un piroscafo con dei pellegrini di ritorno dal

Mar Rosso, che aveva perso due pale dell'elica. Giusto tre

settimane oggi.' 'Non si parlò, per caso, della faccenda del

Patna?' domandai, temendo il peggio. Trasalì e mi guardò come se

fossi un mago. 'Ma sì! Come fa a saperlo? Se ne parlò proprio qui:

un paio di capitani, il direttore dell'officina Vanlo al porto,

altri due o tre e io. C'era anche Jim, che faceva colazione con

panini imbottiti e un bicchiere di birra; quando abbiamo molto da

fare - capisce, capitano - non c'è tempo per un vero pasto.

Mangiava in piedi a questo tavolino, e noialtri intorno al

telescopio a guardar entrare il piroscafo. Dopo un po' il

direttore della Vanlo cominciò a parlare del capo macchinista del

Patna; gli aveva fatto certe riparazioni una volta; da questo

passò a raccontarci di quella nave, che era una vecchia carcassa,

e quanto danaro ne avevan ricavato. Gli capitò d'accennare al suo

ultimo viaggio, e allora interloquimmo tutti. Chi disse una cosa,

chi un'altra - non gran che - cose che lei o chiunque altro

potrebbe dire; e ci fu qualche risata. Il capitano O'Brien del

Sara W. Granger, un vecchio grosso, rumoroso, col bastone - che

ascoltava seduto su questa poltrona qui, tutto a un tratto batte

col bastone per terra e ruggisce: Vigliacconi!... - Ci fece

sobbalzare tutti. Il direttore della Vanlo ci fa l'occhietto e

chiede: - Che succede, capitano O'Brien? - Che succede? Che

succede? - cominciò a gridare il vecchio; - che c'è da ridere,

pezzi di pellirossa? Non c'è niente da ridere. E' una vergogna per

il genere umano, ecco cos'è. Mi vergognerei di farmi vedere nella

stessa stanza con uno di quegli uomini. Sissignore! - Pareva

avesse preso di mira proprio me, e dovetti rispondere per

educazione: Vigliacconi! dissi, - certo, capitano O'Brien: e

neanch'io li riceverei qui dentro: dunque lei, qui, può star

tranquillo, capitano O'Brien. Prenda una bibita fresca -. - Al

diavolo le sue bibite, Egström, disse sbattendo le palpebre, -

quando mi va di bere qualcosa, so gridare da me che me la portino.

Vi pianto. Ci puzza qua dentro, adesso -. A queste parole tutti

scoppiarono a ridere, e se ne andarono dietro al vecchio. E

allora, signore, quel dannato di Jim posò il panino che aveva in

mano e fece il giro del tavolino per appressarsi a me; e lasciò lì

il suo bicchiere di birra ancora pieno fino all'orlo. - Me ne

vado, dice... così, preciso. - Non è ancora l'una e mezzo, -

faccio io; - puoi farti una fumatina, prima. - Credevo dicesse che

era l'ora di andare al lavoro. Quando capii la sua vera

intenzione, mi caddero le braccia... così! Non si trova tutti i

giorni un uomo come quello, sa, signore; un vero diavolo per

portare una barca a vela; pronto a far miglia e miglia di mare con

qualunque tempo per andare incontro alle navi. Più d'una volta è

successo che qualche capitano mi entrasse qui pieno di meraviglia,

e la prima cosa che diceva era: - Un bel matto quel suo

commissionario di bordo, Egström. Stavo cercando la rotta per il

porto, approfittando dell'ultima luce del giorno, e interzarolato

stretto, quando mi sbuca dalla nebbia come una freccia, propria

sulla mia rotta di prua, una barca mezza abboccata d'acqua, con

gli schizzi che le arrivavano a riva dell'albero, due negri

spaventatissimi sui paglioli, e un diavolo al timone che urla:

Ehi! Ehi! Ohè della nave! Ohè! Capitano! Ehi! Ehi! Qui, l'uomo di

Egström e Blake: il primo a passarvi parola! Ehi! Ehi! Egström e

Blake! Olà! Ehi! - Via! un calcio ai negri - molla i terzaroli -

arriva una raffica - ci fila davanti urlando e berciando di

mollare a vento che mi avrebbe pilotato lui fino in porto - un

demonio più che un uomo. Non ho mai visto in vita mia portare una

barca così. E non aveva mica bevuto, vero? Un ragazzo così

tranquillo quando fu a bordo, educato, capace di arrossire come

una ragazza... - Le dico, capitano Marlow, che nessuno poteva

vincerci con le navi in arrivo, quando in mare c'era Jim. Gli

altri fornitori marittimi era bazza se riuscivano a conservarsi i

vecchi clienti, e...'

Egström parve sopraffatto dall'emozione.

'Beh, signore - non ci avrebbe pensato né poco né tanto a farsi

cento miglia al largo su una scarpa vecchia per guadagnare una

nave alla nostra ditta. Se si fosse trattato di un commercio suo

ancora tutto da impiantare, sotto questo riguardo non avrebbe

potuto fare di più. E ora... tutto a un tratto... ecco! Penso io

tra me: Oho!... un piccolo aumento - sta qui la questione eh?

Benissimo - dico, - inutile far tante storie con me, Jimmy. Basta

la cifra. Di' tu... Qualunque somma, se di ragione.- Mi guarda

come se cercasse d'ingoiare qualcosa rimastagli in gola. Devo

andarmene da qui -. - Che scherzo stupido è questo? domando.

Scosse il capo, gli si leggeva negli occhi che se n'era già bell'e

andato, signore. Allora lo presi di petto e glie ne dissi di cotte

e di crude. - Che cosa ti fa scappar via? domando. Chi ti ha fatto

torto? Chi ti ha minacciato? Non hai più cervello di un topo:

quelli, da una nave buona non se ne vanno. Dove credi di trovare

un posto migliore?... pezzo di questo e di quest'altro. - Lo

ridussi come un cencio, glie lo dico io. - La nostra ditta non

andrà a fondo lo stesso, - dico. Fece un gran salto. - Addio, -

dice, salutandomi con un cenno del capo, come un gran signore; -

Lei è un buon uomo, Egström. E io le do la mia parola che se

conoscesse la mia condizione, non avrebbe più tanta voglia di

trattenermi -. - Questa è la più grossa bugia che tu abbia mai

detto, - dico io. - So io che pensare. - Mi aveva talmente fatto

andare in bestia, che dovetti mettermi a ridere. - Non puoi

davvero fermarti nemmeno tanto da finirti questo bicchiere di

birra, disgraziato? - Non so co sa gli successe; sembrava che non

riuscisse più a trovare la porta; una cosa buffa, le assicuro,

capitano. La birra me la bevvi io. Beh, se hai tanta furia, bevo

io alla tua buona fortuna, dico; solo, senti a me, se continui di

questo passo, ti accorgerai presto che il mondo non è abbastanza

grande per contenerti, ecco. - Mi diede un'occhiata torva, e

scappò con una faccia da far paura ai bambini.'

Egström sbuffò con amarezza, lisciandosi uno dei basettoni

rossicci, con le dita nodose. 'Non mi è mai più riuscito, dopo, di

trovare un uomo che valesse un soldo. Tutto a rotoli, qui. Ma lei,

se è lecito, dove l'ha conosciuto, capitano?'

'Era secondo sul Patna durante quella famosa traversata,' risposi,

sentendo che gli dovevo una spiegazione. Egström rimase un po'

immobile, con le dita immerse nel pelame degli scopettoni; poi

esplose. 'E che diavolo può importare questo? A chi?' 'Forse a

nessuno,' cominciai... 'E chi diavolo crede di essere, quello,

comunque, per prendersela in questo modo?' A un tratto si ficcò in

bocca il basettone sinistro e prese un'aria stupita. 'Perdiana!'

esclamò. 'Glie l'ho ben detto che la terra non sarebbe bastata

alle sue giravolte!'".

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

CAPITOLO 19.

"Vi ho raccontato per esteso questi due soli episodi, che mostrano

lo stato d'animo di lui in quel periodo della sua vita: ma ce ne

furono molti altri del genere; quanti ne potrei contare sulle dita

delle mani e anche più; tutti con lo stesso segno di un così alto

scrupolo morale da rendere profonda e commovente anche la loro

futilità. Gettare via il proprio pane quotidiano per aver mano

libera nella lotta contro un fantasma sarà magari un atto di

eroismo banale. Altri l'hanno fatto prima di lui (ma noi sappiamo

troppo bene - noi che abbiamo vissuto - come non sia l'ossessione

spirituale, ma la fame fisica a creare i proscritti): sempre

applaudita la loro meritoria pazzia dagli uomini che mangiano, e

intendono continuare a mangiare ogni giorno. Davvero disgraziato,

il povero Jim, che, con tutta la sua temerarietà non riusciva a

liberarsi da quell'ombra: sul suo coraggio persisteva sempre un

dubbio. La verità è, forse, che non ci si libera dallo spettro di

un fatto materiale. Lo si può affrontare o sfuggire - e mi è

capitato d'incontrare un tipo o due che sapevano dare

eventualmente una strizzatina d'occhio al loro fantasma familiare.

Jim non era davvero tipo da fargli l'occhietto; io però non sono

mai riuscito a decifrare se si comportava così con l intenzione di

fuggire il suo spettro o d'affrontarlo.

Tutti i miei sforzi di perspicacia mi portavano soltanto alla

conclusione che, come sempre nella complessità delle nostre

azioni, l'ombra di differenza era troppo sfumata per riuscire a

coglierla. Quella di Jim poteva essere una fuga come poteva essere

una maniera di combattere. Il volgo vedeva Jim come l'immagine di

un sasso che seguita a rotolar giù; cioè dal suo lato più buffo:

dopo un certo tempo divenne infatti notissimo, addirittura famoso,

nel cerchio dei suoi vagabondaggi (che aveva un diametro di,

mettiamo, tremila miglia) allo stesso modo come un tipo strambo è

conosciuto nel suo circondario. Per esempio a Bangkok, dove trovò

lavoro presso i fratelli Yuckee, noleggiatori e mercanti di teck,

era quasi commovente vederlo andare in giro lungo il fiume sotto

la canicola, tenendosi stretto dentro il suo segreto, conosciuto

ormai fino alle più lontane capanne del retroterra. Schomberg, il

direttore dell'albergo dove alloggiava, un irsuto Alsaziano che

con quell'aria virile era un inesauribile divulgatore di tutte le

chiacchiere e scandali locali, propinava regolarmente, gomiti sul

tavolino, una versione infiorettata della storia di Jim a tutti i

clienti propensi ad ingerire un po' di notizie insieme ai liquori

più costosi. 'E, badi, il più simpatico ragazzo che si possa

incontrare,' concludeva generosamente; 'proprio un uomo

superiore.' E' tutto a favore della folla eterogenea di clienti

dello stabilimento di Schomberg, il fatto che Jim riuscisse a

reggere a Bankok per sei mesi buoni. Notai che la gente, senza

conoscerlo affatto, gli si affezionava come a un caro bambino.

Nonostante i suoi modi riservati, il suo aspetto fisico, i suoi

capelli, i suoi occhi, il suo sorriso, gli creavano amicizie

dovunque capitasse. E poi non era affatto uno sciocco. Udii

Siegmund Yucker (oriundo svizzero: un mite uomo, consumato da una

feroce dispepsia, zoppo sconciato, che la testa gli tracciava un

quarto di cerchio a ogni passo) dichiarare con ammirazione che,

per essere così giovane, era 'di grande gabacità' come se fosse un

caso di semplice capienza cubica. 'Perché non mandarlo

nell'interno?' suggerii con ansia, sapendo che i fratelli Yucker

possedevano certe concessioni e foreste nel retroterra. 'Se ha

capacità, come lei dice, farà presto a impratichirsi. Ha un fisico

molto robusto, una salute di ferro.' 'Ah! E' una gran cosa in

questo paese non soffrire di tispepsia,' sospirò il povero Yucker

con invidia, dandosi un'occhiata di sfuggita alla cavità dello

stomaco. Lo lasciai lì, assorto a tamburellare sulla scrivania,

borbottando: 'Es ist eine Idee. Es ist eine Idee.'

Disgraziatamente, proprio quella sera accadde nell'albergo una

scena incresciosa.

Non per farne troppo un carico a Jim, ma fu senz'altro un caso

molto sgradevole: una delle solite squallide risse da bar; e

l'avversario era un Danese strabico, che nel biglietto da visita,

sotto un nome bastardo, si spacciava per 'primo tenente della

Regia Marina Siamese.' Costui era una vera schiappa al biliardo,

ma naturalmente, di perdere non l'intendeva. Aveva la sbornia

cattiva, sicché alla sesta partita perse le staffe e si permise

qualche frase di scherno contro Jim. I più dei presenti non lo

avevano udito; quei pochi che avevano inteso se lo scordarono in

fretta per lo spavento di quel che ne seguì immediatamente. Fu una

fortuna per il Danese quella di saper nuotare, perché il locale

dava su una veranda a picco sul Menam che scorreva di sotto,

larghissimo e nero. Una barca di Cinesi, diretti molto

probabilmente a qualche impresa ladresca, ripescò l'ufficiale del

Re del Siam, e Jim mi arrivò a bordo verso mezzanotte senza

cappello. 'Sembrava che lo sapessero tutti, nel locale,' disse,

quasi ansimando ancora per la baruffa. In via di principio era

piuttosto pentito dell'accaduto, benché, nella specie, secondo

lui, non rimaneva altro da fare. Soprattutto lo aveva atterrito la

scoperta che era noto a tutti il segreto che gli pesava addosso,

come se lo fosse portato in giro sempre bene in vista.

Naturalmente, ora doveva andarsene anche di lì. Tutti lo

accusarono di violenza brutale, così poco opportuna per un uomo

nella sua situazione delicata; alcuni sostenevano che in quel

momento era ubriaco fradicio; altri gli rinfacciavano la sua

mancanza di tatto. Perfino Schomberg ne fu molto seccato. 'E' un

giovanotto molto simpatico,' mi disse con una punta di polemica,

'ma anche il tenente è un tipo di prim'ordine. Cena ogni sera alla

mia table d'hôte, sa. E mi hanno rotto una stecca di biliardo.

Queste cose non le posso permettere. La mattina dopo sono andato

per tempo a far le mie scuse al tenente, e per parte mia credo

d'aver appianato le cose; ma pensi un po', capitano, se tutti si

mettessero a fare di questi giochetti! E se quell'altro affogava?

Senza contare che qui non si tratta mica di fare un salto nella

strada accanto per ricomprarmi una stecca nuova. Devo ordinarla in

Europa. No, no! Un carattere simile non va!...' L'argomento gli

bruciava forte.

Questo fu l'incidente più grave di tutta la sua... la sua

ritirata. Nessuno più di me era nel caso di rammaricarsene;

perché, se qualcuno nel sentirlo nominare aveva potuto dire: 'Ah,

sì! lo conosco. E' venuto a sbatter la testa anche da queste parti

per un bel po'' - egli era tuttavia riuscito fino a quel momento a

tirar avanti senza troppe botte e ammaccature. Quest'ultima

faccenda, invece, mi seccò sul serio, perché se la sua squisita

suscettibilità arrivava al punto di trascinarlo a risse da

bettola, allora avrebbe perduto quella sua nomèa di baggiano

innocuo, anche se un po' pesante, acquistandosi quella di un

fannullone qualunque. Con tutta la mia fiducia in lui, non potevo

tenermi dal pensare che in certi casi dalla parola al fatto il

passo è breve. Capirete, mi figuro, che oramai non potevo pl

pensare a lavarmene le mani. Me lo portai via da Bankok sulla mia

nave; la traversata fu piuttosto lunga. Faceva pena vederlo

ritirarsi così in se stesso. Un marinaio, anche da semplice

passeggero, prende interesse alla nave, e osserva la vita

marinaresca intorno a lui col godimento valutativo di un pittore,

mettiamo, che osservi l'opera di un collega. Egli è "sul ponte" in

tutto il senso della parola. Il nostro Jim, invece, stava per lo

più da basso, tutto aggrondato, come un passeggero clandestino. Me

l'attaccò anche a me; tanto che mi astenevo dal parlargli di

questioni professionali, come sarebbe naturale tra due marinai

durante una traversata. Restavamo senza scambiarci una parola per

intere giornate; e mi riusciva estremamente difficile anche dare

ordini ai miei ufficiali in sua presenza. Spesso, trovandoci

insieme soli sul ponte o in cabina, non sapevamo dove posare gli

occhi.

Lo misi da De Jongh, come sapete, ben lieto di sistemarlo in

qualche modo, ma convinto che la sua situazione diventava

intollerabile. Aveva perduto un poco di quella elasticità che gli

aveva permesso altre volte di tornare a galla intatto dopo ogni

rovescio. Un giorno, sbarcando, lo trovai in piedi sulla banchina;

l'acqua della baia e il mare aperto formavano un piano liscio e

ascendente; i bastimenti all'àncora, lontani, sembravano navigare

immobili nel cielo. Stava aspettando che finissero di caricare una

barca, sotto ai nostri piedi, con pacchi di minute provviste per

qualche nave lesta a salpare. Ci salutammo e restammo in silenzio,

uno vicino all'altro. 'Perdiana!' disse a un tratto. 'E' un lavoro

che ammazza.'

Mi sorrise; devo dire che in genere fino a un sorriso ci arrivava.

Non risposi. Sapevo benissimo che non alludeva alla fatica: aveva

la vita facile con De Jongh. Tuttavia, a quelle sue parole, mi

convinsi in pieno che veramente quel lavoro lo ammazzava. Senza

guardarlo: 'Le piacerebbe,' dissi, 'abbandonare definitivamente

questa parte di mondo; provare in California o sulla Costa

occidentale? Vedrò se è possibile...' M'interruppe alquanto

sdegnato: 'Che differenza c'è...' Capii subito che aveva ragione.

Non c'era differenza; non cercava un riposo, lui; mi parve di

intuire vagamente che gli occorreva e, per così dire, stava

aspettando, qualcosa difficilmente definibile qualcosa come

un'occasione. Glie ne avevo fornite diverse, ma di quelle buone

soltanto a procurargli il pane. Eppure che si poteva fare di più?

Il caso mi parve disperato, e mi sovvenivano le parole di Brierly:

'Che si scavi una buca sei metri fonda e ci rimanga.' Meglio

questo, pensai, che codesto stare a fior di terra ad aspettar

l'impossibile. Eppure, non si poteva esser sicuri neanche di ciò.

Lì per lì, e prima che la sua barca si fosse staccata di tre remi

dalla banchina, decisi di andare subito. in serata. a consultare

Stein.

Questo Stein era un mercante ricco e stimato. La sua ditta (perché

era proprio una ditta, Stein e Company: esisteva anche una specie

di socio che, a sentire Stein 'si occupava delle Molucche') aveva

un'estesa rete di commerci interinsulari, e molte agenzie nei

luoghi più remoti per la raccolta dei prodotti. Non erano tuttavia

né la sua ricchezza, né la sua autorità quelle che mi spingevano

così urgentemente a chiedergli i suoi pareri. Avevo bisogno di

confidargli la mia apprensione perché era uno degli uomini più

degni di fiducia che io abbia mai conosciuto. Una bella aureola di

bontà semplice, per così dire instancabile, e intelligente gli

illuminava il viso lungo e glabro dalle profonde rughe verticali,

e pallido come il viso di una persona accostumata ad una vita

sedentaria - che, in realtà non era mai stata la sua. Aveva

capelli radi, spazzolati all'indietro sulla fronte massiccia e

spaziosa. Veniva fatto di pensare che a vent'anni doveva essere

stato molto simile a ora, che ne aveva sessanta. Era il viso di

uno studioso; soltanto le sopracciglia, quasi completamente

bianche, folte e a cespugli, e, di sotto a quelle, lo sguardo che

ne scaturiva risoluto e penetrante, contrastavano col suo aspetto,

direi, di scienziato. Era alto e dinoccolato; la schiena

leggermente curva, e il sorriso innocente lo facevano apparire

pronto a prestarvi benevola attenzione; le lunghe braccia con le

grandi mani pallide avevano radi gesti decisi per indicare o

dimostrare. Se mi indugio a parlar di lui è perché, dietro a

questo aspetto esteriore, e in accordo con una natura diritta e

indulgente, quest'uomo possedeva un'intrepidità di spirito e un

coraggio fisico che poteva passare per temerarietà se non fosse

stata una funzione naturale del suo corpo - come la buona

digestione, per esempio - e del tutto inconsapevole. Si dice

talvolta che la vita l'abbiamo nelle nostre mani. Codesto modo di

dire non sarebbe valso per lui: durante la prima parte della sua

esistenza in Oriente ci aveva giocato addirittura a palla, con la

sua vita. Tutto questo apparteneva ormai al passato, ma io

conoscevo la sua storia e l'origine della sua ricchezza. Era anche

un naturalista di un certo valore, o, più esattamente, un dotto

collezionista. L'entomologia era la sua particolare passione. La

sua collezione di Buprestidae e Longicornuae tutti scarabei -

orribili mostri in miniatura, dall'aspetto nemico anche

nell'immobilità della morte, e la sua vetrina di farfalle, belle e

frementi nelle loro ali senza vita sotto al vetro delle scatole,

avevano portato lontano la sua fama nel mondo. Il nome di questo

mercante avventuriero, consigliere, in passato, di un sultano

malese (e non lo chiamava altrimenti che 'il mio povero Mohammed

Bonso') era noto, in Europa, in virtù di poche staia di insetti

morti, a scienziati che non potevano farsi neanche l'idea, e certo

non si sarebbero curati di farsela, della sua vita e del suo

carattere. A me, che ero al corrente, parve persona adattissima a

ricevere le mie confidenze sulle difficoltà di Jim: e sulle mie

proprie...".

 

 

 

 

 

 

 

CAPITOLO 20.

"La sera sul tardi entrai nel suo studio, dopo aver attraversato

una sala da pranzo imponente, ma vuota, e scarsamente illuminata.

La casa era silenziosa. Mi precedeva un servo giavanese, anziano e

severo, con una specie di livrea formata da una giacca bianca e da

un sarong giallo; costui, dopo aver spalancato la porta, esclamò a

bassa voce: 'Oh padrone!' e, facendosi da parte, sparì in certa

sua misteriosa maniera, come un fantasma che avesse preso corpo

solo un attimo per quel particolare servizio. Stein si voltò

girando la poltrona, e sembrò che lo stesso movimento gli

sollevasse gli occhiali sulla fronte. Mi diede il benvenuto con la

sua voce pacata e gioviale. Soltanto un angolo dell'ampia camera,

l'angolo dove si trovava la sua scrivania, era fortemente

illuminato da una lampada da tavolino, con paralume; il resto del

vasto ambiente si fondeva con l'oscurità informe, come di una

caverna. Stretti scaffali pieni di scatole scure, uguali di forma

e di colore, coprivano le pareti tutt'intorno, non dal pavimento

al soffitto, ma in una scura zona di circa un metro e venti

d'altezza: catacombe di scarabei. Tavolette di legno vi pendevano

a intervalli irregolari. La luce, raggiungendo una di queste

tavolette, faceva scintillare misteriosa nella vasta penombra la

parola Coleoptera scrittavi a lettere d'oro. Le cassette di vetro

della collezione di farfalle erano allineate in tre lunghe file su

certi tavolini di gambe sottili. Una di queste cassette, tolta dal

suo posto, era posata sulla scrivania cosparsa di striscie di

carta rigate da una minuscola calligrafia.

'Così mi trova... così,' disse. La sua mano rimase sospesa sulla

cassetta in cui una farfalla, grandiosa nel suo isolamento,

stendeva le ali d'un color bronzo scuro, larghe un diciassette

centimetri o più, con squisite venature bianche, e una sontuosa

orlatura di puntini gialli. 'Esiste un solo esemplare così nella

SUA Londra: uno e basta. Alla mia cittadina natìa io questa mia

collezione lascerò. Qualcosa di me. Il meglio.'

Si chinò in avanti sulla poltrona osservando intensamente, col

mento sulla cassetta. Io gli stavo dietro in piedi. 'Meravigliosa,

mormorò, e sembrò aver dimenticato che io ero lì. Strana storia,

la sua. Nato in Baviera, a ventidue anni aveva preso parte attiva

al movimento rivoluzionario del 1848. Gravemente compromesso,

riuscì a mettersi in salvo, e da principio trovò un rifugio presso

un povero orologiaio repubblicano di Trieste. Da lì arrivò a

Tripoli con un blocco di orologi a buon mercato da smerciare:

esordio non proprio magnifico, ma che si risolse poi in una

fortuna per lui, perché là conobbe un esploratore olandese - uomo

piuttosto famoso, credo, ma di cui non ricordo il nome. Fu questo

naturalista a prenderselo con sé come una specie di aiutante, e a

portarselo in Oriente. Viaggiarono per l'Arcipelago insieme e

separati, facendo collezione d'insetti e d'uccelli, per oltre

quattr'anni. Poi il naturalista tornò in patria, e Stein, non

avendo una patria dove tornare, rimase laggiù con un vecchio

mercante che aveva conosciuto durante i suoi viaggi nell'interno

delle Celebes - se si può dire che le Celebes abbiano un interno.

Questo vecchio Scozzese, unico bianco che avesse allora permesso

di residenza nel paese, godeva le preferenze del più potente

monarca degli Stati del Wajo: che era una donna. Ho sentito spesso

raccontare da Stein che quello Scozzese, affetto da leggera

paralisi laterale, lo aveva presentato alla Corte indigena poco

prima che un nuovo colpo apoplettico se lo portasse via. Era un

uomo tanto fatto, dalla bianca barba patriarcale e di statura

imponente. Arrivò nella sala del Consiglio dove tutti i rajah,

pangerani e capi tribù erano raccolti intorno alla regina, una

donna grassa e grinzosa (molto spregiudicata nel parlare, diceva

Stein) distesa su un alto divano sotto un baldacchino.

Strascicando la gamba egli batteva col bastone sul pavimento:

afferrò il braccio di Stein e lo portò dritto dritto presso il

divano. 'Guarda, oh Regina, e voi rajah, questi è mio figlio,'

proclamò con voce stentorea. 'Ho commerciato con i vostri padri, e

quando io morrò lui commercerà con voi e coi vostri figli.'

Per effetto di questa semplice cerimonia, Stein ereditò la

situazione privilegiata dello Scozzese, insieme con tutta la sua

merce in blocco e a una casa fortificata sulle rive dell'unico

fiume navigabile del paese. Poco dopo, la vecchia regina, tanto

spregiudicata nel parlare, morì; e il paese fu turbato dalle lotte

tra i vari pretendenti al trono. Stein si unì al partito del

figlio minore, quello che trent'anni dopo non ricordava se non

chiamandolo 'il mio povero Mohammed Bonso.' Insieme divennero i

protagonisti di innumerevoli imprese; ebbero avventure

meravigliose, e una volta sostennero un assedio di un mese nella

casa dello Scozzese, con appena una ventina di seguaci contro un

intero esercito. Credo che di quella guerra gli indigeni seguitino

a parlare ancora oggi. E nel frattempo sembra che Stein non

tralasciasse mai di far tesoro di tutte le farfalle o scarabei che

gli capitavano sotto mano. Dopo circa otto anni di guerre, di

negoziati, di falsi armistizi, d'improvvise riprese d'ostilità e

di riconciliazioni, di tradimenti, e via di seguito, proprio

quando sembrava che la pace fosse definitivamente e stabilmente

conchiusa, il suo 'povero Mohammed Bonso' fu assassinato sul

cancello della residenza regale mentre scendeva da cavallo, in

stato di alta euforia, di ritorno da una riuscitissima caccia al

cervo. Per questo avvenimento Stein si ritrovò in una posizione

estremamente malsicura, ma lui sarebbe forse rimasto lì lo stesso,

se poco tempo dopo non avesse perduto anche la sorella di Mohammed

('la mia cara moglie, la principessa' soleva dire solennemente),

dalla quale aveva avuto una bambina: madre e figlia erano morte a

tre giorni di distanza, per non so quale febbre infettiva. Stein

abbandonò il paese, che questi gravi lutti gli avevano reso

insopportabile; e così terminò la prima parte, quella avventurosa,

della sua esistenza. Ciò che seguì fu così diverso, che, se non

fosse stata la realtà del dolore che era rimasto sempre vivo in

lui, quel suo strano passato gli sarebbe parso un sogno. Aveva un

po' di danaro; ricominciò la sua vita da capo, e nel corso degli

anni mise insieme una fortuna considerevole. Da principio viaggiò

molto da un'isola all'altra, ma col sopraggiungere a poco a poco

dell'età, da ultimo raramente gli accadeva di allontanarsi dalla

sua vasta casa a tre miglia dalla città, con una bella stesa di

giardino, e in mezzo a una corona di stalle, uffici, e casette di

bambù per i servi e i dipendenti che aveva in gran numero. Col suo

carrozzino scoperto si recava ogni mattina in città, dove aveva un

ufficio con impiegati bianchi e cinesi. Possedeva una piccola

flotta di schooner e d'imbarcazioni indigene, e commerciava su

larga scala prodotti delle isole. Del resto, viveva solitario, ma

non misantropo, con i suoi libri e la sua collezione,

classificando e sistemando esemplari, corrispondendo con

entomologi europei, preparando un catalogo descrittivo dei suoi

tesori. Tale era la storia di colui che ero venuto a consultare

sul caso di Jim, senza una precisa speranza. Mi sarebbe già

riuscito di sollievo ascoltare semplicemente ciò che mi avrebbe

detto. Ero molto in ansia, ma rispettai la concentrazione intensa,

quasi appassionata, con cui Stein osservava la farfalla, come se

nella lucentezza bronzea di quelle fragilissime ali dai candidi

disegni e dalle splendide macchie, egli vedesse altre cose:

l'immagine di qualche cosa altrettanto fragile e indistruttibile

quanto quei tessuti delicati e senza vita che mostravano una

sontuosità non alterata dalla morte.

'Meraviglioso!' ripeté, alzando gli occhi. 'Guardi! La bellezza...

ma questo è nulla... guardi la finitura, l'armonia. E' così

fragile! E così robusto! E così esatto! Questa è Natura -

equilibrio di forze colossali. Ogni stella così... ogni filo

d'erba lì, così... e il potente Kosmos in perfetto equilibrio

produce... questo. Questo miracolo; questo capolavoro di Natura...

la grande artista.'

'Non ho mai sentito un entomologo parlare così,' osservai

allegramente. 'Capolavoro! E l'uomo, allora?'

'L'uomo è stupefacente, ma non è un capolavoro,' disse, tenendo

gli occhi fissi sulla cassetta di vetro. 'Forse l'artista era un

po' fuori squadra. Eh? Che glie ne pare? Qualche volta sembra che

l'uomo sia capitato dove nessuno lo aspettava, dove non c'è posto

per lui; ché altrimenti come vorrebbe tutto per sé? Perché

correrebbe qua e là facendo tanto strepito intorno a se stesso,

chiacchierando delle stelle, calpestando i fili d'erba?...'

'Acchiappando farfalle,' interloquii.

Sorrise, si gettò all'indietro sulla poltrona e stese le gambe.

'Si accomodi,' fece. 'Questo raro esemplare l'ho preso proprio io

in una mattinata bellissima. Provai una profonda emozione. Lei non

immagina che significhi per un collezionista catturare un

esemplare così raro. Non può immaginarlo.'

Seduto comodamente nella mia poltrona a dondolo, sorrisi. I suoi

occhi sembravano guardare molto oltre la parete che stava

fissando; e narrò come, una sera, era arrivato un messo del suo

'povero Mohammed,' che lo chiamava alla 'residenza' - come diceva

Stein - distante un nove o dieci miglia, a prendere la mulattiera

che attraversava una piana coltivata, rotta qua e là da plaghe

boscose. La mattina presto partì dalla sua casa fortificata, dopo

aver baciato la sua piccola Emma, trasferendo il comando alla

'principessa' sua moglie. Raccontò come essa lo aveva accompagnato

fino al cancello, camminandogli a fianco con una mano sul collo

del cavallo; con una giacchetta bianca, e spilloni d'oro nei

capelli, e sulla spalla sinistra una bandoliera di cuoio marrone

con una rivoltella. 'Parlava come parlano le donne,' fece,

'dicendomi di far attenzione, di procurare di esser di ritorno

prima di notte, e chiamandomi brutto cattivo che andavo solo.

Eravamo in guerra, e il paese non era sicuro; i miei uomini

stavano adattando alle finestre della casa certe imposte a prova

di pallottola, e tenevano i fucili carichi, ma mi scongiurò di non

star in pena per lei. Poteva difendere la casa contro chiunque

fino al mio ritorno. Ridevo di contentezza. Mi piaceva vederla

così coraggiosa e giovane e forte. Anch'io ero giovane allora. Al

cancello mi afferrò una mano, mi diede una stretta e si ritirò.

Rimasi fermo sul cavallo, di fuori, finché non ebbi sentito

richiudersi le sbarre del cancello alle mie spalle. C'era un mio

grande nemico, un gran nobile - e anche un gran furfante - che

batteva i dintorni con una sua banda. Per quattro o cinque miglia

mi tenni al galoppo; aveva piovuto durante la notte, ma la nebbia

era salita, su su - e la faccia della terra, adesso, tutta linda,

mi sorrideva fresca e innocente, come una fanciullina. Ad un

tratto una sparatoria - una ventina di colpi, mi parve. Mi sentii

fischiare le pallottole all'orecchio, e il cappello mi salta sulla

nuca. Un'imboscata, capisce. Avevano brigato per farmi chiamare

dal mio povero Mohammed, e poi avevano preparato l'insidia.

Capisco tutto in un baleno, e penso: QUI BISOGNA FAR MENTE LOCALE.

Il mio cavallino sbuffa, salta, e si impenna, e io mi piego

lentamente in avanti con la testa sulla sua criniera. Si rimette

in cammino, e con la coda dell'occhio scorgo al disopra del suo

collo una nuvoletta di fumo davanti a un ciuffo di bambù sulla mia

sinistra. Penso: AHA! AMICI BELLI, AVETE AVUTO TROPPA FURIA A

SPARARE. ANCORA NON MI AVETE GELUNGEM. Oh no! afferro la mia

rivoltella con la destra... piano... piano. Dopo tutto non erano

che sette, quelle canaglie. Si alzano da terra e si mettono a

correre in avanti con i loro sarong tirati su, agitando le lance

sopra la testa e urlandosi l'un con l'altro di badare a non

lasciarsi scappare il cavallo, perché io ero spacciato. Li lasciai

avvicinare fino alla distanza di quella porta lì, e poi bum, bum,

bum - prendendo ogni volta anche la mira. Sparo l'ultimo colpo

alla schiena di uno, ma lo sbaglio. Era già troppo lontano. E

allora resto solo sul mio cavallo, la terra linda che mi sorride e

tre uomini stesi al suolo. Uno s'era accercinato come un cane, un

altro, a pancia all'aria, teneva un braccio sugli occhi come per

ripararsi dal sole, e il terzo tira su lento lento una gamba e poi

la stende di nuovo con un calcio. Lo osservo molto attentamente

dall'alto del mio cavallo, ma non succede altro - bleibt ganz

ruhig rimane fermo lì. E mentre gli cerco in viso un segno di

vita, osservo come un'ombra passargli sulla fronte. Era l'ombra di

questa farfalla. Guardi la forma dell'ala. Questa specie vola in

alto con un volo resistente. Alzai gli occhi e la vidi svolar via.

Penso... E' mai possibile? Poi la persi di vista. Sceso a terra,

avanzavo piano piano, guidando il cavallo per la briglia, e

stringendo la rivoltella mentre scrutavo in giro, su e giù, a

destra e a sinistra e dappertutto! Finalmente la vidi su un

mucchio di letame a tre metri di distanza. Cominciò a battermi

forte il cuore. Lascio andare il cavallo, tenendo sempre la

rivoltella in mano, e con l'altra mi tolgo di testa il cappello

floscio. Un passo. Attenzione. Un altro passo. Flop! Presa! Quando

mi alzai tremavo come una foglia dall'emozione. Ma quando le

apersi le belle ali e mi avvidi della rarità e della straordinaria

perfezione dell'esemplare che avevo trovato, mi girò addirittura

la testa e mi si fiaccarono talmente le gambe dall'agitazione che

dovetti mettermi a sedere per terra. Avevo desiderato molto di

possedere anch'io un esemplare di quella specie, quando lavoravo

col Professore. Avevo proprio fatto lunghi giri, e molti

sacrifici: me l'ero sognata la notte; ed ecco che a un tratto

l'avevo fra le dita - tutta per me! Dirò col poeta (pronunciava

BOETA):

So halt' ich's endlich denn in meinen Händen,

Und nenn'es in gewissem Sinne mein.'

Diede enfasi all'ultima parola con un improvviso abbassamento di

voce, e mi distolse lentamente lo sguardo dal viso. Cominciò a

caricare con cura e in silenzio una pipa di lunga cannuccia, poi,

soffermandosi col pollice sulla bocca del fornello, mi rivolse

ancora uno sguardo d'intesa.

'Sì, mio buon amico. Quel giorno non avevo più nulla da

desiderare: avevo dato un serio dispiacere al mio principale

nemico; ero giovane, forte; avevo un amico; avevo l'amore di una

donna (pronunciava TONNA) e una bambina, avevo: tanto dunque da

colmarmi il cuore - e adesso perfino ciò che avevo sognato nel

sonno, me lo trovavo tra le mani!'

Scriccò un fiammifero, che diede una fiamma viva; vidi rabbuiarsi

il suo viso placido e pensoso.

'Amico, moglie, bambina,' disse lentamente, guardando la piccola

fiammella. 'Pfu!' E con un soffio spense il fiammifero. Sospirò, e

di nuovo si volse verso la cassetta di vetro. Le ali fragili e

bellissime tremolarono appena come se il suo fiato avesse per un

momento richiamato in vita quel superbo oggetto dei suoi sogni.

'Il mio lavoro,' riprese a un tratto, indicando le strisciole di

carta sparpagliate, e col suo tono dolce e allegro, 'procede a

gran passi. Ho di descrivere questo raro esemplare finito!... Na!

Lei, che buone nuove mi porta?' 'A dir la verità, Stein,' risposi

con uno sforzo che mi stupì, 'sono venuto anch'io a descrivere un

esemplare...'

'Una farfalla?' domandò con calore incredulo e scherzoso.

'Nulla di così perfetto,' replicai, sentendomi improvvisamente

disarmato e pieno di ogni sorta di dubbi. 'Un uomo!'

'Ach so!' mormorò, volgendosi a me, e la sua fisonomia di

sorridente si fece seria. Poi, dopo aver mi osservato un po',

disse adagio adagio: 'Beh... anch'io sono uomo.'

Qui era tutto lui; l'uomo che sapeva riuscire incoraggiante con

tanta generosità da indurre una persona scrupolosa a esitare al

limite di una confidenza; e io esitai, ma per poco.

Mi ascoltò fino alla fine, seduto, con le gambe accavallate.

Qualche volta che la testa gli spariva completamente in una grande

eruzione di fumo, da quella nuvola usciva un sussurro di

comprensione. Quando ebbi finito, tolse la gamba di sopra

all'altra, posò la pipa, si protese serio serio verso di me,

appoggiando i gomiti sui braccioli della poltrona, e unendo le

punte delle dita.

'Capisco benissimo. E' un romantico.'

Mi aveva bell'e fatto la diagnosi del caso, e da principio mi

stupii molto che fosse così semplice; il nostro colloquio

somigliava preciso a un consulto medico: Stein, con quel suo

aspetto di dottore, seduto in poltrona davanti alla scrivania, io

seduto in un'altra poltrona di fronte a lui, un poco di lato in

ansiosa attesa del responso. Mi sembrò perfino naturale di

chiedere:

'E che rimedio mi consiglia?'

Levò un lungo indice.

'L'unico! C'è un solo modo per guarirci dall'essere noi stessi!'

L'indice piombò sulla scrivania con un colpo secco. Il caso, di

cui dianzi egli aveva saputo rivelarmi tutta la semplicità,

apparve se possibile ancora più semplice - e assolutamente

disperato. Seguì una pausa. 'Già,' dissi, 'a rigor di termini, il

problema non è guarire, ma esistere.'

Approvò col capo, un po' triste, mi parve. 'Ja! Ja! Insomma, con

le parole del vostro grande poeta: That is the question...'

seguitava ad affermare del capo, con comprensione... 'Esistere!

Ach! Esistere.'

Si alzò in piedi poggiando le punte delle dita sulla scrivania.

'Noi vogliamo in tanti modi diversi esistere,' riprese. 'Questa

magnifica farfalla trova un mucchietto di fimo, e vi si ferma su;

ma l'uomo non si vuol mai sul suo mucchio di fimo fermare. Vuole

esistere così, e dopo vuole invece esistere così...' Girò la palma

in alto e poi in basso... 'Vuol essere un santo, e vuol essere un

diavolo... e ogni volta che chiude gli occhi vede se stesso come

una rara meraviglia... così rara come non potrà mai essere... In

sogno...'

Abbassò il coperchio di vetro, la cui serratura automatica scattò

con un rumore secco, e, presa la cassetta a due mani, la riportò

religiosamente al suo posto, passando dal cerchio di piena luce

della lampada in un anello di luce più tenue... e alla fine

nell'ombra informe. Era un effetto strano... come se quei pochi

passi lo avessero portato fuori da questo mondo concreto e pieno

di perplessità. La sua alta figura, quasi vuotata dalla sua

sostanza, fluttuava senza rumore su oggetti invisibili, con

movimenti obliqui e indefiniti; la sua voce, da quella remota

lontananza, dove lo intravvedeva misteriosamente occupato in atti

immateriali, non era più così incisiva, ma sembrava snodarsi

voluminosa e grave-smorzata dalla distanza.

'E dal fatto che non si possono tenere gli occhi sempre chiusi

nasce il male - la pena del cuore - la pena del mondo. Le dico,

amico mio, che non è un vantaggio scoprire che non si possono

tradurre in realtà i nostri sogni unicamente perché non si è forti

abbastanza, né abbastanza intelligenti - Ja!... E frattanto si è

pur sempre gente in gamba! Wie? Was? Gott in Himmel! Come va

questa storia? Ah! ah! ah!...'

L'ombra vagolante tra le tombe delle farfalle rideva forte.

'Già! Molto buffa questa terribile cosa. Ogni uomo nascendo cade

in un sogno come si casca in mare. Se si arrabatta per tirarsi

fuori come chi non è pratico, annega... nicht wahr?... No! Le

dirò! Il segreto è di adattarsi all'elemento distruttivo, e con

sforzi di mani e di piedi nell'acqua costringere il profondo,

profondo mare a tenerci su. Così se mi domanda: come esistere?...'

La sua voce arrivava straordinariamente forte, quasi laggiù nella

penombra lo ispirasse uno spirito di saggezza. '... le rispondo:

Anche per questo c'è un solo modo!'

In un frettoloso stropiccìo di pantofole sul pavimento si delineò

di nuovo nel cerchio di luce più tenue, e a un tratto comparve nel

campo di luce piena della lampada, con la mano tesa in direzione

del mio petto come una pistola; i suoi occhi infossati sembravano

passarmi da parte a parte, ma dalle labbra tremanti non usciva più

una parola, e gli si spense nel volto l'austera esaltazione di

quella certezza che si era manifestata nella penombra. Lasciò

ricadere la mano puntata sul mio petto, e dopo un po',

avvicinandosi d'un passo, me la posò lieve su una spalla. Ci sono

cose, disse con una punta di tristezza, che forse non bisognerebbe

mai dire, ma lui viveva tanto solo che qualche volta si lasciava

andare... si lasciava andare... La luce aveva distrutto la

certezza che lo aveva esaltato nell'ombra remota. Sedette, e coi

gomiti sulla scrivania, si stropicciò la fronte. 'Eppure è vero...

è vero. Nell'elemento distruttivo immersi...' Parlava in tono

sommesso, senza guardarmi, col viso tra le palme. 'Ecco il

segreto. Seguire il sogno, sempre seguire il sogno... e così...

ewig... usque ad finem...' La voce sommessa della sua convinzione

sembrava aprire davanti a me una distesa vasta e malsicura come di

una landa a stesa d'orizzonte nel crepuscolo dell'alba... o era

forse il calare della notte? Chi poteva dire? Non si osava

definirla: ma era una luce di ingannevole fascino, che diffondeva

l'impalpabile poesia della sua penombra su baratri - tombe. La sua

vita era cominciata con aspirazioni al sacrificio, con entusiasmi

per ogni idea generosa; era andato molto lontano, per varie

strade, su strani sentieri; in ogni nuova impresa si era buttato

senza esitazione, e quindi senza vergogna e senza rimpianti. Fin

qui aveva ragione lui. E questa era senza dubbio la via buona.

Eppure, nonostante tutto, la grande pianura dove gli uomini vagano

fra tombe e baratri rimaneva molto desolata sotto l'impalpabile

poesia della sua luce crepuscolare, prigione dell'ombra nel

centro, e circondata da un alone luminoso come se si trovasse al

mezzo di un abisso pieno di fiamme. Finalmente ruppi il silenzio

per esprimere l'opinione che nessuno poteva essere più romantico

di lui.

Scosse il capo lentamente e poi mi guardò con occhi pazienti e

interrogativi. 'E' una vergogna,' disse. 'Eccoci qui a

chiacchierare come due ragazzi invece di metterci di buona lena a

cercare un rimedio pratico - un rimedio - per il male... per il

grave male,' ripeté, con un sorriso arguto e indulgente. E

tuttavia, la nostra conversazione non volse affatto al positivo.

Evitammo di pronunciare il nome di Jim come per lasciare fuori

discussione la sua persona di sangue e di carne, quasi si

trattasse soltanto d'uno spirito in preda all'errore, un'ombra

senza pace e senza nome. 'Na!' disse Stein, alzandosi. 'Stanotte

lei dormirà qui, e domattina faremo qualcosa di pratico...

pratico...' Accese un candeliere a due bracci e mi fece strada.

Attraversammo stanze buie e vuote, guidati dal chiarore della

candela che portava Stein. Le luci slittavano lungo i pavimenti a

cera, correvano qua e là sulla superficie lucida di un tavolino,

lambivano lo spigolo d'un mobile o si accendevano in diretti

riflessi negli specchi lontani, mentre si vedevano passare nella

profonda cavità del cristallo le forme di due uomini e il

palpitare di due fiammelle. Stein procedeva lento, un passo avanti

a me, con deferente cortesia; aveva in viso la profonda quiete di

chi sta in ascolto; le lunghe ciocche bionde sparse di fili

bianchi cadevano rade e in disordine sul collo un po' piegato.

'E' un romantico... un romantico,' ripeté. 'E questo è un gran

male... un gran male... ma anche un gran bene,' soggiunse.

'Davvero?' domandai.

'Gewiss,' disse, e si fermò, reggendo alzato il candelabro, ma

senza guardarmi. 'Evidente! Che altro mai lo porterebbe,

attraverso una pena interiore, a conoscere se stesso? Che altro,

per lei e per me, lo fa... ESISTERE?'

Era difficile, in quel momento, credere all'esistenza di Jim

partito ragazzo da una parrocchia di campagna, avvolto dalla

moltitudine degli uomini come da una nuvola di polvere, ammutolito

dallo strepitoso contrasto della vita e della morte in un mondo

tutto materiale: eppure la sua realtà indistruttibile mi si

presentò davanti con una forza convincente e perentoria! La scorsi

vivida, come se, durante il passaggio; attraverso le alte stanze

silenziose fra i labili raggi di luce e le improvvise immagini di

figure umane che avanzavano furtive con vacillanti fiammelle a

profondità insondabili e translucide, ci fossimo avvicinati alla

Verità assoluta; che, come la stessa Bellezza, fluttua elusiva,

oscura, semisommersa, sulle acque silenziose e ferme del mistero.

'Romantico, può darsi,' ammisi con un riso leggero, che risuonò

con forza così imprevista da farmi abbassar subito la voce: 'ma

anche lei di certo.' Con la testa piegata sul petto e reggendo in

alto il candeliere, Stein riprese a camminare. 'Beh... anch'io

esisto,' disse.

Mi precedette. Seguivo con gli occhi ogni suo movimento; e non

vedevo pl in lui il capo di una ditta, I'ospite gradito dei

ricevimenti pomeridiani, il corrispondente di dotte società,

l'anfitrione dei naturalisti di passaggio: vedevo soltanto la

realtà del suo destino, che egli aveva saputo seguire con passo

sicuro, quella sua vita partita da un'umile origine, ricca di

slanci generosi, per l'amicizia, l'amore, la guerra - per tutti

gli elementi esaltati del romanticismo. Sulla porta della mia

stanza si voltò. 'Sì,' dissi, come continuando una discussione,

'anche lei che, tra l'altro, sognava candidamente di una certa

farfalla; però quando, in una bella mattinata, il suo sogno le

apparve davanti, vivo e tangibile, lei non si è mica perduto

quella magnifica occasione. No? Mentre lui...' Stein alzò una

mano. 'E lo sa lei quante occasioni mi son perduto io; quanti

sogni mi son lasciato scappare, che mi erano venuti davanti, vivi

e tangibili?' Scosse la testa in tono di rimpianto. 'Ho idea che

qualcuno di quei sogni sarebbe riuscito molto bello... se lo

avessi saputo tradurre in realtà. Lo sa quanti? Forse non lo so

nemmeno io.' 'Fossero belli o no quelli di Jim,' dissi, 'uno egli

sa con sicurezza che gli è sfuggito.' 'Tutti sappiamo di uno o due

così,' ribatté Stein; 'e questo è il guaio... il grosso guaio...'

Mi strinse la mano lì sulla soglia, dando un'occhiata alla mia

camera di sotto al braccio alzato. 'Dorma bene. Domani bisogna che

facciamo qualcosa di pratico... di pratico...'

Benché la sua camera fosse più avanti lo vidi rifare la strada

percorsa venendo. Tornava alle sue farfalle".

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

CAPITOLO 21.

"Non credo che nessuno di voi abbia mai sentito parlare del

Patusan", riprese Marlow, dopo un silenzio colmato dalla rituale

accensione di un sigaro. "Non fa niente: esistono tanti corpi

celesti, in quel comizio affollato che ci si svolge ogni notte

sulla testa, di cui la gente non ha mai sentito parlare, perché

sono fuori dalla nostra sfera d'azione e non hanno importanza per

nessuno al mondo, eccetto che per gli astronomi, i quali sono

pagati per far dotti discorsi sulla loro composizione, sul peso,

sull'orbita, sui loro capricci, sulle anomalie della loro luce;

una specie di pettegolezzo scientifico, insomma. Così si può dire

del Patusan. Vi si accennava con aria d'intesa nei circoli

governativi di Batavia, specialmente per quel che riguarda le sue

irregolarità e anomalie, e pochi, pochissimi tra la gente di

commercio lo conoscevano neanche di nome. Nessuno, comunque, c'era

mai stato, e nessuno - ho idea - desiderava andarci di persona,

proprio come nessun astronomo, credo, senza opporre obbiezioni, si

lascerebbe portare in un lontano corpo celeste dove, separato dai

suoi emolumenti terrestri, rimarrebbe a bocca aperta alla vista di

cieli inusuali. Comunque, né i corpi celesti né gli astronomi

hanno nulla a che vedere col Patusan, dove andò a finire Jim.

Volevo solo farvi intendere che se Stein si fosse invece adoperato

per spedirlo in una stella di quinta grandezza non avrebbe

determinato una più radicale trasformazione. Lasciatesi dietro le

sue colpe terrene, e quella certa fama che s'era fatta, Jim si

trovò in una serie di situazioni interamente nuove, su cui

esercitare le facoltà della sua fantasia. In tutto e per tutto

nuove, e notevoli. E dal canto suo, in modo notevole ne profittò.

Stein era l'uomo che la sapeva più lunga di qualunque altro, sul

Patusan. Più di quanto se ne sapesse negli ambienti governativi,

direi. Non c'è dubbio che c'era andato, sia ai tempi delle sue

caccie alle farfalle, sia più tardi, quando, seguendo la sua mania

inguaribile, cercò di condire con un pizzico di romanticismo le

troppo sostanziose vivande della sua cucina commerciale. Erano

pochissimi i luoghi dell'Arcipelago che non avesse visitati nel

loro stato di natura, prima che vi avessero portato la luce (e

perfino la luce elettrica) per l'incremento della moralità e...

e... beh, anche dei materiali profitti. Fu durante la prima

colazione, la mattina seguente alla nostra conversazione a

proposito di Jim: e Stein accennò a quel luogo, quando gli ebbi

ripetuta la frase del povero Brierly: 'Che si scavi una fossa sei

metri sotto terra e ci rimanga.' Mi guardò con attento interesse,

come fossi stato un raro coleottero. 'Sarebbe una soluzione,'

osservò, sorseggiando il suo caffè. 'Una forma di sepoltura,'

spiegai. 'Non è una cosa molto piacevole da fare, certo, ma

sarebbe la soluzione migliore, considerando quello che è Jim.'

'Già; è giovane,' fece Stein con aria assorta. 'La più giovane

creatura umana che sia oggi in vita,' affermai. 'Schön. C'è il

Patusan,' riprese nello stesso tono. '... E la donna ormai è

morta,' soggiunse. Io non capivo.

Non sono a giorno, naturalmente, di questa storia; posso soltanto

intuire che già una volta il Patusan ha da aver servito da tomba a

qualche peccato, trasgressione o sfortuna. E' assurdo sospettare

di Stein. La sola donna al mondo, per lui, era quella ragazza

malese che chiamava 'mia moglie la principessa,' o, più raramente,

in momenti di espansione: 'la madre della mia Emma.' Chi era la

donna che aveva ricordato a proposito del Patusan? Non saprei

dirlo; ma dalle sue allusioni compresi che si trattava di una

ragazza fiammingo-malese, colta e bellissima, con una tragica, o

forse anche soltanto pietosa storia, di cui il più doloroso

capitolo fu senza dubbio quello del suo matrimonio con un

Portoghese della Malacca impiegato in una ditta commerciale nelle

colonie olandesi. A quanto potei capire dalle parole di Stein,

quest'uomo era persona malfida sotto vari punti di vista, però

sempre, poco più poco meno, loschi ed indefinibili. Soltanto per

un riguardo verso la moglie Stein lo aveva messo a capo

dell'agenzia Stein e Company a Patusan; ma dal punto di vista

commerciale era stato un disastro, almeno per la ditta, e ora che

la donna era morta, Stein era disposto a ritentare la prova

mandando laggiù un altro agente. Il Portoghese, che si chiamava

Cornelius, si considerava un uomo di gran valore, sebbene molto

misconosciuto, e degno pertanto, per i suoi talenti, di un

trattamento molto più alto. Questo l'individuo che Jim avrebbe

dovuto sostituire. 'Non credo però che se n'andrà di lì,' osservò

Stein, 'ma questo non mi riguarda. Soltanto per la donna io...

Siccome però credo che abbia lasciato una figlia, se vuol rimanere

gli per metterò di tenersi la vecchia casa.'

Il Patusan è la regione remota di uno stato governato da indigeni,

e la sua capitale porta lo stesso nome. Sul fiume, in un punto a

circa quaranta miglia dal mare, dove si scoprono le prime case,

emergono sopra la zona delle foreste i cocuzzoli di due colline

scoscese molto vicine l'una all'altra, e separate da una specie di

profondo spacco; come il solco di una potente sciabolata. In

realtà, la valle tra le due alture non è che uno stretto burrone:

viste dall'abitato sembrano piuttosto una collina unica a cono

irregolare diviso in due, e con le due metà leggermente

divergenti. Al terzo giorno di plenilunio, la luna, vista dallo

spiazzo davanti alla casa di Jim (aveva una bellissima casa in

stile indigeno, quando lo andai a trovare io) sorgeva esattamente

da dietro le due colline, dando a tutta prima, con la sua luce

diffusa, un intenso rilievo alla loro massa scura; poi il disco

quasi perfetto, tutto acceso di luce rossastra, appariva,

scivolava salendo tra i due bordi della spaccatura, finché

compariva a galla sopra le cime, in un dolce trionfo di

resurrezione sulla sua tomba aperta. 'Un effetto meraviglioso,'

disse Jim vicino a me. 'Val la pena di vederlo, no?'

E me lo domandava con una nota di compiacimento personale che mi

fece sorridere; come se avesse collaborato a mettere insieme

questo spettacolo unico. Aveva messo insieme tante cose a Patusan!

Cose che potevano sembrare fuori dalla sua sfera d'influenza

quanto i movimenti della luna e delle stelle.

Incredibile! Proprio questa era la nota distintiva dell'attività a

cui Stein ed io lo avevamo spinto senza saperlo, con l'unico

pensiero di aiutarlo a sbrigarsela; a sbrigarsi di se stesso,

beninteso. Questo era stato il nostro primo scopo, benché, lo

confesso, per me ci avesse concorso anche un altro motivo

determinante. Ero sul punto di tornare in patria per un po' di

tempo; e può darsi che desiderassi, più di quanto non me ne

rendessi conto io stesso, di sistemarlo - sistemarlo, capite prima

di partire. Io stavo per tornare in patria, e da lì lui mi era

arrivato, con i suoi poveri guai e i suoi oscuri diritti, come un

uomo ansante sotto un peso, nella nebbia. Non posso dire di averlo

mai capito bene - nemmeno adesso che l'ho veduto per l'ultima

volta; ma mi sembrava che, meno lo capivo, più mi sentivo legato a

lui in nome di quel dubbio che è parte inseparabile di ogni nostra

conoscenza. Non capivo molto più nemmeno di me stesso. E poi,

ripeto, stavo per tornare in patria- quella patria abbastanza

lontana perché tutti i suoi focolari mi sembrassero un solo

focolare, davanti al quale il più umile di noi ha il diritto di

mettersi a sedere. A migliaia andiamo vagando sulla faccia della

terra, illustri ed oscuri, in cerca, di là dai mari, di fama,

danaro e anche soltanto di una crosta di pane; ma mi sembra che

per ognuno di noi tornare in patria sia come un andare a render

conto. Torniamo per presentarci ai nostri superiori, ai nostri

congiunti, ai nostri amici - per obbedienza o per affetto; ma

anche coloro che non hanno legami né di obbedienza né di affetto,

gli assolutamente liberi, soli, senza responsabilità e senza

vincoli - coloro per i quali la patria non significa né un viso

caro, né una voce nota - anche questi hanno da ritrovare lo

spirito che abita nella loro terra, sotto a quel cielo, in

quell'aria, in quelle vallate, e su quelle alture, in quei campi,

in quelle acque e in quegli alberi- amico muto, giudice, e

ispiratore. Dite quel che volete, ma per goderne le gioie, per

respirarne la pace, per affrontarne la verità, di quello spirito,

bisogna tornare con la coscienza netta. Tutto ciò può sembrare

mero sentimentalismo; e veramente pochissimi di noi possiedono la

volontà o la facoltà di guardare con coscienza sotto la scorza

degli affetti più familiari. Esistono le fanciulle che amiamo, gli

uomini che ammiriamo, le tenerezze, le amicizie, le occasioni, i

piaceri! Ma il fatto sta che bisogna ricevere questo premio con

mani pulite, se no vi si cambia in foglie morte o spine. I

solitari, i senza focolare, i senza richiami d'affetti, coloro che

non tornano a una casa, ma a un paese, credo che siano proprio

loro a incontrarne l'incorporeo, eterno ed immutabile spirito; a

comprenderne meglio la severità, il potere di redenzione e la

grazia del suo secolare diritto alla nostra fedeltà e obbedienza.

Sì! pochi di noi lo capiscono, ma lo sentiamo tutti però; e dico

tutti senza eccezione, perché quelli che non lo sentono non

contano. Ogni filo d'erba ha il suo punto della terra da cui trae

vita e forza; e così l'uomo è radicato alla patria dalla quale

trae vita e fede. Non so quanto ne capisse Jim; ma so che sentiva,

sentiva confuso ma potente il bisogno di simile verità o illusione

- non m'importa come la vogliate chiamare: c'è tanto poca

differenza, e la differenza conta tanto poco. Fatto sta che

proprio in virtù di questo suo sentimento Jim contava qualche

cosa. Non sarebbe più tornato in patria ormai. Lui no. Mai. Se

fosse stato capace di fantasie pittoresche avrebbe rabbrividito al

pensiero, e avrebbe fatto rabbrividire anche voi. Ma non era di

questa tempra, benché, a modo suo, sapesse riuscire abbastanza

espressivo. All'idea di tornare in patria si sarebbe irrigidito in

una immobilità disperata, mento sul petto e labbra in fuori, con

quei suoi ingenui occhi azzurri che luccicavano torvi sotto alle

sopracciglia aggrottate, come alla vista di qualcosa

d'insopportabile, di disgustoso. C'era la sua parte di

immaginazione in quel suo cranio tosto sul quale i capelli folti e

ricci calzavano come un berretto. Quanto a me, non ho

immaginazione (andrei più a colpo sicuro nel giudicarlo, oggi, se

ne avessi) e non vi voglio dar da intendere che mi figurassi di

vedere lo spirito della patria sorgere sui bianchi strapiombi di

Dover per chiedere a me - che tornavo, per così dire, senza un

osso rotto - che ne avevo fatto di quel mio molto giovane

fratello. Non potrei cascare in un simile equivoco. Sapevo

benissimo che Jim era di quelli su cui nessuno avrebbe fatto

domande. Avevo veduto uomini migliori di lui svanire, eliminati,

scomparire del tutto, senza provocare una voce di curiosità o di

rimpianto. Lo spirito della patria, secondo un costume che si

addice ai grandi capi, è indifferente alla sorte di innumerevoli

vite. Guai ai dispersi! Esistiamo soltanto per adesione reciproca.

Lui si era in certo modo sperduto; non aveva aderito abbastanza;

ma ne era consapevole in modo così intenso da muovere a pietà;

come avviene che la maggiore intensità di vita rende la morte di

un uomo più commovente della morte di un albero. Era capitato a me

di trovarmi proprio lì, e capitò a me di commuovermi; ecco tutto.

Mi stava a cuore sapere come sarebbe andata a finire. Mi avrebbe

fatto male, per esempio, se mi avessero detto che si era dato al

bere. La terra è così piccola che temevo dì esser fermato un bel

giorno da un vagabondo lercio, dagli occhi cisposi, dal viso

gonfio, con le scarpe di tela scalcagnate, brandelli al vento sui

gomiti, il quale, in nome della nostra vecchia amicizia, mi

chiedesse in prestito cinque dollari. La conosciamo tutti la

spaventosa improntitudine di questi spaventapasseri che ci vengono

incontro da un passato decoroso, con la loro voce di raspa,

amorfa, e lo sguardo sfacciato, obliquo, - incontri più duri per

un uomo il quale creda alla solidarietà umana che per un prete la

vista di un reprobo sul suo letto di morte. Quello, a dirvi la

verità, era l'unico pericolo che riuscissi a immaginare per lui e

per me; ma temevo la mia scarsità d'immaginazione. Poteva accadere

di peggio, in un qualsiasi modo che la mia fantasia non era in

grado di prevedere. Non arrivavo a dimenticarmi che Jim era dotato

di una certa immaginazione; e chi è dotato d'immaginazione va

sempre a finire più lontano degli altri su qualunque strada; come

se possedessero una cima più lunga per il non agevole ancoraggio

della vita. Proprio così. E si danno anche al bere. Forse gli

faccio torto con questa mia supposizione. Che ne posso sapere, io?

Perfino Stein aveva dovuto limitarsi a chiamarlo un romantico e

basta. Io sapevo soltanto che era uno di noi. E che c'entrava,

lui, ad essere romantico? Mi diffondo a parlare dei miei

sentimenti istintivi e delle mie ponderate riflessioni perché di

lui rimane ben poco da dire. Esisteva per me, e dopo tutto è

soltanto attraverso me che esiste per voi. Me lo son preso per

mano e l'ho fatto uscire davanti a voi. Erano ingiuste le mie

banali preoccupazioni? Non saprei dirlo... nemmeno adesso. Forse

potete giudicarne meglio voi, se, come dice il proverbio, sono gli

spettatori a seguire meglio la partita. Comunque, le mie

preoccupazioni risultarono gratuite. Non andò a finir male

affatto; anzi, ne uscì brillantemente, ne uscì dritto come un fuso

e in ottima forma; dimostrando di esser capace tanto di reggere

alla distanza che di partire in velocità. Dovrei rallegrarmene,

perché è una vittoria alla quale ho dato mano: eppure non mi sento

contento come mi sarei aspettato. Mi domando se gli abbia giovato

tirarsi fuori così, di slancio, da quella nebbia che lo rendeva,

nella sua modestia, assai interessante, a contorni fluidi - un

disperso, con la desolata nostalgia per il suo umile posto nei

ranghi. E poi non è detta l'ultima parola... probabilmente non

esiste ultima parola. Troppo corta è la nostra vita, per bastare a

condurre a termine quel discorso che, attraverso i nostri

balbettamenti, è pur sempre la nostra unica e stabile aspirazione.

Ho lasciato ogni speranza di arrivare a sentire l"' ultima parola"

che, detta, scuoterebbe il cielo e la terra. Non c'è mai tempo

abbastanza per arrivare all'ultima parola l'ultima parola del

nostro amore, del nostro desiderio, della nostra fede, rimorso,

sottomissione, rivolta. Credo che il cielo e la terra non la

intendano di lasciarsi scuotere - almeno non da noi che sappiamo

tante verità su questa e su quello. Le mie ultime parole su Jim

saranno poche. Affermo che aveva raggiunto una sua grandezza; ma

la cosa s'immiserisce a dirla, e più a sentirla dire. Francamente

non delle mie parole diffido, ma dei vostri cervelli. Potrei

essere eloquente, se non sospettassi che voialtri abbiate ridotto

alla fame le vostre immaginazioni per rimpinzarvi la pancia. Non

intendo offendere nessuno: non avere illusioni è cosa rispettabile

- sicura - proficua - e triste. Dovrete pur aver conosciuto anche

voi, una volta, l'intensità della vita, lo sfavillìo che

scaturisce dall'urto delle inezie, meraviglioso come lo sfavillìo

prodotto da un colpo su una pietra dura - e ahimè! altrettanto

effimero".

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

CAPITOLO 22.

"La conquista dell'amore, dell'onore, della fiducia degli uomini -

l'orgoglio che ne nasce, la potenza che ne risulta, sarebbero

materia di racconto eroico; se la nostra mente non fosse colpita

per lo più dal puro aspetto esteriore del successo. Ora, i

successi di Jim non erano affatto appariscenti. Trenta miglia di

foreste li nascondevano alla vista di un mondo indifferente, e il

rumore delle schiume bianche lungo la costa soffocava la voce

della fama. La corrente della civiltà, quasi divisa in due corsi

da un promontorio un cento miglia a nord di Patusan, si dirama

verso est e sud-est, trascurando e lasciando circoscritte quelle

pianure, quelle valli, quei vecchi alberi e quella antica umanità

come un insignificante isolotto in erosione tra i due rami di un

fiume potente e divoratore. Il nome del paese ricorre abbastanza

spesso nei resoconti dei vecchi viaggi. I mercanti del

diciassettesimo secolo vi si recavano in cerca di pepe, giacché la

passione per il pepe sembrava ardere come una fiamma d'amore nel

petto degli avventurieri olandesi e inglesi del tempo di Giacomo

Dove non sarebbero andati costoro pur di procurarsi del pepe! Per

un sacchetto di pepe si sarebbero scannati a vicenda senza

pensarci su, e si sarebbero giuocata l'anima, della quale in

genere avevano tanta cura; quella bizzarra ostinata bramosia li

portava a sfidare la morte in mille varie forme: mari sconosciuti,

orribili e strane malattie; ferite, prigionia, fame, pestilenza e

disperazione. Li faceva grandi! Perbacco! li rendeva eroici; e ne

faceva delle figure romantiche in quella loro sete di commerci,

con la morte lì sul capo che esigeva inflessibile il suo tributo

di giovani e vecchi. Sembra impossibile credere che soltanto

l'avidità arrivasse a dotare gli uomini di tanta pertinacia di

propositi, e tanta persistenza cieca nello sforzo e nel

sacrificio. E veramente coloro che mettevano così allo sbaraglio

persona e vita rischiavano tutto il loro avere per un molto scarso

guadagno. Andavano a lasciare le loro bianche ossa sui remoti

lidi, per far affluire l'oro nelle borse dei vivi rimasti a casa.

Ai nostri occhi di successori messi a meno dure prove, appaiono

gloriosi, non come pionieri del commercio, ma come strumenti di un

destino segnato, in via verso l'ignoto per ubbidire a una voce

interiore, a un impulso del sangue, a un miraggio del futuro.

Erano prodigiosi; e bisogna riconoscere che erano preparati al

prodigioso. Lo ritrovavano con compiacenza nelle loro sofferenze,

nell'aspetto dei mari, nei costumi di nazioni straniere, nella

gloria di Capi magnifici.

Nel Patusan avevano trovato pepe a bizzeffe, ed erano rimasti

colpiti dalla magnificenza e dalla saggezza del Sultano; ma, non

si sa come, dopo un secolo di scambi saltuari, quella regione

parve restare a poco a poco esclusa dal commercio. Forse il pepe

era esaurito. Comunque, oggi nessuno sembra più occuparsene; è

spenta la sua gloria, il Sultano è un giovane deficiente che ha la

mano sinistra con due pollici e una rendita incerta e scarsa che

egli estorce a un popolo in miseria e che gli vien poi rubata dai

suoi molti zii.

Tutto questo, naturalmente, l'ho saputo da Stein. Mi diede lui il

nome di costoro, con un breve riassunto della vita e del carattere

di ognuno. Era pieno di dati sugli Stati indigeni, come un

rapporto ufficiale, ma infinitamente più spassoso. Aveva l'obbligo

di sapere. Trafficava con un'infinità di paesi, in qualcuno dei

quali - come per esempio al Patusan - la sua ditta era l'unica a

possedere un'agenzia con licenza speciale delle autorità olandesi.

Il Governo si fidava della sua discrezione; i rischi però, tutti a

suo carico: era inteso. Gli uomini che lavoravano da Stein si

regolavano di conseguenza, ma, evidentemente, lui sapeva fare in

modo che ci trovassero il loro tornaconto. Fu pienamente sincero

con me quella mattina, durante la prima colazione. Per quanto ne

sapeva lui (le ultime notizie risalivano a tredici mesi prima:

data precisa) laggiù era cosa normale il massimo rischio della

vita e dei possedimenti. Vi erano al Patusan varie forze

contrastanti; una delle quali era rappresentata dal peggiore tra

gli zii del Sultano che aveva governo sulla zona del fiume: il

Rajah Allang, che a forza di estorsioni e ruberie spremeva fino

all'osso i Malesi nativi del paese; i quali, completamente privi

di ogni difesa, non avevano nemmeno la risorsa di emigrare -

'giacché,' osservava Stein, 'come e dove potevano andarsene?'

Senza dubbio non riuscivano più neanche a desiderarlo. Il loro

mondo (che è circoscritto da alte montagne insormontabili) è stato

affidato alle mani di chi è di alta nascita, e quel Rajah lì lo

conoscevano bene: apparteneva a casa reale. Ebbi il piacere più

tardi di conoscere codesto gentiluomo. Era un vecchietto sudicio,

consunto, dagli occhi cattivi e la bocca flaccida; che ingoiava

una pillola d'oppio ogni due ore, e, in spregio alla più

elementare decenza, portava i capelli scoperti e cadenti in

ciocche sottili come spaghi intorno al viso sporco e risecchito.

Per dare udienza si arrampicava su una specie di stretto

palcoscenico eretto in una sala che sembrava un granaio in rovina,

col pavimento di bambù marcio, che, tra una fessura e l'altra,

lasciava scorgere, un tre o quattro metri al disotto, mucchi di

rifiuti e d'immondizie d'ogni genere ammonticchiati sotto casa. In

tal modo e luogo ci ricevette quando, accompagnato da Jim, andai a

fargli la visita di etichetta. C'erano una quarantina di persone

dentro la stanza, e forse il triplo nel grande cortile di sotto.

Sentivamo dietro le nostre spalle un continuo movimento di flusso

e riflusso; spinte e mormorii. Qualche raro giovanotto vestito di

sete sgargianti ci fissava da lontano con occhi vivi; la

maggioranza, schiavi e umili dipendenti, erano mezzo nudi, avvolti

in sarong a brandelli, sporchi di cenere e di pillacchere. Non

avevo mai veduto Jim così serio, così padrone di sé, così

impenetrabile e imponente. In mezzo a quegli uomini di colore, la

sua alta figura vestita di bianco, le ciocche dei suoi capelli

biondo lucido, sembravano raccogliere tutta la luce del sole che

penetrava a stento attraverso le fessure delle persiane chiuse, in

quella sala semibuia, dalle pareti di stuoia e dal tetto di

paglia. Sembrava una creatura non solo di un'altra razza, ma di

un'altra sostanza. Se non lo avessero veduto arrivare in una canoa

avrebbero potuto credere che fosse disceso dalle nuvole. Ma era

giunto in un barchetto quasi in pezzi, seduto (fermo immobile con

le ginocchia unite, per la paura di farlo scuffiare) - seduto su

una scatola di latta - che gli avevo prestato io - tenendo

amorosamente sulle ginocchia una rivoltella da marina, - che gli

avevo dato come regalo d'addio, e che, grazie all'intervento della

Provvidenza, o per qualche assurda fissazione dello stesso Jim,

che spesso ne aveva, o forse per una semplice sagacia istintiva,

egli s'era deciso a tenere scarica. Così Jim aveva risalito il

fiume di Patusan. Niente avrebbe potuto essere più prosaico e più

malsicuro, più a casaccio, più strampalato e più solitario. Strana

fatalità che persisteva a dare a tutte le sue azioni aspetto di

fuga, di diserzione impulsiva e istintiva - di salto nel buio.

E' proprio codesto senso di casualità in tutte queste cose quello

che più colpisce. Né Stein né io avevamo un'idea precisa di ciò

che ci fosse dall'altra parte quando, per usare una metafora, lo

afferrammo per lanciarlo pari pari oltre il muro. Lì per lì io

desideravo soltanto di farlo sparire; Stein, sempre in carattere,

aveva invece un motivo sentimentale: l'idea di ripagare (in

natura, immagino) quel suo vecchio debito morale che non aveva mai

dimenticato. In realtà, tutta la vita egli si era mostrato

particolarmente cordiale con chiunque venisse dalle isole

britanniche. Il suo antico benefattore, veramente, era scozzese -

fino al punto di chiamarsi Alessandro Mac Neil - e Jim proveniva

da un bel po' a sud della Tweed; ma alla distanza di sei o

settemila miglia la Gran Bretagna, pur senza mai diminuire di

statura, appare anche ai suoi figli un po' di scorcio, sicché

certi dettagli restano senza importanza. Stein era dunque

scusabile, e certe sue intenzioni appena accennate mi parvero così

generose che lo pregai molto vivamente di tenerle segrete per un

po' di tempo. Sentivo che non bisognava lasciar influire su Jim

considerazioni di vantaggio personale; che bisognava evitarne

anche il più lontano rischio. Qui eravamo di fronte a un altro

genere di realtà: a lui occorreva un rifugio e noi glie ne

offrivamo uno, magari pericoloso: e niente altro.

Su tutti gli altri punti fui nettamente sincero con lui, e perfino

esagerai i pericoli dell'impresa (così almeno mi era parso allora.

In realtà non li avevo valutati abbastanza). Mancò poco che il suo

primo giorno a Patusan non fosse anche il suo ultimo - anzi lo

sarebbe stato senz'altro se Jim, meno temerario o meno fermo nel

suo proposito, si fosse deciso a caricare la rivoltella. Ricordo,

mentre gli comunicavo il nostro magnifico progetto di un suo

ritiro in quell'eremo, la sua rassegnazione ancora testarda, ma

stanca, come andò trasformandosi via via in sorpresa, interesse,

stupore e entusiasmo infantile. Questa era l'occasione che aveva

sognata. Non capiva come aveva fatto a meritarsi che io... Potesse

scoppiare se riusciva a spiegarsi a che doveva... Ed era Stein,

Stein il mercante che... ma naturalmente a me egli doveva... Lo

interruppi. Balbettava e la sua gratitudine chi sa perché mi

metteva a disagio. Gli dissi che, se verso qualcuno doveva

sentirsi in debito per l'offerta, questi era un vecchio Scozzese,

del quale non aveva mai sentito parlare, morto da molti anni, e di

cui poco si sapeva ormai, se non che possedeva una voce stentorea

e una specie di rozza onestà. Non c'era proprio nessuno che

meritasse i suoi ringraziamenti. Stein non faceva che passare a un

giovane l'aiuto ricevuto in gioventù, e io non avevo fatto altro

che suggerirgli il nome di Jim. A tali parole arrossì, e,

cincischiando un pezzetto di carta tra le dita, disse timidamente

che io avevo avuto sempre fiducia in lui.

Ammisi che questo era vero, soggiungendo dopo una pausa che si

provasse a fare altrettanto. 'Crede che non lo faccia?' domandò

impacciato, e aggiunse balbettando che però prima avrebbe dovuto

dar prova di meritarselo; poi, rischiaratosi in volto, protestò a

gran voce che non mi avrebbe dato motivo di pentirmi della mia

fiducia, la quale... la quale...

'Non equivochiamo,' precisai. 'Non è in suo potere di farmi

rimpiangere nulla.' Certo ne sarebbero mancati i motivi: ma, nel

caso, sarebbe affar mio: di me solo; e d'altra parte desideravo

fargli chiaramente intendere che il buon esito di questo progetto,

di questo... questo... esperimento, dipendeva unicamente da lui,

che ne rispondeva in modo pieno ed esclusivo. 'Ecco! Ecco!'

balbettò, 'proprio quello che io...'. Lo pregai di nuovo di non

far lo stupido, e allora sembrò più perplesso che mai. Era sulla

buona strada per rendersi la vita intollerabile... 'Le pare?'

domandò, turbato; ma subito dopo soggiunse, con fiducia: 'Eppure,

stavo facendo progressi, no?' Era impossibile prendersela con uno

così; non seppi trattenere un sorriso, e gli dissi che anticamente

le persone che compivano simili progressi finivano coll'andare a

far gli eremiti nel deserto. 'Alla forca gli eremiti!' commentò

Jim con simpatico impulso. Ma il deserto non gli dispiaceva,

naturalmente... 'Meno male,' dissi. Proprio in un deserto stava

per andare... Potevo tuttavia promettergli che l'avrebbe trovato

piuttosto movimentato. 'Sì, sì,' fece con entusiasmo. Era tuttavia

un chiudersi definitivamente la porta alle spalle... 'Davvero?'

interruppe in uno strano accesso di malinconia che parve

avvolgerlo dalla testa ai piedi come l'ombra di una nuvola

passeggera. In fondo era straordinariamente espressivo.

Straordinariamente! 'Davvero?' ripeté amaro. 'Non si può dire che

io abbia fatto troppe storie. E sono anche capace di tenere il mio

punto... Solo che, diavolo! lei mi deve indicare la porta...'.

'Benissimo. Si accomodi,' ribadii. Ero in grado di dargli la più

netta assicurazione che quella porta gli sarebbe stata sbattuta

dietro con tutto lo slancio. Il suo destino, qualunque fosse,

sarebbe rimasto ignorato, perché il paese, sebbene in pieno

decadimento, non pareva ancora maturo per una presa di possesso

europea. Una volta arrivato laggiù, per il mondo era come se lui

non fosse mai esistito. Non avrebbe posseduto che le piante dei

piedi per stare ritto, e anche per questo gli sarebbe toccato

cercar prima il terreno su cui posarle. 'Mai esistito... quel che

ci vuole, perdiana!' mormorò fra sé. Gli occhi, fissi sulle mie

labbra, gli ardevano. Se aveva capito a fondo i miei suggerimenti,

conclusi, avrebbe fatto bene a saltare sul primo gharry che gli

capitasse e andare da Stein a ricevere le ultime istruzioni. Si

precipitò fuori della stanza prima ancora che avessi finito di

parlare".

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

CAPITOLO 23.

"Non tornò che la mattina dopo. Era stato trattenuto a cena e a

dormire. Non era mai esistito un uomo straordinario come il signor

Stein. Jim aveva in tasca una lettera per Cornelius ("quello che

sta per far fagotto", spiegò, e per un momento si spense la sua

euforia) e tirò fuori di slancio un anello d'argento, di quelli

che usano gli indigeni, reso molto sottile dall'uso e con lievi

tracce d'incisioni.

Questa era la presentazione per un vecchio chiamato Doramin uno

dei personaggi più importanti di laggiù - un pezzo grosso che era

stato amico del signor Stein nel paese dove aveva avuto tutte

quelle avventure. Il signor Stein lo chiamava il suo 'compagno

d'armi'... 'Bello: COMPAGNO D'ARMI, no? E l'inglese? come lo parla

bene il signor Stein! Dice di averlo imparato a Celebes, pensi un

po'! Buffissimo, no? Veramente lo parla con un accento... una

sfumatura...' l'avevo notato? Glie lo aveva dato Doramin

quell'anello. Si erano scambiati un regalo, quando si lasciarono

l'ultima volta. Una specie di patto d'eterna amicizia. Una cosa

bella, no? Avevano dovuto prendere un fugone per salvarsi la pelle

quando quel Mohammed... Mohammed... coso... era stato ucciso. La

conoscevo, no, quella storia?... Fu un gran peccato, no?...

Chiacchierava così, dimenticandosi il piatto che aveva davanti,

col coltello e la forchetta in mano (mi aveva trovato a far

colazione), un po' rosso in viso, e con gli occhi assai più scuri

del solito: che in lui era segno di esaltazione. L'anello

sostituiva le credenziali ('E' una cosa come se ne leggono nei

libri,' gettò lì con ammirazione) - e Doramin avrebbe fatto di

tutto per aiutarlo. Il signor Stein aveva salvato la vita a

quell'individuo, una volta; per puro caso, aveva aggiunto il

signor Stein, ma lui, Jim, aveva la sua opinione in proposito. Il

signor Stein era tipo da crearselo un caso del genere. Non fa

niente. Caso o volontà, veniva giusto giusto a proposito. Voglia

Iddio, piuttosto, che quel bravo vecchierello non abbia tirato le

cuoia nel frattempo. Il signor Stein non avrebbe saputo dirlo. Non

aveva sue notizie da più di un anno; e laggiù c'erano state

sparatorie dell'altro mondo tra una parte e l'altra, e il fiume

era sbarrato. Bella sorpresa, questa, ma niente paura; lui avrebbe

trovato una fessura da infiltrarcisi.

Mi colpì, quasi mi spaventò, quel suo chiacchiericcio esaltato.

Era loquace come un ragazzo alla vigilia di una lunga vacanza in

vista di gioconde avventure; un simile stato d'animo in un adulto

e in simile frangente aveva in sé del fenomenale, del pazzesco,

del pericoloso, del malsicuro. Ero sul punto di invitarlo a

prendere le cose sul serio, quando lasciò cadere coltello e

forchetta (aveva cominciato a mangiare, o meglio a ingoiar cibo,

per così dire, inconsciamente), e si mise a cercare tutt'intorno

al piatto. L'anello! L'anello! Dove diavolo... Ah! Eccolo... Lo

strinse nella sua grande mano, ficcandoselo in una tasca dopo

l'altra. Perdiana! Non bisognava perderlo, per carità. Restò

meditabondo, guardandosi tutto assorto il pugno chiuso. Ecco! Se

lo sarebbe appeso al collo quel gingillo. E si diede subito da

fare tirando fuori uno spago (che sembrava un pezzetto di stringa

di cotone). Ora sì! Ora funziona! Vedremo ora se... Per la prima

volta mi alzò un poco gli occhi in viso, e questo gli rese un

certo equilibrio. Forse non mi rendevo conto, disse con serietà

ingenua, dell'importanza di quel pegno per lui. Voleva dire un

amico; ed è una bella cosa trovare un amico. Ne sapeva qualcosa,

lui. Mi fece un cenno d'intesa col capo, ma prima ch'io potessi

fare un gesto di protesta chinò la testa sulla mano, e rimase un

po' in silenzio, giocherellando con le briciole sulla tovaglia,

assente... "Sbattersi la porta alle spalle... proprio ben detto",

esclamò, e, balzando in piedi, cominciò a misurare la stanza a

grandi passi, e mi fece ricordare, con la quadratura delle spalle,

ii portamento del capo, il passo rapido e sconnesso, quella sera

che aveva camminato così, confessando, spiegando - come volete ma,

in ultima analisi, vivo - vivo davanti a me, chiuso nella sua

nuvoletta personale, con tutti quegli involontari cavilli per

cercare una consolazione nella fonte stessa del dolore. Era sempre

lo stesso umore; lo stesso, ma diverso, come un compagno volubile

che, dopo averci guidato oggi sulla via giusta, col medesimo

sguardo, il medesimo gesto e il medesimo impulso domani ci porta

irrimediabilmente fuori strada. Si muoveva con passo sicuro; i

suoi occhi mobili, rabbuiati, sembravano frugare per la stanza in

cerca di qualche cosa. Un passo, ogni tanto, faceva più rumore

degli altri - derivava probabilmente dalle sue scarpe- dando la

strana impressione che zoppicasse. Si era ficcata una mano in

fondo alla tasca dei calzoni, e l'altra, tutto a un tratto, se la

agitò sopra alla testa. 'Sbatta pure l'uscio!' gridò. 'Non

aspettavo altro. Farò vedere io, farò... io... sono pronto a ogni

cimento... Era il mio sogno... Perdiana! Uscir di qui. Perdiana!

E' la fortuna finalmente... Aspetti un poco, e... vedrà se io...'.

Scosse il capo con un gesto spavaldo: confesso che per la prima e

l'ultima volta da quando lo conoscevo mi accadde di accorgermi a

un tratto di non poterne proprio più di lui. A che pro' codeste

spacconate? Camminava per la stanza agitando il braccio in un modo

ridicolo, e tastandosi a tratti l'anello sotto gli abiti. Che

senso poteva avere una simile esaltazione in un uomo assunto come

agente commerciale in un luogo, oltre tutto, dove il commercio non

esiste? A che scopo questa sfida all'universo? Non era uno stato

d'animo da accingersi a una impresa qualsiasi; uno stato d'animo

che non si addiceva non solo a lui, dissi, ma a nessuno. Si fermò,

davanti a me. 'Ah, così?' domandò, tutto spento, e con un sorriso

in cui mi parve di scoprire a un tratto una punta d'insolenza. Ma

io sono di vent'anni più vecchio di lui. La gioventù è sempre

insolente: è il suo diritto - la sua legge; ha da affermarsi; e

ogni affermazione, in questo mondo di dubbi, è una sfida,

un'insolenza. Arrivò fino all'angolo opposto e, tornando indietro,

si mise, a dirla sotto metafora, a dilaniarmi. Parlavo così perché

io - perfino io, che ero stato di una infinita bontà con lui -

perfino io ricordavo... ricordavo... a sua vergogna... quello...

quello... che era successo. E gli altri allora?... il... mondo.

Che c'era di strano se desiderava uscirne, se intendeva uscirne,

se intendeva restarne fuori... perdio! E io parlavo di stato

d'animo inadatto?

'Non sono né io ne il mondo a ricordare,' gridai. 'E' lei... lei!'

Non batté ciglio, e continuò con calore: 'Dimenticarsi di tutto,

di tutti... di tutti...' abbassò la voce. 'Fuorché di lei,'

soggiunse.

'Sì... anche di me... se questo può aiutarla,' ribattei abbassando

la voce a mia volta. Dopo di che rimanemmo silenziosi e abbattuti

per un po', come esausti. Quindi Jim riprese a parlare, pacato,

dicendomi che il signor Stein gli aveva detto di aspettare un mese

circa, per accertarsi che gli fosse possibile rimanere, prima di

cominciare a costruirsi una casa ed evitare una 'vana spesa.'

Adopera certe espressioni buffe, quello Stein. 'Vana spesa!' Buona

davvero! Rimanere? Ma certo! Ci si sarebbe radicato. Bastava

arrivare fin là - ecco tutto; ci sarebbe rimasto; garantito! Per

sempre. Rimanere era piuttosto facile.

'Non sia troppo avventato,' dissi, turbato dal suo tono

pericoloso. 'Se vivrà abbastanza, finirà che avrà voglia di

tornare.'

"Tornare dove?" domandò assente, con gli occhi fissi sul quadrante

di un orologio alla parete.

Tacqui per un momento. 'Dunque, per sempre?' dissi. 'Per sempre,'

ripeté con aria assorta senza guardarmi; poi si lasciò andare

improvvisamente a un'irrequietezza frenetica. 'Perdiana! Le due, e

si salpa alle quattro!'

Era vero. Un brigantino di Stein partiva per l'occidente nel

pomeriggio, a lui era stato detto di imbarcarsi, ma la nave non

aveva avuto ordine di rimandar la partenza. Forse Stein se n'era

dimenticato. Jim corse a prendere la sua roba mentre io andavo a

bordo della mia nave, dove promise di passarmi a salutare nel

raggiungere la rada esterna. Infatti comparve a bordo in gran

fretta, con una valigetta di pelle in mano. Era insufficiente per

quel viaggio: gli regalai un mio vecchio baule di zinco

impermeabile all'acqua, o almeno capace di preservar dall'umidità.

Effettuò il travaso da un collo all'altro rovesciando senz'altro

il contenuto della valigia come si vuota un sacco di grano.

Intravidi tre libri precipitare col resto; due più piccoli con le

copertine scure, e uno grosso legato in verde e oro - uno

Shakespeare completo in un'edizione da mezza corona. 'Lo legge

lei?' gli chiesi. 'Sì. Ottima roba per tirar su il morale,'

rispose in fretta. Fui colpito da questa risposta, ma non c'era

tempo per una discussione scespiriana. Sul tavolino della cabina

c'era una pesante rivoltella e due scatolette di cartucce. 'Li

prenda, la prego,' dissi. 'Possono servirle a rimanere laggiù.'

Capii, appena dette, che queste parole potevan acquistare un

significato macabro. 'Possono servirle per penetrare nel paese,'

corressi, pieno di rimorsi. Ma Jim non si lasciava turbare da

significati nascosti; mi ringraziò con effusione, e scappò via,

gridandomi 'Arrivederci,' senza voltarsi. Udii la sua voce dalla

murata della nave incitare i suoi barcaioli a dar di remo, e,

affacciatomi al portello di poppa, vidi la barca francare la

volta. Jim seduto, piegato in avanti, spronava i suoi uomini con

la voce e col gesto; e siccome aveva sempre la rivoltella in mano

- puntata, sembrava, in direzione delle loro teste - non

dimenticherò mai le facce spaurite dei quattro Giavanesi né lo

slancio frenetico dei loro remi, che mi sottrassero alla vista

quello spettacolo. Poi, voltandomi, la prima cosa che notai furono

le due scatole di cartucce sul tavolo della cabina. S'era

dimenticato di prenderle.

Ordinai subito che si armasse la mia saettìa; ma i rematori di

Jim, vogando sotto l'impressione che la loro vita fosse appesa a

un filo finché avessero a bordo quel pazzo, arrancavano a ritmo di

regata; e io non ero ancora a mezzo cammino tra i due bastimenti,

che lo vidi arrampicarsi sul bastingaggio; mentre issavano a bordo

il suo bagaglio. Il brigantino aveva già sciolto tutte le vele: la

maestra era a punto, e già l'argano dell'àncora cominciava a

stridere quando misi piede a bordo; il capitano, un piccolo

meticcio di una quarantina d'anni, vispo e atticciato, vestito di

flanella blu, con occhi vivaci, il viso tondo color limone, e due

baffettini neri e sottili che gli scendevano dai due angoli delle

labbra grosse e scure, mi venne incontro tutto gestroso.

Nonostante il suo aspetto soddisfatto e gaio, risultò poi di

carattere pessimista. In risposta a una mia osservazione (mentre

Jim era sceso un momento), disse: 'Ah, già. Patusan.' Avrebbe

condotto quel signore fino alla foce del fiume, ma non lo avrebbe

"mai asceso". Il suo inglese disinvolto sembrava attinto al

dizionario di un pazzo. Se il signor Stein gli avesse chiesto di

'ascendere,' gli avrebbe 'riverenzialmente' (credo volesse dire

rispettosamente, ma lo sa il diavolo) - 'riverenzialmente fatto

obbietti per la sicurezza delle sostanze.' Se il signor Stein

avesse insistito, gli avrebbe presentato 'la rassegnazione delle

dimissioni.' L'ultimo viaggio da quelle parti lo aveva fatto

dodici mesi prima, e benché il signor Cornelius avesse 'propiziato

molti offertori' al signor Rajah Allang e alle 'principali

popolazioni' a patti tali da rendere il commercio 'un'insidia e

cenere in bocca,' tuttavia la sua nave era stata bersaglio di armi

da fuoco, dai boschi lungo tutto il corso del fiume, per opera di

'partiti irresponsivi;' il che, obbligando il suo equipaggio 'per

l'esposizione delle membra, a rimaner silenzioso in nascondiglio,'

il brigantino si era quasi insabbiato alla foce, dove 'sarebbe

stato distruggibile al di là delle forze dell'uomo.' Il disgusto e

l'ira che lo invadevano al ricordo, e l'orgoglio della propria

loquela, alla quale prestava un attentissimo orecchio, lottavano

per il possesso del suo largo e semplice viso. Mi guardava

cipiglioso e insieme sorridente, osservando con soddisfazione

l'effetto immancabile della sua fraseologia. Oscuri fremiti

sfioravano veloci la superficie calma del mare, e il brigantino,

con la vela di parrocchetto a riva e la randa della maestra a

mezzanave, sembrava perplesso tra le réfole. Il capitano mi disse

anche, digrignando i denti, che il Rajah era una 'iena ridicolosa'

(non so immaginare come avesse trovato la parola iena); mentre un

altro individuo era di gran tratto più falso delle 'armi di un

coccodrillo.' Con un occhio fisso a prua sulla manovra

dell'equipaggio, diede libero sfogo alla propria loquacità,

paragonando quel paese a una "gabbia di bestie feroci invoracite

da una lunga impenitenza". Credo intendesse dire impunità. Non

aveva intenzione, esclamò, di 'esibirsi per esser assalito

appositamente a una ruberia.' La lunga cantilena ritmica degli

uomini che salpavano l'àncora si tacque; e il capitano abbassò la

voce. 'Ne ho molto troppo abbastanza del Patusan,' concluse

energicamente.

Seppi in seguito che laggiù si era portato così male da meritarsi

di esser legato per il collo con un capestro di canapa a un palo

piantato in mezzo a una buca da immondizie davanti alla residenza

del Rajah. Passò gran parte del giorno e un'intera notte in quella

scomoda posizione, ma c'era serio motivo per credere che si

trattasse di una specie di scherzo. Dovette rimasticarsi un po'

quell'orribile ricordo, perché poi affrontò con aria litigiosa il

marinaio che si stava avviando a poppa verso la barra del timone.

Quando si rivolse di nuovo a me fu in tono riflessivo, pacato.

Avrebbe condotto quel signore fino alla foce del fiume a Batu-

Kring (la città di Patusan essendo 'collocata interiormente,'

osservò, 'a trenta miglia'). Ma ai suoi occhi - soggiunse con una

espressione di noia e di stanchezza che andava sostituendosi alla

sua loquacità di prima - era già 'una similitudine di un

cadavere.' 'Come? Che dice?' esclamai. Assunse un aspetto di

ferocia impressionante, e imitò alla perfezione l'atto di

pugnalare qualcuno alle spalle. 'Già, come il corpo di uno che è

deportato,' spiegò con l'aria insopportabilmente vanesia delle

persone del suo genere quando si mettono in mente di fare sfoggio

d'intelligenza. Alle sue spalle scorsi Jim, che sorridendomi in

silenzio mi fermò con la mano alzata l'esclamazione che mi saliva

alle labbra.

Allora, mentre il meticcio, gonfio d'importanza, gridava i

comandi, e mentre i pennoni oscillavano cigolando e la pesante

randa piegava palpitando verso di noi, Jim ed io, in certo modo

soli di sottovento alla vela maestra, ci stringemmo la mano

scambiandoci in fretta le parole di commiato. Il mio cuore si era

liberato di quel vago risentimento che era stato finora in me,

insieme all'interesse per il suo destino. L'assurdo vaniloquio del

meticcio era riuscito a dar corpo ai pericoli che Jim avrebbe

incontrato sul suo cammino più di quanto non fosse riuscito a

Stein con le sue descrizioni precise. In quel momento quella

specie di ritegno mondano che era stato sempre nei nostri colloqui

svanì del tutto. Credo di averlo chiamato 'caro ragazzo' e lui unì

le parole 'vecchio mio' a qualche smozzicata espressione di

gratitudine, come se i suoi rischi, bilanciati con i miei anni, ci

avessero parificati di età e di sentimento. Vi fu un attimo di

vera e profonda intimità, inaspettata e passeggera come un colpo

d'occhio a qualche verità eterna e redentrice. S'ingegnò di

rendermi la tranquillità come se fosse stato lui il più maturo di

noi. 'Va bene, va bene,' disse rapidamente e con sentimento. 'Le

prometto di esser prudente. Sì; non correrò rischi inutili.

Neanche uno. Ma certo. Intendo di starci, laggiù. Non abbia paura;

perdiana! mi pare che nulla mi potrà intaccare. Ma come! la

fortuna comincia con la parola Partenza. Non vorrei mai perdere

una così splendida occasione!...' Un'occasione splendida! Beh,

risultò magnifica davvero, ma le occasioni sono quali le fanno gli

uomini, e come potevo io sapere? Come aveva detto Jim, perfino

io... perfino io ero contro di lui... io che ricordavo la sua...

la sua disgrazia. Era vero. E la miglior cosa che potesse fare era

di partire.

La mia saettìa rimase indietro sulla scìa del brigantino, e lo

vidi a poppa stagliato nella luce del tramonto, sollevare il

berretto alto sul capo. Udii un grido indistinto: 'Avrà notizie di

me.' Di me o da me, non so bene, ma credo fosse 'di me.' I miei

occhi erano troppo abbacinati dal barbaglio del mare che

scintillava sotto i suoi piedi perché potessi vederlo chiaro; è

mio destino di non vederlo mai chiaro; ma vi assicuro che nessuno

poteva apparire meno di lui 'in similitudine di cadavere,' come si

era espresso quel corbaccio di meticcio di cui vedevo la faccia di

canaglietta, forma e colore di zucca matura, affacciarsi di sotto

al gomito di Jim. Anche lui alzò il braccio, ma nel gesto di una

pugnalata dall'alto in basso. Absit omen!".

 

 

 

 

 

 

 

 

CAPITOLO 24.

"La costa del Patusan (la vidi circa due anni dopo) è dritta e

scura, in faccia all'oceano nebbioso. Tracce rosse scendono come

cataratte di ruggine sotto il fogliame verde scuro dei cespugli e

dei rampicanti che vestono la rupe poco elevata. Una bassura

paludosa si stende intorno alla foce del fiume, e mostra un

panorama frastagliato di picchi azzurri di là dalle vaste foreste.

Al largo, una catena di isole spicca, nella nebbia eterna

illuminata dal sole, con le sue forme buie e sgretolate come i

resti di un muro scalzato dal mare.

C'è un villaggio di pescatori sulla foce di uno dei rami

dell'estuario: Batu-Kring. Il fiume, che da tanto tempo era

rimasto chiuso al traffico, era stato riaperto, e il piccolo

schooner di Stein, su cui ero imbarcato, risalì la corrente con

l'aiuto di tre maree successive senza esser preso a fucilate da

'partiti irresponsivi.' Questo pericolo, del resto, doveva già

appartenere alla storia antica, secondo quanto diceva il vecchio

capo del villaggio di pescatori, il quale venne a bordo a fare in

certo modo da pilota. Mi parlò con tranquilla fiducia. Ero il

secondo uomo bianco che avesse mai veduto: e l'argomento

principale dei suoi discorsi fu il primo uomo bianco che avesse

mai veduto. Lo chiamava Tuan Jim, e me ne parlò con un tono in cui

risaltava una strana mistura di familiarità e di reverenza. Lì,

nel villaggio, erano sotto la speciale protezione di quel Signore,

il che mostra che Jim non serbava rancori. Quando mi preannunciò

che io avrei avuto sue notizie, aveva detto la verità: queste che

ricevevo erano notizie sue. Cominciava già la leggenda: di una

marea alzatasi due ore prima del solito per agevolargli il viaggio

su per il fiume. E proprio lui, il vecchio ciarliero, lui in

persona aveva tenuto il timone della canoa, quella volta: e a quel

fenomeno era rimasto a bocca aperta. Inoltre la luce di

quell'episodio si riversava tutta sulla sua famiglia. Ai remi

stavano suo figlio e suo genero: ma quelli, due giovanotti senza

esperienza, non si fecero accorti che la canoa agguantava in modo

insolito, finché non aveva attirato lui la loro attenzione su tal

fatto strabiliante.

L'arrivo di Jim in quel villaggio di pescatori era stato una

benedizione, ma anche per loro, come per molti di noi, la

benedizione giunse preannunciata da terrori. Tante generazioni si

erano susseguite da quando l'ultimo bianco era approdato sul

fiume, che se n'era persa perfino la tradizione. La comparsa di

quell'essere che, sceso tra loro, pretese con volontà inflessibile

di essere portato a Patusan, era una cosa da scombussolare la

gente; la sua insistenza dava apprensione; la sua generosità era

peggio che sospetta. Era una pretesa inaudita, la sua. Senza

precedenti. Che ne avrebbe detto il Rajah? E a loro, che avrebbe

fatto? Passarono la maggior parte della notte a dibattere il caso;

ma il furore di quell'uomo ignoto sembrò tale e così immediato

rischio, che finalmente si rassegnarono ad apprestargli uno

straccio di piroga. A vederla partire, le donne urlarono

d'angoscia: una vecchia strega scagliò una intrepida maledizione

sullo straniero.

Jim stava seduto, come vi ho detto, sul suo bauletto di zinco,

tenendosi teneramente poggiata sulle ginocchia la sua rivoltella

scarica. Sedeva con cautela - una fatica del diavolo, questa! e

così penetrò nel paese che egli era destinato a riempire della

fama delle sue virtù, dai picchi azzurri dell'interno fino al

candido nastro di schiume che segue la costa. Alla prima curva

perdette di vista il mare, col lavorio delle sue onde nell'eterno

travaglio di sollevarsi, riabbassarsi, scomparire, risollevarsi -

precisa immagine dell'umano travaglio - e fu di fronte alle

immense foreste, profondamente radicate alla terra, tese alla luce

del sole, eterne, nella loro tradizione di potenza e d'ombra come

la vita stessa. Gli sedeva al fianco, velata, l'occasione, come

una sposa orientale in attesa che la sciolga dai veli la mano del

suo padrone. Anche lui era l'erede di una tradizione di potenza e

d'ombra! A me confessò peraltro, che mai in vita sua si era

sentito stanco e depresso come in quella canoa. Il solo movimento

che osava permettersi era quello di stender la mano, quasi di

soppiatto, verso un mezzo guscio di noce di cocco che gli

galleggiava fra i piedi, per aggottare un po' d'acqua con gesti

accuratamente trattenuti. Seppe quanto può essere duro il

coperchio di un bauletto di zinco a starci seduti su. Aveva una

salute eroica; eppure varie volte, durante quel viaggio, ebbe dei

giramenti di capo, e da una volta all'altra, come in un

dormiveglia, si domandava che dimensioni poteva aver raggiunto la

vescica che il sole gli andava formando sulla schiena. Per

distrarsi si mise a guardare davanti a sé, cercando di stabilire

se quelle cose melmose che vedeva stese al margine dell'acqua

fossero un tronco d'albero o un alligatore. Ma si stufò presto.

Non c'era sugo. Sempre alligatori. Uno si lasciò cadere

nell'acqua, che per poco non rovescio la canoa. E anche

quest'emozione passò subito. Poi, durante una tratta che non

finiva mai, fu molto grato a un gruppo turbolento e irriverente di

scimmie che scesero fino sulla riva con un baccano del diavolo e

un bailamme d'insulti al suo passaggio. Così si avvicinava egli

alla più genuina grandezza che uomo abbia mai raggiunto. Agognava,

soprattutto, al tramonto; e intanto i tre pagaiatori stavano

preparandosi a mettere in esecuzione il loro piano di consegnarlo

al Rajah.

'Dovevo essere istupidito di fatica, o forse ero rimasto un po'

addirittura assopito,' disse. Ad un tratto si accorse che la canoa

stava per toccare la riva. Immediatamente si rese conto che si

erano lasciati indietro la foresta; vide le prime case un po' più

in su, uno steccato alla sua sinistra, e i tre barcaioli saltare

tutti insieme in un punto di terra bassa e darsela a gambe.

Istintivamente saltò giù anche lui. Dapprincipio pensò di essere

stato abbandonato per qualche misteriosa ragione, ma poi udì grida

esaltate, vide spalancare un cancello, e una frotta di gente

riversarsi fuori, verso di lui. Nel medesimo tempo una barca piena

d'armati apparve sul fiume e si pose a fianco della canoa vuota,

tagliandogli la ritirata.

'Preso così alla sprovvista non potevo serbare il mio sangue

freddo - capisce? Se quella rivoltella fosse stata carica, avrei

ammazzato qualcuno - forse due, tre uomini, e sarebbe stata la mia

rovina. Ma era scarica...' 'E perché?' 'Beh, non potevo mica

combattere contro tutto un paese; e non a sarei venuto se avessi

avuto paura per la mia pelle,' fece, con un'occhiata in cui

ritrovai una sfumatura della sua vecchia, cupa cocciutaggine. Mi

trattenni dal fargli notare che gli indigeni non potevano sapere

se la rivoltella era carica o scarica. Meglio lasciargli le sue

idee... 'Comunque, era scarica,' rispose bonario, 'e mi fermai,

domandando cosa succedeva. Ammutolirono stupiti. Vidi qualcuno di

quei ladri portarsi via la mia cassetta. Quel vecchio gambalunga

di Kassim, un furfante, che le farò conoscere domani, venne fuori

a raccontarmi con un sacco di storie che il Rajah voleva vedermi.

Dissi: VA BENE. Anch'io volevo vedere il Rajah; così non ho avuto

che da varcare il cancello e... e... eccomi qua.' Rise; poi con

enfasi improvvisa: 'E sa il più bello?' domandò. 'Glie lo dico io.

E' che ero sicuro, se mi avessero levato di mezzo, che a

rimetterci sarebbero stati loro.'

Questo mi disse davanti alla sua casa la sera che sapete - dopo

aver contemplato insieme la luna salire di sopra al crepaccio fra

i due colli, come uno spirito asceso dalla tomba; col suo chiarore

soffuso e pallido e freddo come il fantasma di un sole morto. C'è

un sapore spettrale nella luce della luna; tutta la frigidità di

un'anima senza corpo e un poco del suo inspiegabile mistero. In

confronto della nostra luce solare che - si dica quel che si vuole

- è l'unica cosa che possediamo per vivere, è come l'eco per il

suono: fallace e sviante, ironico o triste che ne sia il tono.

Toglie consistenza alle forme materiali - che, dopo tutto, sono il

nostro regno - e presta una realtà soltanto alle ombre: sinistra.

Le ombre apparivano molto concrete intorno a noi; ma Jim al mio

fianco restava alto e solido, come se nulla ai miei occhi -

nemmeno la forza occulta della luna - potesse privarlo della sua

realtà. Forse veramente nulla poteva toccarlo, dacché aveva

sopravvissuto all'assalto di forze tenebrose. Tutto era pace e

silenzio; perfino sul fiume i raggi della luna sonnecchiavano come

su uno stagno. Era il momento dell'alta marea, un momento di

immobilità che accentuava il totale isolamento di quest'angolo

perduto della terra. Le case affollate lungo la vasta ansa immersa

in un lago di luce senza né increspature né barbagli, nella loro

discesa in fila verso l'acqua, con un sovrapporsi di forme vaghe,

grigie, argentee, miste a masse nere d'ombra, sembravano una

mandria spettrale di labili creature che si spingessero avanti per

bere a un fiume anch'esso spettrale e senza vita. Qua e là un

rosso chiarore occhieggiava tra le pareti di bambù, caldo, come

una scintilla di vita, simbolo di affetti umani, di buon rifugio,

di riposo.

Mi confessò di aver spesso osservato quei punti di luce sparire

uno dopo l'altro, e che gli piaceva vedere la gente

addormentarglisi sotto gli occhi, fiduciosa nella sicurezza del

domani. 'Che pace, qui, eh?' domandò. Non era eloquente, ma nelle

parole che seguirono c'era un significato profondo. 'Guardi queste

case: non ce n'è una in cui si diffidi di me. Perdiana! Glie lo

avevo detto che avrei resistito. Domandi a chi vuole: uomo, donna

o bambino...' S'interruppe. 'Beh, io, comunque, sono un

galantuomo.'

Gli risposi subito che era ora che se ne fosse accorto! E che io

ne ero sempre stato sicuro. Scosse il capo: 'Davvero?' Mi strinse

leggermente il braccio sopra al gomito. 'Ebbene, allora... Lei

aveva ragione.'

C'era un senso di esultanza e d'orgoglio, c'era quasi un sacro

panico in quell'esclamazione a bassa voce. 'Perdiana!' esclamò,

'pensi cosa significa questo per me.' Mi strinse di nuovo il

braccio. 'E mi ha chiesto se pensavo a scappar via! Santo Dio! Io

via di qua! Specialmente adesso, dopo quello che mi ha detto del

signor Stein... Andarmene! Ma se era quello che temevo di più!

Sarebbe stato... sarebbe stato peggio della morte. Sì... parola

mia. Non rida. Ho bisogno di sentire... ogni giorno, ogni volta

che apro gli occhi... che la gente si fida di me... che nessuno ha

il diritto... capisce? Andarmene! Dove? A che scopo? In cerca di

che?'

Gli avevo detto (anzi era stato questo il movente principale della

visita) che Stein aveva l'intenzione di fargli dono immediato

della casa e dello stock di merce, con qualche lieve condizione,

tanto per rendere la transazione del tutto regolare e valida. Da

principio cominciò a sbuffare e a impennarsi. 'Al diavolo la sua

delicatezza!' gridai. 'Stein non c'entra niente. Le dà soltanto

quello che lei si è creato da sé. E in ogni modo risparmi le sue

proteste per Mac Neil - quando lo incontrerà all'altro mondo. E

speriamo non sia tanto presto...' Dovette cedere ai miei

argomenti, perché tutte le sue conquiste, fiducia, fama, amicizia,

amore - tutte queste cose che gli avevano dato un senso di

padronanza, lo avevano anche ridotto in schiavitù. Guardava con

occhio di padrone la serata, il fiume, le case, la vita imperitura

delle foreste, la vita della vecchia umanità, i segreti della

terra, l'orgoglio del suo cuore; ma eran quelli a possederlo e a

impadronirsi di lui in pieno, fino al suo pensiero più intimo, al

più lieve moto del suo sangue, fino al suo ultimo respiro.

C'era da andarne orgogliosi. Anch'io ero orgoglioso di lui, pur

non sentendomi sicuro come Jim della favolosa bontà dell'affare.

Era meraviglioso. Ma non al suo coraggio pensavo io. Strano! Gli

davo pochissimo peso: come se fosse una cosa troppo convenzionale

per avere una consistenza effettiva. No. Mi colpiva di più la

rivelazione di altre sue doti. Aveva spiegato grande adattabilità

a situazioni insolite, agilità d'intelletto in quel certo campo

del pensiero. E la sua prontezza! Straordinaria. E tutto questo

gli era venuto come il buon fiuto a un bravo cane da caccia. Non

era eloquente, ma c'era una certa dignità nella sua naturale

reticenza, c'era una profonda serietà nel suo balbettare. Aveva

conservato il vecchio vizio di arrossire di caparbia. Ogni tanto,

però, gli sfuggiva una parola, una frase, che mostrava quanto a

fondo, e con quanta solennità considerava quel compito che gli

aveva procurato la certezza della sua riabilitazione. Ecco perché

sembrava amare quella terra e quella gente con una specie di

feroce egoismo con una sdegnosa tenerezza".

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

CAPITOLO 25.

"'Qui sono stato prigioniero tre giorni,' mi sussurrò (il giorno

della nostra visita al Rajah), mentre attraversavamo lentamente il

cortile di Tunku Allang, tra una folla di servi sbalorditi. 'Che

schifo, eh? E non mi davano niente da mangiare se non facevo

baccano; e anche allora mi passavano appena un piattino di riso e

un'ombra di pesce fritto... Maledetti! Perdiana! Ne ho patita di

fame, in questo cortile fetido, a far su e giù, con qualcuno di

questi vagabondi che mi ficcava il muso fin sotto al naso. Avevo

consegnato alla prima richiesta quella sua famosa rivoltella, ben

contento di liberarmi di quell'arnese infernale. Facevo una figura

da imbecille a girar con una canna da fuoco scarica in mano.' In

quel momento giungemmo alla real presenza, e Jim si fece

rigidamente solenne e complimentoso col suo ex-nemico. Oh! era

magnifico! Mi vien da ridere quando ci penso. Quel vecchio

mascalzone di Tunku Allang non riusciva a dissimulare la sua gran

paura (non era un eroe, nonostante tutte le storie che andava

raccontando intorno alla sua bollente gioventù), mentre sfoggiava

una patetica fiducia nel modo di comportarsi verso il suo ex-

prigioniero. Vedete? Anche quelli che più lo odiavano avevano

fiducia in lui. Jim - per quel che potevo capire dalla piega del

colloquio - approfittava dell'occasione per fargli una predica.

Certi poveracci del villaggio erano stati fermati e rapinati

mentre si recavano da Doramin con un po' di gomma e di cera

d'apiario da scambiare con riso. 'E' Doramin il ladro,' scoppiò a

dire il Rajah. La fragile carcassa era in preda a un tremito

furibondo. Si contorceva tutto sulla stuoia, gesticolando con le

mani e coi piedi, agitando gli spaghi scompigliati della sua

zazzera: incarnazione della rabbia impotente. Tutt'in giro occhi

sgranati e bocche aperte intorno a noi. Jim cominciò a parlare.

Risolutamente, freddamente e a lungo sostenne che a nessuno si

deve impedire di procurarsi onestamente il cibo per sé e per i

figli. L'altro stava seduto come un sarto al suo tavolino, con le

palme sulle ginocchia, a testa bassa, e fissando Jim attraverso i

capelli grigi che gli cadevano fin sugli occhi. Alle ultime parole

di Jim seguì un gran silenzio. Pareva che nessuno fiatasse più;

nessuno diceva una parola; finalmente il vecchio Rajah, dopo un

sospiro leggero, alzando gli occhi, con una scossa del capo, disse

in fretta: 'Hai sentito, popolo mio? Basta con questi scherzetti.'

Questa ordinanza cadde in un profondo silenzio. Un uomo piuttosto

grosso, evidentemente investito di autorità, occhi intelligenti,

viso ossuto, scurissimo, modi gioviali e alla mano (seppi poi che

era il boia) ci offrì due tazze di caffè su un vassoio d'ottone

tolto dalle mani d'un suo sottoposto. 'Non è necessario che lei

beva,' disse Jim in fretta e tra i denti. Non afferrai subito il

significato delle sue parole e mi limitai a guardarlo. Ma egli

bevve un lungo sorso, poi restò correttamente seduto, tenendo il

piattino nella mano sinistra. Lì per lì rimasi seccatissimo. 'Che

diavolo!' mormorai, sorridendogli amabilmente, 'perché mi ha

esposto a un rischio così sciocco?' Bevvi, naturalmente, non c'era

altro da fare, senza che Jim battesse ciglio; e dopo, quasi

subito, ci congedammo. Mentre stavamo attraversando il cortile

diretti alla nostra barca, sotto la scorta dell'allegro e

intelligente carnefice, Jim mi dichiarò di essere molto

mortificato. In fondo, le probabilità di rischio erano minime. Lui

al veleno non ci aveva neanche pensato: una lontanissima

eventualità. Mi assicurò di essere considerato infinitamente più

utile che pericoloso, e quindi... 'Ma il Rajah ha una paura matta

di lei. Lo si vede a colpo d'occhio,' ribattei, lo confesso, con

una certa acredine, sempre in attesa dei primi sintomi di una

possibile colica tremenda. Ero di pessimo umore. 'Se voglio

riuscire a qualche risultato, qui, e conservar la mia posizione,'

disse Jim prendendo posto vicino a me nella barca, 'devo correre

dei rischi: questo lo corro almeno due volte al mese. Molta gente

si affida a me - perché io lo affronti per il loro bene. Paura di

me? Appunto. Probabilmente ha paura di me perché io non ho paura

del suo caffè.' Poi, indicandomi un punto sul lato settentrionale

dello steccato dove c'erano diversi pali con la punta spezzata:

'Ecco, di qui sono saltato il terzo giorno della mia venuta a

Patusan. Non ci hanno ancora rimesso i pali nuovi. Un bel salto,

no?' Poco dopo passammo davanti allo sbocco di un ruscello

melmoso. 'Qui ho fatto il secondo salto. Presi un po' di rincorsa

e spiccai il balzo di volata, ma non ce la feci. Credevo di

lasciarci la pelle. Ci ho perso le scarpe nel tramestio per

tirarmi fuori. E dopo ho ripensato sempre che bel costrutto ci

sarebbe stato a pigliarmi nella schiena un colpo di quelle

maledette lancie lunghe, mentre ero così invischiato nel fango.

Ricordo lo schifo a sguazzare in quella melma. Una vera nausea -

dico - proprio come se mi fossi messo sotto i denti una cosa

marcia.'

Ecco com'era andata - e l'Occasione correva al suo fianco,

saltando con lui gli steccati rotti, sguazzando con lui nella

melma... sempre velata. La sorpresa al momento del suo arrivo fu

l'unica cosa, capite, che lo salvò dall'essere immediatamente

spacciato con un colpo di kris e buttato nel fiume. Lo avevano fra

le mani, ma era come voler stringere un'apparizione, un fantasma,

uno spirito maligno. Che poteva significare? Che se ne doveva

fare? Non era troppo tardi per conciliarselo? Non era meglio

ucciderlo senza indugio? Ma dopo, che cosa sarebbe successo? Quel

povero vecchio Allang ci aveva quasi perso il cervello, per

l'orgasmo e per la difficoltà di prendere una risoluzione. Varie

volte, interrompendo i lavori del Consiglio, i partecipanti si

erano precipitati alla rinfusa verso la porta e di lì sulla

veranda. Uno di essi - a quel che si racconta fece perfino un

salto dall'altezza di un quattro metri e mezzo e si ruppe una

gamba. Il regio governatore di Patusan aveva delle strane

fissazioni; come quella d'introdurre nel corso di ardue

discussioni, certe sue rapsodie millantatorie, nelle quali veniva

a mano a mano esaltandosi, finché, brandendo il suo kris, finiva

col saltar giù dalla piattaforma dove stava appollaiato. Ma, a

parte tali interruzioni, le dispute sul destino di Jim seguitarono

notte e giorno.

Intanto lui vagava per il cortile, e qualcuno lo scansava, altri

lo fissavano con sguardi accesi, e tutti lo osservavano; e lui lì,

si può dire alla mercè del primo cialtrone che capitasse con un

trinciante. Per dormire aveva preso possesso di una piccola

tettoia mezzo crollata; ma gli effluvi d'immondizie e di roba in

putrefazione gli davano allo stomaco; l'appetito invece pare che

non l'avesse perduto perché - mi disse - per tutto quel tempo

aveva avuto sempre fame. Ogni tanto 'qualche asino in gran

faccenda,' in deputazione dalla sala del Consiglio, gli si

avvicinava di corsa e in tono mellifluo gli infliggeva

stupefacenti interrogatori. 'Era vero che gli Olandesi sarebbero

venuti a prendersi il paese? Gradirebbe l'uomo bianco ridiscendere

il fiume? Con quali intenzioni era egli venuto in un paese così

poverello? Il Rajah desiderava sapere se l'uomo bianco sapeva

riparare un orologio.' Gli portarono davvero una sveglia di nichel

fabbricata nella Nuova Inghilterra; e lui, pur di vincere il

tormento della noia, si era dato a tutt'uomo a tentar di rimettere

in efficienza la suoneria. E proprio mentre, sotto la sua tettoia,

era così occupato alla bisogna, pare che gli si affacciasse alla

mente la precisa percezione dell'estremo pericolo in cui versava.

Lasciò cadere l'orologio - dice - 'come una patata bollente,' e

uscì in fretta, senza la minima idea di quel che avrebbe voluto, o

meglio potuto, fare. Sapeva soltanto che in quelle condizioni non

ci poteva durare. Passava senza scopo davanti a una specie di

piccolo fatiscente granaio su palafitte, allorché gli caddero gli

occhi sui pali spezzati dello steccato; e allora - dice - di

colpo, quasi senza un vero procedimento mentale, senza slancio

emotivo, si decise alla fuga come se da un mese ne avesse maturato

il piano. Si allontanò come se niente fosse per avvantaggiarsi di

una buona rincorsa, quando, voltandosi, si vide al fianco un

dignitario scortato da due portatori di lancie, che si preparava a

rivolgergli una delle solite domande. Gli spiccò la corsa 'proprio

sotto il naso,' volò oltre l'ostacolo 'come un uccello,' e cadde

dall'altra parte con un tonfo che gli sconquassò le ossa e parve

spaccargli il cranio. Si rialzò immediatamente. Non pensò a nulla

lì per lì: non ricordava altro - disse - che un grande urlo; le

prime case di Patusan gli stavano di fronte a quattrocento metri

di distanza; vide il ruscello, e quasi automaticamente accelerò la

corsa. La terra sembrava volargli indietro sotto i piedi. Prese lo

slancio dall'estremo punto di terra asciutta, si sentì volare per

aria, e si trovò senza il minimo urto ficcato in piedi in un banco

di poltiglia molliccia e vischiosa. Soltanto quando provò a

muovere le gambe e si accorse che non ce la faceva, allora, a

dirla con le sue parole, 'tornò in sé.' Cominciò a pensare a

'quelle maledette lancie lunghe.' In realtà, considerando che la

gente da dentro lo steccato doveva correre al cancello, poi

scendere all'imbarcadero, mettersi in barca e fare il giro di un

promontorio, Jim aveva più vantaggio di quanto immaginasse.

Inoltre, essendo bassa marea, il ruscello era senz'acqua - non si

poteva dire asciutto - e all'atto pratico non c'era altro rischio

per il momento che quello, forse, di un tiro di lunghissima

tratta. La terra ferma si trovava a due metri scarsi davanti a

lui, più in alto. 'Ho creduto tuttavia che lì ci sarei morto,'

disse. Allungò le mani nel tentativo disperato di afferrarsi a

qualche cosa e riuscì soltanto a tirarsi contro il petto, quasi

fino al mento, un gran mucchio di melma fredda e lucida,

ripugnante. Gli parve di seppellirsi vivo da sé, e allora si mise

a sbatacchiar le braccia come un pazzo, gettando il fango qua e là

a pugni. Glie ne arrivò sul capo, sul viso, negli occhi, in bocca.

Mi disse che si era ricordato a un tratto del cortile, come si

ricorda un luogo dove si è stati un tempo molto felici. Agognava -

disse proprio così - ad esser lì di nuovo, a riparare quella

sveglia. Riparare la sveglia - era la sua idea fissa. Faceva

sforzi, terribili sforzi tra singhiozzi e ànsiti; sforzi che

sembrava gli dovessero far scoppiare gli occhi dalle orbite,

lasciandolo lì, cieco; sforzi che culminarono in un energico

tentativo supremo, nel buio, di spaccare in due la terra, di

liberarsene le membra - e allora sentì che stava arrampicandosi

piano piano per la proda. Arrivato alla terra ferma, vi giacque a

lungo disteso, e rivide la luce, il cielo. Allora, come una felice

trovata, gli sorse l'idea di mettersi a dormire. Lui ama dire che

dormì davvero; che dormì - forse un minuto, forse venti secondi,

forse un secondo solo, ma ricorda benissimo il sobbalzo convulso e

violento del risveglio. Restò un po' steso così immobile, poi si

alzò lercio di melma dalla testa ai piedi, e rimase lì a

considerare che era il solo della sua razza per un raggio di

centinaia di miglia; solo, senza speranza di aiuto, né di

comprensione, né di pietà da nessuno, come un animale braccato. Le

prime case erano adesso a non più di venti metri da lui; e furono

gli strilli disperati di una donna a riscuoterlo, che, spaventata,

cercava di trascinarsi via un bambino. Riprese a correre in avanti

con i soli calzini ai piedi, così imbrattato di quel bitume da non

aver più sembianza umana. Attraversò in lunghezza più di metà

della colonia. Le donne, più agili, fuggivano a destra e a

sinistra, gli uomini, più lenti, lasciavan cadere tutto quello che

avevano in mano, e restavan lì, pietrificati, a bocca aperta. Era

il terrore volante. Dice di aver veduto dei bimbetti, che nella

furia di scappare cascavano pancia a terra e scalciavano. Svoltò

tra due case, su per un'erta, scavalcò alla disperata uno

sbarramento di tronchi d'albero (non passava settimana senza

qualche battaglia a Patusan, in quell'epoca) e poi giù, a

precipizio, irruppe attraverso un recinto in un campo di

granturco, dove un ragazzo spaventato gli scagliò un bastone;

raggiunse un sentiero a caso, e andò dritto a finire in mezzo a un

gruppetto di uomini sbalorditi. Gli bastò appena il fiato di

boccheggiare: 'Doramin! Doramin!' Ricorda di esser stato mezzo

portato, mezzo spinto in cima all'erta in un vasto recinto con

palme e alberi da frutta, e condotto di corsa davanti a un pezzo

d'uomo massiccio seduto su una poltrona in mezzo a una folla in

preda a grandissima agitazione ed orgasmo. Si frugò fango e stoffa

per tirar fuori l'anello, e, trovatosi a un tratto a pancia

all'aria si domandò chi lo aveva buttato a terra. Lo avevano

semplicemente mollato capite? - non si reggeva più in piedi. Dal

fondo del declivio si sentiva sparacchiare a casaccio, e disopra

ai tetti della colonia si levò un sordo brontolio di

sbigottimento. Ma lui era in salvo. Gli uomini di Doramin stavano

barricando il cancello e versandogli acqua in gola; la vecchia

moglie di Doramin, tutta affaccendata e premurosa, con voce

stridula, impartiva ordini alle sue serve. 'Quella vecchia,' disse

dolcemente, 'si faceva in quattro per me come se fossi suo figlio.

Mi misero in un letto immenso - il suo letto di gala - e lei

correva dentro e fuori dalla camera asciugandosi gli occhi e

battendomi cordialmente sulla schiena. Dovevo fare pietà. Rimasi

lì come un pezzo di legno per non so quanto tempo.'

Mostrava una gran simpatia per la vecchia moglie di Doramin. Lei,

dal canto suo, l'aveva preso a benvolere come una madre: con quel

suo viso largo, tondo, morbido, color noce, tutto grinze sottili e

labbra grosse di un rosso lucido (masticava betel continuamente),

e occhi semichiusi, benevoli con gran batter di palpebre. Era

sempre in moto, sempre a dare ordini e lavate di capo a una

schiera di femmine dal viso limpido color marrone e grandi occhi

seri; sue figlie o sue serve, o sue schiave. Sapete come va in

quelle famiglie: in genere è impossibile cogliere certe

differenze. Era magrolina, e anche il suo ampio mantello, chiuso

davanti con fibbie di pietre preziose, dava non so come un senso

di miseria. I piedi nudi e bruni teneva infilati in pantofole

cinesi di paglia. L'ho vista coi miei occhi sfaccendare di qua e

di là con quel suo bosco fitto di capelli, lunghi e grigi, giù per

le spalle. Parlava a proverbi arguti e casalinghi, nasceva di

nobile stirpe, era eccentrica e arbitraria. Nel pomeriggio sedeva

in una poltrona enorme, di fronte al marito, senza mai staccar gli

occhi da una larga apertura nella parete, donde si scorgeva una

vasta zona della città e del fiume.

Invariabilmente lei sedeva a gambe ripiegate; il vecchio Doramin

invece, rigido, imponente come una montagna sopra la pianura. Lui

apparteneva alla classe nakhoda ossia dei mercanti, ma la sua

autorità e la sua dignità di portamento facevano piuttosto colpo.

Era il capo del secondo potere in Patusan. Gli emigranti di

Celebes (circa sessanta famiglie che, coi sottoposti e il resto,

erano in grado di mettere insieme un paio di centinaia di uomini

'portatori di kris') lo avevano eletto molti anni prima loro capo.

Gli uomini di quella razza lì sono intelligenti, intraprendenti,

vendicativi, e di un coraggio più risoluto degli altri Malesi;

insofferenti di servaggio. Formavano il partito d'opposizione

contro il Rajah. Naturalmente, i litigi sorgevano sempre per via

dei commerci, causa prima delle lotte di parte, dei sommovimenti

che riempivano tutto a un tratto di fumo, di fiamme, di sparatorie

e di grida questo o quel punto del paese. Villaggi bruciati,

uomini trascinati dentro il recinto del Rajah, per pagar con la

vita o la tortura il delitto di aver fatto commercio con altri e

non con lui. Un giorno o due prima dell'arrivo di Jim erano stati

buttati in mare dall'alto della costa, da un gruppo di lancieri

del Rajah, vari capi famiglia proprio di quel villaggio di

pescatori che passò più tardi sotto la sua speciale protezione; e

c'erano stati buttati perché sospetti di aver fatto raccolta di

nidi commestibili di uccelli per un mercante di Celebes. Il Rajah

Allan pretendeva essere l'unico mercante del paese; ogni

violazione di questo monopolio era punita con la morte; ma la sua

idea del commercio non era in fondo molto lontana dalla comune

forma del furto. La sua crudeltà e rapacità non era limitata che

dalla sua vigliaccheria; e paura ne aveva, della forza organizzata

degli uomini di Celebes, se non che - fino alla venuta di Jim -

non tanta che bastasse a frenarlo. Colpiva quella gente per mano

dei suoi sudditi e pensava in buona fede di essere nel suo

diritto. A complicare le cose contribuiva la presenza di un

forestiero errante, un mezzosangue arabo, il quale, per ragioni,

credo, puramente religiose, aveva incitato le tribù dell'interno

(gli uomini della macchia, li chiamava Jim) a sollevarsi, e si era

stabilito in un campo trincerato sul culmine di una delle due

colline gemelle. Stava lì, levato sulla città di Patusan come un

falco su un cortile di fattoria, e intanto devastava l'aperta

campagna. Interi villaggi, abbandonati, marcivano sulle loro

palafitte annerite in riva ai limpidi fiumi, mentre cadevano a

pezzi nelle acque l'erba delle pareti, le foglie dei tetti, con

uno strano effetto di disfacimento naturale, come una vegetazione

colpita da morbo fino alle radici. I due partiti di Patusan non

sapevano quale esattamente di loro quel partigiano avesse maggior

desiderio di saccheggiare. Il Rajah propendeva a complottare con

lui. Qualcuno della colonia Bugi, stufo di quella vita senza mai

sicurezza, aveva una mezza voglia di chiamarsi l'arabo in casa. I

più giovani, scherzando, consigliavano di 'unirsi allo Sceriffo

Alì e ai suoi selvatici seguaci per buttar fuori dal paese il

Rajah Allang.' Doramin durava fatica a tenerli. Invecchiava, e,

benché la sua autorità non fosse affatto diminuita, tuttavia la

situazione cominciava a soverchiarlo. Tale era lo stato delle cose

quando Jim, fuggendo dalla palizzata del Rajah, mostrò l'anello e

venne accolto, per così dire, nel cuore stesso della comunità".

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

CAPITOLO 26.

"Doramin era uno degli uomini più notevoli che io abbia mai

veduto, della sua razza. La sua era una corporatura enorme, per un

Malese, ma non sembrava soltanto grasso: appariva imponente,

monumentale. Quel corpo immobile, ravvolto in ricche stoffe, sete

colorate, ricami d'oro; quel testone cinto d'un gran fazzoletto

rosso e oro; quel faccione rotondo, rugoso, solcato, con le sue

due profonde pieghe semicircolari che, partendo dai due lati delle

narici larghe e feroci, chiudevano come in una parentesi la bocca

dalle labbra carnose; quella gola da boro; quell'ampia fronte

corrugata, affacciata sugli occhi orgogliosi e fermi - formavano

un tutto che, visto una volta, non si dimenticava più. Il suo

impassibile stato di riposo (una volta seduto non muoveva un dito)

era come una mostra di dignità. Nessuno lo sentì mai alzar la

voce, che restava un mormorio basso e potente, un tantino velato,

come dalla lontananza. Quando camminava, due giovanotti bassi e

tarchiati, nudi fino alla cintola, in sarong bianchi e con

zuccotti scuri piantati sulla nuca, lo reggevano per i gomiti: lo

aiutavano a sedersi, e rimanevano dietro la sua poltrona finché

non desiderava rialzarsi; nel qual caso volgeva lentamente il

capo, quasi con difficoltà, prima a destra e poi a sinistra: e

allora quei due lo afferravano sotto le ascelle e lo tiravano su.

Con tutto ciò, egli non aveva niente in sé del paralitico; anzi,

tutti i suoi movimenti ben ponderati apparivano come espressioni

di una potente risolutezza. Era convinzione di tutti, in giro, che

consultasse sua moglie sulle pubbliche faccende; ma nessuno, ch'io

sappia, li aveva mai sentiti scambiarsi una parola. Quando si

sedevano in tutta la loro maestà vicino alla finestra spalancata,

intorno regnava il silenzio. Vedevano, sotto di loro, nella luce

digradante, la vasta spianata della campagna boscosa, il cupo mare

assopito in una ondulazione verde carico che si perdeva lontano

fino alla catena delle montagne porpora e viola; la lucida

sinuosità del fiume, come un'immensa lettera S d'argento battuto;

il nastro bruno delle case che segnava la curva delle due sponde,

dominate dalle due colline gemelle, cime emergenti sulle vette

degli alberi più vicini. Che profondo contrasto tra i due! Lei,

leggera, delicata, sottile, svelta, un po' strega, e con un'ombra

di preoccupazione materna anche durante il riposo; lui, di fronte,

enorme e massiccio come una statua rozzamente scolpita nel sasso,

con un misto di magnanimo e di barbarico nella sua immobilità. Il

figlio di questi due vecchi era un giovane di rara distinzione.

Lo avevano avuto tardi. Forse non era poi così giovane come

sembrava. Ventiquattro o venticinque anni non sono tanto pochi per

un uomo che a diciott'anni è già padre di famiglia. Entrando nella

grande sala di belle stuoie alle pareti e sul pavimento, sotto

l'alto soffitto di tela bianca dove la coppia sedeva solenne in

mezzo alla sua deferentissima corte, andava dritto verso Doramin a

baciargli la mano - che quegli gli abbandonava con maestà; poi

attraversava la stanza e si fermava in piedi vicino alla poltrona

della madre. Potrei forse dire che quei due lo adoravano, anche se

non ho mai colto in loro una aperta occhiata a quel figliolo. Vero

è che quelle erano cerimonie ufficiali e la sala, per lo più,

affollatissima. La solenne formalità delle accoglienze e dei

congedi; il profondo rispetto espresso dai gesti, dalle fisonomie,

dai sussurri sommessi è semplicemente inenarrabile. 'Valeva la

pena di vederli, no?' mi diceva Jim, nell'attraversare il fiume

per tornarcene a casa. 'Sono come personaggi di un libro, non è

vero?' disse con aria trionfale. 'E Dain Waris - il loro figlio -

è, a parte lei, il miglior amico che ho mai avuto. Quello che il

signor Stein chiamerebbe un buon COMPAGNO D'ARMI! Ho avuto

fortuna, perdiana! Ho avuto fortuna ad arrivare coll'ultimo fiato

in mezzo a quella gente.' Chinò il capo, assorto: poi,

riscuotendosi, soggiunse:

'Naturalmente non ci ho dormito su, ma...' S'interruppe di nuovo.

'M'è venuto così, tutt'a un tratto,' mormoro, 'di vedere quel che

avevo da fare...'

Senza dubbio gli era venuto così, tutt'a un tratto; e gli era

venuto attraverso la guerra, naturalmente, giacché questa forza

sopravvenutagli come per un miracolo era la forza di portare la

pace. Soltanto in questo senso la potestà è talvolta un bene. Non

è da credere che egli avesse trovato subito la sua via. Quando

arrivò, la comunità Bugi era in una condizione molto critica.

'Avevano tutti paura,' mi disse, 'e ognuno aveva paura per sé; e

intanto io lo vedevo chiaro come l'aria che avrebbero dovuto

subito muoversi, se non volevano restar schiacciati l'uno dopo

l'altro tra il Rajah da una parte e quel vagabondo di sceriffo

dall'altra.' Ma averlo capito non voleva dir niente. Bisognava

escogitare un piano. Compresa l'idea si trattò di farla entrare in

testa a gente refrattaria e corazzata di paura e di egoismo. Ci

arrivò alla fine, ma non era ancora niente. Doveva escogitare i

mezzi. Li trovò: fece un piano audace e non era ancora che a metà.

Gli restava da infondere la sua stessa fede a una quantità di

gente che aveva assurdi e coperti motivi di tenersi indietro,

doveva conciliare stolte gelosie e battere in breccia le più

insensate diffidenze. Senza il peso d'autorità di Doramin e il

focoso entusiasmo del figlio, avrebbe fatto fiasco. Dain Waris,

quel giovane così distinto, fu il primo ad accordargli fede; la

loro fu una di quelle strane, profonde e rare amicizie fra un uomo

di colore e un bianco, in cui sembra che sia proprio la differenza

di razza ad avvicinare due esseri umani in virtù di qualche arcano

elemento di simpatia. Di Dain Waris, la sua gente diceva con

orgoglio che combatteva come un bianco. Era vero; con quel tipo di

coraggio che si potrebbe chiamare coraggio allo scoperto,

possedeva anche un cervello europeo. Se n'incontrano a volte, di

fatti così, e ci si sorprende allora di scoprire in loro,

inaspettatamente, un giro di pensieri familiari, una visione

mentale non ottenebrata, tenacia di propositi, un principio di

altruismo. Piccolo di statura, però mirabilmente proporzionato,

Dain Waris aveva un portamento dignitoso e schivo, un tratto

educato e disinvolto, un temperamento come una chiara fiamma. Il

suo viso scuro, con quei due grandi occhi neri, era espressivo

nell'azione, e, nel riposo, cogitabondo. Di carattere silenzioso;

il suo sguardo fermo, il suo sorriso ironico e la sua cortese

sicurezza di modi sembravano dar segno di grandi riserve di

intelligenza e di forza. Tali creature scoprono agli occhi degli

occidentali, che volentieri restano alla superficie delle cose, le

arcane possibilità di razze e di paesi su cui sta il mistero di

evi immemorabili. Non solo egli aveva fede in Jim, ma, ne sono

fermamente convinto, lo capiva. Parlo di lui perché ne ero rimasto

preso. La sua - vorrei chiamarla - caustica placidità e, al tempo

stesso, la sua intelligente comprensione dei disegni di Jim, mi

attraevano. Mi pareva di essere arrivato a scoprire le origini di

quell'amicizia. Se Jim aveva preso il comando, l'altro aveva

conquistato il proprio capo. In realtà, Jim, il capo, era

prigioniero in tutti i sensi. Il paese, la gente, l'amicizia,

l'amore erano come tante severe guardie del corpo; e ogni giorno

aggiungeva un anello alla catena di quella strana libertà. Me ne

convincevo sempre più, via via che, di giorno in giorno, venivo a

conoscere altri fatti della sua storia.

La sua storia! Non l'ho sentita, la sua storia; L'ho sentita in

marcia, all'accampamento (Jim mi faceva battere tutta la campagna

a caccia di selvaggina introvabile); ne ho sentita una buona parte

sulla vetta di una delle due cime gemelle, dopo aver fatto

l'ultima trentina di metri a quattro zampe, rampicando. La nostra

scorta (dei volontari cioè che ci seguivano da un villaggio

all'altro) si era accampata su un piccolo ripiano a mezza costa; e

nel silenzio della sera, senza un alito, ci arrivava da lì giù

l'odore del fumo di legna con l'acuta squisitezza di un profumo di

marca. Anche le voci arrivavano meravigliosamente chiare,

distinte, immateriali. Jim si era messo a sedere su un tronco

d'albero abbattuto, e, tirata fuori la pipa, cominciò a fumare.

Una nuova messe d'erba e di cespugli stava germogliando: sotto un

groviglio di stecchi spinosi si scoprivano ancora le tracce di uno

sterro. 'Tutto è partito di qui,' fece, dopo una lunga pausa di

silenzio assorto. Sull'altra collina, un duecento metri sopra

l'ombra di un burrone, vidi una fila di pali alti, anneriti,

guasti qua e là come rovine: i resti del campo inespugnabile dello

sceriffo Alì.

Però lo avevano espugnato. Lui: con questa trovata: aveva fatto

portare la vecchia artiglieria di Doramin lì in vetta alla

collina: due rugginosi obici di ferro da sette libbre, una

quantità di cannoncini di bronzo - di quelli che servono da

moneta. Oggi servono, sì, per trasformarli in moneta: ma se

bravamente caricati fino alla bocca, possono anche mandare un buon

colpo a una certa distanza. Il problema era di portarli fin lassù.

Mi mostrò dove aveva assicurato le funi, spiegò come aveva

improvvisato un rozzo argano con un tronco scavato che girava su

un palo appuntito, mi indicò col fornello della pipa il profilo

dello sterro. Gli ultimi trenta metri di ascesa erano stati i più

duri. Si era preso, in cuor suo, la responsabilità della riuscita.

Aveva indotto il partito della guerra a lavorare sodo tutta la

notte. Ardevano grandi fuochi accesi a intervalli lungo tutta la

salita, 'ma quassù,' spiegò, 'la squadra di trazione doveva

sbrigarsela al buio.' Dall'alto vedeva gli uomini muoversi lungo

il pendìo della collina come formiche affaccendate. Lui stesso,

quella notte, non aveva fatto altro che salire e scendere, come

uno scoiattolo, dirigendo, incoraggiando, tutto tenendo d'occhio

lungo la fila degli uomini. Il vecchio Doramin si era fatto

portare su per la collina in poltrona. Lo deposero sul ripiano a

mezza costa, e sedette là, nella luce di uno dei grandi fuochi,

'straordinario vecchio - un vero capo come nell'antichità,' fece

Jim, 'con i suoi occhietti feroci - e un paio di enormi pistole a

pietra focaia sulle ginocchia. Oggetti magnifici, di ebano,

montati in argento, con bellissime piastre e un calibro da vecchio

trombone. Un regalo di Stein, pare - in cambio, sa, di

quell'anello. Avevano appartenuto al buon vecchio O'Neil. Dio sa,

a lui, come gli erano capitate. Stava lì seduto, senza muovere un

dito, con una fiammata di sarmenti dietro la schiena, e, intorno,

un mucchio di gente che correva qua e là, urlando e tirando: la

figura più solenne e imponente che si possa immaginare. Poca

possibilità di scampo ci sarebbe stata per lui se lo sceriffo Alì

avesse sguinzagliato la sua banda di demoni, e fatto polpette dei

miei uomini - no? Comunque, se andava male, lassù dov'era venuto,

ci moriva. Di certo. Perdiana! Mi empiva d'entusiasmo a vederlo lì

- come una roccia. Ma lo sceriffo deve averci presi per matti;

perché non si diede neanche la pena di venir a ficcare il naso nei

fatti nostri. Nessuno pensava che facessimo sul serio. Macché!

Credo che perfino quelli che tiravano e spingevano e sudavano

all'opera non credessero possibile la cosa. Proprio in parola-

direi di no...'

Stava dritto in piedi stringendo in mano la pipa accesa, col

sorriso sulle labbra e un fuoco vivo negli occhi infantili. Io

sedevo su un tronco d'albero ai suoi piedi e sotto a noi si

stendeva il paese, grande distesa di foreste, buia sotto al sole,

ondosa come il mare; la chiarità dei fiumi sinuosi, le macchie

grigie dei villaggi, e - qua e là - una radura, come un isolotto

di luce in mezzo alle onde scure di quel mare di cime d'alberi.

Una cupa malinconia incombeva su quel paesaggio vasto e monotono;

la luce vi cadeva come in un abisso. La terra si divorava i raggi

del sole; soltanto in lontananza, lungo la costa, il vuoto oceano,

liscio e lucido in un velo di nebbia sembrava alzarsi nel cielo

come un muro d'acciaio.

E io ero lì, con lui alto nel sole sulla cima di quella sua

collina storica. Dominava la foresta, la malinconia secolare, la

vecchia umanità. Era come una figura messa su un piedestallo, a

rappresentare nella sua giovinezza persistente la forza, e forse

le virtù, di razze che non invecchiano, che sono sfuggite al buio.

Perché mi sia sempre dovuto apparire come un simbolo, io non so;

ma è forse questa la ragione del mio interesse per la sua sorte.

Non so se era bello verso di lui il ricordarmi dell'incidente che

aveva dato un nuovo orientamento alla sua vita ma proprio in

quell'attimo preciso mi tornò nitidissimo alla memoria. E fu come

un'ombra nella luce".

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

CAPITOLO 27.

"Già, la leggenda gli prestava virtù soprannaturali. Sì, diceva la

gente, c'erano state tutte quelle corde disposte con accorgimento,

e quello strano marchingegno che girava con lo sforzo riunito di

molti uomini, sicché ogni cannone era salito facendosi strada

lentamente, attraverso i cespugli, come un cinghiale che si

grùfola la via nell'intrico del sottobosco, ma... i più saggi

scuotevano il capo. Lì sotto c'era senza dubbio qualche magìa;

perché che è mai la forza delle corde e delle braccia umane? C'è

nelle cose un'anima ribellante che bisogna vincere con potenti

esorcismi ed incantesimi. Così il vecchio Sura - un

rispettabilissimo capo famiglia di Patusan col quale feci una

placida chiacchierata una sera. Sura, però, era altresì mago di

professione, soprintendente alle semine e mietiture del riso per

un raggio di molte miglia, con la funzione appunto di soggiogare

l'anima proterva delle cose. Pare che questa sua mansione gli

riuscisse piuttosto ardua, e forse l'anima delle cose è veramente

più proterva dell'anima umana. La gente semplice dei villaggi

lontani credeva e diceva (come la cosa più naturale del mondo) che

Jim avesse portato sulla schiena i cannoni in cima alla collina -

a due alla volta.

Questo faceva battere per la rabbia i piedi a Jim, che esclamava

seccatissimo, con un risolino esasperato: 'Che si può fare con

degli sciocchi simili? Sono capaci di star su metà della notte a

raccontarsi le loro maledette fandonie; e più grande è la bugia,

più sembra gradita.' Si intravvedeva la sottile influenza

dell'ambiente in questa sua irritazione. Faceva parte dei suoi

legami. Buffo come si scaldava a negare. 'Ma mio caro,' dissi alla

fine, 'non penserà mica che ci creda io...' Mi guardò tutto

sorpreso. 'Eh no - no che non lo penso,' fece; e scoppiò in una

risata omerica. 'Beh, comunque i cannoni arrivarono su, e

spararono tutti insieme all'alba. Perdiana! Lei doveva vedere che

volata di scheggie!' esclamò. Al suo fianco Dain Waris, ascoltando

con un sorriso tranquillo, abbassò le palpebre e strisciò un poco

i piedi. La buona riuscita di quell'idea di portar su i cannoni

pareva aver procurato alla gente di Jim un gran senso di fiducia;

sicché egli si decise di affidare la batteria a due Bugi anziani,

che avevano visto al tempo loro più di una battaglia, per andare a

raggiungere Dain Waris e il gruppo d'assalto nascosto nel burrone.

Nelle ore piccole avevano cominciato ad arrampicarsi, e quando

furono a due terzi della salita si distesero nell'erba umida ad

aspettar la levata del sole, che era il segnale convenuto. Mi

disse con che impaziente e angosciata emozione aveva seguìto il

rapido avvicinarsi dell'alba; come, accalorato qual era dal lavoro

e dalla scalata, gli era penetrato nelle ossa fino al midollo il

freddo della rugiada; e la sua gran paura di mettersi a tremare

come una foglia e a sentirsi addosso i brividi al momento

dell'avanzata. 'Fu la mezz'ora più lenta della mia vita,'

dichiarò. A poco a poco la palizzata cominciò a spiccare contro il

cielo sopra di lui, silenziosa. Gli uomini sparpagliati sull'erba

erano accovacciati tra i sassi scuri e i cespugli roridi. Dain

Waris era steso bocconi al suo fianco. 'Ci guardammo,' fece Jim,

dolcemente posando una mano sulla spalla del suo amico. 'Mi

sorrise, allegro come una pasqua, ma io non osai aprir bocca per

paura di un attacco di brividi. Parola mia, che è proprio così!

Lei deve pensare che si colava di sudore quando ci stendemmo

sull'erba - e perciò può immaginare...' Mi dichiarò, e gli credo,

di non aver avuto dubbi sul risultato dell'impresa. L'unica sua

preoccupazione era quella di riuscire a reprimere quei brividi.

Del successo non si dava pensiero. Era sicuro di raggiungere la

vetta di quella collina e di rimanerci, a tutti i costi. Indietro,

lui non ci sarebbe tornato. Quella gente si era messa nelle mani

di lui; implicitamente. Di lui. Di lui solo! Una sua semplice

parola...

Ricordo come, a questo punto, s'interruppe con gli occhi fissi nei

miei. 'Per quanto mi risulta non hanno mai avuto l'occasione di

pentirsene - fino a oggi,' fece. 'Mai.' E sperava con tutta

l'anima che neanche in seguito... Intanto - disgraziatamente!

avevano preso l'abitudine di ricorrere a lui in tutto e per tutto.

Non se ne poteva avere una idea!... Ma sì!... Anche l'altro giorno

un vecchio imbecille che non aveva mai veduto in vita sua, era

venuto da un villaggio lontano miglia e miglia per sapere se

doveva divorziare dalla moglie. Proprio così! Parola d'onore. Ecco

che genere di cose... Non si sarebbe mai creduto. Vero? Quel

vecchio si mise a sedere lì per terra sulla veranda masticando

noce di betel, sospirando e sputando da tutte le parti per più di

un'ora, malinconico come un impiegato delle pompe funebri, finché

se ne venne fuori con quel suo maledetto quesito. E non è tanto

buffo quanto sembra, questo genere di cose. Che gli si poteva

rispondere? - Buona moglie? - Sì, buona moglie... ma vecchia... -

Cominciò una lunga storia dell'accidente, a proposito di certe

pignatte di rame. Vivevano insieme da quindici anni - vent'anni -

chi se ne ricorda? Tanto, tanto tempo. Buona moglie. L'aveva

picchiata, qualche po' - non molto - solo un po', quando lei era

giovane. Per forza - per onor di firma. Tutt'a un tratto, ora che

era vecchia, va a prestare tre pignatte di rame alla moglie del

figlio di sua sorella, e comincia a insolentire lui ogni giorno e

si fa anche sentire dagli altri. I suoi nemici lo schernivano.

Mette su una faccia da funerale. Le pignatte, perdute per sempre.

Per sempre. E lui, avvilito morto. 'Impossibile capirci un'acca,

in una storia simile; gli dissi di tornarsene a casa, promettendo

che sarei andato io a sistemargli la faccenda. Lei fa presto a

ridere, ma è stata una seccatura dell'altro mondo! Una giornata di

cammino attraverso la foresta, un'altra persa a persuadere un

branco di stupidi contadini per arrivar a capo della questione.

C'era da scatenare una serie di liti a sangue. Il primo venuto di

quegli imbecilli del diavolo prendeva le parti di una famiglia o

dell'altra, e meta del villaggio era pronta a buttarsi sull'altra

metà con tutto quel che capitasse sotto mano. Parola d'onore!

Senza scherzi!... Invece di badare ai loro maledetti raccolti.'

Naturalmente gli aveva fatto restituire quelle pignatte del

diavolo - e messo tutti in pace. Senza nessuna fatica,

naturalmente. Lui poteva far finire qualunque litigio solo

piegando un mignolo. Il difficile era di arrivare alla verità,

nelle cose. Non era sicuro, a tutt'oggi, di essere stato giusto

con tutti. E questo lo preoccupava. E le chiacchiere! Perdiana!

Senza capo né coda. Meglio andare tutti i giorni all'assalto di

una vecchia palizzata alta sei metri! Molto meglio! Un gioco da

bambini in confronto. E poi più spiccio. Beh, sì; tutto sommato,

in fondo, una faccenda ridicola- quell'imbecille pareva tanto

vecchio da potergli essere nonno. Ma da un altro punto di vista

non era uno scherzo; perché la sua parola poteva essere sempre

decisiva - da quando aveva sbaragliato lo sceriffo Alì. Una

terribile responsabilità, ripeté. 'No, davvero... a parte gli

scherzi, si fosse trattato di tre vite umane invece che di quelle

tre sporche pignatte di rame, sarebbe stato lo stesso...'

Così m'illustrava l'effetto morale della sua vittoria di guerra.

Un effetto davvero immenso, che l'aveva portato dal combattimento

alla pace, e attraverso la morte l'aveva immerso nella vita più

intima di quel popolo; e tuttavia la tetraggine di quella terra in

pieno sole conservava il suo carattere di arcano, secolare

assopimento. La sua fresca voce giovanile (è straordinario quanto

scarsi erano in lui i segni di usura) si levava leggera e passava

sopra la faccia impassibile delle foreste, come il rombo dei

grossi cannoni in quel freddo mattino rugiadoso, quando egli non

aveva altra preoccupazione al mondo che impedirsi di rabbrividire.

Appena coi primi raggi obliqui il sole sfiorò le cime immobili

degli alberi, la vetta di una delle colline rimase avvolta con

grandi boati in bianche nuvole di fumo, e sull'altra scoppiò un

fragore incredibile di urli, grida di guerra, imprecazioni di

rabbia, di sorpresa, di sgomento. Jim e Dain Waris furono i primi

a metter la mano sugli stecconi della palizzata. La leggenda

popolare narrò subito di Jim, che col semplice tocco d'un dito

aveva rovesciato il cancello. Egli era, naturalmente, ansioso di

confutare questa diceria. La intera palizzata - si affannava a

spiegare a tutti - non era che una modesta faccenda (lo sceriffo

Alì si affidava soprattutto al vantaggio della posizione); e

comunque, i pali già in pezzi per le cannonate stavano in piedi

per miracolo. Ci aveva dato una spallata storditamente, ed era

finito dentro a gambe all'aria. Perdiana! Se non c'era Dain Waris,

un certo vagabondo butterato e tatuato, con la sua lancia lo

avrebbe inchiodato a un tronco d'albero come uno degli scarabei di

Stein. Il terzo a entrare fu - pare - Tamb'Itam, il servo di Jim.

Era costui un Malese del nord, uno straniero capitato per caso a

Patusan, e trattenuto per forza dal Rajah Allang come pagaiatore

di una delle sue imbarcazioni di gala. Se l'era svignata alla

prima occasione, e, trovato un rifugio precario (e pochissimo da

mangiare) fra i coloni Bugi, si era posto al servizio di Jim. Era

di carnagione scurissima, aveva il viso schiacciato, gli occhi

prominenti e iniettati di bile. C'era una punta di esagerazione,

quasi di fanatismo, nel suo attaccamento al 'Signore bianco.' Era

inseparabile da Jim, come un'ombra malinconica. Nelle grandi

occasioni, camminava alle calcagna del suo padrone e, kris alla

mano, teneva a distanza la gente bassa con le sue occhiate torve e

truculente. Jim lo aveva fatto suo maggiordomo, e tutta Patusan lo

rispettava e lo corteggiava come persona molto influente. Alla

presa della palizzata si era molto distinto per la ferocia

melodica del suo modo di combattere. La squadra d'assalto era

piombata dentro così fulminea - disse Jim - che, anche in mezzo al

panico della guarnigione, ci furono 'cinque minuti caldi di corpo

a corpo di là dalla palizzata; ma poi un asinaccio diede fuoco ai

ripari di rami e d'erba secca, e dovemmo tutti tagliar la corda

per salvare la pelle.'

Pare che la rotta sia stata completa. Doramin, immobile nella sua

poltrona a mezza costa, col fumo dei cannoni che si stendeva

lentamente sulla sua testa enorme, ricevette la notizia con un

profondo brontolio. Quando seppe che il figlio era salvo e si era

gettato all'inseguimento, lui, senza una parola, fece un immenso

sforzo per alzarsi; i suoi servi si precipitarono in suo aiuto, ed

egli, rispettosamente sorretto, si avviò, strascicando i piedi,

verso un po' d'ombra dove si stese e si mise a dormire, coperto da

capo a piedi d'una tela bianca. A Patusan c'era un intenso

fermento. Jim mi disse che dalla collina, volgendo le spalle alla

palizzata che era tutta un braciere, alla sua cenere nera e ai

suoi cadaveri semicarbonizzati, vide a più riprese gli spiazzi fra

le case, sulle due sponde del fiume, riempirsi a folate di una

marea tumultuosa di gente, e rivuotarsi in un attimo. Alle sue

orecchie arrivava attenuato, da laggiù sotto, il terribile

strepito dei gong e dei tamburi, le grida selvagge della folla lo

raggiungevano in volate di muggiti smorzati dalla distanza. Una

quantità di bandierine mettevano come un palpito d'ali d'uccelli

bianchi, rossi, gialli tra gli orli bruni dei tetti. 'Dev'essere

stata una grande gioia per lei,' mormorai, in uno slancio di

simpatetica emozione.

'Oh, sì... Una cosa immensa! Immensa!' esclamò forte, spalancando

le braccia. Quel movimento improvviso mi spaventò come se lo

avessi veduto denudare i segreti del suo cuore davanti al sole,

alle cupe foreste, al mare d'acciaio. Sotto di noi, la città

posava in pigre curve sulle rive del fiume, che sembrava assopito.

'Immensa!' ripeté una terza volta tra i denti, solo per sé.

Immensa! Immensa indubbiamente; il successo venuto a suggellar le

sue parole, il territorio conquistato da posarvi i suoi piedi,

la cieca fiducia degli uomini, la fede in se stesso strappata al

fuoco, la solitudine della vittoria. Tutto questo ve l'ho detto -

si rimpicciolisce a raccontarlo. Non posso, con le sole parole,

comunicarvi il senso del suo isolamento assoluto e totale. So,

naturalmente, che della sua razza, laggiù, era, in tutta

l'estensione del termine, solo; ma insospettate doti di carattere

lo avevano portato a così stretto contatto con l'ambiente che il

suo isolamento sembrava effetto della sua potenza soltanto. La sua

solitudine lo accresceva di statura. Non c'era nulla sott'occhi

con cui poterlo commisurare, come se fosse stato uno di quegli

uomini eccezionali che si devono ragguagliare soltanto alla misura

della loro fama; e la sua fama, ricordatelo, era la più grande

cosa del paese, in un àmbito di molti giorni di viaggio. Si doveva

remare, metter vela, o aprirsi un lungo e faticoso cammino nella

giungla per giungere oltre la portata di quella voce. Una voce che

non era come lo strombettare di quella dea spregevole che tutti

conosciamo - né roboante - né sfacciata. Prendeva il suo tono dal

silenzio triste di un paese senza passato, dove la sua parola era

l'unica ferma verità di ogni transitoria giornata. Partecipava un

po' del carattere di quel silenzio attraverso il quale essa vi

guidava a profondità inesplorate, sempre viva al vostro fianco,

penetrante, e di lunga portata - sussurro di meraviglia e di

mistero sulle labbra degli uomini".

 

 

 

CAPITOLO 28.

"Lo sconfitto sceriffo fuggì a gambe levate dal paese; e quando i

poveri contadini perseguitati cominciarono a far capolino fuor

dalla giungla per tornare finalmente alle loro casupole

imputridite, fu Jim ad eleggere i capi del paese, dopo essersi

consigliato con Dain Waris. Così egli diventò virtualmente il

sovrano: Quanto al vecchio Tunku Allang, la sua paura lì per lì

non conobbe limiti. Si racconta che, alla notizia dell'assalto

vittorioso della collina, si buttasse bocconi sul pavimento di

bambù nella sala delle udienze, e vi restasse così tutta la notte

e tutto il giorno dopo, immobile, con gemiti soffocati tanto

paurosi, che nessuno osava avvicinarsi a quel prostrato a meno di

una lunghezza di lancia. Già si vedeva, cacciato da Patusan con

ignominia, andar ramingo e solo, spoglio, senza oppio, senza le

sue donne e senza scorta, facile preda del primo che volesse

ammazzarlo. Dopo lo sceriffo Alì, adesso era il suo turno: chi

poteva resistere all'assalto di un diavolo simile? In realtà

dovette la vita, a quel po' di prestigio che conservava ancora al

momento della mia visita, all'idea che, della giustizia pura, Jim

si era fatta. I Bugi erano prontissimi a regolare i conti col

passato, e il vecchio Doramin, nella sua impassibilità, nutriva la

speranza di vedere un giorno suo figlio sovrano del Patusan.

Durante una delle nostre interviste mi lasciò di proposito

intravvedere la sua segreta ambizione. Non si poteva immaginare

cosa a suo modo più elegante della dignitosa prudenza delle sue

allusioni. Cominciò col dire che lui la sua forza, in gioventù,

non se l'era risparmiata, ma adesso era vecchio e stanco. Con la

sua mole imponente e certi sguardi sagaci dei suoi occhietti

orgogliosi, richiamava irresistibilmente al pensiero la furberia

d'un vecchio elefante; il lento respiro del suo vasto petto era

continuo, potente e regolare come il buleggiume di un mare in

bonaccia. Asserì d'avere anche lui una fiducia illimitata nella

saggezza di Tuan Jim. Ah - poter avere appena una promessa;

bastava una parola!... Le pause di calmo respiro, il rombo

sommesso della sua voce ricordavano gli ultimi brontolii in coda

al temporale.

Tentai di lasciar cadere l'argomento. Non era facile, perché Jim

era ormai indiscutibilmente una potenza; e nella sua nuova

situazione pareva non esserci nulla ch'egli non avesse facoltà di

concedere o negare. Ma questa, dirò, era un'inezia appetto

all'idea che mi balenò, mentre facevo finta di ascoltare il

vecchio: che Jim pareva ormai arrivare al possesso del proprio

destino. Doramin era in ansia per l'avvenire del paese, e restai

colpito dal giro che diede all'argomento: 'Il paese rimane dove

Dio l'ha messo, ma i bianchi,' disse, 'loro vengono qui e dopo

poco tempo se ne vanno. Vanno via. Quelli che restano, qui, non

possono prevedere se e quando faranno ritorno. Se ne vanno al loro

paese, tra la gente loro, e così farà anche quel bianco'... Non so

che cosa m'indusse a compromettermi fino al punto di ribattere con

un vigoroso: 'No, no.' Misurai tutta la portata della mia

indiscrezione, quando Doramin, alzandomi in faccia tutto il suo

viso, inalterato in quella sua espressione, fissata da profonde

rughe scabre come un'enorme maschera brunastra, prima disse

cogitabondo che questa era una veramente buona notizia, e poi

volle sapere perché.

Quella streghetta dall'aria materna di sua moglie, seduta

dall'altro mio lato, col capo coperto e i piedi raccolti sotto di

sé, teneva lo sguardo fisso oltre l'apertura delle persiane.

Vedevo soltanto un riccioletto grigio ribelle, uno zigomo alto, un

leggero movimento masticatorio del mento aguzzo. Senza distogliere

gli occhi dal vasto panorama delle foreste che si stendeva fino

alle colline, mi domandò con voce piena di carità come mai uno

così giovane aveva abbandonato la sua casa per venire fin quaggiù,

in mezzo a tanti pericoli. Non aveva una famiglia, nessun parente

là nel suo paese? Non aveva una vecchia madre che ne avrebbe

sempre ricordato il viso?...

A questo ero del tutto impreparato. Riuscii appena a borbottare

non so che scuotendo il capo. Ma dopo - me ne rendo conto - devo

aver fatto una meschina figura nel tentativo di tirarmi fuori da

questo impiccio. Da quel momento, però, il vecchio nakhoda divenne

taciturno. Non era molto soddisfatto, ho paura; era chiaro che

dovevo avergli dato materia di riflessione. E' piuttosto strano

che, la sera di quello stesso giorno (l'ultimo che dovevo passare

a Patusan), mi trovassi di nuovo di fronte alla stessa domanda, a

quel perché senza risposta sul destino di Jim. E questo mi porta

alla storia del suo amore.

Voi penserete magari che sia una storia che sareste capaci di

immaginare da soli. Ne abbiamo sentite tante, e la maggior parte

di noi non le crede affatto vere storie d'amore. Quasi sempre le

consideriamo storie d'incontri fortuiti; tutt'al più episodi di

passione, o forse soltanto trascorsi di giovinezza, tentazioni;

votati a una definitiva dimenticanza, anche se comportano una

certa tenerezza, una realtà nostalgica di rimpianto. Questo punto

di vista, spessissimo esatto, lo è forse anche in questo caso...

Eppure non so: raccontare questa storia non è affatto così facile

come se ci si potesse mettere dal solito punto di vista.

Apparentemente, è una storia come tante altre: ma io ci vedo,

nello sfondo, la figura malinconica di una donna, l'ombra di una

spietata saggezza sepolta in una tomba solitaria, uno sguardo

triste e desolato, a labbra suggellate. La tomba stessa, che

scopersi per caso durante una passeggiata mattutina, era un

mucchio di terra scura piuttosto informe con, alla base, una linda

bordura di pezzi di corallo bianco confitti nel terreno, cinto

d'una staccionata circolare fatta di arboscelli spaccati per il

lungo con la corteccia e tutto. Una ghirlanda di foglie e di fiori

correva per tutto il cerchio in cima ai picchetti - e i fiori

erano freschi.

Così, sia o no quell'ombra frutto della mia immaginazione, posso

comunque segnalarvi il fatto rilevante di una tomba non

dimenticata. Quando poi vi diro che Jim con le sue mani aveva

costruito quel rustico recinto, coglierete subito l'elemento

differenziante, il lato individuale della storia. Codesta adozione

della memoria e dell'affetto di un'altra creatura umana era tipica

della serietà della sua natura. Aveva una sua coscienza; ed era

una coscienza romantica. In tutta la sua vita la moglie

dell'innominabile Cornelius non aveva avuto altra compagna,

confidente o amica fuori che sua figlia. Come mai la poveretta

avesse avuto l'idea di sposare quell'orribile Malaccoportoghese -

dopo essersi separata dal padre della sua bambina - e se tale

separazione fosse avvenuta per la morte, che a volte sa mostrarsi

anche pietosa, o per le meno pietose convenzioni sociali, questo

resta per me un mistero. Da quel poco che Stein (che sapeva tante

storie) si era lasciato sfuggire con me, mi sono convinto che non

si trattava di una donna comune. Suo padre era un bianco; alto

funzionario; un uomo di brillanti qualità: uno di quelli che, per

non essere abbastanza stupidi da covarsi il successo, finiscono la

carriera nell'ombra. Immagino che anche a lei mancasse quella

provvidenziale stupidità - e la sua carriera finì nell'ombra a

Patusan. Il nostro comune destino... perché dov'è quell'uomo

intendo il vero uomo dotato di sentimento - che non abbia il vago

ricordo di esser stato abbandonato, nella pienezza del possesso,

da qualche cosa o da qualcuno più prezioso della vita?... il

nostro comune destino infierisce sulla donna con particolare

ferocia. Non castiga come un padrone, ma infligge una lenta

tortura, come per sfogare un dispetto segreto, implacabile. Si

crederebbe che, costretto a regnare sul mondo, cerchi di rivalersi

proprio su quegli esseri che sono i più prossimi a superare le

pastoie delle umane cautele; perché soltanto le donne riescono

talvolta a mettere nel loro amore un elemento tangibile appena,

quanto basti a sbigottirci: una punta di ultra-terreno. Mi domando

talvolta... come apparirà ad esse il mondo? avrà la stessa forma e

sostanza che noi gli conosciamo, nella stessa aria che noi

respiriamo? Qualche volta immagino che ci debba essere una regione

di illogiche sublimità mosse dallo slancio di quelle loro anime

avventurose, illuminate dalla gloria di tutti i rischi, di tutte

le rinuncie. Temo peraltro che esistano poche vere donne al mondo,

benché naturalmente mi renda conto che l'umanità consiste di

moltitudini, e che i sensi - dal punto di vista numerico - si

equivalgono. Ma sono sicuro che la madre aveva in sé tanto di

donna quanto pareva averne la figlia. Non posso far a meno di

immaginarmele tutt'e due; prima l'una donna giovane e l'altra

bambina, poi l'una vecchia e l'altra ragazza la terribile

monotonia del tempo nel suo rapido passare, la barriera della

foresta, la solitudine e il tumulto intorno a quelle due vite

solitarie, e il carico di tristezza che portava ogni parola

pronunciata. Si saranno scambiate le loro confidenze, non tanto

sui fatti, suppongo, quanto sui sentimenti più intimi: paure

rimpianti - e senza dubbio avvertimenti; che la più giovane non

comprese del tutto finché non fu morta l'anziana - e apparve Jim.

Quel giorno sono sicuro che molto comprese - non tutto - e,

specialmente, direi, la paura. Jim la chiamava con un nome che

voleva dire prezioso, nel senso di una pietra preziosa: gioiello.

Grazioso, vero? Lui era capace di tutto. Era all'altezza della

propria fortuna, come - dopo tutto - era stato all'altezza della

propria disgrazia. Gioiello, la chiamava; e lo diceva come avrebbe

potuto dire 'Giannina,' sapete, con un accento coniugale,

casalingo, sereno. Sentii quel nome per la prima volta dieci

minuti dopo essere entrato nel suo cortile, quando, dopo avermi

quasi slogato un braccio nel darmi la mano, si slanciò su per la

scala, e si mise come un ragazzo a fare un allegro fracasso

davanti all'uscio, sotto alle sue pesanti grondaie. 'Gioiello!

Oho! Gioiello! Presto! E' arrivato un amico!...' e a un tratto,

guardandomi di sottecchi nella penombra della veranda, mormoro con

voce profonda: 'Sa... questa... Niente sciocchezze... niente

maledette storie... non le so dire quanto devo a quella ragazza...

e così... capisce... io... è proprio come se...' L'ansioso

incalzare dei suoi balbettamenti fu interrotto di colpo

dall'improvviso passaggio di una forma bianca dentro la casa, una

leggera esclamazione, un visino infantile ma energico dai tratti

delicati e uno sguardo attento e profondo che si mossero dal buio

dell'interno, .come un uccello dal fondo di un nido. Rimasi

colpito dal nome, si capisce; ma dovette passar un bel tratto di

tempo per farmelo ricollegare con una stravagante diceria che

avevo sentito durante il viaggio, in un angolo della costa a 230

miglia a sud del fiume Patusan. Lo schooner di Stein, dove ero

imbarcato, sostò là, per caricare un po' di roba, e io, scendendo

a terra, ebbi la grande sorpresa di trovare che quell'angolo di

miseria poteva gloriarsi di avere un vice-segretario di residenza

di terza classe; un tipo grosso, grasso, bisunto, strizzalocchio

meticcio lucido-labbruto. Lo trovai sdraiato a pancia all'aria in

un divano di vimini, indecorosamente sbottonato, con una grande

foglia di chissà che pianta appoggiata sul capo fumigante, e

un'altra in mano che adoprava, pigro, a modo di ventaglio...

Diretto a Patusan? Ah, sì. Società Commerciale Stein. Conosceva.

Con autorizzazione? Non era affar suo. Le cose andavano un po'

meno peggio laggiù, osservò con indifferenza, e soggiunse con voce

strascicata: 'C'è arrivato una specie di vagabondo bianco,

dicono... Eh? Come? Un amico suo? Davvero?... Allora era vero che

c'era laggiù uno di questi VORDAMTE. Che gli era mai saltato in

mente? Aveva trovato la strada, il briccone! Eh? Mi pareva

impossibile. Patusan... laggiù tagliano la gola non è affar mio.'

S'interruppe con un gemito. 'Pfui! Onnipotente! Che caldo! Che

caldo! Beh, allora, poteva esserci del vero anche in quell'altra

storia, dopo tutto, e...' Chiuse uno dei suoi orribili occhi

vitrei (la palpebra continuò a tremolare) mentre con l'altro mi

ammiccava sinistro. 'Senta un po',' fece con aria di mistero, 'se

- capisce? - se realmente ha messo le mani su qualcosa che valga -

non uno dei soliti pezzetti di vetro verde - capisce? - io sono

funzionario governativo - dica a quel furfante - Eh? Come? Amico

suo?...' Continuava a star stravaccato tranquillamente sulla

poltrona... 'Me l'ha detto lei; appunto; e sono contento di

metterla sull'avviso. Anche a lei, suppongo, piacerebbe di cavarne

fuori qualcosa. Non m'interrompa. Lei gli dica soltanto che ho

saputo la storia, ma al mio governo io non ho fatto rapporto. Non

ancora. Capito? Perché fare un rapporto? Eh? Gli dica di venire da

me se lo lasciano uscire vivo da quel paese. Farà bene a

salvaguardarsi le spalle. Eh? Prometto di non fargli domande.

Discrezione - capito? E penseremo anche a lei. Una piccola

commissione per il disturbo. Non m'interrompa. Sono un funzionario

governativo e non farò rapporti. Gli affari sono affari. Capito?

Conosco della brava gente pronta a comprar qualunque cosa che

valga la pena e che può dargli più quattrini di quanti quel

farabutto ne abbia mai veduti in vita sua. Conosco i miei polli.'

Mi fissava con tanto d'occhi - ora tutti e due aperti - mentre gli

stavo davanti in piedi sbalordito, e mi domandavo se era matto o

ubriaco. Sudava sbuffava, lamentandosi tra i denti e grattandosi

con una tranquillità così ributtante che non riuscii a sopportarne

la vista, né ebbi la forza di domandargli schiarimenti. Il giorno

dopo, parlando a caso con la gente della piccola Corte indigena,

venni a sapere che lungo la costa si andava diffondendo la storia

di un misterioso bianco che a Patusan era venuto in possesso di

una gemma straordinaria - uno smeraldo di enormi dimensioni, e

assolutamente senza prezzo. Lo smeraldo sembra far colpo sulla

immaginazione orientale più di qualsiasi altra pietra preziosa. Il

bianco se l'era procurato, mi dissero, un po' con l'uso della sua

forza meravigliosa, un po' con l'astuzia, dal monarca di un paese

lontano, di dove era fuggito immediatamente, giungendo a Patusan

in condizioni pietose, ma sempre in grado di ispirar terrore al

popolo con la sua estrema ferocia, che nulla sembra poter

ammansare. I più tra i miei informatori erano d'opinione che la

pietra desse il malocchio - come la famosa gemma del Sultano di

Succadana che aveva portato anticamente in quella contrada

infinite guerre e calamità. Forse era il medesimo gioiello - non

si sa mai. In realtà la storia di uno smeraldo di dimensioni

favolose risale ai tempi dell'arrivo dei primi bianchi

nell'Arcipelago; ed è credenza così persistente che ancora un

quarant'anni fa fu condotta un'inchiesta ufficiale in proposito da

parte del Governo olandese. Un simile gioiello - mi spiegò un

vecchio dal quale mi era stato riferito questo straordinario mito

Jimmiano - una specie di scriba del poverissimo piccolo Rajah

locale - un gioiello simile, disse, alzando verso di me i suoi

poveri occhi mezzo acciecati (stava seduto per terra nella capanna

in segno di rispetto), si conserva meglio nascondendolo addosso a

una donna. Però non tutte le donne sono adatte. Devono essere

giovani - e trasse un profondo sospiro - e insensibili alle

seduzioni dell'amore. Scosse il capo incredulo. Eppure una donna

simile sembra che ci sia.

Davvero. Gli avevano parlato di una ragazza alta che l'uomo bianco

trattava con molto rispetto e attenzioni, e che non usciva mai di

casa senza scorta. La gente diceva che il bianco si faceva vedere

in sua compagnia quasi ogni giorno: passeggiavano insieme in

faccia a tutti, e lui se la portava in giro col braccio sotto al

suo, stretta stretta al fianco così, in un modo proprio strambo.

Questo poteva anche non esser vero - lo concedeva - perché

veramente era un comportamento fin troppo bizzarro. Ma che

portasse lei nascosto in petto il gioiello dell'uomo bianco non si

poteva mettere in dubbio".

 

 

 

 

 

CAPITOLO 29.

"Così si interpretavano le maritali passeggiate di Jim alla sera.

Più di una volta avevo fatto il terzo incomodo in queste

passeggiate, sempre consapevole della sgradita presenza di

Cornelius che, covando in cuore una punta di paterno sdegno, ci

pedinava furtivo con la bocca contratta, come sempre sul punto di

digrignare i denti. Avete mai notato come, a trecento miglia

dall'ultimo palo telegrafico e dall'approdo dei postali, le

meschine bugie utilitarie della nostra civiltà avvizziscano e

muoiano, sostituite da puri giuochi di fantasia, che hanno la

leggerezza e spesso il fascino e qualche volta la profonda verità

intima di un'opera d'arte? Il romanticismo aveva eletto Jim al

proprio servizio - e la parte romantica era l'unica autentica di

quella storia, che per il resto era tutta una fandonia. Non lo

nascondeva, lui, il suo gioiello. In realtà, ne era immensamente

orgoglioso.

Mi accorgo ora che, tutto sommato, quella ragazza io l'avevo vista

ben poco. Quello che ricordo meglio è il pallore unito, olivastro,

della sua carnagione, i vivi riflessi metallici dei suoi capelli

neri, che fluivano abbondanti di sotto a un berretto scarlatto

tenuto molto indietro sulla testa ben modellata. Sciolta e sicura

nei movimenti, arrossiva talvolta d'un rosso intenso. Mentre Jim e

io si discorreva, ella andava e veniva dandoci qualche occhiata

fuggitiva e lasciandosi dietro, sul suo passaggio, un ricordo di

grazia e di fascino e un netto sottinteso di attenta vigilanza. I

suoi modi denotavano una strana combinazione di timidezza e di

audacia. Ogni suo bel sorriso, come disperso dal ricordo d'un

incombente pericolo, era seguìto subito da uno sguardo d'ansia

taciturna e repressa. A volte sedeva con noi, e, con le nocche

della sua mano piccolina infossate nella morbida guancia,

ascoltava la nostra conversazione; i suoi grandi occhi chiari si

fissavano sulle nostre labbra, come se ogni nostra parola fosse

pronunciata in forma visibile. Sua madre le aveva insegnato a

leggere e a scrivere; aveva imparato un bel po' di inglese con

Jim, e lo parlava che era uno spasso con la stessa intonazione e

le stesse abbreviazioni fanciullesche di lui. La sua tenerezza si

librava su di lui come un palpito d'ali. Viveva così pienamente

nella contemplazione di lui, che aveva perfino acquistato un po'

del suo aspetto esteriore, qualcosa che lo ricordava nei

movimenti, nel modo di stendere un braccio, di girare il capo, di

volgere lo sguardo. Il suo vigile affetto aveva un'intensità tale

da renderlo quasi percettibile ai sensi; sembrava esistere

concretamente nella sostanza dello spazio, avvolgendolo come di

una fragranza particolare, effondersi nel sole come una nota

tremula, sommessa e appassionata. Credo che prenderete anche me

per un romantico: ma non è vero. Vi riferisco la pura impressione

di un frammento di giovinezza; di uno strano travagliato romanzo

che mi è capitato sottocchi. Notai con interesse il lavorìo della

sua - diciamo - fortuna. Era amato d'un amore geloso; ma perché

poi lei dovesse essere gelosa, e di che, non sapevo. La terra, la

gente, le foreste erano ora complici in accordo vigile per

tenerselo d'occhio con un'aria di segregazione, di mistero, di

possesso esclusivo. Per lui non c'era, per così dire, via

d'appello; era prigioniero della libertà stessa della propria

potenza, e lei, pur essendo pronta a mettergli il capo sotto i

piedi, a sgabello, si custodiva inesorabilmente la sua conquista -

come se temesse di non potersela conservare. Lo stesso Tamb'Itam,

marciando alle calcagna del suo Signore bianco, durante le nostre

uscite, testa indietro, truculento e tuttarmi come un giannizzero,

con kris, accetta e lancia (oltre al fucile che Jim gli dava da

portare); lo stesso Tamb'Itam si permetteva di darsi delle arie di

custode incorruttibile come un carceriere arcigno e devoto pronto

a dare la vita per il proprio prigioniero. La sera, quando eravamo

alzati fino a tardi, la sua sagoma silenziosa, indistinta, passava

e ripassava sotto la veranda, a passi felpati, e talvolta, alzando

la testa, lo coglievo a sua insaputa dritto in piedi, impalato

nell'ombra. Di regola scompariva dopo un po' senza rumore; ma

quando ci si alzava, di balzo ci era vicino come se fosse uscito

di sottoterra, pronto a qualunque ordine di Jim. Neanche la

ragazza, credo, si addormentava mai finché non ci eravamo dati la

buonanotte. Più di una volta, dalla finestra della mia camera, la

vidi uscire con Jim piano piano, appoggiarsi alla rozza balaustra

- due figure bianche strette l'una all'altra, lui col braccio

cingendole la vita, lei col capo reclinato sulla spalla di lui. Mi

giungeva il loro sussurro sommesso, penetrante, tenero, nota calma

e triste nel silenzio della notte, come un monologo interno, su

due voci. Più tardi, rigirandomi sul letto sotto la zanzariera,

avrei giurato di sentire leggeri scricchiolii, un tenue respiro,

uno schiarirsi cauto della gola, e voleva dire che Tamb'Itam era

ancora lì, di ronda. Benché avesse (per la munificenza del Signore

bianco) una casa di sua proprietà dentro la cinta, e avesse 'preso

una moglie' e ricevuto recentemente la benedizione di un bambino,

tuttavia sono convinto che, almeno durante il mio soggiorno,

dormiva sulla veranda ogni notte. Era molto difficile far parlare

quell'armigero arcigno e fedele. Neanche Jim riusciva a tirargli

fuori più che risposte secche e a strappi, quasi in tono di

protesta: come volesse dar da intendere che il parlare non era

affar suo. Il discorso più lungo formulato di sua iniziativa glie

lo sentii fare una mattina, quando, stendendo a un tratto la mano

verso il cortile, indicò Cornelius e disse: 'Ecco qua il

Nazzareno.' Non credo che parlasse con me, per quanto gli stessi a

fianco; il suo discorso sembrava piuttosto diretto a risvegliare

l'attenzione e lo sdegno dell'universo intero. Certi borbottamenti

allusivi che seguirono, a proposito di cani e odor d'arrosto, mi

parvero singolarmente appropriati. L'ampio quadrato del cortile

era tutto una vampa torrida di sole, e, avvolto in quella luce

intensa, Cornelius veniva avanti lento lento, bene in vista, e

tuttavia con un'aria ineffabilmente furtiva, di oscuro e coperto

segreto, sgattaiolando. Faceva pensare a quanto ci può essere di

più stomachevole. Il suo passo lento, laborioso, ricordava il

movimento dello scarafaggio schifoso: dava lo stesso ribrezzo

vedergli muovere sole le gambe, e fermo tutto il resto del corpo.

Camminava, senza dubbio, dritto per la sua direzione, eppure, con

quella spalla in avanti, pareva andare obliquo. Lo si vedeva

spesso aggirarsi lento tra le tettoie come fiutando una pista;

passare davanti alla veranda dando una sbirciata furtiva all'insù;

sparire adagio dietro l'angolo di una capanna. Che costui potesse

circolare liberamente là dentro, accusava una assurda negligenza

da parte di Jim, oppure un supremo disprezzo, perché Cornelius

aveva avuto una parte assai dubbia (a dir poco) in un certo

episodio che a Jim avrebbe potuto riuscire fatale. All'atto

pratico quell'episodio era tornato a sua maggior gloria. Ma tutto

riusciva ormai a sua gloria; ed era questa l'ironia della sua

buona fortuna attuale: che per essere stato una volta troppo

attaccato alla propria vita, ora la sua vita sembrava protetta da

un sortilegio.

Dovete sapere che aveva lasciato la casa di Doramin poco dopo il

suo arrivo - un po' troppo presto, in realtà, per la sua

sicurezza, e, naturalmente, molto prima della guerra. A questo lo

aveva spinto il senso del dovere: doveva attendere agli affari di

Stein, no? - mi disse. A tal fine, con assoluto disprezzo del

pericolo, aveva attraversato il fiume andando a stare da

Cornelius. Come avesse fatto costui a campare in tempi così

agitati, io non lo so. Quale agente di Stein, dopo tutto, doveva

aver usufruito in certo senso della protezione di Doramin; certo è

che, in un modo o nell'altro, era riuscito a cavarsela attraverso

a tutte quelle gravi complicazioni, e non dubito che la sua

condotta, qualunque linea sia stato costretto a seguire, debba

aver portato il segno di quell'abiezione che era come lo stampo di

quell'uomo abietto di dentro e di fuori, come altri è d'aspetto

riconoscibilmente generoso, distinto o venerando. A questo suo

elemento costitutivo si informava ogni suo atto, passione o moto

dell'animo; si arrabbiava abietto, sorrideva abietto, s'attristava

abietto; parimenti abiette in lui cortesia e villania. Non c'è

dubbio che l'amore, in lui, sarebbe stato il più abietto dei

sentimenti: ma come immaginare l'amore in un insetto schifoso?

Perché anche la sua schifezza era abietta, talché una persona non

più che disgustosa sarebbe apparsa nobile al confronto. Costui non

è figura né di sfondo né di primo piano in questa storia: lo si

vede soltanto ai margini aggirarsi enigmatico e sporco, a

corromperne l'ingenuità e la fragranza di giovinezza.

La sua condizione, in ogni caso, non poteva essere che

estremamente bassa; ma può darsi benissimo che lui ne traesse

qualche vantaggio. Jim mi disse di esser stato accolto da

principio con un'abietta ostentazione dei più amichevoli

sentimenti. 'Sembrava che quell'individuo non riuscisse a

contenere la propria gioia,' fece Jim con aria disgustata.

'Correva da me ogni mattina a stringermi tutt'e due le mani - il

maledetto! - ma non sapevo mai se poi sarei andato a colazione. Se

arrivavo a mangiare tre volte in due giorni mi consideravo

fortunato; eppure mi faceva firmare un buono di dieci dollari alla

settimana. Diceva d'esser sicuro che il signor Stein non intendeva

che mi mantenesse per niente. Beh... mi manteneva quasi con

niente. Ne incolpava lo stato di disordine del paese, e fingeva di

strapparsi i capelli, chiedendomi perdono venti volte al giorno,

tanto che dovetti alla fine supplicarlo di non angustiarsi così.

Mi dava la nausea. Metà del tetto era crollato e tutta la casa

aveva un aspetto squallido, con dei ciuffetti d'erba secca che

spuntavano fuori qua e là, e penzolanti da ogni parete gli orli

sfilaccicati delle stuoie. Fece del suo meglio per far risultare

che il signor Stein gli doveva dei soldi sugli affari degli ultimi

tre anni, ma i suoi libri mastri erano tutti strappati e qualcuno

mancava addirittura. Cercò di accennare che la colpa era della

buonanima di sua moglie. Mascalzone schifoso! Alla fine dovetti

proibirgli perfino di nominarla, sua moglie, per non far piangere

Gioiello. Non arrivai a scoprire dove era andata a finire tutta la

merce; nel magazzino vuoto c'erano rimasti soltanto i topi che

avevan trovato la cuccagna in mezzo a quella baraonda di carta

color marrone e di sacchi vecchi. Da tutte le parti mi

assicuravano che aveva un mucchio di quattrini sepolti chissà mai

dove; ma naturalmente da lui non c'era da cavar fuori nulla.

Passai in quella casa del diavolo i giorni più disgraziati della

mia vita. Cercai di far il mio dovere verso Stein, ma avevo anche

altro da pensare. Quando mi rifugiai in casa di Doramin, il

vecchio Tunku Allang si spaventò e mi restituì la mia roba: tutto

per vie oblique e con un'infinità di misteri, attraverso un Cinese

che ha qui un negozietto; ma appena lasciai il quartiere dei Bugi

per andar a stare da Cornelius si cominciò a dire apertamente che

il Rajah aveva deciso di farmi ammazzare al più presto. Un bel

fatto, no? E non vedevo che cosa avrebbe potuto impedirglielo, se

veramente ne avesse avuto l'idea. Il peggio era che dovevo

necessariamente riconoscere di non far niente di utile né per

Stein né per me stesso. Oh! furono davvero un inferno quelle sei

lunghe settimane...'".

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

CAPITOLO 30.

"Mi disse, seguitando, di non sapere che cosa lo avesse trattenuto

lì - ma non ci vorrà molto a intuirlo. Provava una profonda pietà

per quella ragazza inerme, alla mercé di quello 'straccio di

mascalzone vigliacco.' Pare che Cornelius le facesse una vita

d'inferno, anche se non arrivava a metterle, ma sol per mancanza

di coraggio, le mani addosso. Pretendeva perfino che lo chiamasse

babbo - 'e con rispetto anche - con rispetto,' urlava, agitandole

davanti alla faccia un pugno giallo, rinsecchito. 'Sono un uomo

rispettabile, io, e tu che cosa sei? Avanti! che cosa sei? Credi

che io la intenda di tirar su la figlia d'un altro e non farmi

rispettare? Ringrazia Iddio ch'io ti permetta di chiamarmi così!

Avanti! - di': Sì, babbo... ah no?... Aspetta un po'!' E allora si

metteva a ingiuriare la morta finché la ragazza non se ne scappava

con le mani nei capelli. La rincorreva, precipitandosi dentro e

fuori e intorno alla casa, e in mezzo alle tettoie; finché non la

rincantucciava in qualche angolo, dove lei cadeva in ginocchio

tappandosi le orecchie, e allora, da lontano, per delle mezze ore

seguitava a scaricarle contro una sfilza di sudicie ingiurie. 'Tua

madre era un demonio - un demonio di falsità. E anche tu sei un

demonio!' urlava come sparata finale, raccogliendo un po' di terra

secca o una manciata di fango (fango ce n'era quanto se ne voleva,

intorno alla casa) e glie la buttava nei capelli. Qualche volta,

però, lei gli teneva testa, accesa di rabbia, guardandolo fisso in

silenzio, a faccia dura e contratta, lasciando cadere una parola

ogni tanto, ma così tagliente che lo facevan saltare convulso.

Scene spaventose, mi disse Jim. Cose davvero inaudite, lì in mezzo

al deserto. Un tale stato di raffinata cattiveria, pensate un po'

che tormento doveva essere pensare che non sarebbe finito mai. Il

rispettabile Cornelius (Inci' Nelyus, lo chiamavano i Malesi, con

una smorfia che voleva dir molte cose) era un uomo profondamente

scontento. Non so che cose si fosse aspettato in conseguenza del

suo matrimonio: ma, evidentemente, il privilegio di poter rubare a

man salva, e incamerare per molti anni e come meglio gli talentava

le merci della Società Commerciale di Stein (Stein soleva

reintegrargli puntualmente il deposito tutte le volte che poteva

mandare i suoi capitani a portargli la roba) non gli pareva

sufficiente compenso al sacrificio del suo rispettabile nome. Jim

avrebbe toccato il cielo con le dita a poter dare un tal sacco di

legnate a Cornelius da ridurlo a un filo dalla morte; ma d'altra

parte quelle scene erano così penose, così ributtanti, che il suo

impulso era piuttosto di allontanarsi, dove non si sentissero più

quelle voci, in modo da risparmiare la sensibilità della ragazza.

Quelle scenate la lasciavano tutta agitata e taciturna a

dilaniarsi il petto, e col viso impietrito dalla disperazione.

Allora Jim, così senza parere, le si avvicinava con aria sgomenta:

'Su... andiamo... davvero... a che serve... provi a mangiare

qualcosa,' o qualche altra parola di simpatia. Cornelius sgusciava

da una porta all'altra attraversando la veranda per poi tornare

sui propri passi, muto come un pesce, e sogguardando malevolo,

sospettoso, di sottecchi: 'Glie la faccio finire io...' le disse

Jim una volta. 'Mi dica una sola parola.' E sapete che rispose

lei? Disse - Jim me lo riferì con aria solenne - che se non fosse

stata sicura che Cornelius era tanto infelice anche lui, avrebbe

trovato il coraggio di ammazzarlo con le proprie mani. 'Pensi un

po'! Quella povera diavola di ragazza, quasi una bambina,

trascinata a parlare in questo modo!', esclamò con orrore.

Sembrava impossibile salvarla, non dalle grinfie di quel brutto

furfante, ma anche da se stessa! Non che gli facesse soltanto

compassione, mi assicurò; era più che pietà; era come se avesse un

peso sulla coscienza finché fosse durata quella vita. Abbandonare

la casa sarebbe parsa una vile diserzione. Aveva capito alla fine

che non c'era nulla da aspettarsi da una più lunga permanenza: né

rendiconti, né denaro, né verità di nessun genere; eppure restava,

esasperando Cornelius fino all'orlo non dico della pazzia, ma

quasi del coraggio. Intanto sentiva ogni sorta di pericoli

accumularglisi oscuramente intorno. Doramin gli aveva mandato due

volte un suo uomo di fiducia a dirgli che davvero non avrebbe

potuto far niente per la sua sicurezza se non ripassava il fiume

per tornare tra i Bugi, come prima. Gente di ogni condizione

veniva a trovarlo, spesso nel cuore della notte, per rivelargli

complotti di gente che voleva assassinarlo. Lo volevano

avvelenare. Lo volevano pugnalare, nello stabilimento dei bagni.

Si stavano prendendo accordi per fargli sparare addosso da una

barca sul fiume. Ognuno di questi informatori si professava suo

grande amico.

Ce n'era abbastanza - mi disse - per togliere la pace per sempre a

un disgraziato. Una cosa del genere era estremamente plausibile -

anzi probabilissima - e quegli avvertimenti, anche se bugiardi,

gli davano la sensazione di complotti di morte che gli si andavano

tramando intorno da tutte le parti, nel buio. Nulla di più

indovinato per scuotere i più solidi nervi. Finalmente, una notte,

Cornelius in persona, con grande sfoggio di orgasmo e di mistero,

gli rivelo con voce untuosa e solenne un progettino, come

qualmente per cento dollari - o anche per ottanta: diciamo ottanta

- lui, Cornelius, avrebbe procurato un uomo di fiducia per portare

di soppiatto Jim, sano e salvo, fino alla foce del fiume. Non

c'era altro da fare, ormai - se Jim faceva il minimo conto della

sua vita. Che sono ottanta dollari? Un'inezia. Una somma

insignificante. E intanto lui, Cornelius, sarebbe rimasto lì, a

sfidare senz'altro la morte pur di dare questa prova di

attaccamento al giovane amico del signor Stein. Era difficile - mi

disse Jim - di reggere alla vista delle sue abiette smancerie; si

tirava i capelli, si batteva il petto, si dondolava con le mani

compresse sul ventre, e finse perfino di spargere una lagrima. 'Il

tuo sangue ricada sul tuo capo!' squittì finalmente, e scappò via.

Sarebbe interessante sapere fino a che punto Cornelius era sincero

in questa commedia. Jim mi confessò di non aver chiuso occhio dopo

che quell'individuo se ne fu andato. Rimase supino sopra la stuoia

sottile sul piancito di bambù, a contare le travi nude del

soffitto, e ad ascoltare il fruscìo nelle sconnessure della paglia

di copertura. Una stella brillò a un tratto attraverso un buco del

tetto. Il cervello gli turbinava; eppure proprio in quella notte

maturò il suo piano per dare addosso allo sceriffo Alì. Era stato

il suo pensiero fisso nei rari momenti liberi dalle vane indagini

intorno agli affari di Stein, ma la soluzione - dice gli balenò in

mente allora tutto a un tratto. Vide, per così dire, i cannoni

piazzati sulla vetta della collina. Rimase lì disteso, ma tutto

accalorato ed eccitato: di dormire, neanche a dirlo, non se ne

parlava più. Balzò in piedi, e scalzo se ne uscì in veranda senza

far rumore. S'imbatté nella ragazza, ferma contro il muro, come di

vedetta. Nello stato in cui si trovava, non si sorprese di

trovarla alzata, e nemmeno che gli domandasse in ansia, sottovoce,

dove poteva essere Cornelius. Rispose semplicemente che non lo

sapeva. L'altra ebbe un gemito sommesso, frugando con gli occhi

nel campong. Tutto era tranquillissimo. Jim, ossessionato e

invasato dalla sua idea, non poté astenersi dal comunicarla subito

alla ragazza. Questa ascoltò, batté le mani senza far rumore,

espresse la propria ammirazione a voce bassa, ma senza cessare di

tenersi visibilmente all'erta. Pare che Jim ne avesse fatto la sua

confidente fin dal primo giorno: - che lei, dal canto suo, fosse

al caso di fornirgli, e gli fornisse in realtà, utili ragguagli

sulle cose di Patusan non c'è dubbio. Jim mi assicurò più di una

volta di non aver mai avuto da dolersi dei suoi consigli.

Comunque, era lì lì per accingersi a spiegarle dettagliatamente il

suo piano, quando la ragazza gli diede una stretta al braccio, e

svanì dal suo fianco. Allora apparve Cornelius, chissà da dove, il

quale, scorgendo Jim, fece uno scarto di lato, come se gli

avessero sparato addosso, e si tenne poi fermo immobile nel buio.

Alla fine avanzò guardingo, come un gatto sospettoso. 'Sono venuti

dei pescatori - con del pesce,' disse con voce incerta. 'A vendere

il pesce - capisci'... Dovevano essere le due del mattino: proprio

l'ora più adatta per portare il pesce in giro nelle case!

Jim lasciò passare la frase senza farci mente locale: neanche per

un attimo. Altri pensieri gli occupavano il cervello, e poi non

aveva visto niente. Si accontentò di lasciar cadere un 'Oh!'

distratto; bevve un sorso d'acqua da una brocca che era lì, e

lasciando Cornelius in preda a un'emozione inesplicabile (che gli

fece afferrare a due braccia la ringhiera tutta tarlata dalla

veranda come se gli cedessero le gambe) rientrò e si distese sulla

sua stuoia a riflettere. Dopo un po' udì dei passi furtivi: poi

più. Una voce in tremito sussurrò attraverso la parete: 'Dormi?'

'No! Che c'è?' rispose Jim allegramente; poi un movimento brusco

di fuori, e poi silenzio, come se chi aveva mormorato quelle

parole avesse preso spavento. Estremamente seccato, Jim uscì fuori

d'impeto, e Cornelius, con un grido soffocato, fuggì per tutta la

veranda fino ai gradini d'accesso, dove restò attaccato alla

balaustra rotta. Molto sorpreso, Jim gli domandò da lontano che

diavolo gli era preso. 'Hai riflettuto a quello che ti ho detto?'

domandò Cornelius, spiccicando le parole a fatica, come in preda a

un attacco di febbre fredda. 'No!' gridò Jim, fuori di sé. 'Non ci

ho riflettuto, e non ci rifletterò mai. Voglio vivere qui, a

Patusan.' 'Tu ci m-m-morrai, qui,' ribatté Cornelius, sempre

scosso forte dal tremito, con una voce da moribondo. Tutta questa

scena era così assurda e irritante che Jim non sapeva bene se

divertirsi o arrabbiarsi. 'Non prima di vederti messo a posto a

dovere, ci puoi contare,' gridò a sua volta, esasperato, e sul

punto di ridere. Mezzo sul serio (eccitato com'era dai propri

pensieri, capite) continuò a urlare: 'Nulla mi può far nulla, a

me! Quand'anche tu buttassi all'aria il mondo ". In certo modo,

quel Cornelius in ombra laggiù in fondo sembrava l'odiosa

incarnazione di tutte le noie e le difficoltà che aveva incontrato

sul suo cammino. Si lasciò andare - aveva i nervi tesi da parecchi

giorni - e lo investì coi più lusinghieri epiteti: imbroglione,

bugiardo, brutto mascalzone; insomma, fece un baccano d'inferno.

Ammise poi di aver passato tutti i limiti della creanza - ché era

proprio fuori di sé - sfidando Patusan intera a costringerlo a

scappar per paura, e dichiarando che ce l'aveva lui la musica da

farli ballar tutti; e così via, in tono minaccioso e fanfarone. Un

comportamento assolutamente ridicolo e burbanzoso, mi disse.

Sentiva le orecchie bruciargli solo a ripensarci. Doveva aver

perso la tramontana, in certo modo... La ragazza, seduta con noi,

mi fece un rapido gesto d'assenso con la sua testina, aggrottando

un poco le sopracciglia, e disse: 'Io ho sentito tutto,' con

solennità infantile. Jim rise e arrossì. Ciò che lo fece smettere,

disse, fu il silenzio, il profondo silenzio, come di morte, della

figura indistinta che stava laggiù in fondo, e sembrava pendere,

tutta svuotata, piegata in due, sulla balaustra, in una macabra

immobilità. Tornato in sé, tacque subito e si meravigliò molto di

se stesso. Osservò l'altro per un po'. Non un gesto, non un suono.

'Proprio come se colui fosse morto mentre facevo tutto quel

putiferio,' disse. Si vergognava tanto che rientrò in fretta,

senza aggiungere verbo, e si gettò di nuovo sulla stuoia. La

sparata sembra gli avesse fatto bene, però, perché dormì per tutto

il resto della notte come un bambino. Erano settimane che non

dormiva così. 'Ma io non dormii ,' disse la ragazza col gomito

sulla tavola, e la guancia sulla mano. 'Io montai la guardia.'

Girò un poco lo sguardo e mi fissò coi suoi grandi occhi

scintillanti".

 

 

 

 

 

 

 

CAPITOLO 31.

"Potete immaginare con quanto interesse tenni dietro a questo

discorso. Il significato di questi particolari si rivelò

ventiquattr'ore dopo. La mattina, Cornelius non fece alcuna

allusione agli avvenimenti della notte. 'Immagino che tornerai

nella mia povera casa,' borbottò con aria arcigna, obliquando su

Jim che si preparava a salire in canoa per recarsi al campong di

Doramin. Il giovanotto si limitò ad annuire col capo, senza

guardarlo. 'Ti ci diverti, tu, è chiaro,' borbottò l'altro in tono

acido. Jim passò la giornata col vecchio nakhoda, a propugnare la

necessità di un'azione vigorosa, davanti agli uomini più eminenti

della comunità Bugi, che erano stati convocati a gran parlamento.

Ricordava con piacere di essere stato molto eloquente e

persuasivo. 'Son riuscito a rinforzare la loro spina dorsale,

positivo,' mi disse. L'ultima spedizione dello sceriffo Alì aveva

raggiunto la periferia della colonia, e alcune donne del borgo

erano state portate dentro la sua palizzata. Il giorno prima gli

emissari dello sceriffo s'erano fatti vedere sulla piazza del

mercato a pavoneggiarsi altezzosi nei loro mantelli bianchi, a

vantar l'amicizia del Rajah per il loro padrone. Uno si era fatto

avanti, all'ombra di un albero, e, appoggiato alla lunga canna del

fucile, aveva esortato il popolo alla preghiera e al pentimento,

consigliando ad ammazzare tutti i forestieri che s'erano

intrufolati nel paese, fra i quali, disse, certi infedeli -

peggio! figli di Satana, camuffati da Mussulmani. Si raccontava

che parecchi di parte del Rajah avessero gridato la loro

approvazione. Il popolino era atterrito. Jim, soddisfattissìmo

dell'opera svolta in quel giorno, ripassò il fiume prima del

tramonto.

Essendo riuscito a ottenere dai Bugi un impegno inderogabile per

l'azione, ed avendo preso su di sé tutta la responsabilità del

successo, si sentiva così felice, che nella sua leggerezza di

cuore fece di tutto per mostrarsi cortese verso Cornelius. Ma

questi, di rimando, gli rispose con una giovialità pazzesca,

sicché a lui non bastò l'animo, mi disse Jim, di sopportare quel

suo squittire e rider falso, quei suoi contorcircimenti e

quell'ammiccare, e afferrarsi a un tratto il mento e restar lì,

curvo sulla tavola con lo sguardo fisso dell'invasato. La ragazza

non si fece vedere, e Jim si ritirò presto. Al momento in cui si

alzò per congedarsi, Cornelius balzò su, rovesciò la sedia e

scomparve come per raccattar qualcosa che aveva lasciato cadere.

La sua buonanotte arrivò roca di sotto al tavolino. Jim stupì di

vederlo riemergere a bocca aperta e con occhi vuoti, spalancati,

di spavento. Si teneva afferrato al margine del tavolino. 'Che

succede? Ti senti male?' domandò Jim. 'Sì, sì, sì. Un mal di

pancia tremendo,' fece l'altro; e secondo Jim doveva essere

proprio vero. In tal caso, data l'azione che andava premeditando,

era il segno, seppure abietto, di una incompleta intossicazione di

cinismo della quale converrà dargli atto.

Comunque, turbò i sonni di Jim un sogno di cieli bronzei, tonanti

con voce terribile: 'Svegliati! Svegliati!' così alto che,

nonostante la sua disperata volontà di continuar a dormire,

dovette pur svegliarsi. Lo colpì il bagliore di un incendio rosso,

tutto scoppi, a mezz'aria. Spire di un fumo denso e nero

avvolgevano la testa di un'apparizione, un essere sovrumano, tutto

vestito di bianco, con un viso severo, teso e ansioso. Dopo un

attimo di perplessità, riconobbe la ragazza. Teneva levata a

braccio teso una torcia, alta sul capo, e ripeteva con insistenza

monotona d'incitamento: 'Alzati! Alzati!'

A un tratto Jim balzò in piedi, e subito lei gli mise in mano una

rivoltella, la rivoltella di Jim, che stava appesa a un chiodo, e,

stavolta, carica. La afferrò in silenzio, stupefatto, battendo gli

occhi abbacinati. Si domandò che cosa ella potesse volere.

La ragazza gli chiese presto in un soffio: 'Puoi affrontare

quattro uomini con questa?' Jim rideva nel raccontarmi questo

episodio, al pensiero della cortese prontezza della propria

risposta: e pare che sul momento gli premesse molto di farla

rilevare: 'Certamente... si capisce... certamente... agli ordini!'

Non era ben sveglio, ma aveva la sensazione di condursi in modo

gentilissimo, in così straordinaria contingenza, dimostrandosi di

tanto incondizionata e immediata devozione. Ella uscì dalla

stanza, e lui la seguì; passando per il corridoio disturbarono una

vecchia megera che, quando le capitava, faceva un po' di cucina,

ma era così decrepita da non riuscir quasi più a capire il

linguaggio umano. Costei si alzò e li seguì arrancando e

borbottando qualcosa tra le gengive. Sulla veranda un'amaca di

tela di sacco, che era di Cornelius, a una gomitata di Jim oscillò

un poco: era vuota.

Il fondaco di Patusan, come tutti i depositi della Società

Commerciale Stein, consisteva in origine di quattro edifici. Due

erano ormai ridotti a un mucchio di stecchi, frammenti di bambù e

paglia marcia, su cui si levavano quattro pilastri d'angolo, di

legno duro, tristi e sbilenchi; si reggeva ancora in piedi il

magazzino principale, di fronte alla casa del rappresentante. Era

una capanna oblunga, di fango e argilla; a un'estremità aveva una

larga porta di tavole robuste non ancora sgangherata, e in una

delle pareti laterali un'apertura quadra, una specie di finestra,

con tre sbarre di legno. Prima di scendere i pochi gradini

d'accesso, la ragazza volse il capo e disse presto presto:

'Volevan saltarti addosso nel sonno.' Jim mi confessò di aver

provato un senso di delusione. Sempre la solita storia. Non ne

poteva più di attentati alla sua vita. Ne aveva fin sopra i

capelli di falsi allarmi. Era stufo. Mi assicurò che si era

arrabbiato contro la ragazza che l'aveva ingannato. L'aveva

seguita perché persuaso che fosse lei ad aver bisogno di aiuto, e

ora per il dispetto quasi quasi si sentiva una mezza voglia di

voltare i tacchi e tornarsene a dormire. 'Lo sa?' mi disse a

commento e con aria solenne. 'Credo proprio di non esser stato del

tutto in me per intere settimane in quell'epoca.' 'Ma sì. Era

perfettamente in sé ,' non potei trattenermi dal contraddirlo.

La ragazza proseguì a passo svelto, e Jim la seguì nel cortile.

Tutte le staccionate erano cadute da un pezzo; i bufali dei vicini

ogni mattina entravano liberamente nel recinto aperto traendo dal

profondo lunghi sbuffi senza scomporsi; era già la vera e propria

invasione della giungla. Jim e la ragazza si fermarono nell'erba

folta. La luce che li avvolgeva creava intorno una più densa

oscurità; soltanto sopra al loro capo brillava uno scintillìo

opulento di stelle. Mi disse che era una bella notte - fresca

fresca con un fiato di brezza dal fiume. A Jim non sfuggì, pare,

questa amorosa bellezza. Ricordatevi che è una storia d'amore

quella che vi sto raccontando adesso. Una notte soave che sembrava

alitare su di loro una leggera carezza. La fiamma della torcia

ruscellava a volta a volta con un fruscìo come di bandiera, e per

un certo tempo non si sentì altro. 'Sono nel magazzino in attesa,'

mormorò la ragazza. 'Aspettano il segnale.' 'Da chi?' domandò Jim.

L'altra scosse la torcia, che dopo aver spanto una pioggia di

scintille fiammeggiò più alta. 'Ma tu dormivi tanto agitato!'

riprese la fanciulla sottovoce. 'Io ho vegliato anche sul tuo

sonno.' 'Tu!' esclamò il giovane, allungando il collo per

guardarsi intorno. 'Credi che sia la prima notte che monto la

guardia?' disse l'altra dopo una pausa di cupa indignazione.

Jim dice che gli parve di ricevere un colpo in pieno petto. Rimase

senza fiato. Pensò di essersi condotto come una brutta bestia, e

si sentì pieno di rimorsi, commosso, felice, esultante. Questa,

permettete che ve lo ricordi ancora, è una storia d'amore: lo si

riconosce dalla sua imbecillità; non un'imbecillità odiosa, ma

l'esaltata imbecillità di ogni suo episodio, come questa sosta a

torcia accesa, quasi che fossero venuti lì proprio apposta per

farsi le loro confessioni, a maggior edificazione degli assassini

in agguato. Se gli emissari dello sceriffo Alì avessero posseduto

- come osservò Jim - un briciolo di fegato, questo era per loro il

momento di saltar fuori. Gli batteva il cuore - non di paura - ma

perché gli era sembrato di sentir frusciare l'erba; e fece un

subito scarto fuori dalla zona di luce. Un'ombra nera vista e non

vista svanì di corsa. Jim chiamò con voce sonora: 'Cornelius! oh!

Cornelius!' Seguì un profondo silenzio; parve che la sua voce non

avesse avuto più di dieci passi di portata. Di nuovo la ragazza fu

al suo fianco. 'Fuggi!' disse. La vecchia si avvicinava; la sua

figura sbilenca entrò a balzelli paralitici sul margine della

luce; la udirono borbottare, ed emettere un lieve sospiro

doloroso. 'Fuggi!' ripeté la fanciulla, eccitata. 'Ora che sono

spaventati... questa luce... le voci. Hanno capito che tu sei

sveglio adesso - sanno che tu sei grande, forte, e hai

coraggio...' 'Ma se io sono tutto questo,' cominciò a dire; ma la

ragazza lo interruppe. 'Sì - stanotte! Ma domani notte? E

dopodomani? E le notti appresso?... tante, tante notti? Posso star

sempre di guardia, io?' Le tagliò il fiato un singhiozzo che lo

commosse oltre ogni possibilità di parola.

Mi disse di non essersi mai sentito così piccolo, così niente e

anche il coraggio, a che serviva? pensò. Era così scosso che anche

la fuga gli sembrò inutile; benché la ragazza, con insistenza

febbrile seguitasse a mormorargli: 'Va' da Doramin, va' da

Doramin.' Egli si rese conto che da quella solitudine in cui si

centuplicavano tutti i pericoli, non gli restava altro scampo che

in lei. 'Pensai oscuramente,' mi disse, 'che se la lasciavo era la

fine di tutto.' Però siccome non potevano restare all'infinito

fermi lì in mezzo al cortile, decise di andare a dar un'occhiata

nel magazzino. Lasciò, senza neanche protestare, ch'ella lo

seguisse, come fossero stati indissolubilmente uniti. 'Ho coraggio

eh, io?' borbotto fra i denti. La ragazza lo afferrò per un

braccio. 'Aspetta finché non sentirai la mia voce,' disse, e con

la torcia in mano sparì leggera dietro l'angolo. Egli rimase solo

nel buio, col viso verso la porta; non un suono, non un respiro di

là dentro. Da chi sa dove alle sue spalle, la vecchia megera dette

un lugubre lamento. Udì un richiamo acuto, quasi un grido della

ragazza. 'Adesso! Spingi!' Diede una spinta violenta e la porta si

spalancò con un cigolìo e un tonfo, e agli occhi stupefatti di Jim

apparve un basso interno di prigione, rischiarato da una miseria

di luce incerta. Un turbine di fumo andava a morire, calando, su

una gerla vuota in mezzo al pavimento; nella corrente d'aria un

mucchietto di cenci e di paglia parve volersi sollevare, ma fu

appena smosso. La fanciulla aveva ficcato la fiaccola attraverso

le sbarre della finestra. Jim vide il braccio rotondo di lei,

steso e rigido, tener la fiaccola con la saldezza di un torciere

di ferro. Non c'era che un cono di vecchie stuoie sdruscite in un

angolo, alto fin quasi al soffitto, e nient'altro.

Jim mi spiegò che ne era rimasto amaramente deluso. La sua

resistenza era stata provata da tanti avvertimenti; per settimane

e settimane era stato circondato da tante minacce di pericolo, che

sentiva il bisogno d'affrontare finalmente un po' di realtà,

concreta e tangibile. 'Avrebbe schiarito l'aria almeno per un paio

d'ore, non so se rendo l'idea,' mi disse. 'Perdiana! Erano giorni

e giorni che vivevo con una pietra sullo stomaco.' Finalmente

aveva creduto di afferrare qualche cosa, e invece... niente! Né

una traccia, né un segno: nessuno. Aveva sollevato l'arma mentre

la porta si spalancava, ma aveva lasciato ricadere il braccio.

'Spara! Difenditi,' gridò la ragazza di fuori con accento

disperato. Essa, lì, al buio, col braccio infilato fino alla

spalla nello stretto passaggio, non poteva vedere quel che

succedeva, e non osava ormai ritirare la torcia e rifare il giro.

'Non c'è nessuno!' urlò Jim furioso: ma la risata di dispetto e di

esasperazione che stava per scoppiargli istintiva gli si strozzò

in gola. Proprio nell'atto di voltarsi aveva avvertito di tra il

mucchio delle stuoie uno sguardo che si incrociava col suo. Vide

muoversi il bianco di quegli occhi: 'Vieni fuori!' gridò

furibondo, ancora in dubbio: e una faccia abbronzata, una testa

senza corpo, si delineò fra le immondizie: una testa stranamente

spiccata dal busto, che lo fissava torvo. Poi, di colpo, tutto il

mucchio si agitò, e con un sordo grugnito l'uomo si levò di balzo

contro Jim. Di sulla sua schiena le stuoie parvero saltare e volar

via: teneva alto il braccio destro col gomito piegato, mentre una

lama opaca di kris gli spuntava dal pugno, un po' più su del capo.

La fascia stretta intorno ai fianchi sembrava d'un bianco

abbagliante contro la pelle di bronzo del suo corpo nudo, lucido

come fosse bagnato.

Jim notò tutto questo, mi disse, con un senso ineffabile di

sollievo, una esultanza di vendetta. Trattenne il colpo, disse, di

proposito. Lo trattenne per un attimo: il tempo che l'altro mise a

far tre passi avanti - un tempo incalcolabile. Lo trattenne per il

piacere di dire a se stesso: E' bell'e morto! Era assolutamente

sicuro e certo. Lo lasciò avvicinare, che tanto era lo stesso.

Tanto era bell'e morto. Notò le sue narici dilatate, gli occhi

sbarrati, l'intensa avida immobilità del viso, e poi sparò.

L'esplosione, in quello spazio ristretto, fu assordante. Jim

indietreggiò di un passo. Vide l'uomo sollevar la testa di scatto,

lanciar le braccia avanti, e lasciar cadere il kris. Dopo si

accorse di averlo colpito alla bocca, un poco dal sotto in su,

sicché la pallottola gli era uscita dalla nuca, in alto. Portato

dall'impeto del suo slancio, l'uomo seguitò a venire in avanti,

col viso a un tratto sfigurato, le mani aperte davanti a sé in

atto di arrancare, come un cieco, e cadde picchiando orrendamente

con la fronte a pochi centimetri dai piedi nudi di Jim. Mi disse

poi che di tutto questo non si era perduto il minimo particolare.

Si ritrovò calmo, pacificato, senza rancore, senza disagio, come

se la morte di quell'uomo avesse riequilibrato ogni cosa. Il luogo

si andava riempiendo del fumo fuligginoso della torcia, di cui la

fiamma immobile ardeva unita e sanguigna. Avanzò risoluto,

scavalcando il cadavere, e puntò la rivoltella contro un'altra

figura nuda che si delineava appena all'estremità opposta della

stanza. Mentre stava per far partire il colpo, l'uomo scagliò

lontano da sé una lancia corta e pesante e si lasciò cadere sui

calcagni con aria di sottomissione, la schiena contro la parete e

le mani giunte fra le gambe. 'Vuoi salva la vita?' fece Jim.

L'altro non fiatò. 'Quanti altri siete?' domandò ancora Jim.

'Altri due, Tuan,' rispose l'uomo con molta dolcezza, fissando con

grandi occhi affascinati la bocca della rivoltella. Sùbito, due

altri uomini uscirono carponi di sotto le stuoie, sollevando ben

visibilmente le mani vuote".

 

 

CAPITOLO 32.

"Jim si mise in posizione di vantaggio e li spinse attraverso la

porta in gruppo, come pecore: durante tutto questo tempo la

piccola mano aveva tenuto verticale la torcia, stretta senza un

tremito. I tre uomini gli ubbidirono zitti zitti procedendo come

automi. Li fece mettere in riga. 'Datevi il braccio!' ordinò.

Quelli eseguirono. 'Il primo che lascia il braccio o volta la

testa è un uomo morto,' disse. 'Marsch!' Si mossero insieme,

rigidi: seguiti da Jim; al suo fianco la ragazza in una veste

bianca lunga fino a terra e coi capelli neri sciolti fino alla

vita, portava la fiaccola. Eretta e snella sembrava scivolar via

senza toccar terra; senz'altro rumore che il fruscìo di seta

dell'erba alta che stormiva. 'Alt!' gridò Jim.

Dalla proda ripida del fiume saliva una grande frescura; la luce

cadeva sul filo dell'acqua liscia e buia che ribolliva senza

increspature; a destra e a sinistra le sagome parallele delle case

si stendevano seguendo la netta allineatura dei tetti. 'Portate i

miei saluti allo sceriffo Alì - che poi vengo io,' fece Jim.

Nessuna delle tre teste si mosse. 'In acqua!' tuonò. Tre tonfi

come un tonfo solo, un grande schizzo d'acqua, e le tre teste

nere, emerse e risommerse in movimenti convulsi, scomparvero; ma

per un bel pezzo continuò un gran soffiare e sputacchiare, sempre

più lontano, perché s'ingegnavano a nuotare sott'acqua, temendo

molto una salva d'addio. Jim si volse alla ragazza, testimone

attenta e silenziosa, e gli parve a un tratto che il cuore gli si

fosse fatto troppo grande nel petto, e gli chiudesse la gola

mozzandogli il respiro. Forse per questo si tenne in silenzio a

lungo: e la ragazza, scambiato uno sguardo con lui, lanciò la

torcia accesa nel fiume con un ampio gesto del braccio. La luce

rossa della fiamma, fatto un lungo volo nel buio, sprofondò con

uno stridore maligno, e la dolce calma luce delle stelle discese

su loro incontrastata.

Non mi riferì ciò che disse quando finalmente riprese voce. Non

credo che possa essere stato molto eloquente. Il mondo era

immobile, la notte alitava su di loro; una di quelle notti che

sembrano create per aprirsi alla tenerezza; in quei momenti in cui

le nostre anime, quasi disciolte dal loro buio involucro, ardono

con una sensibilità squisita che rende certi silenzi più lucidi

delle parole. Della ragazza, mi disse: 'Ebbe un momento di crisi.

L'eccitazione... capisce. La reazione. Doveva essere stanca

morta... e tutta questa specie di cose. E... accidenti... mi

voleva bene, capisce.. Anch'io... non lo sapevo, naturalmente...

non mi era mai passato per la testa...'

Qui si alzò e cominciò a far su e giù piuttosto agitato. 'Io... io

l'amo con tutta l'anima. Più che io non possa dire. Naturalmente

queste cose non si possono mai dire. Si considerano le proprie

azioni con altri occhi quando si viene a capire, quando vi fanno

capire che la vostra vita è necessaria intende? assolutamente

necessaria - a un'altra persona. Io sono costretto a capire

questo. Meraviglioso. Ma cerchi un po' lei di farsi un concetto di

quel che era stata la sua vita. Roba da matti! Spaventoso! No? E

io che la trovo qui, così... come se, uscendo per far quattro

passi ci s'imbattesse a un tratto in qualcuno che affoga in un

sito deserto, di notte. Perbacco! Non c'è tempo da perdere. Beh, è

anche una responsabilità... Ma credo di essere all'altezza.'

Devo dirvi che la ragazza da un po' di tempo ci aveva lasciati

soli. Si batté il petto. 'Sì! Mi rendo conto di questo, ma sono

convinto di essere all'altezza di tutta la mia fortuna!' Aveva la

virtù di trovare un particolare senso in tutto quello che gli

accadeva. E la sua storia d'amore l'aveva presa per questo verso.

Un punto di vista idillico, un poco solenne, e anche autentico,

perché la sua convinzione aveva tutta la incrollabile serietà

della giovinezza. Qualche tempo dopo, in un altro colloquio, mi

disse: 'Sono qui da due anni appena, eppure, parola mia, non so

concepire come si possa vivere altrove. Il solo pensiero del mondo

fuorivia mi fa spavento; perché si capisce,' soggiunse, seguendo a

occhi bassi i movimenti della propria scarpa molto seriamente

impegnata a spiaccicare a regola d'arte un pezzetto di fango secco

(passeggiavamo lungo la sponda del fiume) '... che non ho mica

dimenticato la ragione che mi ha condotto qui. Non ancora!'

Mi astenni dal guardarlo, ma direi di aver sentito un breve

sospiro; facemmo qualche passo in silenzio. 'Sull'anima mia e in

coscienza,' riprese, 'se si può dimenticare una cosa simile,

allora credo di avere il diritto anch'io di sradicarmela dalla

mente. Domandi a chi vuole, qui...' La sua voce mutò. 'Non è

strano,' soggiunse in tono dolce, quasi supplichevole, 'che tutta

questa gente, tutta questa gente che per me si butterebbe nel

fuoco, non possa mai far tanto di capire? Mai! Se lei non credesse

in me, io non potrei chiamarli a testimonianza. Sembra ingiusto.

Sono stupido, vero? Che potrei desiderare di più? Se lei domanda a

chiunque di loro chi è coraggioso - chi è fedele chi è giusto -

chi è quello a cui affiderebbero la loro vita direbbero, Tuan Jim.

Eppure non potranno mai sapere la verità, la verità vera...'

Questo mi disse l'ultimo giorno che passai con lui. Mi guardai

bene dall'insistere sul tema; sentii che avrebbe potuto seguitare

a parlare ancora, ma non si sarebbe avvicinato di un'oncia alla

radice della questione. Il sole, che con la sua luce concentrata

riduce la terra a un briciolo di fango inquieto, era calato dietro

la foresta, e la luce diffusa da un cielo opalino sembrava versare

su un mondo senza ombre e senza lucentezza l'illusione di una

calma e pensosa grandezza. Non so perché, ascoltando lui, mi sia

accaduto di notare con tanta precisione il graduale oscurarsi del

fiume dell'aria: il lavorìo lento e inoppugnabile della notte che

si stende in silenzio su tutte le forme visibili, cancellando i

contorni, seppellendo le parvenze sempre più a fondo, come per la

caduta costante di un'impalpabile sostanza nera.

'Perdiana!' cominciò a un tratto, 'ci sono dei giorni che uno è

davvero troppo assurdo; ma so che a lei posso dire tutto. Dico

sempre di non pensarci più a quella maledetta faccenda... e sempre

l'ho in fondo al cervello... Dimenticare!... Dio mi punisca se io

so... Però mi riesce di pensarci con calma. Dopo tutto, che cosa

provava? Nulla. Immagino che lei non la pensi così...' Feci un

accenno di protesta.

'Non fa niente,' disse. 'Sono soddisfatto... quasi. Mi basta

guardare in viso il primo che incontro qui per riacquistare la

fiducia in me stesso. Non si può portarli a capire, questa gente,

quel che succede in me. E con questo? Andiamo, che non me la sono

cavata tanto male.'

'Non tanto male,' feci.

'Eppure, tutto sommato, lei a bordo della sua nave non mi ci

vorrebbe: no?'

'Vada al diavolo!' esclamai. 'La smetta...'.

'Aha! Lo vede?' ribatté, con aria, per così dire, di placido

trionfo. 'Soltanto,' soggiunse, 'provi a dirlo a chi vuole,

quaggiù: la prenderanno per matto, bugiardo o peggio. E io resisto

qui. Ho pur fatto qualche cosa per loro, ma questo è quanto hanno

fatto loro per me.'

'Mio caro ragazzo,' esclamai, 'per loro lei sarà sempre un mistero

insolubile.' E qui restammo un po' in silenzio.

'Un mistero,' ripeté, prima di alzare gli occhi. 'E allora resto

qui per sempre.'

Dopo il tramonto del sole, il buio sembrò venirci addosso, portato

da ogni alito di brezza. Nel mezzo di un sentiero costeggiato da

siepi vidi la figura di Tamb'Itam immobile, allampanato, vigile,

che pareva reggersi su una gamba sola; e oltre una zona di

penombra, scorsi una cosa bianca muoversi avanti e indietro, di là

dai sostegni del tetto. Appena Jim con Tamb'Itam alle calcagna se

ne fu partito per la sua ronda serale io, rimasto solo, mi avviavo

verso casa, quando, inaspettatamente, mi vidi tagliare la strada

dalla ragazza che evidentemente aspettava quest'occasione.

E' un po' difficile dirvi che cosa esattamente volesse estorcermi.

Senza dubbio qualche cosa di semplice - la più semplice

impossibilità del mondo; come, per esempio, l'esatta descrizione

della forma di una nuvola. Un'assicurazione, una dichiarazione,

una promessa, una spiegazione - non so come chiamarla; una cosa

senza nome. Faceva buio sotto l'ala del tetto, e non potevo veder

altro che le mobili linee della sua veste, il pallido ovale della

sua faccia piccolina, il lampo bianco dei suoi denti, e, rivolte a

me, le grandi orbite scure dei suoi occhi, dove sembrava annidarsi

una leggera agitazione, quale possiamo immaginar di scorgere

spingendo lo sguardo in un pozzo di smisurata profondità. Che c'è

laggiù che si muove? Ci si domanda. E' un mostro cieco, o soltanto

una luce perduta dell'universo? Mi venne in mente - non ridete -

che a parte tutte le differenze, era più indecifrabile lei nella

sua ignoranza infantile, che la sfinge coi suoi enigmi infantili

proposti al passeggero. Era stata portata a Patusan prima di

aprire gli occhi. Era cresciuta lì; senza vedere mai nulla, sapere

nulla, farsi un concetto di nulla. Mi domando se aveva neanche

l'idea che esistesse qualche altra cosa. Non riesco a figurarmi

quali immagini si fosse fatta del mondo lontano: tutto quel che

conosceva dei suoi abitanti era una donna tradita e un pagliaccio

sinistro. Anche il suo innamorato veniva da quel mondo, con un

dono di seduzioni invincibili; ma che sarebbe stato di lei, se

fosse tornato in quelle regioni inconoscibili che sembravano

reclamare sempre a sé i propri figli? Sua madre l'aveva avvertita

di questo, piangendo, prima di morire...

Mi aveva afferrato forte per un braccio, e appena mi ero fermato

aveva subito ritirata la mano. Era audace e ritrosa. Non aveva

paura di nulla, ma era trattenuta da una profonda titubanza e da

un estremo disagio - una creatura coraggiosa brancolante nel buio.

Io appartenevo a quell'Inconoscibile che avrebbe potuto reclamare

Jim, da un momento all'altro, per sé. Ero, per così dire, nei

segreti della sua natura e delle sue intenzioni... partecipe di un

mistero pieno di minaccia... forse, armato del suo stesso potere!

Doveva pensare - credo - che io con una parola avrei potuto

strapparglielo proprio di fra le braccia, il suo Jim. Sono alla

lettera persuaso che, durante le mie lunghe conversazioni con lui,

la poveretta doveva aver passato agonie d'apprensione; e

un'angoscia così autentica e intollerabile da portarla fino a

preparare la mia morte se avesse avuto una ferocia naturale pari

allo sconvolgimento della sua fantasia. E' soltanto una mia

impressione; di più non posso offrirvi; tutto questo mi si rivelò

per gradi, e via via che la cosa mi si faceva più chiara ero preso

di crescente stupore incredulo. Mi obbligò a crederle, ma non c'è

parola che sulle mie labbra possa dare l'effetto di quel suo

mormorìo serrato e veemente, di quei toni caldi, appassionati, di

quelle improvvise pause affannate e del gesto d'implorazione di

quelle braccia bianche sollevate d'impeto. Le braccia le

ricaddero, la figura evanescente oscillò come un albero sottile al

vento, il pallido ovale del viso le si abbassò triste; era

impossibile distinguerne i tratti, o sondarne l'ombra degli occhi;

due ampie maniche si levarono nel buio come l'aprirsi di due ali,

ed ella restò così, in silenzio, col capo tra le mani ".

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

CAPITOLO 33.

"Ero infinitamente commosso; la sua giovinezza, la sua ingenuità,

la sua graziosa bellezza che aveva il semplice fascino e il vigore

delicato di un fiore selvatico, il suo accorato supplicare, quella

sua vita indifesa, suscitavano in me una tenerezza profonda quanto

la sua paura assurda e naturale. Aveva paura dell'ignoto come noi

tutti, ma la sua ingenuità le figurava l'ignoto di vastità

infinita. L'Inconoscibile, per lei, era costituito da me,

personalmente e in rappresentanza di tutti voi, di tutti quelli ai

quali in realtà non importava niente di Jim e che non avevano

alcun bisogno di lui. Sarei stato più che pronto a garantire

i'indifferenza di questo mondo affollatissimo, se non mi avesse

trattenuto il pensiero che anche Jim apparteneva a quel misterioso

ignoto creato dai timori di lei, e che, per quante garanzie

potessi dare, non potevo garantire per lui. Questo mi tenne

incerto. Un suo sospiro di desolata tristezza mi dissigillò le

labbra. Cominciai col ribadire che per lo meno io ero lungi da

ogni intenzione di portar via Jim.

'E allora perché ero venuto?' - disse la ragazza; e subito riprese

la sua immobilità come una statua di marmo nel buio. Cercai di

spiegare in poche parole: motivi di amicizia, affari; se una cosa

desideravo era, se mai, che Jim rimanesse... 'Sempre ci lasciano,'

mormorò. Questo soffio di triste saggezza venuto da una tomba che

la sua pietà inghirlandava di fiori sembrò trasvolare come un

sospiro leggero... Nulla, risposi, avrebbe potuto separare Jim da

lei.

E ne sono fermamente convinto oggi come ne ero fermamente convinto

allora; era l'unica conclusione possibile allo stato delle cose.

Né concorsero a persuadermi le parole ch'ella mi sussurrò come

parlando tra sé: 'Me lo ha giurato.' 'Perché, lei glie lo ha

chiesto?' domandai.

Mi si avvicinò di un passo. 'No. Mai.' Gli aveva chiesto soltanto

di andarsene: quella notte sulla riva del fiume dopo che Jim ebbe

ucciso quel sicario - dopo che lei aveva gettato la torcia

nell'acqua perché lui la guardava in quel modo. C'era troppa luce,

e il pericolo era passato... per un poco... per un poco. Jim disse

che non l'avrebbe lasciata alle mani di Cornelius. Lei aveva

insistito. Voleva che la lasciasse. Lui replicò che non poteva...

che era impossibile: e tremava dicendo così. Lo aveva sentito

tremare... Non occorre molta fantasia per immaginarsi la scena,

fin quasi a udirne il sussurro. Aveva anche paura per lui. Credo

che allora non vedesse in lui che la vittima designata, e credesse

di accorgersi dei pericoli meglio di lui. Sebbene con la sola sua

presenza Jim le avesse preso il cuore, le avesse riempito di sé

tutti i pensieri, si fosse impadronito di tutto il suo affetto,

tuttavia la ragazza sottovalutava le probabilità di riuscita di

lui. E' evidente che in quell'epoca tutti erano portati a

sottovalutare queste probabilità. A rigor di termini, non ne

aveva. So che questo era anche il punto di vista di Cornelius. Me

lo confessò lui per attenuare la gravità dell'azione sospetta che

aveva svolto nel complotto dello sceriffo Alì per toglier di mezzo

l'infedele. Perfino lo stesso sceriffo Alì, come ormai sembra

certo, aveva un'opinione piuttosto modesta sull'uomo bianco. Jim

doveva essere assassinato soprattutto per motivi di religione,

credo. Come semplice atto di fede, altamente meritorio, ma, per

altri rispetti, di scarsa importanza. Su quest'ultima parte,

Cornelius era d'accordo. 'Eccellenza,' osservò, sempre abietto,

l'unica volta che riuscì a parlarmi da solo a solo. 'Eccellenza,

come facevo a indovinare? Chi era lui? Come poteva persuadere la

gente ad accordargli fiducia? Cosa intendeva il signor Stein

mandando un ragazzo come quello a far la voce grossa con un

vecchio impiegato come me? Ero pronto a salvarlo per ottanta

dollari. Ottanta dollari appena. Perché non se n'è andato

quell'imbecille? Dovevo farmi pugnalare per i begli occhi di un

estraneo?' Si rivoltolava, moralmente, nel fango davanti a me, col

corpo piegato in due, in atto servile e agitando le mani intorno

alle ginocchia, come se volesse abbracciarmi le gambe. 'Cosa sono

ottanta dollari? Una somma insignificante da dare a un vecchio

inerme, rovinato per sempre da quella defunta del diavolo.' Qui si

mise a piangere. Ma sto anticipando i tempi. Quella notte non mi

incontrai con Cornelius se non dopo aver terminato il colloquio

con la ragazza.

Era stato un tratto generoso da parte di lei esortare Jim a

lasciarla; anzi a lasciare il paese. Sua prima preoccupazione era

il pericolo che correva lui, sebbene cercasse anche, nel medesimo

tempo, e magari inconsciamente, di salvare se stessa; ma pensate

agli avvertimenti, alla lezione che aveva potuto trarre da ogni

minuto di quella vita finita da poco e in cui si accentravano

tutti i suoi ricordi. Gli cadde ai piedi - così mi disse lei - là

vicino al fiume, nella luce discreta delle stelle che dava solo

risalto a grandi masse d'ombre silenziose, spazi vuoti,

indefiniti, e che col riflesso del loro debole tremolio sul largo

corso d'acqua, creavano l'illusione d'una vastità marina. L'aveva

rialzata da terra. L'aveva rialzata e lei non aveva più voluto

lottare. No. Più. Braccia forti, voce dolce, spalla robusta su cui

appoggiare la sua povera testolina solitaria: il bisogno... il

bisogno infinito di tutto questo per il cuore dolente, lo spirito

smarrito, gli stimoli della gioventù, la necessità del momento!

Che volete farci? Si capisce- a meno di esser incapaci di capire

qualsiasi cosa sotto il sole. E perciò le piacque di essere tirata

su e tenuta stretta. 'Sa... perdiana! è una cosa seria... niente

sciocchezze!' mi aveva sussurrato Jim in fretta sulla soglia di

casa sua, serio e turbato. Non m'intendo molto di sciocchezze, ma

certo non era una cosa a cuor leggero il loro idillio; si erano

incontrati all'ombra del crollo di una vita, come un cavaliere

antico e una donzella s'incontravano a scambiarsi i loro

giuramenti tra le rovine popolate di fantasime. Per la loro

vicenda bastava la luce delle stelle, una luce lieve e lontana che

non riusciva a dar forma alle ombre, né a scoprire alla vista

l'altra sponda del fiume. Anch'io guardai il fiume quella notte, e

dallo stesso punto: scorreva silenzioso e più nero dello Stige:

partii il giorno dopo, ma difficilmente dimenticherò a quale

pericolo voleva sfuggire la ragazza quando supplicava Jim di

andarsene finché era in tempo. Me lo disse lei, qual'era questo

pericolo, allorché si fu calmata; e nel suo impeto tutto

passionale era ormai lontana da un semplice eccitamento: con una

voce che parve lieve, nel buio, come la sua figura bianca quasi

evanescente, mi disse: 'Non volevo morire piangendo'. Credetti di

non aver capito bene.

'Lei non voleva morire piangendo?' ripetei. 'Come mia madre,'

soggiunse pronta. Il profilo della sua sagoma candida restò

assolutamente immobile. 'Mia madre pianse amaro prima di morire,'

spiegò. Una calma indicibile sembrava essere intorno a noi, salita

quasi impercettibilmente, come di notte la insidiosa piena di un

fiume, a cancellar i termini delle sensazioni familiari. Come se

mi fosse mancato il piede nel bel mezzo di un guado, mi sentii

addosso un terrore improvviso - il terrore di una profondità

sconosciuta. La fanciulla continuò a raccontare che durante gli

ultimi momenti di sua madre, trovandosi sola con lei, dovette

allontanarsi dal giaciglio per mettersi con la schiena contro la

porta e tenerla chiusa, ché Cornelius voleva venir dentro, e

seguitava a picchiare con tutt'e due i pugni, interrompendosi solo

per urlare con voce rauca: 'Aprimi! Aprimi! Aprimi!' In un angolo

lontano, su poche stuoie, la moribonda, già senza parola, e

incapace di sollevare un braccio, volgeva il capo di qua e di là,

e con un debole gesto della mano sembrava ordinare: No! No! mentre

la figlia non le toglieva gli occhi di dosso, puntando a tutta

forza le spalle contro la porta. 'Le caddero due lagrime giù dagli

occhi - e poi morì,' concluse la ragazza con un'imperturbabile

monotonia, che più di tutto il resto - più dell'immobilità

statuaria della persona, più delle stesse parole - riusciva a

turbar profondamente con la rievocazione di quella scena di orrore

passivo, ineluttabile. Quella voce aveva il potere di strapparmi

fuori dal mio concetto della vita, dal riparo che ognuno di noi si

costruisce per infilarcisi dentro nei momenti di pericolo, come

una tartaruga nel suo guscio. Per un istante ebbi davanti agli

occhi la visione di un mondo in aspetto di vasto e desolato

disordine, mentre in realtà, grazie ai nostri sforzi instancabili,

esso rappresenta il più luminoso sistema di piccoli espedienti

pratici che mente umana possa concepire. Ma fu un attimo; tornai

subito nel mio guscio. BISOGNA tornarci - non è vero? - sebbene a

me sembrasse anche di aver perduto tutte le mie parole nel caos di

cupi pensieri che avevo contemplato per uno o due secondi di là

dalla frontiera. Ma mi tornarono ben presto anche le parole,

perché anch'esse appartengono al concetto di luce e d'ordine che è

il nostro rifugio di protezione. Me le trovai a disposizione prima

ancora di sentirla mormorare dolcemente: 'Mi ha giurato di non

lasciarmi mai, quando eravamo lì, soli! Me lo ha giurato!...' 'Ed

è possibile che lei... lei! non gli creda?' domandai, con tono di

sincero rimprovero, ché veramente mi sentivo urtato. Perché non

poteva credergli? A che scopo tutta quella smania d'inquietudine,

quell'attaccarsi a tutte le paure, come se l'inquietudine e la

paura fossero la salvaguardia del suo amore? Era mostruoso.

Avrebbe dovuto farsi, di quell'onesto affetto, un rifugio di pace

inespugnabile. Ma forse mancava dell'esperienza... o forse della

capacità necessaria. Ci aveva sorpresi la notte; si era fatto buio

presto intorno a noi, sicché la ragazza era insensibilmente

svanita come la forma impalpabile di uno spirito inquieto e

dispettoso. E a un tratto la sentii di nuovo mormorare calma:

'Altri uomini bianchi hanno fatto gli stessi giuramenti.' Era come

il commento interiore a un pensiero pieno di tristezza e di

terrore. E soggiunse, ancora più piano, se possibile: 'Anche mio

padre.' S'interruppe per trarre un impercettibile sospiro. 'Anche

il padre di mia madre...' Queste cose sapeva! Subito dissi: 'Ah!

ma lui non è così!' Su questo punto sembrava non voler discutere;

ma dopo un poco mi tornò all'orecchio il calmo strano mormorio che

passava come in sogno nell'aria: 'In che è diverso? E' migliore,

lui? E'...' 'Credo di sì,' interruppi. 'Sulla mia parola d'onore.'

Abbassammo la voce, in tono di mistero. In mezzo alle capanne, tra

gli operai di Jim (in gran parte schiavi liberati dalla palizzata

dello sceriffo), qualcuno attaccò un canto acuto e strascicato.

Oltre il fiume un grande fuoco (in casa di Doramin, credo) formava

una palla di luce isolata nella notte. 'E' più leale?' mormorò

lei. 'Sì,' risposi.

'Più leale di tutti gli altri uomini?', ripeté, scandendo la

frase. 'Nessuno qui,' feci, 'si sognerebbe di dubitare della

parola di lui... nessuno oserebbe... tranne lei.'

Qui mi parve di vederle fare un gesto. 'Più coraggio,' proseguì

con altra voce. 'Non sarà mai la paura, è sicuro, a farlo

allontanare da lei,' replicai un po' inquieto. Il canto

s'interruppe su una nota acuta, a cui seguirono varie voci in

lontananza. Anche quella di Jim. Mi stupì il silenzio di lei. 'Che

le ha detto? Le ha detto qualche cosa?' domandai. Nessuna

risposta. 'Che le ha detto?' insistei.

'E come faccio a dirglielo? Che ne posso sapere, io? Che ne

capisco?' esclamò alla fine. Colsi appena un movimento. Credo che

stesse torcendosi le mani. 'C'è qualche cosa che lui non potrà mai

dimenticare.'

'Tanto meglio per lei,' ribattei cupamente.

'Che cos'è? Che cos'è?' Dette una straordinaria forza di

invocazione al tono supplichevole della sua voce. 'Dice che ha

avuto paura. Come posso crederlo? Sono matta, io, da crederlo?

Siete tutti pieni di ricordi di laggiù, voialtri. Ci tornate

tutti, laggiù, a ritrovarli. Che cos'è? Me lo dica lei! Che è

questa cosa? E' una cosa viva?... è una cosa morta? Una cosa che

odio, perché è senza pietà. Ha forse una faccia e una voce...

questa sciagura? La vedrà lui? la sentirà? Forse nel sonno, quando

non può vedermi... e allora si alzerà e se n'andrà. Ah! non gli

perdonerò mai. Mia madre aveva perdonato... ma io no, mai! Ci sarà

un segno... un richiamo?...'

Era un fatto straordinario. Dubitava perfino del sonno

dell'amato... e credeva che io le potessi spiegare il perché! Così

un povero mortale, sotto il fascino di un fantasma, potrebbe

cercar di strappare a un altro spettro il tremendo segreto

dell'attrazione dell'al di là su un'anima incorporea, vagante tra

le passioni di questa terra. La terra stessa, su cui poggiavo,

sembrava dissolversi sotto i miei piedi. Eppure, era così

semplice: ma se gli spiriti evocati dalle nostre paure e dalla

nostra inquietudine hanno mai dovuto garantire l'uno per l'altro

la loro costanza di fronte a quei maghi derelitti che siamo noi,

io in quel momento, io solo tra i rivestiti di carne, fui

costretto a rabbrividire per il gelo disperato di un simile

compito. Un segno, un richiamo! Si esprimeva in termini così

efficaci, la sua ignoranza! Poche parole! Come le avesse imparate

e come facesse a formularle, non riesco a immaginarmelo. Le donne

traggono ispirazione dalla stretta di momenti che a noi appaiono

soltanto spaventosi, assurdi, o futili. La semplice scoperta che

aveva una voce bastava a far tremare il cuore. Se una pietra

calpestata avesse gridato di dolore non sarebbe stata una cosa più

grande né più pietosa. Quei pochi sussurri nel buio mi scopersero

alla mente la tragedia delle loro due vite ottenebrate. Era

impossibile farle capire. Mi irritai tra di me di essere un buono

a nulla. E anche Jim... povero diavolo! Chi poteva aver bisogno di

lui? ricordarlo? Aveva quel che voleva: ché ormai tutti si erano

forse dimenticati della sua stessa esistenza. Avevano entrambi

soggiogato i loro destini. Erano nella tragedia.

Ella stava immobile al mio fianco evidentemente in attesa, e ora

sarebbe stato mio compito parlare in favore di quel mio fratello

richiamato dal regno delle ombre in oblio. Ero profondamente

scosso per la mia responsabilità e per la sua pena. Avrei pagato

qualunque cosa per riuscire a calmare la sua anima così fragile e

che si dibatteva nella sua ineluttabile ignoranza, come un

uccellino contro le sorde sbarre della gabbia. Niente di più

facile che dire: Non temere! Niente di più difficile. Chi sa come

si farà a uccidere la paura? Come si fa a colpire al cuore uno

spettro con una fucilata, a tagliargli la testa di spettro con un

fendente, ad afferrarlo per la sua gola di spettro? E' un'impresa

a cui ci si butta nei sogni, e che si è ben contenti quando se ne

esce fuori con i capelli madidi e tutte le membra in tremore.

Quella pallottola non è ancora stata fusa, quella lama non ancora

forgiata, e ancora non è nato quell'uomo; perfino le parole alate

della verità cadono ai nostri piedi come pezzi di piombo. Occorre

per uno scontro così disperato una freccia incantata e avvelenata,

intinta in una menzogna tanto sottile come non ce n'è sulla terra.

Un'impresa di sogno, signori miei!

Cominciai il mio esorcismo con un peso al cuore, e anche una

specie di rabbia sorda. Giungeva da oltre il cortile la voce di

Jim, levatasi a un tratto severa, a rimproverare qualcuno che

doveva avere commesso qualche sciocca mancanza. Nulla cominciai

con parole sommesse, ma nette - non ci poteva esser nulla in quel

mondo sconosciuto, che lei immaginava tanto impaziente di rubarle

la sua felicità: nulla c'era né vivo né morto, non un viso, né una

voce, né una forza capaci di strapparle dal fianco il suo Jim.

Ripresi fiato, e lei mormorò dolcemente: 'Me l'ha detto.' '"Le ha

detto la verità,' replicai. 'Nulla,' sospirò; e a un tratto mi si

rivolse con voce quasi impercettibile. 'Perché è venuto tra noi da

laggiù, lei? Jim parla troppo spesso di lei. Lei mi fa paura.

Lei... ha bisogno di Jim?' Una specie di ferocia segreta si era

infiltrata nel nostro mormorio concitato. 'Io, qui, non ci tornerò

mai più,' dissi con amarezza. 'E non ho bisogno di Jim. Nessuno ha

bisogno di lui.' 'Nessuno,' ripeté non convinta. 'Nessuno,'

affermai, in preda a una strana emozione. 'Lei lo crede forte,

saggio, coraggioso, grande... perché non crederlo anche sincero?

Io partirò domani - e così, tutto finito; lei non sarà mai più

turbata da nessuna voce di laggiù. Quel mondo che lei non conosce

è troppo grande per accorgersi della mancanza di Jim. Capisce?

Troppo grande. Lei ha nelle sue mani il cuore di Jim. Deve

rendersi conto di questo. Deve saperlo.' 'Sì, lo so,' fece in un

soffio, duro e fermo, come potrebbe essere quello di una statua.

Sentii di non esser riuscito a niente. Ma a che cosa volevo

riuscire? Oggi non lo so più bene. Ero allora animato da una

inesplicabile ardenza, come davanti a un compito grande e

necessario - era l'influsso del momento sul mio stato mentale ed

emotivo. Nella vita di tutti noi ci sono momenti simili a tali

influssi, per così dire, dal di fuori; irresistibili,

incomprensibili - quasi creati da misteriose congiunzioni di

pianeti. Quella ragazza possedeva, come avevo detto a lei, il

cuore di Jim. Possedeva quello e tutto il resto - qualora fosse

riuscita a crederci. Io le avevo detto semplicemente che nessuno

al mondo avrebbe mai avuto bisogno del cuore, del cervello, della

mano di lui. E' la condizione comune: eppure, detta d'un singolo,

sembrava una cosa orrenda. Mi ascoltò senza aprir bocca; il suo

silenzio era adesso come la reazione di una insuperabile

incredulità. Che glie ne doveva importare, a lei, del mondo al di

là di quelle foreste? - domandai. Dalla varia moltitudine che

popolava la vastità di quel mondo ignoto, potevo affermarle che

non sarebbe mai venuto, vita durante, né un richiamo né un segno

per Jim. Mai. Ero lanciato: Mai! Mai! Ricordo con meraviglia la

mia spietata insistenza. Avevo l'illusione di aver finalmente

afferrato lo spettro per la gola. Veramente, la realtà di quel

colloquio mi ha lasciato in tutti i suoi particolari lo stupore di

un sogno. Che aveva da temere? Sapeva che egli era forte, sincero,

savio, coraggioso: tutto questo era. Certo. Era di più. Era

grande... invincibile... e il mondo non aveva bisogno di lui, lo

aveva dimenticato, non lo riconoscerebbe nemmeno.

M'interruppi; il silenzio su Patusan era profondo; e il lieve

rumore di una pagaia contro il fianco di una canoa in un punto in

mezzo al fiume sembrava riprenderlo all'infinito. 'Perché?'

mormorò. Provai quella specie di rabbia che si prova durante una

lotta accanita. Lo spettro tentava di scivolar via dalla mia

stretta. 'Perché?' ripeté più forte; 'me lo dica!' E siccome

indugiavo perplesso, batté un piede per terra come un bambino

capriccioso. 'Perché? Parli.' 'Vuole saperlo?' domandai furibondo.

'Sì!' esclamò. 'Perché non vale abbastanza,' ribattei con

brutalità. Nel breve silenzio che seguì vidi il fuoco sull'altra

sponda crescere tutto a un tratto d'intensità, dilatando il suo

cerchio di luce come un occhio per stupore, e subito contrarsi in

una rossa punta di spillo. Mi accorsi di quanto la ragazza mi era

vicina soltanto quando sentii la stretta delle sue dita sul mio

avambraccio. Mise nella sua voce trattenuta un'infinità di rovente

disprezzo, di amarezza e di disperazione.

'E' proprio quello che ha detto lui... Lei mente.'

Le ultime due parole me le gridò nel suo dialetto indigeno. 'Mi

ascolti!' supplicai; ebbe un tremito di singulto, e mi lasciò il

braccio. 'Nessuno, nessuno vale abbastanza,' cominciai col più

grande impeto. Udivo il suo faticoso ansimare rotto da singhiozzi

e paurosamente concitato. Abbassai il capo. A che pro? Sentivo

avvicinarsi dei passi; scivolai via senza aggiungere parola...".

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

CAPITOLO 34.

Marlow allungò le gambe, balzò in piedi, e barcollò un poco, come

se avesse atterrato dopo un salto attraverso lo spazio. Appoggiò

la schiena contro la balaustra, di fronte alla scomposta fila

delle poltrone di vimini. Il suo movimento parve riscuotere dal

loro torpore i corpi che vi stavano adagiati. Un paio si

drizzarono a sedere, trasalendo; qua e là ardeva ancora qualche

sigaro; Marlow li guardò a uno a uno con gli occhi di chi torna

dall'infinita lontananza di un sogno. Uno si schiarì la gola; una

voce calma parve incitare, ma senza interesse: "E poi?"

"E poi niente", rispose Marlow, riscosso appena. 'Glie lo aveva

detto,' ecco tutto. E lei non gli aveva creduto - e niente altro.

Quanto a me, non so se è giusto, conveniente, da persona a modo,

che io me ne rallegri o me ne rammarichi. Per parte mia, non

saprei che ne pensassi allora - e in realtà non lo so neanche

adesso, ed è probabile che non lo saprò mai. Ma quel povero

diavolo che pensava? La verità deve trionfare - sapete? Magna est

veritas et... Sì, quando ce la fa. C'è una legge senza dubbio -

come c'è una legge che regola la sorte ai dadi. Non è la

Giustizia, serva degli uomini, ma sono l'accidente, il caso, e la

Fortuna - alleata del Tempo paziente - a reggere quella bilancia

equilibrata e scrupolosa. Tutti e due le avevamo detto la stessa

identica cosa. Ma avevamo detto tutti e due la verità?- o uno solo

- o nessuno?..."

Marlow s'interruppe, incrociò le braccia sul petto, e poi, con

altro tono:

"Lei disse che noi eravamo bugiardi. Poveretta. Beh... lasciamo la

decisione al caso, che ha per alleato il Tempo, il quale non si

può accelerare, e per nemica la Morte, che non si può ritardare.

Avevo battuto in ritirata - un po' avvilito, lo confesso. Avevo

tentato di lottare con la paura in persona - e ero stato messo a

terra io, naturalmente. Ero riuscito soltanto ad aggiungere

all'angoscia della ragazza il sospetto di qualche segreta

combutta, di una cospirazione complicata e misteriosa per tenerla

allo scuro per sempre. E tutto questo così, senza sforzo,

naturalmente, ineluttabilmente, per opera di lui, di lei stessa!

Era come se mi fosse stato rivelato il meccanismo dell'implacabile

destino di cui siamo le vittime - e gli strumenti. Era spaventoso

pensare a quella ragazza che avevo lasciato lì, nella sua

immobilità; i passi di Jim avevano un suono di fatalità mentre,

senza vedermi, si avvicinava con le sue pesanti scarpe allacciate.

'Come! Al buio?' disse a voce alta, sorpreso. 'Che state facendo

al buio - voi due?' Subito dopo dovette scoprire lei. 'Ciao,

ragazza!' esclamò allegramente. 'Ciao, ragazzo!' rispose l'altra

di rimando, con mirabile forza d'animo.

Era il loro saluto abituale, e quel tanto di spacconeria che lei

metteva nella sua voce piuttosto acuta, ma dolce, faceva un

effetto molto buffo, grazioso e infantile; e piaceva tanto a Jim.

Questa fu l'ultima volta che li udii scambiarsi quel saluto

familiare, e mi gelò il cuore. Era la solita voce acuta e dolce,

la solita graziosa sforzatura, la solita spacconeria; ma tutto

sembrò troppo presto spento, e il giocondo richiamo suonò

piuttosto come un gemito. Era maledettamente triste. 'Che ne hai

fatto di Marlow?' chiedeva Jim; e poi: 'E' sceso - sì? Strano che

non l'ho veduto... E' lì, lei, Marlow?'

Non risposi. Non volevo intervenire... non ancora per lo meno.

Proprio non potevo. Mentre mi chiamava io badavo a svignarmela

attraverso un cancelletto che metteva a un terreno aperto sboscato

di fresco. No; non avevo ancora il coraggio di trovarmi faccia a

faccia con loro. Camminavo a passo svelto, testa bassa, lungo una

traccia di sentiero. Il terreno era in leggera salita, i pochi

alberi grandi erano stati abbattuti, il sottobosco tagliato e

l'erba bruciata. Jim aveva in progetto di tentare una piantagione

di caffè. La grande collina, erta la doppia vetta, nera come il

carbone contro il giallino della luna nascente, sembrava gettar la

sua ombra sullo scasso preparato per l'esperimento. Jim intendeva

farne tanti altri, di esperimenti; avevo ammirato la sua energia,

il suo spirito d'iniziativa, la sua sagacia. Niente al mondo

sembrava meno reale, adesso, dei suoi piani, della sua energia e

del suo entusiasmo; alzando gli occhi, vidi uno spicchio di luna

scintillare attraverso i cespugli dietro lo spacco della collina.

Per un momento si sarebbe detto che quel disco liscio, cadendo in

terra dal suo luogo nel cielo, si fosse sprofondato nel

precipizio; la sua ascensione, un rimbalzo a rilento; si liberò da

un intrico di ramoscelli; il ramo nudo e contorto di un albero le

attraversò la facciona d'un taglio nero. Irradiava lo spazio a

fasci paralleli come di fondo a una caverna, e in questa

malinconica luce da eclissi i ceppi degli alberi tagliati

mettevano macchie d'uno scuro intenso, e le loro ombre compatte mi

raggiungevano da ogni lato: ai miei piedi la mia ombra mobile, e

quella della tomba solitaria perpetuamente inghirlandata di fiori,

che mi attraversava il sentiero. Nella luce attenuata della luna

le corolle della ghirlanda assumevano forme non presenti alla

memoria e colori non definibili all'occhio, come di fiori non

raccolti da mani umane, cresciuti non sulla terra, e destinati

soltanto ai morti. Il loro profumo acuto aleggiando nell'aria

calda, la rendeva densa e greve come i fumi dell'incenso. Le

pietre di corallo bianco spiccavano intorno alla zona d'ombra come

un rosario di crani rinsecchiti; così profondo era il silenzio

intorno, che quando mi fermai parvero spenti ogni suono e ogni

movimento del mondo.

Era una gran pace, come se la terra fosse stata tutta una tomba, e

per un poco rimasi là, col pensiero fisso alle creature vive che,

sepolte in luoghi remoti, fuori anche dalla conoscenza

dell'umanità, sono condannate dal destino a condividerne le

tragiche o grottesche miserie. E anche, chi sa? le sue lotte

generose. Il cuore umano è tanto vasto da contenere tutto il

mondo; tanto valente da sopportarne il peso; ma chi avrebbe, poi,

il coraggio di liberarsene?

Dovevo essermi lasciato prendere dall'umore sentimentale, forse;

so soltanto che mi indugiai lì tanto quanto bastò a che quel senso

di solitudine assoluta si impadronisse di me, e così a fondo da

farmi credere che tutto ciò che dianzi avevo veduto e udito,

compresa la stessa parlata umana, fosse trasmigrato fuori dalla

nostra esistenza, affidato ancora solo per un poco alla mia

memoria, come se fossi stato l'ultimo abitante della terra. Era

una illusione strana e malinconica, sviluppatasi nel subcosciente

come tutte le nostre illusioni, le quali mi sta in mente altro non

siano se non visioni di una verità remota e irraggiungibile,

appena intravista. Quello era senza dubbio uno dei luoghi persi,

dimenticati, sconosciuti della terra; me l'ero studiato fin sotto

la sua superficie oscura; era chiaro che domani, quando l'avessi

lasciato per sempre, sarebbe scivolato fuori dell'esistenza, per

vivere soltanto nella mia memoria finché non fossi finito in

dimenticanza anch'io. Pure adesso mi produce quella sensazione:

alla quale si deve forse se mi sono indotto a raccontarvi questa

storia, a tentar di trasmettervi la sua, per così dire, autentica

consistenza, la sua realtà - la verità sbocciata da una momentanea

illusione.

Venne ad interromperla Cornelius. Uscì fuori, come un verme,

dall'erba alta che cresceva in un avvallamento del terreno. Doveva

esser lì vicino quel marciume della sua casa, che io non avevo mai

vista, non essendomi allontanato mai tanto in quei paraggi. Mi

corse incontro sul sentiero; gli vedevo spiccare contro il terreno

buio i piedi calzati di scarpe bianco sporco; si drizzò e cominciò

ad adularmi piagnucolando sotto il suo copricapo a tubo di stufa.

La sua piccola carcassa rinsecchita era tutta sepolta, ingoiata da

un abito di panno nero. Era vestito da festa, da cerimonia, e

questo mi ricordò che era domenica: la quarta che passavo a

Patusan. Durante tutta la mia permanenza mi ero vagamente accorto

del suo desiderio di confidarsi con me, appena fosse riuscito ad

avermi tutto per lui. Mi ciondolava intorno con un'espressione

avida e avvilita in tutta la sua faccetta acida e gialla; ma lo

tratteneva sia la timidezza quanto la mia naturale riluttanza a

trattare con un individuo così antipatico. Ci sarebbe arrivato,

comunque, se fosse stato meno pronto a sgattaiolare non appena gli

si mettevano gli occhi addosso. Sgattaiolava sotto lo sguardo

severo di Jim, sotto il mio, che pur mi sforzavo di conservare

indifferente; perfino sotto le occhiate dall'alto in basso,

arcigne, di Tamb'Itam. Sgattaiolava via in continuazione; ogni

volta che si vedeva guardato, muovendo obliquo, la testa inclinata

sulla spalla, o con un ghigno di malfidanza, o con un aspetto

desolato, pietoso, chiuso; ma sotto nessun atteggiamento riusciva

a nascondere l'innata, irrimediabile abiezione del suo carattere,

più di quanto un abito di sapiente confezione non riesca a

dissimulare una mostruosa difformità del corpo.

Non so se per lo scoraggiamento della completa sconfitta di meno

di un'ora fa, nel mio scontro con lo spettro della paura, io mi

lasciai accalappiare da lui senz'ombra di resistenza. Ero

destinato a fare il ricettacolo delle confidenze, e a trovarmi

alle prese con domande per le quali non c'è risposta. Era una

seccatura; ma il disprezzo, la ripugnanza gratuita per l'aspetto

di quell'individuo facilitava la cosa e aiutava a sopportarla. Non

aveva importanza. Nulla aveva importanza, dacché m'ero persuaso

che Jim, il solo che mi premesse, aveva finalmente dominato ii

proprio destino. Mi aveva detto di essere soddisfatto... quasi. E'

andar più oltre di quanto non osino i più di noi. Io - che ho il

diritto di considerarmi abbastanza a posto - non oserei. E nessuno

di voi, qui, non è vero?..."

Marlow s'interruppe, quasi attendesse una risposta. Nessuno fiatò.

"Benissimo", riprese. "Che non lo sappia anima viva. La verità può

esserci estorta solamente da qualche piccola catastrofe tremenda e

dolorosa. Ma lui è dei nostri, e ha potuto dire di essere

soddisfatto - quasi. Pensate un po'! Quasi soddisfatto. C'era da

invidiargli la sua catastrofe. Quasi soddisfatto. Dopo questo,

niente conta più niente. Non conta chi avesse sospettato di lui,

chi si fosse fidato di lui, chi gli volesse bene, chi gli volesse

male... tanto più se a volergli male era Cornelius.

Eppure, dopo tutto, anche questo era una specie di riconoscimento.

Si può giudicare un uomo dai suoi nemici quanto dai suoi amici, e

questo nemico di Jim era tale, che nessun uomo per bene si

vergognerebbe di averlo contro, anche senza prenderlo troppo sul

serio. Questo era il punto di vista di Jim, che condividevo; ma

Jim lo disprezzava per considerazioni d'indole generale. 'Mio caro

Marlow,' fece; 'sento che se io vado dritto, niente mi può

toccare. Io vado dritto. Ora lei è stato qui abbastanza per

essersi reso conto di come stanno le cose: e, francamente, non le

pare che sono del tutto al sicuro? Non dipende che da me, e,

perdiana! io ho un bel po' di fiducia in me stesso. Il peggio che

potrebbe farmi costui è di uccidermi, direi. Ma non credo affatto

che lo farebbe. Non gli basta l'animo, sa... nemmeno se il fucile

glie lo dessi io, carico; e poi mi mettessi col viso al muro.

Ecco: è fatto così... E anche se lo facesse... se ne avesse il

coraggio? Beh... e allora? Non sono scappato qui per salvarmi la

vita... non è vero? Sono venuto per mettermi le spalle al muro, e

ci sto...'

'Finché sarà soddisfatto... del tutto,' interruppi.

Stavamo seduti in quel momento sotto al carabottino di poppa della

sua barca; venti pagaie balenavano come una sola, dieci per parte,

battendo l'acqua con unico tonfo; dietro di noi Tamb'Itam

affondava senza rumore il suo remo a destra o a sinistra, per

mantenere la lunga canoa sul filo della corrente. Jim chinò il

capo, e lì sembro spegnersi davvero la nostra ultima

conversazione. Mi accompagnava fino alla foce del fiume. Lo

schooner era partito il giorno prima, arrancando sul riflusso, e

io avevo prolungato di una notte il mio soggiorno. Ora veniva ad

accompagnarmi.

Jim s'era preso un po' a male che io gli avessi anche soltanto

nominato Cornelius. In fondo, non avevo poi detto gran che. Troppo

insignificante, quello lì, per essere pericoloso, benché fosse

pieno di odio da scoppiare. Mi dava di 'eccellenza' ogni due

frasi, venendomi piagnucoloso a fianco a fianco in tutto il tratto

dalla tomba della sua 'defunta moglie' fino al cancello del

recinto di Jim. Giurava di essere il più infelice degli uomini,

una vittima, schiacciata come un verme; e che io lo guardassi,

supplicò. Io non ci pensai neanche e non voltai il capo; ma vedevo

con la coda dell'occhio la sua ombra ossequiosa strisciare vicino

alla mia, mentre la luna, sospesa sulla nostra destra, sembrava

godersi lo spettacolo in santa pace. Cercò di spiegarmi - come vi

ho detto - la parte che aveva avuto negli avvenimenti di quella

notte memorabile. Si trattava di fare il doppio giuoco. Come

poteva sapere chi avrebbe preso il sopravvento? 'Lo avrei salvato,

eccellenza! Lo avrei salvato per ottanta dollari,' protestò in

tono dulcoroso, tenendosi di un passo dietro a me. 'Si è salvato

da sé,' ribattei; 'e le ha perdonato.' Udii una risatina, ed

essendomi voltato di scatto lo credetti sul punto di darsela a

gambe. 'Che ci ha da ridere?' domandai, fermandomi. 'Non ci creda,

sa, eccellenza!' strillò, perdendo evidentemente il controllo sui

propri sentimenti. 'Lui, salvarsi! Non sa nulla, eccellenza! -

nulla di nulla. Chi è? Che ci fa qui? Che vuole quel... pezzo di

ladrone? Che vuole qui? Dar la polvere negli occhi a tutti; anche

a lei, eccellenza; ma a me no, sa: non ce la fa. E' un grande

imbecille, eccellenza.' Risi con ripugnanza, e, girando sui

tacchi, ripresi la strada. Si mise a trotterellare al mio fianco,

mormorando con insistenza: 'Non vale più di un bambino, qui... di

un bambinetto... un bambinetto.' Va da sé che non l'ascoltai

nemmeno; e vedendo che il tempo stringeva, perché ci stavamo

avvicinando alla palizzata di bambù che spiccava sul terreno scuro

della radura, venne al punto. Cominciò con un abietto lacrimare.

Le gran disgrazie gli avevano toccato il cervello. Sperava che

avrei avuto la bontà di scordarmi tutto quel che mi diceva,

indotto soltanto dai suoi guai. Non mica per niente; ma Sua

Eccellenza non poteva immaginar che significhi esser rovinato,

distrutto, calpestato. Dopo questo preambolo, si accostò

all'argomento che lo toccava più da vicino; ma in modo così

fumicoso, tortuoso e abietto, che stentai a capire dove volesse

andare a parare. Voleva ch'io mi adoprassi in suo favore presso

Jim. Pareva che ci fosse di mezzo una questione di danaro. Sentii

a più riprese le parole 'Una modesta provvigione... un adeguato

presente.' Pareva reclamasse un compenso di qualche cosa, e arrivò

al punto di proclamare con un certo calore che non valeva la pena

di vivere per vedersi derubato di tutto. Non fiatai naturalmente,

ma neanche mi turai le orecchie. Il nocciolo della faccenda, che

via via mi si chiarì, era questo: che si considerava in diritto di

ricevere del danaro in cambio della ragazza. Se l'era tirata su.

La figlia d'un altro. Gran pena e disturbo - un vecchio ormai

adeguato presente. Se Sua Eccellenza volesse mettere una

parolina... Mi fermai per guardarmelo un po' bene, ma lui, temendo

che lo considerassi, suppongo, troppo esigente, si affrettò subito

a fare una concessione: in cambio di un 'adeguato presente,'

subito e per una volta tanto, si dichiarò pronto a riassumersi

l'onere della ragazza 'senz'altro compenso, al momento del

rimpatrio di quel signore.' La sua faccetta gialla, avvizzita come

un limone strizzato, era tutta tesa di avara ingordigia.

Piagnucolava carezzevole: 'E poi più niente da pensare... naturale

tutela... una somma di danaro...'

Io stavo lì, pieno di stupore. Evidentemente per questo genere di

cose ci aveva una vocazione. Scoprii ad un tratto sotto al suo

fare scivoloso una sorta di certezza, come se nella certezza

avesse sguazzato per tutta la vita. Dovette credere che io stessi

considerando spassionatamente la sua proposta, perché si fece

dolce come il miele. 'Tutti i signori lasciano una provvigione al

momento del rimpatrio,' cominciò con tono insinuante. Sbattei il

cancelletto. 'Nel caso presente, signor Cornelius,' dissi, 'quel

momento non verrà mai.' Gli ci volle qualche secondo per assorbire

la notizia. 'Cosa?' strillò. 'E che,' ribattei, dall'altra parte

del cancello, ' non l'ha sentito dire anche da lui, proprio dalla

sua bocca? Non tornerà mai in patria.' 'Oh! questo è troppo!'

gridò. Non mi chiamava più 'eccellenza.' Rimase un po' in

silenzio, e poi, senza più ombra di umiltà, cominciò a voce bassa:

'Non tornerà mai... eh? Lui... lui... lui viene, sa il diavolo da

dove viene... viene qui... sa il diavolo perché... per calpestarmi

fino alla mia morte... ah... calpestarmi,' (batté piano i piedi

per terra, uno dopo l'altro) 'calpestarmi così... sa il diavolo

perché... fino alla mia morte...' La sua voce si spense del tutto;

fu preso da un colpo di tossetta; si avvicinò alla staccionata per

dirmi, in tono miserevole e confidenziale, che non si sarebbe

lasciato mettere sotto i piedi. 'Pazienza... pazienza,' borbottò,

battendosi il petto. Avevo smesso di farmi beffe di lui, ma fu lui

a colpirmi con una improvvisa risata convulsa: 'Ah! ah! ah! La

vedremo! La vedremo! Come? Rubare a me? Portarmi via tutto! Tutto!

Tutto!' La testa gli ricadde su una spalla, le mani gli pendevano

davanti intrecciate. Si poteva credere che quella ragazza gli

fosse più cara del suo respiro e che gli si fosse spezzata anima e

cuore per la più crudele delle spoliazioni. A un tratto rialzo la

testa e sbottò in una invettiva oltraggiosa: 'Come sua madre - è

come quella bugiarda di sua madre. Tale quale. Anche di faccia. Di

faccia. Demonio!' Appoggiò la fronte alla staccionata, e in quella

posizione sputò minacce e orribili bestemmie in portoghese con

sorde interiezioni, miste a miserevoli gemiti e lamenti, emessi

con certi scossoni di spalle che facevan pensare a un terribile

insulto di vomito. Uno spettacolo inenarrabilmente basso e

grottesco, e me ne allontanai in fretta. Cercò di gridarmi dietro

qualcosa. Un insulto per Jim, credo... non troppo forte, però,

perché eravamo vicini alla casa. Ben chiaro mi arrivò soltanto:

'Non più che un bambinetto... un bambinetto...'".

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

CAPITOLO 35.

"Ma la mattina dopo, alla prima curva del fiume che mi nascose le

case di Patusan, tutto questo mi cadde in blocco dagli occhi,

colore, disegno e senso, come un quadro fissato dalla fantasia

sulla tela, e al quale, dopo averlo a lungo contemplato, si

voltano le spalle per sempre. Rimane però nella memoria immobile,

col suo colore, fermato nella sua vita in una luce immutabile.

Ambizioni, paure, odio, speranze, mi sono presenti nel ricordo

proprio come le vidi allora - intense e direi sospese per sempre

nella loro espressione. Avevo voltato le spalle al quadro, e

tornavo nel mondo degli avvenimenti mobili, degli uomini mutevoli,

dove la luce vibra, la vita scorre in limpida corrente, non

importa se sul fango o sui sassi. Non intendevo tuffarmici dentro,

avrei avuto abbastanza da fare per tener fuori la testa. Quanto a

quello che mi lasciavo alle spalle, non so immaginarmelo mutato in

nessun modo. L'immenso e magnanimo Doramin e quella materna

streghetta di sua moglie a contemplare insieme le campagne

nutrendo in segreto le loro ambizioni per il figliolo; Tunku

Allang, rinsecchito e sempre in gran perplessità: Dain Waris,

intelligente e coraggioso, con la sua fede in Jim, il suo sguardo

fermo e la sua cordialità ironica; la ragazza in una adorazione

piena di orgasmo e di sospetto; Tamb'Itam, arcigno e fedele;

Cornelius, con la fronte appoggiata alla staccionata sotto la luna

- li sento immancabili. Come sotto una bacchetta magica. Ma la

figura intorno alla quale si raggruppano tutti costoro - quella

sola vive, ma non così precisa. Nessuna bacchetta magica può

fermarla ai miei occhi. E' dei nostri.

Jim, come vi ho detto, mi accompagnò nella prima tappa di ritorno

verso il mondo al quale aveva rinunciato, e il nostro cammino

pareva a volte condurci proprio nel cuore della foresta vergine. I

tratti liberi del fiume scintillavano sotto al sole a picco; tra

gli alti muri di vegetazione la caldura sonnecchiava sull'acqua e

la barca, spinta vigorosamente, si tagliava la via attraverso

un'aria che pareva essersi messa a riparo, densa e calda,

nell'àmbito di smisurati alberi.

L'ombra della separazione imminente aveva già posto uno spazio

immenso fra noi e dovevamo fare uno sforzo per parlare, come se

avessimo dovuto forzar le nostre voci troppo basse per vincere una

distanza sempre più vasta e crescente. La barca volava

addirittura; uno vicino all'altro, soffocavamo in quell'atmosfera

stagnante e arroventata; l'odore di fango, di palude, l'odore

primigenio della terra feconda sembrava pungerci la faccia; finché

a un tratto, a una curva, fu come se una grande mano da una

perduta lontananza avesse sollevato una tenda pesante. La luce

stessa ne sembrò ravvivata, si allargò il cielo sulle nostre

teste, un mormorio remoto ci giunse alle orecchie, ci avviluppò

una frescura che ci riempì i polmoni, ci accelerò sangue, pensieri

e nostalgie - e, dritto di fronte a noi, le foreste si

appiattirono contro l'orlo azzurro cupo del mare.

Tirai un profondo respiro, risollevato dalla vastità

dell'orizzonte aperto, nella mutata atmosfera che sembrò vibrare

di un travaglio di vita, dell'energia di un mondo impeccabile. Mi

si apriva questo cielo e questo mare. Aveva ragione la ragazza:

veniva di là un segno, un richiamo - qualche cosa a cui rispondevo

con ogni mia fibra. Lasciai spaziare i miei occhi, come chi,

liberato da una catena, si sgranchisce le membra, corre, salta, si

abbandona all'ebbrezza istintiva della libertà. 'Splendido!'

esclamai; poi guardai il peccatore che mi stava a fianco. Sedeva

con la testa affondata sul petto, e disse 'Sì,' senza alzar gli

occhi, quasi temesse di vedere scritto in grande, sul cielo

limpido oltre la foce, il rimprovero della sua coscienza

romantica.

Ricordo i minimi particolari di quel pomeriggio. Approdammo su un

piccolo tratto di spiaggia bianca, chiusa da una bassa scogliera

boscosa in vetta, rivestita di rampicanti proprio fino alla base.

Sotto a noi, la piana del mare, di un inteso e sereno azzurro,

sembrava salire quasi insensibilmente fino al filo dell'orizzonte,

teso all'altezza dei nostri occhi. Grandi ondate scintillanti

scorrevano leggere sulla solcata superficie carica, rapide come

piume incalzate dalla brezza. Si stendeva, di fronte all'estuario

aperto, una catena di isole, rotte e massiccie, orlate da una zona

d'acqua vitrea che ne disegnava puntualmente i contorni. Alto

nella luce falba del sole, un uccello solitario, tutto nero, si

teneva sospeso nel cielo, calando e risollevandosi sempre allo

stesso punto con un lieve palpito d'ali. Un gruppo di capanne di

stuoia, squallide e sporche di nerofumo, si levava sulla propria

immagine rovesciata, sopra una quantità di alti pali contorti

color d'ebano. Se ne staccò una minuscola canoa nera, con due

minuscoli uomini, tutti neri, che facevano sforzi sovrumani a dar

di remo nell'acqua pallida; e la canoa sembrava slittare a fatica

su uno specchio. Quel gruppo di squallide capanne formava quel

villaggio di pescatori che godeva la particolare protezione del

Signore bianco, e i due uomini che arrancavano erano il vecchio

capo e suo genero. Approdarono, e ci vennero incontro sulla rena

bianca, magri, color marrone carico, come pesci affumicati, con

macchie cinerine sul nudo delle spalle e del petto. Portavano

legati intorno alla testa fazzoletti sudici, ma attorti con cura,

e il vecchio cominciò subito a esporre una sua lagnanza, volubile,

tendendo il suo braccio magro, sbirciando Jim dal basso con i suoi

vecchi occhi cisposi e fiduciosi. La gente del Rajah non li

lasciava in pace; c'era stata una storia per una certa quantità di

uova di tartaruga che i suoi avevano raccolto su quelle isolette -

e appoggiandosi a braccio teso sulla pagaia, indicò il mare con

una mano magra color marrone. Jim ascoltò un poco senza alzare gli

occhi, e alla fine, con dolcezza, gli disse di aspettare. Gli

avrebbe dato retta più tardi. I due si ritirarono obbedienti un

po' distanti, seduti sui talloni e con le pagaie posate davanti a

loro sulla rena: lo seintillìo argenteo dei loro occhi seguiva

pazientemente i nostri movimenti; e l'immensa apertura di mare,

l'immobilità della costa che si stendeva a nord e a sud a perdita

d'occhio, formavano una Presenza colossale che osservava quei

quattro nani, isolati su una striscia di sabbia scintillante.

'Il guaio è,' osservò Jim immusonito, 'che per generazioni i

pescatori di questo villaggio, poveracci, sono stati considerati

schiavi personali del Rajah... e quel vecchio citrullo non si vuol

mettere in testa che...'

L'interruppi. 'Che lei ha cambiato ogni cosa,' interloquii.

'Già. Ho cambiato ogni cosa,' ripeté con voce sorda.

'Ha avuto la sua Occasione,' ripresi.

'Io?' replicò. 'Beh, sì. Forse. Sì, ho ripreso fiducia in me

stesso - una buona fama - eppure a volte preferirei... No! Mi

contento di quello che ho. Non posso pretendere altro.' Levò a un

tratto il braccio verso il mare. 'Comunque, non di là.' Batté il

piede sulla sabbia. 'Qui è il mio confine, perché di meno non mi

contento.'

Continuammo a passeggiare sulla spiaggia. 'Sì, ho cambiato ogni

cosa,' riprese, con un'occhiata di traverso ai due pescatori

pazientemente accoccolati per terra, 'ma cerchi un po' di

figurarsi che accadrebbe se io me ne andassi. Perdiana! Se

l'immagina? Si scatena l'inferno. No! domani andrò a tutto mio

rischio a prendere il caffè da quello stupido vecchio di Tunku

Allang, e farò un sacco di storie per quelle uova di tartaruga.

No. Non posso dire: basta. Mai. Devo andare avanti, avanti sempre,

tenendo sempre presente il mio scopo, per sentire con sicurezza

che niente può toccarmi. Devo appoggiarmi alla loro fiducia in me

per sentirmi sicuro e per... per...' Si guardò intorno per cercar

la parola giusta, parve cercarla sul mare... 'per sentirmi in

contatto con...' A un tratto abbassò la voce che divenne un

sussurro: '...con coloro che, forse, non vedrò mai più. Con - con

- lei, per esempio.'

A queste parole mi sentii profondamente umiliato. 'Per amor di

Dio,' dissi, 'non mi metta così in alto, mio caro; pensi soltanto

a sé.' Sentivo gratitudine, affetto, per quel povero disperso che

mi aveva scoperto con un'occhiata e tirato fuori da una insulsa

moltitudine, che era il mio mondo: e non c'era poi da menarne gran

vanti, in fin dei conti. Distolsi il viso che mi scottava; sotto

il sole basso, di una luce già smorta, e scarlatto come un tizzo

tolto dal fuoco, la distesa del mare offriva la sua sconfinata

immobilità alla imminente discesa del globo infocato. Due volte

stette per parlare, ma si frenò; finalmente, quand'ebbe trovato la

formula:

'Terrò fede,' disse, con voce tranquilla. 'Terrò fede,' ripeté

senza guardarmi, ma lasciando per la prima volta vagar lo sguardo

sulle acque, che da azzurre si erano tinte dl un rosso cupo sotto

le fiamme del tramonto. Ah! era romantico, romantico. Ricordai le

parole di Stein... 'Nell'elemento distruttivo immersi!;.. Seguire

il sogno, sempre seguire il sogno.. e così... sempre... usque ad

finem.' Era romantico, ma non meno sincero per questo. Chi può

dire quali forme, quali visioni, che facce, quali pedoni vedeva

lui nel fulgore del ponente. Una lancia, staccatasi dallo

schooner, avanzava lenta, col ritmo regolare dei due remi verso la

sabbia della nostra riva per venirmi a prendere. 'E poi c'è

Gioiello,' soggiunse in quel gran silenzio della terra, del cielo

e del mare: i quali mi avevano così profondamente occupato i più

reconditi pensieri che la sua voce mi fece trasalire. 'Già,'

mormorai. 'Non ho bisogno di dirle quello che essa è per me,'

disse. 'Lo ha ben visto. Col tempo finirà col capire...' 'Lo

spero,' interruppi. 'Anche Gioiello si fida di me,' disse con aria

pensosa; poi cambiò tono. 'Chissà quando ci rivedremo?' disse.

'Mai... a meno che lei non venga via,' risposi, evitando il suo

sguardo. Non sembrò sorpreso; rimase un momento immobile.

'E allora addio,' disse dopo una pausa. 'Meglio così, forse.'

Ci stringemmo la mano, e mi avviai alla lancia che aspettava con

la poppa sulla spiaggia. Lo schooner, con la maestra issata e un

fiocco controvento, faceva gran riverenze al mare di porpora; le

vele avevano una tinta rosa. 'Tornerà subito in patria?' domandò

Jim, mentre io già scavalcavo il bordo. 'Fra un anno circa, se

sarò vivo,' risposi. La chiglia grattò sul fondo, la barca prese

il mare, i remi bagnati si tuffarono una volta, due volte.

Sull'orlo dell'acqua, Jim alzò la voce: 'Dica a quelli laggiù...'

cominciò. Feci cenno agli uomini di alzare i remi, e aspettai,

profondamente sorpreso. Dire a chi? Il sole, già immerso per metà,

gli stava di fronte; vedevo il suo riflesso rosso negli occhi di

Jim che mi seguiva con uno sguardo vuoto... 'No - niente,' disse,

e con un lieve gesto della mano accennò alla barca di

allontanarsi. Io non mi volsi più verso terra finché non mi fui

arrampicato a bordo dello schooner.

Frattanto il sole era tramontato. Il crepuscolo si stendeva da

levante, e la costa, tutta opaca, allungava all'infinito un muro

di oscurità che sembrava il baluardo della notte, mentre da

ponente l'orizzonte era tutto un riflesso d'oro e di scarlatto, e

vi stava sopra una grande nuvola isolata, spenta e immobile,

spandendo un'ombra color lavagna sull'acqua sottostante; vidi Jim

sulla spiaggia che osservava lo schooner puggiare e mettersi alla

via.

I due pescatori seminudi, appena andato via io, si erano alzati in

piedi; senza dubbio avevano ripreso a versare i crucci della loro

vita meschina di oppressi nelle orecchie del Signore bianco, il

quale senza dubbio li ascoltava come in causa propria: non era

forse questa una parte della sua fortuna - la fortuna 'cominciata

dalla parola Partenza' - la fortuna di cui mi aveva detto di

sentirsi all'altezza? Una fortuna, direi, anche per loro; di cui

anche loro, sono certo, erano all'altezza, in virtù della loro

insistenza. Persi di vista i loro corpi di pelle scura che si

fusero nello sfondo di oscurità molto prima di quello del loro

protettore. Era bianco dalla testa ai piedi, e seguitò ad essere

bene in vista, con il bastione della notte alle spalle, il mare ai

piedi, e al suo fianco l'Occasione - sempre velata. Che dite? Era

sempre velata? Non so. Per me, quella figura bianca

nell'immobilità silenziosa della costa e del mare mi sembrava nel

cuore di un enigma smisurato. Sul suo capo il crepuscolo si

ritirava rapidamente dal cielo, la striscia di sabbia gli si era

già sommersa sotto ai piedi, lui stesso non sembrava più alto di

un bambino... poi un punto soltanto, un minuscolo punto bianco,

che sembrò prendersi tutta la luce rimasta in un mondo

ottenebrato... E a un tratto, non lo vidi più...".

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

CAPITOLO 36.

Con queste parole Marlow aveva terminato il suo racconto, e i suoi

ascoltatori si erano subito sparpagliati mentre egli era rimasto

con lo sguardo assente, assorto. Gli uomini uscirono dalla veranda

soli o a coppie senza indugiarsi, senza perdersi in osservazioni,

come se l'ultima immagine di quella storia incompiuta e la sua

stessa incompiutezza, e il tono stesso dello storico, avessero

eliminato ogni discussione, ogni possibile commento. Ognuno di

loro sembrava portarsi via con sé come un segreto la propria

opinione su quella storia; ma ce n'era uno che un giorno doveva

apprenderne l'ultima parola. Gli giunse in casa, più di due anni

dopo, dentro un grosso pacco con l'indirizzo tracciato dalla

scrittura dritta e angolosa di Marlow.

Il privilegiato aprì il pacco, ci guardò dentro, e, posatolo, si

avvicinò alla finestra. Il suo appartamento era all'ultimo piano

di un edificio altissimo, donde si poteva spingersi lontano con lo

sguardo oltre i vetri limpidi della finestra, come a guardare

dalla lanterna di un faro. Gli spioventi dei tetti spiccavano

separati da interstizi d'ombra che si susseguivano come onde buie

e senza schiuma; e dal profondo della città, sotto i suoi piedi,

saliva un confuso e continuo brusìo. I campanili delle chiese,

numerosi e sparpagliati a caso, si levavano come fari su un

labirinto di secche senza canali; il battere della pioggia si

mescolava al calar del crepuscolo nella sera invernale, e il

rintoccar del grande orologio che da una torre batteva le ore,

passò ronzando con tonfi di suono voluminosi e austeri, con, al

centro, una vibrazione più acuta. L'uomo chiuse le tende pesanti.

La lampada del tavolino, col suo paralume, sonnecchiava come uno

stagno riparato dai venti; non risuonava il suo passo sul tappeto,

i suoi giorni di vagabondaggio erano finiti. Non più orizzonti

sconfinati come speranze; non più crepuscoli nelle foreste solenni

come templi, nell'ardente ricerca del Paese Inesplorato, di là

dalla collina, oltre il fiume, al di là dell'onda. Battevano le

ore. Non più! Non più!... ma il pacco aperto sotto la lampada gli

riportava con suoni e visioni il sapore stesso del passato - una

moltitudine di visi sfocati, un tumulto di voci lontane, che si

spegnevano sulle sponde di mari remoti sotto a un sole

inconsolatamente appassionato. Sospirò, e si sedette per leggere.

Dapprima vide tre plichi separati: un bel po' di pagine fitte e

tenute insieme da uno spillo; un foglio unico, quadrato, di carta

grigiastra con poche parole scritte in una calligrafia che non

aveva mai veduta; e una lettera d'accompagno di Marlow; di tra i

fogli della quale un'altra ne cadde, ingiallita dal tempo e tutta

spiegazzata. La raccolse, e, messala da parte, prese il messaggio

di Marlow, diede subito una rapida scorsa alle righe iniziali, ma

poi, frenandosi, si mise a leggere in tutta calma, come uno che si

avvicini attento e a lenti passi a un paese inesplorato, che ha

appena allora intravisto.

"... non credo che tu abbia dimenticato, diceva la lettera. Tu

solo hai dimostrato per lui un interesse che è sopravvissuto al

racconto della sua storia, benché - me lo ricordo bene - neanche

tu volevi ammettere che egli fosse arrivato a dominare il suo

destino. Tu prevedevi per lui la tragedia di trovarsi un giorno

stanco e disgustato degli onori acquistati, del compito impostosi,

dell'amore nato dalla pietà e dalla giovinezza. Dicesti di

conoscere troppo bene 'questo genere di cose,' le loro

soddisfazioni illusorie, la inevitabile delusione. Dicesti anche -

ricordo - che 'dare la propria vita per loro,' (e loro voleva dire

tutta l'umanità di colore: bruni, gialli o neri) 'era come buttar

l'anima ai cani.' Sostenevi che 'una cosa così' è sopportabile e

duratura solo se sorretta da una convinzione della verità di

alcune idee razzialmente nostre, in nome delle quali si stabilisce

l'ordine e la moralità di un progresso etico. 'Abbiamo bisogno di

questa forza alle spalle...' avevi detto. 'Abbiamo bisogno di

credere nella sua necessità e nella sua giustizia per fare un

degno e cosciente sacrificio della nostra vita. Senza di che il

sacrificio non è che smemoratezza, la via all'offerta non è

migliore della via alla perdizione.' In altre parole, per te, o

combattere nei propri ranghi, o perdersi la vita per niente. Può

darsi! Tu dovresti saperlo - sia detto senza malizia - tu che ti

sei gettato da solo in un qualche frangente, tirandotene fuori con

abilità, senza bruciacchiarti le ali. La questione è, comunque,

che, di tutta l'umanità, Jim era l'unico a non dover rispondere

che a se stesso; bisognerà vedere se alla fine non abbia

professato una fede più alta che le leggi dell'ordine e del

progresso.

Non affermo nulla. Potrai forse giudicare, a lettera finita. C'è

molto di vero - dopo tutto - nel modo di dire: 'come dentro una

nuvola.' E' impossibile farsene un'idea chiara specialmente quando

dobbiamo limitarci a vederlo un'ultima volta attraverso gli occhi

degli altri. Non ho nessuna difficoltà a riferirti quanto io so

dell'ultimo episodio che, come soleva dire Jim, 'era venuto a

lui.' Ci si domanda se non fu quella forse l'Occasione estrema, la

prova ultima e decisiva che ho sempre sospettato egli stesse

aspettando per formulare finalmente il suo messaggio

all'impeccabile mondo. Tu ricorderai che sul punto di lasciarci

l'ultima volta egli mi domandò se sarei tornato subito in patria,

e mi gridò a un tratto: 'Dica a quelli laggiù!...' E dopo aver

atteso - con curiosità, lo confesso, e anche con speranza - non lo

sentii aggiungere che un: 'No... niente.' E fu tutto, allora - e

non ci sarà mai niente di più; e neanche un messaggio, se non quel

tanto che ciascuno di noi potrà ricavare interpretando per proprio

conto il linguaggio dei fatti, che sono spesso più enigmatici dei

più scaltriti giri di parola. Fece, è vero, ancora un tentativo

per liberarsi; ma vano anche questo, come vedrai se dai

un'occhiata al foglio di carta grigiastra qui accluso. Aveva

tentato di scrivere; avrai notato la calligrafia molto comune. E'

intestata: 'La Fortezza, Patusan.' Immagino che abbia attuato il

suo progetto di trasformare la sua casa in un fortilizio

difensivo. Il progetto era ottimo: un profondo fossato, un

terrapieno sormontato da una palizzata, e agli angoli cannoni

montati su piattaforme per dominare tutti i fronti del quadrato.

Doramin si era indotto a cedergli i cannoni; e sicché ogni suo

uomo avrebbe saputo dove trovare uno scampo e ogni fido partigiano

dove accorrere in caso di pericolo improvviso. Tutto questo

dimostrava la sua giudiziosa previdenza, la sua fede nel futuro.

Quelli che chiamava 'i miei propri uomini,' - i prigionieri dello

Sceriffo liberati - dovevano formare un quartiere a parte a

Patusan, con le loro capanne e quelle quattro dita di terreno

sotto le mura della fortezza. Dentro, lui, da solo: un esercito

invincibile. 'La Fortezza, Patusan.' Nessuna data, come vedi. Che

significa un numero o un nome per un giorno tra tanti giorni? E'

anche impossibile dire a chi volesse indirizzarsi quando prese la

penna in mano: Stein - me - il mondo in blocco... O non fu che il

grido vano, sbigottito, di un uomo solitario di fronte al suo

destino? 'E' successo un fatto tremendo,' scrisse, prima di

lasciar cadere la penna una prima volta: guarda quella macchia che

sembra la punta di una freccia, sotto quelle parole. Dopo un po'

ci si era provato di nuovo, scarabocchiando con mano pesante, di

piombo, un'altra riga: 'Ora devo subito...' La penna gli aveva

fatto uno scarto, e questa volta ci rinunciò. E niente più: si era

trovato di fronte a un immenso abisso a perdita d'occhio e di

voce. Posso capirlo: era stato sopraffatto dall'inesplicabile;

sopraffatto dalla sua stessa personalità... il dono di quel

destino che aveva fatto di tutto per dominare.

Ti mando anche una vecchia - vecchissima - lettera, trovata

riposta con cura nei suoi incartamenti. E' di suo padre, e dalla

data vedrai che la dovette ricevere pochi giorni prima di

imbarcarsi sul Patna. Dunque dev'essere l'ultima che ha ricevuto

da casa. L'aveva custodita come un tesoro tutti questi anni. Il

buon vecchio pastore prediligeva il figlio marinaio. Ho letto

qualche frase qua e là. E tutta affetto, e basta. Dice al suo

'caro Giacomo' che l'ultima sua lunga lettera era molto 'proba e

dilettevole.' Gli raccomanda di non 'giudicare il prossimo in

fretta e con severità.' Sono quattro pagine di morale alla mano, e

notizie di famiglia. Tom aveva 'preso gli Ordini.' Il marito di

Carrie aveva avuto 'rovesci finanziari.' Il buon vecchio prosegue

esortandolo a fidare sia nella Provvidenza sia nell'ordine

stabilito dell'universo, che ha certo i suoi piccoli pericoli come

le sue piccole ricompense. Par quasi di vederlo, brizzolato e

sereno, nel rifugio inviolabile del suo studio foderato di libri,

scolorito e comodo, dove per quarant'anni si era sempre girato e

rigirato coscienziosamente intorno alle sue ristrette idee sulla

fede e la virtù, sulla condotta nella vita e sulla sola maniera

pulita di morire; dove aveva scritto tante prediche, dove si era

tante volte seduto a ragionare col suo ragazzo da lì all'altro

capo del mondo. Ma che è la distanza? La virtù una in tutto il

mondo, e una la fede, una la buona condotta di vita, unico il modo

di morire pulitamente. Spera che il suo 'caro Giacomo' non

dimentichi mai che 'colui che una volta apre le porte alla

tentazione, arrischia in quell'attimo la totale depravazione, e la

perdizione eterna.' Quindi risolversi fermissimamente a non mai,

per nessun motivo al mondo, far cosa che si reputi malvagia. Ci

sono anche notizie di un cane assai diletto; e quel poney 'che

calvacate tutti voialtri ragazzi,' era diventato cieco di

vecchiaia e si era dovuto ucciderlo. Il bravo vecchio invoca la

benedizione del cielo; la mamma e le ragazze allora in casa

mandano i loro saluti affettuosi... No, non c'è gran che in quella

lettera gialla e sciupata, sfuggita dopo tanti anni all'affettuosa

custodia. Non aveva mai avuto risposta, ma chi può dire quali

colloqui egli avrà allacciato con tutte quelle immagini placide e

scolorite di uomini e donne che popolavano quel tranquillo angolo

del mondo, libero dal pericolo e dalla lotta quanto una tomba, e

abituato a respirare in pieno equilibrio un'aria di indisturbata

rettitudine. Sembra incredibile che fosse questo il suo mondo, di

lui al quale erano 'venute' tante cose. A loro, lì, non 'veniva'

mai nulla; mai non erano presi alla sprovvista, mai chiamati a

cimento col destino, Eccoli tutti qui, evocati dal mite

chiacchiericcio paterno, tutti questi fratelli e sorelle, ossa

delle sue ossa e carne della sua carne, che guardano con occhi

chiari, inconsapevoli, mentre a me pare di vedere lui, tornato

finalmente, non più un semplice punto bianco nel cuore di un

immenso mistero, ma dritto di tutta la sua statura, negletto in

mezzo alle loro immagini imperturbate, con aria severa e

romantica, ma sempre muto, oscuro - dentro una nuvola.

La storia degli ultimi avvenimenti la troverai nelle poche pagine

accluse. Devi ammettere che è più romantica dei più strampalati

sogni della sua adolescenza; eppure secondo me c'è dentro una

specie di logica profonda e spaventosa, come se la nostra

immaginazione avesse il potere da sola di scatenarci addosso la

violenza di un destino soverchiatore. L'imprudenza dei nostri

pensieri ricade sul nostro capo; chi scherza con la spada di spada

perirà. Quest'avventura stupefacente, di cui il lato più

stupefacente è che è autentica, ci si presenta come una

conseguenza ineluttabile. Qualcosa del genere doveva accadere. Ce

lo ripetiamo dentro di noi, mentre ci meravigliamo che una cosa

sìmile sia potuta accadere nell'anno di grazia ultimo scorso. Ma è

successo - e non c'è da star a discuterne la logica.

Te la riferisco come se ne fossi stato testimonio oculare, su

informazioni frammentarie; io però ho messo insieme i vari

frammenti, e mi par che ce ne sia abbastanza per cavarne fuori un

quadro intelligibile. Chissà come l'avrebbe raccontata lui. Si è

confidato tanto spesso con me, che mi sembra debba entrare qui da

un momento all'altro a contarmela tutta a modo suo, con la sua

voce indifferente e pure piena di sentimento, con i suoi modi

sbrigativi; un po' perplesso, un po' seccato, un po' offeso, ma

ogni tanto capace di rivelarti con una parola o una frase uno di

quei lampi della sua vera personalità che non servivano affatto ad

orientarti. E' difficile credere che non tornerà più. Non sentire

mai più la sua voce, né vedere il suo viso liscio, d'un color rosa

abbronzato, con un orlo bianco sulla fronte, e gli occhi giovanili

che nei momenti di eccitazione diventavano di un cupo insondabile

azzurro fondo".

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

CAPITOLO 37.

"Origine di tutto è la notevole impresa di un tale Brown, che si

rubò pari pari uno shooner spagnolo da una piccola baia vicino a

Zamboanga. Finché non ebbi scoperto quell'individuo, le mie

informazioni restarono incomplete; ma mi capitò sottomano nel modo

più inaspettato poche ore prima che rendesse l'anima proterva.

Fortunatamente in voglia e in grado di parlare, nonostante gli

attacchi d'asma che gli tagliavano ogni tanto il respiro, il suo

corpo martoriato si torceva di maligna esultanza al solo pensiero

di Jim. Esultava all'idea di aver 'dato la paga a quel vanesio,

alla fine.' Era raggiante di quella sua azione. Dovetti sopportare

lo sguardo affocato dei suoi occhi feroci coronati di rughe, per

venir a sapere quel che m'importava: e così lo sopportai,

riflettendo quanto siano vicine alla pazzia certe forme di

cattiveria, originate da un potente egoismo, attizzate dalla

protervia, che frantumano l'anima, e danno al corpo un illusorio

vigore. Il racconto rivela anche una insospettata profondità di

astuzia in quel disgraziato di Cornelius, il cui odio abietto ed

intenso, come una sottile ispirazione, lo mise sulla dritta via

della vendetta.

'Mi accorsi a colpo d'occhio con che razza di imbecille l'avevo da

fare,' ansimò il moribondo Brown. 'Un uomo quello lì? Accidenti!

Una canna vuota, era. Non poteva dir subito: - Giù le mani dal mio

bottino! -, che Dio lo stramaledica? Questo sarebbe stato agire da

uomo! Dio gli imputridisca quella sua anima di lusso! Mi aveva in

mano laggiù - ma non ce la faceva con me: ci voleva un punto più

del diavolo. Macché! Un tanghero come quello lasciarmi perdere

come se non meritassi neanche un calcio!...' Brown ansimava

disperatamente per riprender fiato... 'Mascalzoni!... lasciarmi

perdere... E così alla fine glie l'ho fatta vedere io, a lui...'

Gli mancò di nuovo il respiro. 'Questo malanno mi ammazzerà di

certo, ma adesso muoio contento... Lei... lei... non so il suo

nome - le regalerei un biglietto da cinque sterline se... se lo

avessi... per questa notizia - quanto è vero che mi chiamo

Brown...' Ebbe un orrendo ghigno... 'Il gentiluomo Brown.'

Disse tutte queste cose ansando forte, fissandomi con quei suoi

occhi gialli fuori da quella faccia lunga, scura, devastata; agitò

il braccio sinistro; con quella barba pepe e sale tutta arruffata

che gli arrivava quasi alla cintura; e quella coperta sudicia e

ruvida che gli copriva le gambe. L'avevo scoperto a Bangkok per

mezzo di quel maneggione di Schomberg, l'albergatore, che mi aveva

suggerito in confidenza dove scovarlo. Pare che una specie di

vagabondo sfaticato e ubriacone- un bianco insabbiato fra gli

indigeni, che viveva con una donna siamese - avesse ascritto a suo

grande onore di dar ricovero nei suoi ultimi giorni al famoso

Gentiluomo Brown. Mentre costui parlava con me in quello squallido

tugurio, tenendo, si può dire, la vita coi denti minuto per

minuto, la donna siamese, grosse gambe nude e faccia stupida e

volgare, sedeva in un angolo buio masticando betel con stolidità

bestiale. Di quando in quando si alzava per cacciare fuori dalla

porta un pollastro, e tutta la capanna tremava sotto i suoi passi.

Un brutto bambino giallo, nudo e con la pancia rigonfia come un

piccolo budda stava ai piedi del giaciglio, col dito in bocca,

immerso in una profonda e calma contemplazione del moribondo.

Questi parlava febbrilmente, con una ferocia piena di gioia e di

folle e implacabile disprezzo verso il povero Jim; ma a volte, a

metà di una parola, una mano invisibile lo afferrava alla gola e

lui restava con gli occhi imbambolati, col petto ansante e

un'espressione di timore e d'angoscia. Si vedevano le sue labbra

volgari farsi violacee dietro ai baffi cascanti e ispidi. Pareva

temere che io, stanco di aspettar la fine del suo accesso, me ne

andassi, lasciandolo a metà del suo dire, senza poter sfogare

tutta la sua esultanza. Nulla di più lontano dai miei pensieri;

temevo anzi che la morte, sospesa su di lui, gli piombasse addosso

a un tratto, sventando il mio desiderio di sapere. Morì durante la

notte, credo, ma ormai non aveva altro da dirmi.

La storia la conoscevo già, si capisce; lui non fece che chiarirmi

un punto oscuro, benché il nero profondo del suo atto non si possa

diradare in nessun modo.

E di Brown, per il momento, basta.

Otto mesi prima, arrivando a Samarang, andai come al solito a

trovare Stein. Dal lato della casa che dava sul giardino, di sulla

veranda mi accolse con un timido saluto un Malese, che mi

ricordavo di aver visto a Patusan nella casa di Jim, fra altri

Bugi che venivano la sera a fare interminabili rievocazioni dei

loro ricordi di guerra o a discutere affari di Stato. Jim me lo

aveva segnalato una volta come un modesto e rispettabile mercante,

proprietario di una imbarcazione indigena di lungo cabotaggio, e

che si era mostrato 'uno dei migliori all'assalto della

palizzata.' Non rimasi troppo sorpreso nel vederlo, perché mi

parve naturale che un mercante di Patusan, avventuratosi fino a

Samarang, prendesse la via di casa Stein. Risposi al suo saluto e

passai oltre. Ma sulla porta di Stein m'imbattei in un altro

Malese che riconobbi per Tamb'Itam.

Gli domandai subito che cosa faceva lì; pensai che Jim ci fosse

venuto in visita. Confesso che al pensiero mi sentii contento e

ravvivato. Sembrava che Tamb'Itam non sapesse che dire. 'C'è Tuan

Jim?' domandai con impazienza. 'No,' mormoro confuso, abbassando

un momento il capo; poi con improvviso vigore: 'Non ha voluto

combattere. Non ha voluto combattere,' ripeté. Siccome pareva non

sapesse dir altro, lo spinsi da parte ed entrai.

Stein, alto e curvo, era solo, in piedi, in mezzo alla stanza, fra

le file delle cassette di farfalle. 'Ach! E' lei, amico mio? disse

accorato, scrutandomi attraverso gli occhiali. Una sdruscita

giacca a sacco di alpaga gli cadeva aperta fino alle ginocchia.

Aveva in testa un panama, e le guance pallide solcate da rughe

profonde. 'Che c'è di nuovo?' domandai con inquietudine. 'C'è

Tamb'Itam di fuori...' 'Venga a vedere la ragazza. Venga a vedere

la ragazza. E' qui,' fece, con una falsa mostra di energia. Cercai

di trattenerlo, ma con dolce ostinazione si rifiutò di rispondere

alle mie domande ansiose. 'E' qui, è qui,' ripeté tutto

agitazione. 'Sono venuti due giorni fa. Un estraneo, e un vecchio

come me... sehen Sie - non può far molto... Venga di qua... I

cuori dei giovani sono implacabili...' Vedevo che era in grande

angoscia... 'La forza della vita, in loro; la spietata forza della

vita...' borbottava, conducendomi in giro per la casa; lo seguii,

perso in congetture piene di desolazione e di collera. Sulla porta

del salotto mi sbarrò la strada. 'Lui la amava assai ,' fece

interrogativamente, e io mi limitai ad annuire col capo,

sentendomi così amaramente deluso che non mi fidavo a parlare.

'Molto spaventoso,' mormorò. 'Quella non può capirmi. Sono

soltanto un vecchio sconosciuto. Forse lei... la conosce. Le

parli. Non possiamo lasciarla così. Le dica di perdonargli. E'

stato molto spaventoso.' 'Certo,' feci, esasperato di essere

all'oscuro di tutto. 'Ma lei, Stein, lei gli ha perdonato?' Mi

guardò in un modo curioso. 'Sentirà,' disse, e, aprendo la porta,

mi cacciò - addirittura - nel salotto.

Tu conosci la grande casa di Stein, e le due immense sale da

ricevimento, disabitate e inabitabili, pulite, piene di solitudine

e di un brillìo di cose che paiono non essere state mai sfiorate

da uno sguardo umano? Sono fredde nelle giornate più torride, e vi

si entra come in una caverna sotterranea dal pavimento

accuratamente scopato. Ne attraversai una, e nell'altra vidi la

ragazza seduta all'estremità di un tavolone di mogano, su cui

appoggiava la testa, col viso nascosto tra le braccia. Il

pavimento a cera ne rifletteva vagamente l'immagine come una

lastra d'acqua gelata. Gli stoini di giunco erano calati; forti

raffiche di vento entravano attraverso la strana penombra

verdastra degli alberi di fuori, agitando i lunghi tendaggi delle

finestre e delle porte. La sua figura bianca sembrava plasmata

nella neve; i cristalli penduli del lampadario tintinnavano sul

suo capo come ghiaccioli trasparenti. Sentendomi avvicinare alzò

gli occhi e mi fissò in volto. Ero raggelato come se quelle vaste

sale fossero state la fredda dimora della disperazione.

Mi riconobbe subito e appena mi fui fermato a guardarla di sopra

in giù: 'Mi ha lasciata,' disse calma; 'ci lasciate sempre... per

i vostri disegni.' Non batteva ciglio. Pareva che tutto il calore

di vita si fosse raccolto in qualche punto inaccessibile del suo

petto. 'Sarebbe stato facile morire con lui,' continuò, e fece un

leggero, stanco gesto come di chi si arrende all'imperscrutabile.

'Non ha voluto! Era come cieco: ed ero io che gli stavo parlando;

ero io che gli stavo davanti agli occhi; ero io quella che lui

guardò per tutto il tempo! Ah! siete cattivi, traditori; senza

verità, senza compassione. Che cosa vi fa così malvagi? Oppure

siete tutti pazzi.'

Le presi la mano, che rimase inerte, e ricadde quando la lasciai,

fin quasi a sfiorare il pavimento. Quell'indifferenza, più

tremenda di un pianto, di un urlo, di una rampogna, sembrava

sfidare il tempo e la consolazione. Si sentiva che non si sarebbe

mai esaurita, e che mai una parola avrebbe raggiunto la sede di

quel dolore torpido e fermo.

Stein mi aveva detto 'Sentirà...' E sentii, infatti. Tutto. Seguii

con stupore, con orrore, la voce della sua stanchezza

irrimediabile. Non arrivavo ad afferrare il vero senso di quello

che mi andava raccontando con un rancore che mi riempiva di pietà

per lei... e anche per lui. Rimasi inchiodato là anche dopo che

ella ebbe finito. Appoggiata sui gomiti, teneva i suoi occhi duri

fissi nel vuoto; e passava il vento a raffiche, e i cristalli

continuavano a tintinnare nella penombra verdastra. Seguitò a

mormorare tra sé: 'Eppure mi stava guardando! Vedeva il mio viso,

sentiva la mia voce, e la mia pena! Quando mi sedevo ai suoi

piedi, con la guancia sul suo ginocchio e la sua mano sul capo, la

maledizione della cattiveria e della pazzia era già in lui, e

aspettava il giorno. E il giorno è venuto!... e prima del

tramontar del sole non mi vide più... s'era fatto cieco e sordo e

spietato, come siete tutti. Non piangerò per lui. Mai, mai. Non

una lagrima. No. Mai. E' scappato via da me peggio che se fossi la

morte. E' scappato come se fosse inseguito dalla maledizione di

qualche cosa che aveva udita o veduta nel sonno...'

I suoi occhi fermi sembravano inseguire l'immagine di un uomo

strappato alle sue braccia dalla forza di un sogno. Non rispose

neanche d'un cenno al mio inchino silenzioso. Fu per me una

liberazione andar via.

La rividi nello stesso pomeriggio. Lasciata lei, ero andato in

cerca di Stein, e non lo trovai in casa; e uscii in giardino,

tormentato da pensieri tristi; in quel famoso giardino di Stein

dove si trovano tutte le piante e tutti gli alberi dei bassopiani

tropicali. Seguii un corso d'acqua incanalato, e sedetti a lungo

su una banchina ombreggiata vicino a uno stagno ornamentale, dove

qualche anatra con le ali mozzate si tuffava e starnazzava

rumorosa. I rami degli alberi di casuarina alle mie spalle

ondeggiavano appena, costantemente, e mi ricordavano il fruscìo

degli abeti, al mio paese.

Questo suono malinconico e inquieto era l'accompagnamento adatto

alle mie riflessioni. La ragazza aveva detto che lui le era stato

strappato da un sogno, e non c'era niente da ribattere non pareva

potesse esservi perdono per una così mala azione. Eppure non è

l'umanità stessa a mettersi ciecamente in cammino, incalzata da

sogni di grandezza e di potenza sui sentieri tenebrosi di una

eccessiva crudeltà o di un'eccessiva dedizione? E che è la ricerca

della verità... dopo tutto?

Quando mi alzai per tornare a casa intravidi la giacca lisa di

Stein attraverso una breccia tra il fogliame, e presto, a una

svolta del sentiero, incontrai lui con la ragazza. La piccola mano

di lei poggiava sul suo avambraccio, e, sotto la falda larga e

piatta del suo panama, Stein si curvava su di lei, canuto,

paterno, con deferenza pietosa e cavalleresca. Io mi feci da

parte, ma loro si fermarono di fronte a me. Il vecchio aveva

chinato lo sguardo a terra, ai suoi piedi; la ragazza, dritta e

sottile al suo braccio, fissava un punto oltre le mie spalle,

cupa, con i suoi occhi grandi, chiari, immoti. 'Schrecklich,'

mormorò Stein. 'Terribile, terribile. Che si può fare?' Sembrava

supplicarmi ma la gioventù di lei, i lunghi giorni sospesi sul suo

capo mi supplicavano molto di più; e a un tratto, proprio mentre

mi rendevo conto che non c'era nulla da dire, mi trovai a perorare

la causa di Jim per pietà di lei. 'Deve perdonargli,' conclusi, e

la mia voce suonava soffocata alle mie stesse orecchie, persa in

una immensità sorda e senza risposta. 'Tutti abbiamo bisogno di

perdono,' soggiunsi dopo una pausa di silenzio.

'Che torti ho io?' domandò ella a fior di labbra.

'Di non aver mai avuto fede in lui,' risposi. 'Era come gli

altri,' disse lentamente.

'Non come gli altri,' protestai, ma ella continuò con voce

monotona, senza calore...

'Era un traditore.' E subito intervenne Stein. 'No! No! No! Mia

povera bambina!...'

Le diede qualche colpetto sulla mano abbandonata inerte sulla sua

manica. 'No! No! Non traditore! Fedele! Fedele! Fedele!' Cercò di

penetrare quel suo viso di sasso. 'Lei non capisce... Ach! Perché

non capisce?... Terribile,' disse a me. 'Un giorno DOVRA' capire.'

'Glie lo spiegherà lei?' gli chiesi, guardandolo fisso. Ripresero

a camminare.

Li seguii con lo sguardo. La sua gonna strusciava sul sentiero, i

suoi capelli neri cadevano sciolti. Camminava dritta e leggera a

fianco di quell'alto uomo dalla giacca lunga e sformata che gli

scendeva in pieghe perpendicolari dalle spalle curve, e che

procedeva a passi lenti. Scomparvero dietro quel boschetto (forse

te lo ricordi) dove crescono sedici qualità diverse di bambù tutte

riconoscibili all'occhio dello studioso. Per parte mia, io ero

affascinato dalla grazia squisita e dalla bellezza di quel

boschetto di flauti incoronati da foglie puntute e da sommoli di

piume, dalla leggerezza, dal vigore, dal fascino, chiaro come una

voce, di quella vita lussureggiante e risoluta. Ricordo che rimasi

a guardarlo a lungo, come uno che si indugi nel campo sonoro di un

mormorìo consolatore. Il cielo era color di perla. Era una di

quelle giornate coperte così rare ai tropici, in cui le memorie si

affollano dentro, memorie di altre sponde, di altri visi.

Tornai in città nel medesimo pomeriggio, portando con me Tamb'Itam

e l'altro Malese, che aveva fornito l'imbarcazione per la fuga al

momento del disastro, nel primo sbigottimento di paura e di pena.

Il colpo sembrava aver mutato il carattere a tutti. Aveva

impietrito la passione della ragazza, e reso quasi loquace

l'aggrondato e taciturno Tamb'Itam. Anche il suo tono arcigno era

ridotto a perplessa umiltà, come se avesse assistito al fallimento

di un gran mito in un momento supremo. Il mercante Bugi, un uomo

timido e titubante, fu molto preciso per quel poco che ebbe da

dire. Tutti e due erano sopraffatti evidentemente da un senso di

meraviglia profonda e inesprimibile, dal tocco di un mistero

imperscrutabile".

Qui, con la firma di Marlow, terminava la lettera. Il privilegiato

destinatario rattizzò la sua lampada, e, solitario tra il

mareggiare dei tetti della città, come il guardiano di un faro

alto sul mare, si avvio alla lettura del racconto.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

CAPITOLO 38.

"Tutto ebbe inizio, come ti ho detto, da quel Brown", cominciava

la prima frase del racconto di Marlow. "Tu che hai bazzicato per

il Pacifico occidentale devi averne sentito qualche cosa. Era il

furfante più tipico della costa australiana, non perché si facesse

vedere spesso in quei paraggi, ma perché era sempre in ballo in

tutte le storie sui fuori legge che si ammanniscono ai viaggiatori

in arrivo dalla madre patria; e la più blanda delle imprese che di

lui si raccontavano da Capo York a Eden Bay sarebbe stata più che

sufficiente a far impiccare un uomo, se fosse stata raccontata

altrove. Non mancava mai il particolare che egli fosse figlio di

un baronetto. Sia un po' come sia, è certo che aveva disertato da

una nave inglese nei primi tempi della caccia all'oro, e in pochi

anni fece parlare largamente di sé come del terrore di questo o di

quel gruppo di isole della Polinesia. Rapiva indigeni, spogliava

qualche solitario mercante bianco fino del pigiama che aveva

addosso, e, dopo aver saccheggiato quel povero diavolo, era capace

di sfidarlo come niente a un duello alla doppietta sulla spiaggia;

cosa neanche tanto sleale, di questi tempi, se l'altro non fosse

stato già mezzo morto dalla paura. Brown era un pirata in ritardo,

uno sciagurato al pari dei più celebri prototipi; ma ciò che lo

distingueva dalla confraternita dei furfanti suoi contemporanei,

come Bully Hayes o il mellifluo Pease, o quel mascalzone

profumato, quell'elegantone dagli scopettoni alla Dundreary

conosciuto col nome di Dick il Lercio, era il carattere arrogante

dei suoi misfatti e il suo disprezzo veemente per l'umanità in

genere e per le sue vittime in ispecie. Gli altri non erano che

dei bruti volgari e avidi, ma lui sembrava mosso da più complesse

intenzioni. Rubava a un uomo quasi soltanto per dimostrargli la

sua scarsa stima, e metteva nell'uccidere o nel mutilare qualche

pacifico e innocuo sconosciuto una intensità di vendetta così

selvaggia da terrorizzare il più temerario dei filibustieri. Nei

giorni del suo massimo splendore possedeva un tre-alberi armato,

con una ciurma mista di Kanaka e di balenieri evasi, e si vantava,

non so con quanta verità, di esser finanziato di sottomano dalla

più stimata ditta di mercanti di copra. In seguito scappò - dicono

- con la moglie di un missionario, la quale aveva sposato in un

momento di esaltazione quel poveraccio mite, dai piedi piatti, e,

trapiantata subito nella Melanesia vi aveva in certo modo perso la

bussola. Fu una storia triste. Era malata al tempo che Brown se la

portò via, e gli morì a bordo. Si racconta - come la cosa più

straordinaria che sul suo cadavere egli si abbandonasse a uno

scoppio di dolore cupo e violento. Poco dopo lo abbandonava anche

la sua buona fortuna. Perse la nave su certi scogli al largo di

Malaita, e scomparve per qualche tempo come se fosse andato a

fondo anche lui. Se ne sentì riparlare per la prima volta a Nuka-

Hiva dove comprò dalla Francia un vecchio schooner fuori servizio.

Quale impresa meritoria potesse avere in vista quando fece

quell'acquisto non saprei dire, ma è evidente che fra Alti

Commissari, consoli, navi da guerra e controlli internazionali, i

mari del Sud stavano diventando troppo caldi per un galantuomo del

suo stampo. E' chiaro che doveva aver spostato verso occidente il

suo teatro d'operazioni, perché un anno dopo egli ha una parte

d'incredibile audacia, se non proprio di gran profitto, in una

faccenda tragicomica nella Baia di Manilla, di cui sono

protagonisti un governatore reo di peculato e un tesoriere

latitante; da allora sembra si sia attaccato alle Filippine col

suo schooner marcito, sempre alle prese con l'avversa fortuna,

finché, un giorno, seguendo la sua via segnata, entrò a vele

spiegate nella storia di Jim, complice cieco delle Potenze Oscure.

A sentir lui, quando fu catturato da un cutter spagnuolo di

perlustrazione, non aveva fatto altro che un tentativo di passare

ai ribelli qualche fucile. In tal caso non so che ci facesse al

largo della costa meridionale di Mindanao. E' mia convinzione,

invece, che stesse taglieggiando i villaggi indigeni lungo la

costa. Fatto sta che il cutter, imbarcata una pattuglia sullo

schooner, lo obbligò a navigare di conserva verso Zamboanga.

Strada facendo, per una ragione o per l'altra, le due navi

dovettero dar fondo davanti a uno di quei nuovi possedimenti

spagnoli - che in definitiva non servirono mai a nulla - dove non

esisteva a riva che un solo funzionario civile in carica, ma c'era

lì nella calanca, all'àncora, un bello e robusto schooner da

piccolo cabotaggio; e quel barco, migliore del suo sotto ogni

punto di vista, Brown decise di rubarselo.

Gli andava, allora, a rotta di collo - come mi disse lui stesso.

L'aver bistrattato il mondo per venti anni con disprezzo feroce e

aggressivo non gli aveva procurato altro, dal punto di vista dei

vantaggi materiali, che una borsetta di dollari d'argento nascosta

così bene nella sua cabina che 'il diavolo stesso non l'avrebbe

potuta fiutare.' E nient'altro - assolutamente nient'altro. Era

stanco della sua esistenza, e non aveva paura della morte. Ma

quest'uomo, che si sarebbe giocata la vita per un capriccio con

amara e sarcastica baldanza, aveva una paura gialla della

prigione: una specie di assurdo terrore, sudafreddo, scuotinervi,

sanguinacqua, al solo immaginare l'eventualità d'esser messo in

gattabuia: quella sorta di terrore che proverebbe un pauroso dei

morti all'idea di poter essere abbracciato da uno spettro. Così è

che il funzionario civile salito a bordo per svolgere un'indagine

preliminare sulla cattura, in questa investigazione faticosa ci

spese tutto il giorno, e non scese a terra che a buio, avvolto nel

mantello e molto badando a non far tintinnare la borsa di dollari

di Brown. Dopo, essendo uomo di parola, provvide, fin dalla sera

seguente, a rispedire il cutter governativo in perlustrazione

urgentissima. Siccome il comandante del cutter non aveva uomini da

poter lasciare di guardia, si accontentò di portar via tutte le

vele di Brown fino all'ultima striscia di tela, e si prodigò a

rimorchiarne le due scialuppe sul secco della spiaggia a un paio

di miglia più in là.

Ma fra l'equipaggio di Brown c'era un isolano delle Salomone,

rapito in gioventù e devotissimo a Brown, il quale era il meglio

pezzo della banda. Costui si portò a nuoto fino alla nave

spagnuola - un cinquecento metri - l'estremità di una corda fatta

con tutti i pezzi di cima da manovra corrente annodati insieme per

la bisogna. Il mare era come l'olio, e nella calanca faceva buio

'come dentro la pancia di una vacca,' secondo l'espressione di

Brown. L'isolano delle Salomone si arrampicò sui bastingaggi, con

l'estremità della fune fra i denti. L'equipaggio della nave

costiera - tutti Tagal - era a terra a far bisboccia nel villaggio

indigeno. I due guardiani di bordo si svegliarono di soprassalto e

videro il diavolo. Aveva occhi scintillanti e saltò sul ponte come

un lampo. Caddero in ginocchio, paralizzati di paura; e fattisi il

segno della croce cominciarono a masticar preghiere. Con un

coltello che trovò nella cambusa, l'isolano, senza interrompere le

loro orazioni li pugnalò uno dopo l'altro; con lo stesso coltello

si mise a segare pazientemente la cima d'ormeggio finché non si

spezzò tutta in un colpo sotto la lama, schizzando nell'acqua.

Allora, nel silenzio della calanca, il Salomonese lanciò un cauto

grido, e la banda di Brown, che intanto se n'era stata con gli

occhi fitti e le orecchie dritte in attesa, cominciò a tirare pian

piano dall'altra estremità della fune. In meno di cinque minuti i

due schooner si toccarono dì murata con un leggero urto e uno

scricchiolìo del fasciame.

Senza perdere un attimo la gente di Brown trasbordò, portando con

sé le armi e una larga provvista di munizioni. Erano sedici in

tutto: due marinai scappati da un piroscafo inglese, uno

spilungone disertore da una nave da guerra Yankee, un paio di

Scandinavi biondi e innocenti, una specie di mulatto, un placido

Cinese che faceva il cuoco - e il resto, indefinibile minutaglia

dei mari del Sud. Nessuno di loro disse niente; Brown li piegava

al suo volere, e adesso Brown, indifferente all'idea della forca,

scappava dallo spettro di una prigione spagnuola. Egli non diede

loro neppur l'agio di trasbordare sufficienti provviste; il tempo

era calmo, l'aria carica di guazza, e quando salparono gli ormeggi

e si misero alla vela con una leggera brezza di terra non ebbero

un palpito le vele umide: il vecchio schooner sembrò staccarsi lui

dolcemente dalla nave rubata e scivolare via in silenzio, insieme

alla massa nera della costa, nella notte.

Se la cavarono in pieno. Brown mi riferì i particolari del loro

passaggio per gli Stretti di Macassar. E' una storia di una

disperazione ossessionante. Erano scarsi di cibo e d'acqua;

abbordarono parecchie imbarcazioni indigene e presero un po' di

roba da tutte. Con una nave rubata Brown non osava certo di

entrare nei porti. Non aveva soldi da comprar nulla, non aveva

documenti da mostrare, e neanche bugie plausibili per cavarsi

d'impaccio. Un brigantino arabo, battente bandiera olandese,

sorpreso una notte all'àncora al largo di Poulo Laut cedette un po

di riso sporco, un grappolo di banane, e una bariletta d'acqua;

tre giorni di burrasca con nebbia e vento da nord-est

scaraventarono lo schooner attraverso al mare di Giava. Ondate

gialle, fangose, inzupparono quella serqua di furfanti affamati.

Avvistarono i postali che facevano rotta fissa; incrociarono navi

inglesi, ben rifornite nei fianchi di ferro arrugginito,

all'àncora nei bassi fondi ad aspettare il cambiamento del tempo o

il flusso della marea; un giorno una cannoniera inglese, bianca e

linda, con due alberi sottili, tagliò loro la rotta da lontano; e

un'altra volta una corvetta olandese, nera e carica di vele,

comparve minacciosa da poppa, lentissima e fumigante nella nebbia.

Sgattaiolarono in mezzo a tutti, non visti e non curati, banda di

ultra-fuorilegge macilenti, facce gialle, divorati dalla fame e

incalzati dalla paura. Era progetto di Brown di puntare verso il

Madagascar, dove si aspettava, non senza fondata ragione, di

vendere lo schooner a Tamatave, senza interrogatori, o forse di

ottenere dei documenti di navigazione più o meno falsificati. Ma

prima di affrontare la lunga traversata dell'Oceano Indiano

cibarie occorrevano, e acqua, anche

Forse aveva sentito parlare di Patusan - o forse gli capitò magari

di trovare scritto in piccolo sulla carta quel nome probabilmente

di un villaggio alquanto grande, su un fiume, a una certa distanza

dalla foce, in uno Stato indigeno, del tutto ìndifeso, fuori dalle

vie battute del mare e dai cavi sottomarini. Aveva fatto già cose

del genere - in cerca di guadagno; ma quella d'ora era un'assoluta

necessità, una questione di vita o di morte - o meglio di libertà.

Libertà! Era certo di trovarvi provviste - bovini - riso - patate

dolci. Quell'equipaggio morto di fame si leccava le dita. Forse si

sarebbe potuto rimediare anche un carico di merce per il barco e,

chissà? - anche qualche po' di buona moneta sonante! Qualche volta

quei capi e maggiorenti di villaggi ci si arriva a portarli a

generose offerte. Mi disse che, a costo di arrostirli, a bocca

asciutta non ci sarebbe restato. Gli credo. Anche i suoi uomini

gli credettero. Non scoppiarono in applausi rumorosi perché erano

un branco piuttosto taciturno, ma arrotarono i denti come lupi.

In quanto al tempo la fortuna lo servì bene. Pochi giorni di

bonaccia avrebbero scatenato orrori innominabili a bordo di quello

schooner, ma con l'aiuto del vento di terra e di mare, in meno di

una settimana, dopo aver passato gli Stretti della Sonda, diedero

fondo alla foce, a Batu Kring, a meno di un tiro di schioppo dal

villaggio di pescatori.

Quattordici di loro si ammassarono nella scialuppa dello schooner

(che era grande, tanto che aveva già servito da barca da carico) e

si avviarono su per il fiume, avendo lasciato due di guardia a

bordo, con viveri sufficienti a tener a bada la fame per dieci

giorni. La marea e il vento erano in favore, e nelle prime ore di

un pomeriggio la grande scialuppa bianca, con una vela malandata,

e buon vento di mare in poppa, arrivò a Patusan, col suo

equipaggio di quattordici scelti spauracchi che spingevano avanti

certi loro sguardi vogliosi e affamati, le dita ai grilletti dei

loro vecchi fucili. Brown aveva calcolato su una terrificante

sorpresa al suo apparire. Giunsero con l'estrema spinta della

marea; la palizzata del Rajah non diede segno di vita; le prime

case dai due lati del fiume sembravano deserte. Qualche canoa in

piena fuga si vedeva in fondo al tratto diritto del fiume. Brown

rimase stupefatto della grandezza del villaggio. Regnava un

profondo silenzio. Tra le case il vento cadde; misero due remi, e

seguitarono a risalire il fiume, con l'idea di accamparsi al

centro della città prima che gli abitanti potessero pensare a una

resistenza.

Sembra però che il capo del villaggio a Batu Kring avesse pensato

a mandare in tempo un messaggio d'allarme. Quando la scialuppa

arrivò all'altezza della moschea (costruita da Doramin: un

edificio con comignoli e pinnacoli di corallo lavorato) lo spiazzo

di fronte era tutto pieno di gente. Risuonò un grido, seguito dal

fragore dei gong lungo tutto il fiume. Da un punto elevato

partirono due colpi di cannoncino da sei libbre, e i bronzei

proietti raggiunsero il tratto dritto e libero del fiume,

sollevando getti d'acqua scintillanti nel sole. Davanti alla

moschea una massa d'uomini cominciò urlando una sparatoria che

frustava per traverso la corrente del fiume; dalle due rive la

barca fu presa in mezzo a un fuoco di fucileria irregolare e

continuo, e gli uomini di Brown risposero con un fuoco nutrito e

selvaggio: intanto avevano ritirato i remi in barca.

Il flusso dell'alta marea si ritrae velocemente, in quel fiume, e

la barca in mezzo alla corrente, quasi nascosta dal fumo, cominciò

a retrocedere di poppa. Anche lungo le due rive il fumo si

addensava, stendendosi sotto ai tetti in una striscia orizzontale,

come a volte si vedono certi strappi di nuvole allungarsi

tagliando il pendìo di una montagna. Un tumulto di grida di

guerra, il clamore vibratorio dei gong, il ronfare profondo dei

tamburi, gli urli di rabbia, gli scoppi di fucileria facevano un

chiasso infernale, e Brown, in mezzo a questo bailamme, stupefatto

ma fermo, al timone, si rodeva l'anima, in preda a una crescente

ondata di odio e di rabbia contro quella gente che osava

difendersi. Gli rimasero feriti due dei suoi uomini; poi si vide

tagliare la ritirata a valle della città da alcune barche uscite

dalla palizzata di Tunku Allang. Erano sei, cariche d'uomini.

Mentre era minacciato così, scorse l'imbocco del ruscello (quello

stesso che Jim aveva saltato a bassa marea). In quel momento era

pieno fino all'orlo: vi diresse la scialuppa, sbarcarono, e, a

farla breve, si stabilirono su una piccola altura, a novecento

metri circa dalla palizzata, che venivano così, in fatto, a

dominare da quel punto. La collinetta era spoglia sui fianchi, ma

sulla vetta aveva qualche albero. Si diedero a buttarli giù per

farsene un parapetto di difesa, e avanti buio si trovavano

trincerati abbastanza bene; mentre le barche del Rajah, giù nel

fiume, si tenevano neutrali chissà perché. Tramontato il sole, i

bagliori di molti fuochi di stoppie illuminarono le rive del

fiume, e tra la doppia fila di case sulla sponda più elevata,

diedero un nero rilievo ai tetti, ai gruppi di palme sottili, ai

densi agglomerati di alberi da frutto. Brown ordinò di bruciare

tutta l'erba intorno al fortino; un anello di fiamme radenti sotto

al fumo che saliva lento serpeggiò rapido lungo il pendìo

dell'altura; qua e là un cespuglio secco prendeva fuoco con un

muggito forte e maligno. Il fuoco formò un campo libero di tiro ai

fucili della piccola pattuglia, e morì rosseggiando all'orlo della

foresta e lungo la riva fangosa del ruscello. Una striscia di

giungla lussureggiante nel fosso profondo tra la collinetta e la

palizzata del Rajah fermò il fuoco da quella parte con grandi

schianti e botti dei fusti di bambù che scoppiavano. Il cielo

buio, vellutato, brulicava di stelle. Il terreno annerito fumava

tranquillo, con qualche ultimo guizzo e pennacchietto qua e là,

finché, levatasi una brezzolina leggera, soffiò via ogni cosa.

Brown si aspettava un assalto appena la marea fosse risalita di

quel tanto da permettere alle barche da guerra, che gli avevano

tagliato la ritirata, di penetrare nel ruscello. Era comunque

sicuro che ci sarebbe stato un tentativo di portargli via la

scialuppa, che, ferma ai piedi della collinetta, formava un

ammasso alto nel buio sul debole appoggio di un piano di fango

umido. Ma le barche sul fiume non si mossero per nulla. Al disopra

della palizzata e degli edifici del Rajah, Brown vedeva i loro

lumi: sembravano ancorate in mezzo alla corrente. Luci vaganti si

muovevano nel tratto diritto del fiume, in continuo movimento da

una sponda all'altra. Delle luci occhieggiavano immobili sui

lunghi muri delle case lungo la riva, fino all'ansa del fiume,

altre più in là; altre ancora nel retroterra. Il bagliore di

grandi fuochi scopriva edifici, tetti, pilastri neri a perdita

d'occhio. Era un villaggio che non finiva più. I quattordici

invasori pronti a tutto, lunghi distesi dietro agli alberi

abbattuti, alzarono il mento per osservare il tumulto della città,

che sembrava estendersi per miglia e miglia lungo il fiume, e

brulicare di migliaia d'uomini furibondi. Non si scambiavano

parola. Ogni tanto arrivava un grido o uno sparo isolato molto da

lontano, chissà dove. Ma intorno alla loro trincea tutto era

immobile, buio, silenzioso. Sembravano dimenticati lì, come se

l'orgasmo che teneva sveglia quella popolazione non avesse nessun

rapporto con loro, come se fossero già morti".

CAPITOLO 39.

"Tutti gli avvenimenti di quella notte hanno una grande

importanza, giacché portarono a una situazione rimasta poi

inalterata fino al ritorno di Jim. Costui da più di una settimana

si trovava nell'interno, ed era stato Dain Waris a organizzare la

prima difesa. Quel giovane coraggioso e intelligente ('che sapeva

combattere alla maniera dei bianchi') avrebbe voluto sistemar la

faccenda lì per lì, ma non gli dettero retta: non aveva il

prestigio razziale di Jim, né la reputazione di un potere

invincibile, soprannaturale. Non era l'incarnazione visibile,

tangibile, della immancabile verità e della immancabile vittoria.

Amato, stimato ed ammirato quanto si vuole, restava pur sempre UNO

DI LORO mentre Jim era UNO DI NOI. Inoltre, l'uomo bianco, torre

di potenza di per se stesso, era invulnerabile, mentre Dain Waris

poteva essere ucciso. Furono questi pensieri impliciti a guidare

l'opinione dei capi della città; i quali stabilirono per

deliberare sul caso d'emergenza di raccogliersi nella fortezza di

Jim, quasi per trarre forza e saggezza, in assenza dell'uomo

bianco, dal luogo della sua dimora. Il loro umore era spietato.

Soprattutto i Bugi si sentivano esasperati. Il fuoco dei pirati di

Brown era stato così ben aggiustato o fortunato, che c'era una

mezza dozzina di caduti fra i difensori. I feriti, stesi sulla

veranda, venivano curati dalle loro donne. Le donne e i bambini

della città bassa erano stati raccolti nel forte al primo allarme.

Lì il comando lo aveva Gioiello, molto pratica ed energica,

obbedita dalla 'gente propria di Jim,' venuta a far da guarnigione

al forte, dopo aver abbandonato in blocco la piccola colonia sotto

la palizzata. I rifugiati le si affollavano intorno; e durante

l'intera vicenda, fino alla sua disastrosissima fine, la fanciulla

mostrò uno straordinario spirito combattivo. Da lei era corso Dain

Waris subito al primo sentore del pericolo; perché devi sapere che

Jim era il solo in Patusan a possedere una provvista di polvere da

sparo. Stein, col quale egli si era tenuto a stretto contatto per

lettera, s'era fatto rilasciare dal Governo olandese la speciale

autorizzazione di esportarne a Patusan cinquecento barili. Il

magazzino delle polveri era una capannuccia di pali grezzi

interamente coperta di terra; la chiave, in assenza di Jim, la

teneva la ragazza. Durante il Consiglio, che si riunì alle undici

di sera nella stanza da pranzo di Jim, essa sostenne l'opinione di

Dain Waris per un'azione immediata e a fondo. Dritta in piedi - mi

han detto vicino alla sedia vuota di Jim, al capo estremo del

lungo tavolo, tenne un discorso di foga così battagliera che lì

per lì strappò mormorii di approvazione da quel concilio di capi.

Il vecchio Doramin, che da oltre un anno non rimetteva il naso

fuori dal suo cancello, s'era fatto portare a gran fatica.

Naturalmente era lui il personaggio più importante. L'umore del

Consiglio era di non dar quartiere, e la parola del vecchio

avrebbe potuto essere decisiva; ma, secondo me, lui che conosceva

bene l'impetuoso ardimento del figlio, quella parola non osò

pronunciarla. Prevalsero i suggerimenti dilatori. Un certo Haji

Saman dimostrò con un lungo discorso che 'quegli uomini tirannici

e feroci erano esposti a una morte sicura in ogni caso: se

restavan fermi sulla loro collina, sarebbero morti di fame; se

avessero cercato di raggiungere la barca, sarebbero stati uccisi

da tiratori imboscati di là dal ruscello; se avessero spezzato

l'assedio fuggendo nella foresta, vi sarebbero periti a uno a

uno.' Sostenne che usando opportuni stratagemmi si potevano

annientare i forestieri senza correre il rischio di una battaglia;

e le sue parole furono di gran peso, specialmente per i Patusanesi

del borgo, ì quali erano molto turbati dal fatto che era mancata

l'azione delle barche del Rajah al momento decisivo. A

rappresentare il Rajah era venuto il diplomatico Kassim. Parlava

poco, ascoltava sorridendo, molto cordiale e impenetrabile.

Durante la seduta, messaggeri arrivavano, si può dire, ogni due o

tre minuti, col resoconto delle mosse degli invasori. Si

spargevano rapidamente le voci più esagerate ed assurde: alla foce

del fiume c'era una grande nave con grossi cannoni e molti altri

uomini... alcuni bianchi, altri di pelle nera e d'aspetto

sanguinario. Si erano mossi con molte barche per venire a

sterminare ogni essere vivente. La sensazione di un'oscura

imminenza teneva il popolo in agitazione. A un dato momento si

sparse il panico tra le donne in cortile; strilli, gran pigia

pigia; bambini che piangevano... Haji Saman uscì a calmarle. Poi

una sentinella sparò contro qualcosa che aveva visto muovere sul

fiume, e per poco non ammazzò uno del villaggio che aveva caricato

in una canoa le sue donne, i suoi utensili migliori e una dozzina

di polli, e veniva a portar ogni cosa nel forte. Questo portò

nuova confusione. Intanto dentro alla casa di Jim seguitavano a

concionare alla presenza della ragazza. Doramin seduto, pesante,

colla faccia feroce, guardava gli oratori uno dopo l'altro e

traeva lunghe soffiate come un toro. Non parlò che all'ultimo,

quando Kassim ebbe dichiarato che il Rajah avrebbe ritirato le sue

barche, essendo gli uomini necessari per la difesa alla palizzata

del suo padrone. Dain Waris, in presenza del padre, non volle

prendere la parola, benché la ragazza lo supplicasse in nome di

Jim di parlare. Nella sua ansia di veder cacciare subito gli

intrusi, ella offrì 'la gente propria di Jim.' Ma il giovane

scosse il capo dopo avere una o due volte scambiato un'occhiata

con Doramin. Finalmente, quando il Consiglio si sciolse, era stato

deciso di far occupare in forza le case più vicine al ruscello per

avere il controllo sulla barca del nemico, senza però toccare la

barca medesima, affinché i banditi della collina si sentissero

invogliati a imbarcarsi, nel qual caso una ben aggiustata

fucileria avrebbe senza dubbio fatto strage dei più. Per tagliare

la via di scampo agli eventuali superstiti e impedire ad altri di

venire in rincalzo, Dain Waris ebbe ordine da Doramin di condurre

un gruppo di Bugi armati lungo il fiume fino a un quindici miglia

a valle di Patusan, e lì mettere il campo sulla riva bloccando il

fiume con le canoe. Non credo neanche per ombra che Doramin

temesse l'arrivo di rinforzi. Secondo me la sua condotta fu

determinata soltanto dal suo desiderio di tenere il figlio lontano

dal pericolo. Per impedire un irruzione dentro il borgo fu decisa

la costruzione di una palizzata da iniziarsi all'alba, in capo

alla strada, sulla riva sinistra. Il vecchio nakhoda dichiarò di

volerne assumere il comando di persona. Ebbe luogo immediatamente

una distribuzione di polvere, pallottole, e capsule a percussione,

sotto la sorveglianza della ragazza. Furono spediti a Jim parecchi

messaggeri in direzioni varie, non sapendosi dove precisamente si

trovasse. Queste staffette partirono all'alba, ma ormai Kassim era

riuscito a mettersi in comunicazione con l'assediato Brown.

Quel matricolato diplomatico e confidente del Rajah,

nell'abbandonare il forte per tornare dal suo padrone, imbattutosi

in Cornelius che se la sgattaiolava zitto zitto tra la gente del

cortile, se lo portò in barca con sé. Kassim aveva un progettino

tutto di sua invenzione, e pensò di portarsi Cornelius come

interprete. Così accadde che la mattina Brown, mentre rifletteva

sulla propria disperata situazione, udì di tra la fitta

vegetazione del fosso paludoso una voce amichevole, tremolante,

chioccia, che gridando in inglese chiedeva con la garanzia

dell'incolumità personale il permesso di salire, per

un'importantissima missione. Brown toccò il cielo con le dita. Se

qualcuno gli rivolgeva la parola voleva dire che non gli si dava

più la caccia come a una bestia feroce. Quelle parole amichevoli

lo sollevarono subito dalla terribile tensione di quella

spasmodica vigilanza di ciechi che si aspettano il colpo di grazia

senza veder da che parte può arrivare. Finse una grande titubanza.

La voce si dichiarò 'un uomo bianco. Un povero vecchio rovinato

che viveva lì da anni.' Una nebbia umida e fredda copriva il

pendìo della collina, e dopo qualche altro scambio di parole Brown

gridò: 'Vieni su, avanti! ma da solo, bada!' In via di fatto - mi

disse, storcendosi di rabbia al ricordo della sua impotenza - in

fondo era poi lo stesso. Non ci vedevano un metro più in là del

loro naso, e la loro situazione era tale che nessun tradimento

avrebbe potuto peggiorarla. Dopo un po' videro Cornelius, col suo

vestito di tutti i giorni, fatto d'una camicia e di un paio di

pantaloni strappati e sudici, a piedi nudi, con in testa un

cappello di fibra dalla tesa tutta smozzicata, che si avvicinava

di sbieco alla trincea, esitando e fermandosi in ascolto, quasi

guatando. 'Vieni su! Non c'è pericolo,' urlo Brown, mentre i suoi

uomini eran lì a occhi sbarrati. Tutte le loro speranze di vita

convergevano su quello straccio meschino e miserabile di nuovo

venuto, il quale, nel più profondo silenzio, scavalcava goffamente

un tronco d'albero abbattuto, e, rabbrividendo, col suo viso

acido, diffidente, sogguardava quel gruppo di banditi barbuti,

ansiosi, insonni, che gli facevano corona.

Una mezz'oretta di conversazione amichevole con Cornelius bastò

per aprire gli occhi a Brown sulla situazione interna di Patusan,

e a fargli drizzare le orecchie. Possibilità ce n'erano-

moltissime; prima però di prendere in esame le proposte di

Cornelius volle che sulla collina fossero mandati viveri a

garanzia di buona fede. Cornelius se ne andò pian piano e a

ciondoloni, giù per la costa, dalla parte della dimora del Rajah,

e dopo un breve intervallo qualcuno degli uomini di Tunku Allang

venne su a portare un po' di riso, 'chilli,' e pesce secco. Poco,

ma infinitamente meglio che niente. Più tardi Cornelius ritornò,

in compagnia di Kassim, che se ne venne avanti con una cera

gioviale e pienamente fiduciosa, in sandali, e avvolto dal collo

alle caviglie in un lenzuolo bianco. Strinse con discrezione la

mano a Brown, e i tre uomini si appartarono per conferire. Quelli

di Brown, ripreso animo, si davano gran manate sulla schiena, con

occhiate d'intesa al loro capitano, mentre si eran dati a

tutt'uomo a preparare il rancio.

Kassim non poteva soffrire né Doramin ne i suoi Bugi, e meno

ancora il nuovo ordine di cose. Si era messo in mente che questi

bianchi, insieme ai seguaci del Rajah, avrebbero potuto attaccare

e sbaragliare i Bugi prima del ritorno di Jim. Poi, ne inferiva,

sarebbe seguita immediatamente una defezione generale e il regno

dell'uomo bianco paladino della povera gente sarebbe crollato.

Dopo, si poteva regolare la faccenda coi nuovi alleati, che non

avevano amici. Kassim era pienamente in grado di rilevare certe

differenze di caratteri, e ne sapeva abbastanza sui bianchi per

capire che questi nuovi venuti erano dei reietti, uomini senza

patria. Brown conservava un contegno duro e imperscrutabile. La

voce di Cornelius, a tutta prima, quando domandò di esser lasciato

salire, gli aveva acceso dentro appena una lieve speranza - di

riuscire a scapparsene da una maglia rotta. In meno di un'ora,

nuovi pensieri gli misero la testa in ebollizione. Spinto da

un'estrema necessità, era venuto lì a rubare un po' di viveri,

forse qualche tonnellata di gomma o di caucciù, o una manciata di

dollari; e si era trovato in un pantano di pericoli mortali. Ora,

in conseguenza di quelle profferte di Kassim, cominciò a pensare

di rubarsi tutto il paese. Un dannato individuo sembrava che

avesse già fatto qualcosa del genere - e da solo. Ma non ci doveva

esser riuscito proprio a dovere. Forse avrebbero potuto

collaborare: spremere tutta questa roba fino all'osso, e poi

andarsene tranquillamente per i fatti loro. Nel corso dei

negoziati con Kassim gli risultò che la gente lo credeva padrone

di una grande nave e molti uomini in rada. Kassim lo pregò

caldamente di far subito risalire il fiume a questa nave con i

suoi molti cannoni e uomini, per metterla al servizio del Rajah.

Brown si dichiarò pronto a farlo, e su questa base si svolsero i

negoziati con reciproca sfiducia. Tre volte durante la mattinata

il cerimonioso e attivo Kassim scese a consultarsi col Rajah,

sempre tornando su con aria affaccendata a gran passi. Brown,

durante queste trattative, provava una specie di acre allegria,

pensando al suo schooner scalcinato con nella stiva un mucchio di

immondizie e niente altro, diventato tutto a un tratto un

bastimento armato; e al Cinese e allo zoppo, ex-ladro di naufragi,

raccolto morto di fame sulla spiaggia di Levuka, che

rappresentavano tutti quei suoi molti uomini. Nel pomeriggio

ottenne un'altra distribuzione di viveri, la promessa di un po' di

danaro, e una provvista di stuoie da farsene dei ripari per i suoi

uomini. Questi si distesero a terra e si misero a russare,

protetti dal sole cocente; ma Brown, seduto bene allo scoperto su

uno degli alberi abbattuti, si rallegrò la vista con lo spettacolo

della borgata e del fiume. C'era molta grazia di Dio laggiù.

Cornelius, che si sentiva ormai a casa sua nell'accampamento,

standogli a fianco, gli parlava e gli segnava a dito le varie

località, gli dava consigli, e la propria interpretazione della

personalità di Jim, commentando a modo suo gli avvenimenti degli

ultimi tre anni. Brown, in apparenza distratto e con gli occhi

sempre altrove, ascoltava però con attenzione senza perdersi una

parola; ma non riusciva a veder chiaro che razza d'uomo potesse

essere questo Jim. 'Come si chiama? Jim! Jim! Un po' poco per un

nome d'uomo.' 'Qui lo chiamano,' fece Cornelius con sarcasmo,

'Tuan Jim, ossia Lord Jim, come direste voialtri.' 'Chi è? Di dove

esce?' domandò Brown. 'Che tipo d'uomo è? E' inglese?' ' Sì, sì, è

inglese. Anch'io sono inglese. Di Malacca. E' uno stupido. Non hai

che da ammazzarlo e qui sarai tu il re. Qui è tutto suo,' spiegò

Cornelius. 'Mi sa che tra non molto dovrà rassegnarsi a dividere

il suo con qualcun altro,' commentò Brown a mezza voce. 'No, no.

La cosa da fare è di ammazzarlo alla prima occasione, che allora

puoi fare quello che ti pare, dopo,' insisteva Cornelius con

calore. 'Vivo qui da molti anni, e ti do un consiglio da amico.'

In tali conversazioni, e nel compiacimento della vista di Patusan

che aveva deciso in cuor suo di far sua preda, Brown passò gran

parte del pomeriggio mentre i suoi uomini riposavano. Quel giorno

la flotta di canoe di Dain Waris, scivolando a una alla volta

lungo la sponda opposta al ruscello, scese a chiudere il fiume per

tagliargli la ritirata. Di questo Brown non si rese conto, e

Kassim, salito alla collina un'ora prima del tramonto, si guardò

bene dal metterlo al corrente. Desiderava che la nave dell'uomo

bianco risalisse il fiume; e temeva che queste notizie lo

avrebbero trattenuto dall'impresa. Insistette molto con Brown

perché mandasse l''ordine,' offrendogli, nel medesimo tempo, una

staffetta di fiducia che, per maggior segretezza (spiegò), avrebbe

preso la via di terra per la foce del fiume, a consegnare

1''ordine' a bordo. Dopo una breve riflessione, Brown trovò più

spiccio strappare un foglio dal suo taccuino e scriverci su queste

semplici parole: 'Andiamo bene. Grosso affare. Trattenete l'uomo.'

Lo stolido giovane scelto da Kassim per far da staffetta eseguì

fedelmente la missione, e venne ricompensato subito con un bel

volo a testa avanti nella stiva vuota, che gli fecero fare l'ex

vagabondo e il Cinese, i quali si affrettarono a chiudere i

boccaporti. Come gli andò a finire, Brown non me lo disse".

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

CAPITOLO 40.

"Scopo di Brown era di guadagnar tempo trastullandosi con la

diplomazia di Kassim. Per far un colpo sul serio non poteva

esimersi dal pensare che bisognava senz'altro lavorarsi l'uomo

bianco. Non poteva immaginare che un tipo simile (che doveva

essere maledettamente abile, dopo tutto, per tenere in mano a tal

punto gli indigeni) rifiutasse un'alleanza che gli avrebbe

eliminata la necessità di quei lenti raggiri, cauti e rischiosi, a

che costringe l'unica linea di condotta possibile per un uomo

solo. Lui, Brown, gli avrebbe apportato la forza. Impossibile

esitare. Tutto stava arrivare a un'intesa chiara. Naturalmente

avrebbero poi fatto a mezzo. L'idea che ci fosse, lì, un forte

pronto, a portata di mano - un vero forte con la sua artiglieria

(glie l'aveva detto Cornelius) lo eccitava. Bastava far il primo

passo, che poi... Avrebbe imposto condizioni modeste. Non troppo

però. Quello - a quanto pareva - non era un imbecille. Avrebbero

lavorato da buoni fratelli, finché... finché non fosse venuto al

momento opportuno un litigio e una fucilata a sistemare tutti i

conti. Nella sua spasmodica impazienza di saccheggio, avrebbe

voluto già trovarsi a colloquio con quell'uomo. Quella terra gli

sembrava già sua, da farla a pezzi, strizzarla, e buttarla via.

Intanto, bisognava tenersi buono Kassim, prima di tutto per via

dei viveri - e poi avere un rinforzo. L'essenziale, per ora, era

di aver da mangiare giorno per giorno. D'altra parte era anche

disposto a combattere per il Rajah, pur di dare una lezione a

quella gente che l'aveva ricevuto a colpi d'arma da fuoco. Lo

spirito di battaglia era in lui.

Mi rincresce non saperti riferire questo brano della vicenda che,

naturalmente, ho saputo per la maggior parte da Brown - con le sue

stesse parole. C'era nel fraseggiare rotto, violento di

quell'uomo, che metteva a nudo dinanzi a me i suoi pensieri con la

Morte alla gola, una sfrenata crudeltà di propositi, uno strano

atteggiamento di vendetta contro il proprio passato, e una cieca

fede nel buon diritto della sua volontà contro l'umanità intera;

un sentimento molto vicino a quello che poté permettere al capo di

un'orda di tagliagole vaganti di chiamarsi con orgoglio il

Flagello di Dio. Senza dubbio la naturale ferocia insensata che è

al fondo di simili caratteri si esasperava in lui per

l'insuccesso, l'avversa fortuna e le recenti privazioni, non meno

che per la condizione disperata in cui Brown si trovava; ma la

cosa più straordinaria era che, mentre progettava false alleanze e

aveva già deciso in cuor suo il destino dell'uomo bianco, e

complottava con aria di superiore degnazione con Kassim,

risultasse così chiaro, quasi suo malgrado, il suo vero desiderio:

che era quello di mettere a ferro e fuoco quel borgo della giungla

che lo aveva sfidato e di vederlo disseminato di cadaveri e

avvolto nelle fiamme. Ascoltando la sua voce spietata e affannosa,

potevo figurarmi come se lo contemplava dall'alto della collina,

popolandolo d'immagini di strage e di rapina. Il quartiere più

prossimo al fiume pareva deserto alla vista, benché in realtà ogni

casa nascondesse qualche uomo armato e all'erta. A un tratto,

molto di là della vasta piana incolta, cosparsa di ciuffi di bassa

e fitta vegetazione, di buche, di mucchi di rifiuti, e tagliata da

sentieri, un uomo solitario, che pareva piccolo piccolo, se ne

uscì tranquillamente all'aperto per la strada deserta tra le

costruzioni chiuse, buie, senza vita, in capo al paese. Forse uno

degli abitanti, fuggito all'altra sponda del fiume, e tornato a

prendere qualche oggetto d'uso domestico. Evidentemente si

riteneva del tutto sicuro a quella distanza dalla collina,

dall'altra parte del ruscello. Una debole palizzata, tirata su in

fretta, si ergeva lì vicino, allo svolto della strada, popolata

dai suoi amici. Si muoveva a suo agio. Brown lo vide, e chiamò

immediatamente il disertore yankee che fungeva in certo modo da

sottocomandante. Questo spilungone dinoccolato si avvicinò, con la

sua faccia di legno, trascinandosi dietro svogliato il suo fucile.

Quando capì che cosa si voleva da lui, con ghigno omicida e

vanesio scoprì i denti, mentre due rughe profonde gli solcarono le

guancie giallastre e coriacee. Si vantava di essere un tiratore

infallibile. Piegato un ginocchio, e mirando con la canna

appoggiata solidamente ai rami ancora frondosi di un albero

abbattuto, sparò, e subito si alzò a guardare. L'uomo laggiù volse

il capo al rumore, fece ancora un passo, sembrò esitare, e di

colpo cadde sulle ginocchia e sulle mani. Nel silenzio che seguì

al colpo secco del fucile, il tiratore infallibile, tenendo gli

occhi fissi sulla preda, osservò che 'la salute di quel tanghero

lì non avrebbe più dato dispiaceri ai suoi amici.' Si vedevano gli

arti della vittima agitarsi sotto il suo corpo nel tentativo di

avanzare carponi. In quello spazio vuoto sali un grido collettivo

di sgomento e di sorpresa. L'uomo cadde disteso, bocconi, e non si

mosse più. 'Per far vedere a quella gente cosa potevamo fare noi,'

mi disse Brown. 'E mettergli in corpo la paura della morte

improvvisa. Questo ci occorreva. Erano duecento contro uno, ed

ecco che davamo loro un argomento da ripensarci su la notte.

Prima, nessuno di essi aveva mai avuto neanche l'idea di un tiro

così lungo. Quello straccione dell'uomo del Rajah scappò giù per

la collina con gli occhi fuori della testa.'

Mentre mi parlava così, cercò di tergersi con mano tremante un po'

di schiumetta di sulle labbra violacee, che si contorcevano.

'Duecento contro uno. Duecento contro uno... metterli in

terrore... terrore; terrore, glie lo dico io...' Anche a lui gli

occhi strabuzzavano fuori dell'orbita. Ricadde all'indietro,

annaspando l'aria con dita nodose, si tirò su di nuovo, curvo e

irsuto, e mi squadrò di traverso con occhi infocati, come l'orco

delle favole, con la bocca aperta nella sua agonia orribile e

miseranda, prima di poter riprendere la parola dopo quell'attacco.

Certi spettacoli uno non se li scorda più.

Inoltre, per attirare il fuoco avversario e individuare le

pattuglie che potevano nascondersi nei cespugli lungo il ruscello,

Brown ordinò all'isolano delle Salomone di scendere fino alla

barca e di portar su un remo, come si ordina a un cane di

riportare un bastone gettato in acqua. La manovra fallì e l'uomo

tornò senza che da nessuna parte gli avessero sparato un colpo.

'Non c'è anima viva,' concluse qualcuno. 'E' assurdo,' osservò lo

Yankee. In realtà, Kassim se n'era andato un po' scosso e un po'

contento, ma anche inquieto. Fedele alla sua politica tortuosa,

aveva mandato un messaggio a Dain Waris, avvertendolo di tener

d'occhio il barco degli uomini bianchi che- secondo le sue

informazioni - era sulle mosse per risalire il fiume. Ne

sottovalutò la potenza ed esortò Waris ad impedirgli il passaggio.

Questo doppio giuoco rispondeva al suo scopo che era quello di

tener divise le forze Bugi e di indebolirle col combattimento.

D'altra parte, nel corso della giornata, aveva passato parola ai

capi Bugi adunati in paese, assicurandoli che stava tentando di

indurre gli invasori a ritirarsi; e intanto con messaggi al forte

chiedeva insistentemente polvere per gli uomini del Rajah. Era

passato molto tempo da quando Tunku Allang aveva ricevuto le

ultime munizioni per quella ventina di vecchi moschetti che si

arrugginivano nelle rastrelliere della sala delle udienze. I

palesi rapporti fra la collina e il palazzo turbavano gli spiriti.

Si cominciava a dire che era tempo che gli uomini prendessero

partito. Presto ci sarebbe stato molto spargimento di sangue, e

quindi gran dolore per molta gente. La tela sociale di vita

ordinata, pacifica, in cui ogni uomo era sicuro del domani,

l'edificio che Jim aveva costruito con le proprie mani, sembrava

quella sera sul punto di crollare in rovina e nel sangue. I più

poveri già si davano alla macchia o fuggivano su per il fiume. Un

buon numero di quelli delle classi più elevate si credettero in

dovere di andar a fare la corte al Rajah. Ma i giovanotti al

servizio del Rajah li presero rudemente a spintoni. Il vecchio

Tunku Allang, quasi fuori di sé dalla paura e dall'indecisione, o

li accolse in silenzio, immusonito, o li insolentì violentemente

perché avevano osato venire a mani vuote; sicché quelli se ne

andarono spaventatissimi. Soltanto il vecchio Doramin teneva in

pugno, compatti, i suoi compaesani e seguiva inflessibile la sua

tattica. Seduto maestosamente in una grande poltrona dietro la

palizzata improvvisata, impartiva i suoi ordini con un boato roco

e profondo; impassibile come se fosse stato sordo, tra quel

fluttuar dl notizie.

Calò il crepuscolo e nascose prima il corpo del morto, che era

stato lasciato lì disteso con le braccia aperte, quasi inchiodato

al terreno; poi la sfera volvente della notte, nel suo dolce moto,

pèndula sopra la Patusan, versò sulla terra lo scintillio di

innumerevoli mondi. Di nuovo, nella parte scoperta del borgo,

fiammeggiarono grandi fuochi, lungo l'unica strada, e spiccarono a

intervalli, nei bagliori, le linee rette dei tetti a spiovente,

confusi frammenti di muri, e qualche capanna qua e là tutta intera

contro luce sulle dritte linee nere di un gruppo di pali alti, e

tutta una striscia di abitazioni, svelata a tratti, sembrava

palpitar con la luce delle fiamme lungo la linea tortuosa del

fiume fino alla zona di buio nel cuore dei paese. Un grande

silenzio, in cui ardeva silenziosa la fila dei fuochi, si stendeva

nelle tenebre ai piedi della collina; ma dall'altra riva del

fiume, tutta buia con un'unica fiamma solitaria sulla sponda

prospiciente il fortilizio, giungeva per l'aria un crescente

brulichìo, come lo scalpicciare di una moltitudine, il sussurro di

molte voci, o il rumore di una cascata lontanissima. Fu quello il

momento, mi confessò Brown, in cui, stando seduto a guardare tutto

ciò, con le spalle voltate ai suoi uomini, nonostante il suo

disprezzo per gli altri e la sua fede assoluta in se stesso, ebbe

viva la sensazione di aver sbattuto alla fine la testa contro un

muro di pietra. Se la sua barca in quel momento non fosse stata in

secco, avrebbe tentato probabilmente di svignarsela, affrontando

il rischio di un lungo inseguimento sul fiume e di una lunga fame

per mare. Non è gran che sicuro se ce l'avrebbe fatta a scappare.

Comunque, non ci provò neanche. Un momento dopo gli balenò l'idea

di tentare un assalto di sorpresa contro il borgo, ma si rese

subito conto che alla fine si sarebbe trovato nella strada

illuminata, e dalle case li avrebbero ammazzati tutti come cani.

Erano duecento contro uno - pensò - mentre i suoi uomini,

accoccolati intorno a due mucchi di brage semispenta, biascicavano

le ultime banane e arrostivano quelle poche patate che aveva loro

procurato la diplomazia di Kassim. Cornelius sedeva fra loro

sonnecchiando, scontento.

Allora uno dei bianchi si ricordò che era rimasto un po' di

tabacco nella barca, e, spinto dall'esempio fortunato dell'isolano

delle Salomone, disse che sarebbe andato a prenderlo. A quell'idea

tutti si riscossero dalla loro malinconia. Brown, quando si sentì

chiedere il permesso, rispose sprezzante: 'Va', e Dio ti...' Non

pensava ci potesse esser pericolo a scendere al ruscello di notte.

L'uomo scavalcò un tronco e scomparve. Un attimo dopo lo sentirono

arrampicarsi sulla barca e uscirne. 'Trovato!' gridò. Un lampo e

un colpo proprio ai piedi della collina. 'Mi hanno pizzicato,'

urlò l'uomo. 'Attenti, attenti... mi hanno ferito,' e

immediatamente partì una scarica di tutti i fucili. La collina

rovesciò fuoco e fragore nella notte come un vulcano in miniatura,

e quando Brown e lo Yankee a furia di bestemmie e di pugni furon

riusciti a fermare quella sparatoria della paura, un gemito stanco

e profondo salì dal ruscello, seguìto da un lamento di una così

accorata desolazione che raggelava il sangue nelle vene come un

veleno. Poi una voce forte pronunciò alcune parole distinte e

incomprensibili da un punto oltre il ruscello. 'Nessuno spari,'

gridò Brown. 'Che cosa dice?'... 'Voi della collina, mi sentite?

Mi sentite? Mi sentite?' ripeté la voce tre volte. Cornelius

tradusse, e poi suggerì la risposta. 'Parla,' gridò Brown. 'Ti

sentiamo.' Allora la voce, declamando col tono turgido e roboante

di un araldo, e spostandosi continuamente sull'orlo della

brughiera invisibile, proclamò che tra gli uomini di razza Bugi di

Patusan e gli uomini bianchi sulla collina e loro partitanti non

poteva esserci né fede né pietà né discorsi né pace. Un fruscìo in

un cespuglio, e partì una fucilata a casaccio. 'Maledetta

stupidità,' borbottò lo Yankee, battendo seccato il calcio del

fucile in terra. Cornelius tradusse. Il ferito, ai piedi della

collina, dopo aver gridato due volte: 'Venitemi a prendere -

venitemi a prendere,' continuò a gemere e lamentarsi. Finché si

era tenuto sul terreno buio del pendìo, e poi accoccolato nella

barca, era rimasto abbastanza al sicuro. Ma pare che nella sua

gioia di aver ritrovato il tabacco si fosse lasciato andare

saltando fuori dalla barca dalla parte, per così dire, esterna. La

scialuppa bianca, alta così tutta in secco, fece spiccare netto il

suo profilo; il ruscello non era largo più di sette metri in quel

punto, e capitò che in un cespuglio sull'altra sponda ci si fosse

appostato un uomo.

Era un Bugi di Tondano, venuto da poco a Patusan, e parente

dell'uomo ucciso nel pomeriggio. Quel famoso tiro a lunga portata

aveva davvero sgomentato i presenti. Quel disgraziato, che se ne

stava così sicuro, colpito davanti agli occhi dei suoi amici, con

ancora sulle labbra una parola di scherzo, e l'atrocità

particolare che gli indigeni vedevano in quell'omicidio, aveva

suscitato tra loro un profondo rancore. Quel parente del morto, un

certo Si-Lapa, si trovava in quel momento a pochi metri da lui,

con Doramin, dentro la palizzata. Tu che conosci quei tipi devi

ammettere che quel Si-Lapa mostrò un ardire non comune quando si

offerse di portare il messaggio da solo, di notte. Trascinandosi

carponi attraverso il terreno scoperto, aveva deviato a sinistra e

s'era trovato di fronte alla barca. Spaventato dal grido dell'uomo

di Brown, si mise a sedere col fucile appoggiato alla spalla, e

quando l'altro saltò fuori allo scoperto fece scattare il

grilletto e piazzò di punto in bianco tre pallettoni nella pancia

di quel disgraziato. Poi, steso a terra bocconi, fece il morto

quando quella grandinata di piombo gli tagliuzzò e frustò i

cespugli a due dita da lui, sulla destra. Poi lanciò il suo

proclama gridando, piegato in due, e tenendosi costantemente al

coperto. Detta l'ultima parola fece uno scarto di fianco, se ne

stette un po' lì chiotto chiotto, e quindi se ne tornò sano e

salvo tra le case, essendosi acquistato in quella notte una

rinomanza che i suoi figli non lasceranno tanto facilmente

dimenticare.

Intanto sulla collina quella banda di derelitti, col capo tra le

mani, aveva lasciato spegnersi i due mucchietti di brage. Sedevano

tristissimi per terra, a labbra compresse e occhi bassi,

ascoltando i lamenti del loro compagno lì disotto. Era un uomo

robusto e stentò a morire, con gemiti ora alti ora abbassati fino

a un curioso tono di sofferenze confidate in un sussurro. Qualche

volta urlava, poi, di nuovo, dopo un intervallo di silenzio, lo si

sentiva borbottare una lamentela lunga e inintelligibile, in

delirio. Non smetteva un momento.

'A che serve?' aveva detto Brown, impassibile, vedendo lo Yankee,

il quale aveva bestemmiato fino allora sottovoce, prepararsi a

scendere. 'Difatti,' assentì il disertore, rinunciando a

malincuore. 'Non c'è niente per i feriti quassù. Soltanto, questa

lagna può mettere in capo agli altri troppi pensieri dell'al di

là, capitano.' 'Acqua!' gridò il ferito con voce

straordinariamente chiara e vigorosa, e poi riprese a lamentarsi

fioco. 'Sì, acqua. L'acqua ti sistemerà,' borbottò tra i denti

l'Americano con aria rassegnata. 'Anche troppa, tra un momento; la

marea risale.'

Risalì difatti, sommergendo gemiti e grida di dolore. L'alba era

vicina quando Brown, seduto di fronte a Patusan col mento sul

palmo della mano, come chi fissa il fianco di una montagna

inaccessibile, udì il breve e secco latrato di un cannoncino di

bronzo da sei libbre laggiù lontano, da un punto del borgo. 'Che

è?' domandò a Cornelius che gli era sempre ai panni. Cornelius si

mise in ascolto. Un mugghìo di grida soffocate corse lungo il

fiume per tutta la città; un grande tamburo cominciò a rullare,

altri risposero, pulsando e ronfando. Minuscole luci cominciarono

a scintillare qua e là nella parte buia del paese, mentre dalla

parte illuminata dalla fila di fuochi saliva sempre il brusìo

profondo e prolungato. 'E' arrivato,' fece Cornelius. 'Come? Già?

Sei certo?' domandò Brown. 'Sì! Sì! Certissimo. Senti questo

rumore.' 'Perché fanno tanto chiasso?' soggiunse Brown. 'Per la

gioia,' stronfiò Cornelius; 'è un vero grand'uomo, ma, tutto

sommato, è anche un bamboccio, e così fanno molto rumore per

dargli piacere perché sono degli stupidi.' 'Senti un po',' fece

Brown, 'come si fa per arrivare fino a lui?' 'Verrà lui a

parlarti,' dichiarò Cornelius. 'Che vuoi dire? Che verrà a farsi

una passeggiatina per questi paraggi?' Cornelius annuì

vigorosamente col capo nel buio.

'Sì. Verrà qui dritto dritto a parlarti. E' proprio uno scemo.

Vedrai quant'è scemo.' Brown non ci poteva credere. 'Vedrai,

vedrai ,' ripeteva Cornelius. 'Non ha paura - non ha paura di

nulla. Verrà a ordinarti di lasciar in pace la sua gente. Tutti

devono lasciar in pace la sua gente. E' un bamboccio. Verrà dritto

da te.' Ahimè! conosceva bene Jim - quel 'vigliacchetto,' come lo

chiamò Brown parlando con me. 'Proprio così,' soggiunse Cornelius

con ardore, 'e allora, capitano, tu devi dire a quell'uomo alto

col fucile di sparargli addosso. Ammazzalo; e metterai addosso a

quelli là un tale spavento che, dopo, potrai fare quello che vuoi.

Ah! ah! ah! ah! Bello...' Stava quasi ballando per l'impazienza e

la smania, e Brown, guardandolo di traverso, vedeva, spietatamente

illuminati dall'alba, i suoi uomini fradici di guazza, seduti tra

le ceneri fredde, in mezzo al disordine dell'accampamento,

stracciati, smunti e avviliti".

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

CAPITOLO 41.

"Fino all'ultimissimo momento, finché non li assalì d'un balzo il

giorno chiaro, i fuochi sulla riva occidentale fiammeggiarono

lucidi e splendenti; e allora Brown vide in un gruppo di indigeni

immobili tra le case più vicine, un uomo vestito all'europea, con

il casco, tutto bianco dalla testa ai piedi. 'E' lui; guarda!

guarda!' fece Cornelius, eccitato. Tutti gli uomini di Brown erano

saltati su e facevano ressa alle sue spalle con occhi spenti. Il

gruppo di vivaci colori e faccie scure, con la figura bianca nel

mezzo, stava osservando la collina. Brown vedeva braccia nude

alzate a far solecchio, e altre braccia brune tese a indicare.

Cosa doveva fare? Si guardò intorno; le foreste di contro, da ogni

lato, sembravano le pareti di un'arena per un duello ineguale.

Guardò un'altra volta i suoi uomini. Gli si agitavano in petto

disprezzo, stanchezza, desiderio di vivere, voglia di fare ancora

un tentativo per raggiungere con miglior fortuna una diversa

sepoltura. Dal modo come si profilava la figura, gli sembrò che

l'uomo bianco, laggiù, spalleggiato da tutto il paese stesse

esaminando la sua posizione col binocolo. Brown salì in piedi su

un tronco, alzando le braccia con le palme in fuori. Il gruppo di

colore si contrasse ed allargò due volte prima che l'uomo bianco

ne fosse fuori per avanzare lentamente, da solo. Brown rimase in

piedi sul tronco finché Jim, apparendo e scomparendo tra gli

sterpeti, ebbe quasi raggiunto il ruscello; allora saltò giù e gli

andò incontro dalla parte sua.

S'incontrarono non molto lontano, direi - o forse proprio

esattamente - nel punto dove Jim aveva fatto il secondo salto

disperato della sua vita - quello che lo trapiantò nella vita di

Patusan, nella fede, nell'amore, nella fiducia del popolo. Si

guardarono in faccia dalle opposte rive del ruscello e con occhi

fermi cercarono di comprendersi a vicenda prima di aprire bocca.

Il loro antagonismo dovette risultare chiaro a colpo d'occhio: io

so che Brown odiò Jim al primo sguardo. Qualunque speranza avesse

concepito, svanì di colpo. Quello non era l'uomo che si aspettava.

Lo odiò per questo - e, nella sua camicia a quadretti dalle

maniche corte, la barba grigia, la faccia smunta e abbronzata,

maledisse in cuor suo la gioventù e la sicurezza dell'altro, i

suoi occhi limpidi e il suo portamento tranquillo. Quel ragazzo ne

aveva della strada davanti a sé! Non pareva il tipo proclive a

cedere qualche cosa per procacciarsi aiuti. Aveva tutti i vantaggi

per sé: possesso, sicurezza, potenza; stava col partito di gran

lunga dominante. Non era né alla fame né alla disperazione, e non

sembrava avere minimamente paura. Perfino nella lindura degli

abiti di Jim, dal casco bianco alle mollettiere di tela, alle

scarpe pulite col bianchetto, c'era qualcosa che agli occhi

torbidi e corrucciati di Brown sembrava appartenere a un mondo da

lui sempre vilipeso e sconfessato col tenore stesso della sua

vita.

'Chi sei?' domandò Jim alla fine, col suo tono di voce naturale.

'Mi chiamo Brown,' rispose l'altro a voce alta. 'Capitano Brown. E

tu?' Ma Jim, dopo una breve pausa, proseguì tranquillamente, come

se non avesse sentito. 'Che cosa ti ha condotto qui?' 'Vuoi

saperlo?' ribatté Brown amaramente. 'E' presto detto. La fame. E

tu?'

'Quell'individuo trasalì a questa domanda,' mi diceva Brown,

riferendomi quella strana conversazione tra due uomini separati

soltanto dal letto fangoso del torrente, ma ai poli opposti di

quel concetto della vita che include l'umanità tutta intera.

'L'individuo trasalì e si fece tutto rosso in faccia. Troppo in

alto per sopportar domande, immagino. Gli dissi che se mi

considerava un uomo morto da pigliar sottogamba, lui in fondo non

si trovava affatto in acque migliori: che io avevo un tipo lassù

il quale non gli levava un momento la mira di dosso e aspettava

soltanto un segno da me. Non c'era niente di male in questo. Era

venuto lì di sua spontanea volontà. - Riconosciamo d'accordo -,

gli dissi, - che siamo due uomini morti, e ragioniamo su questa

base da pari a pari. Non siamo tutti uguali davanti alla morte? -

dissi. Ammisi di esserci, lì, come un topo in trappola, ma ci

eravamo stati tirati per forza, e anche un topo in trappola può

dare un morso. Mi ribatté subito: - No: se non ci si avvicina alla

trappola finché non è morto. - Gli dissi che un giochetto del

genere andava bene per quei suoi amici indigeni, ma che lo credevo

troppo bianco per trattare a quel modo anche un topo. Sì,

desideravo ragionare con lui. Non per pregarlo di salvarmi la

vita, però. I miei compagni erano... beh!... quello che erano;

uomini come lui, in ogni modo. Tutto quel che gli chiedevamo era

di farsi avanti, accidenti al diavolo, e finirla. - Maledizione! -

dissi, mentre lui stava lì fermo impalato, - non vorrai mica

venire quaggiù ogni giorno col cannocchiale a contare quanti di

noi sono ancora in piedi. Avanti. Scatenaci contro la tua

maledetta gente, o lasciaci andare a morir di fame per il mare

aperto, perdio! Sei stato bianco, una volta, con tutte le tue

chiacchiere e che questo popolo è il tuo, e che tu sei uno di

loro. Lo sei davvero? E che diavolo ne ricavi? Che hai trovato qui

così maledettamente prezioso? Eh? Non vuoi averci qui tra i piedi,

eh? Siete duecento contro uno. Non vuoi che scendiamo in campo

aperto. Ah! parola mia che vi faremo divertire prima di finirla.

Mi parli di un assalto da vigliacco contro gente che non mi aveva

fatto nulla. Che me n'importa se non mi hanno fatto nulla, quando

io muoio di fame senza aver fatto quasi nulla neanche io? Ma non

sono un vigliacco. Non esserlo neanche tu. Portali qui o se no,

per tutti i diavoli, ti mandiamo in fumo e in cielo con noi metà

del tuo paese che non ha fatto nulla! -'

Era orrendo, in questo suo raccontare, quello scheletro torturato

e rattrappito, col viso sulle ginocchia, sopra un letto squallido,

in quell'orribile tugurio, e che rialzava la testa per guardarmi

con aria di trionfo maligno.

'Ecco che cosa gli dissi - sapevo che cosa bisognava dire,'

riprese, da prima fievole, ma eccitandosi via via con incredibile

crescendo, fino a uno scoppio focoso di disprezzo. '- Non vogliamo

mica cacciarci nella foresta a vagolare come una fila di scheletri

vivi, a cadere uno dopo l'altro, e che le formiche ci vengano

addosso prima ancora d'esser morti del tutto. Eh no... - Non

meritate un destino migliore -, fece. - E tu che cosa meriti? -

gli gridai, - infrattato qui, a empirti la bocca con la tua

responsabilità, e le vite innocenti, e il tuo maledetto dovere?

Che sai di me più di quanto io so di te? Io sono venuto qui a

cercar da mangiare. Capito? da riempirci la pancia. E tu, che cosa

sei venuto a cercare? Che hai domandato arrivando qui? Non ti

chiediamo altro che di darci battaglia o via libera per tornare là

da dove siamo venuti... - Io la battaglia te la darei anche subito

-, fa lui tirandosi i baffetti. - E io ti lascerei sparare su di

me e tanti saluti! ribattei. - Sarebbe per me un trampolino come

un altro. Sono stufo della mia maledetta scarogna. Ma sarebbe

troppo facile. Ci ho i miei uomini con me nella nassa - e perdio,

non sono tipo da levarmi dagli impicci lasciandoci loro, sangue di

Giuda! dissi. Rimase lì un momento sopra pensiero, e poi volle

sapere cos'avessi fatto (- laggiù, - dice, con un cenno del capo

al fiume a valle) per essere ridotto così. - Ci siamo forse dati

appuntamento per raccontarci la storia della nostra vita? - gli

domandai. - Comincia un po' tu. No? Beh, non muoio certo io dalla

voglia di starla a sentire. Tientela per te. So che non vale più

della mia. Ho vissuto... come hai fatto tu, benché tu parli come

uno di quelli che dovrebbero aver le ali per andare in giro senza

toccare questa sporca terra. Beh... sporca è, e io non ho ali.

Sono qui perché una volta nella mia vita ho avuto paura. Vuoi

sapere di che? Della prigione. Quella mi spaventa, e non m'importa

di fartelo sapere - se ti serve. Io non voglio domandarti che

spavento ti ha cacciato in questo buco d'inferno, dove sembri aver

trovato da far bene. E' la tua sorte; la mia è questa: il

privilegio di chiedere come una grazia di essere ammazzato subito,

o di esser cacciato a calci a morir di fame a modo mio... -'.

Il suo capo emaciato vibrava di un'esultanza veemente, sicura e

maligna, come se avesse cacciato via la morte che lo aspettava in

quella catapecchia. Il cadavere del suo matto amor proprio si

sollevava da quegli stracci e da quella miseria come dal buio

orrore di una tomba. E' impossibile dire quanto avesse mentito con

Jim allora, o quanto mentisse con me adesso - e con se stesso

sempre La vanità gioca dei tiri mancini alla nostra memoria, e la

verità del sentimento vuol esser tenuta viva da un po' di

finzione. Già davanti alla porta dell'altro mondo in veste di

mendicante, aveva preso a schiaffi questo mondo qui, gli aveva

sputato in faccia, gli aveva scaricato addosso quel cumulo di

disprezzo e di rivolta che era al fondo delle sue malefatte. Li

aveva vinti tutti - uomini, donne, selvaggi, mercanti, mascalzoni,

missionari... e Jim, quello straccione dal viso di carne cruda. Io

non gli contrastavo quel suo trionfo 'in articulo mortis,'

quell'illusione quasi postuma di essersi messo tutta la terra

sotto i piedi. Mentre si vantava con me, nella sua agonia sordida

e ripugnante, non potevo trattenermi dal pensare alle allegre

chiacchiere che circolavano sulla sua famosa avventura al tempo

del suo massimo splendore: quando, per un anno e più la nave di

Brown il Gentiluomo si vedeva, per molti giorni di seguito,

attardarsi nei dintorni di Erromanga, vicino a un'isoletta col suo

orlo verde in mezzo all'azzurro, e il puntino nero della Missione

sulla spiaggia bianca; quando Brown il Gentiluomo, a terra,

stregava col luccichio della propria fama una giovane donna

romantica cui la Melanesia aveva già fatto girare il cervello, e

al marito di lei faceva balenare il miraggio di una conversione

strabiliante. Il pover'uomo, qualche volta, s'era fatto sentire a

esprimere la speranza di 'avviare il Capitano Brown per una strada

migliore nella vita...' 'Imbarcare il Gentiluomo Brown alla volta

della Gloria celeste,' - come disse un giorno un vagabondo

dall'occhio maligno - 'se non altro per far vedere lassù com'è

fatto un capitano di lungo corso del Pacifico Occidentale.' E

questo era l'uomo - eccolo lì - che aveva rapito una moribonda, e

lagrimato sul suo cadavere.' 'Esaltato come un bambino,' non si

stancava mai di raccontare il suo secondo di allora, 'e che gusto

ci trovasse, ch'io possa essere ammazzato a calci da una carogna

di Kanaka se lo so. Signori miei! Era già troppo aggravata per

riconoscerlo, quando la portò a bordo; stava lì a pancia all'aria

nella cuccetta di Brown a fissare il trave con degli occhi

tremendamente lucidi... e poi morì. Qualche sorta di febbre

maligna direi, accidenti!...' Mi ritornavano a mente queste storie

mentre, asciugandosi la massa incolta della barba con la mano

livida e ossuta, Brown, dal fondo del suo ripugnante giaciglio, mi

raccontava come s'era rigirato, incocciato e tirato a bordo quello

là, quel tipo immacolato di santarellino. Dio lo fulmini! Ammise

che quello non era uomo da lasciarsi impressionare, ma che un modo

c'era, 'largo come una strada maestra, per arrivargli al cuore e

rivoltargli quella sua anima da due soldi, di dentro e di fuori,

dall'alto e dal basso, tutta sottosopra, per Dio!'".

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

CAPITOLO 42.

"Non credo che Brown fosse in grado di gettare più che uno sguardo

appena su quella 'via maestra.' Sembra tuttavia che quanto vi

aveva veduto lo avesse lasciato perplesso, perché s'interruppe più

di una volta nel suo racconto per esclamare: 'Qui mi sfuggì quasi

di mano. Non riuscivo ad agganciarlo. Ma chi era dunque?' E dopo

avermi guardato con occhi stralunati, riprendeva a narrare, con

giubilo e scherno. A me la conversazione di quei due sulle sponde

opposte del ruscello fa l'effetto di uno dei duelli più mortali

che il Destino abbia mai contemplato con gli occhi gelidi della

sua prescienza finale. No, non riuscì a voltar sottosopra l'anima

di Jim, ma, se proprio non m'inganno, dovette trasfondere in

quello spirito così fuori dalla sua portata, l'amarezza di

quell'incontro, tutta, fino alla feccia. Questi erano gli emissari

con i quali il mondo, a cui aveva rinunciato, lo veniva a scovare

nel suo rifugio: i bianchi, provenienti da 'laggiù', dove non si

sentiva degno di vivere. Solo questo gli arrivava: minaccia, urto,

pericolo per il suo lavoro. Immagino che fosse questo senso di

tristezza, tra il risentito e il rassegnato, che risalta nelle

poche sporadiche parole di Jim, a rendere Brown così per plesso di

fronte a quel carattere per lui indecifrabile. Certi grandi uomini

devono la maggior parte della loro grandezza al dono di saper

riconoscere in quelli che si scelgono a strumenti di lavoro, le

precise qualità che servono a loro; e Brown, come se fosse stato

davvero grande, aveva il dono satanico di scoprire i lati migliori

e quelli peggiori delle sue vittime. Mi ammise che Jim non era di

quelli che si possono vincere umiliandosi, e quindi ebbe cura di

assumere l'aspetto di un uomo che affronta impavido fortuna

avversa, mala fama e rovine. Il contrabbando di pochi fucili -

fece ben notare - non era poi un gran delitto. Quanto alla sua

venuta a Patusan, chi aveva il diritto di affermare che non era

venuto a elemosinare un pezzo di pane? Quel popolo maledetto gli

aveva sparato addosso dalle due rive senza neanche sapere chi era.

E qui spiegava tutta la sua sfacciataggine, ché in realtà l'azione

energica di Dain Waris aveva impedito calamità incalcolabili; e di

fatti proprio Brown mi aveva detto chiaro e tondo che, vista la

estensione del paese, aveva deciso immediatamente in cuor suo,

appena messovi piede, di appiccare il fuoco a destra e a sinistra,

ammazzando, intanto, qualunque essere vivente gli fosse venuto

sotto mano, per incutere rispetto e terrore alla popolazione. Ché,

data la sproporzione delle forze, non c'era altro modo di

assicurarsi appena una probabilità di riuscita: lo aveva detto

lui, a me, in un accesso di tosse. Ma non lo disse a Jim. Che

aveva sofferto fame e privazioni era verissimo: bastava guardare

la sua banda. Con un fischio acuto aveva fatto mettere tutti i

suoi uomini in fila sui tronchi, ben esposti perché Jim li

vedesse. L'uccisione dell'indigeno c'era stata va bene - ma la

guerra è la guerra, e senza sangue non si fa nulla a questo

mondo... E colui poi era stato ucciso in piena regola con una

palla nel petto, non massacrato come il suo, quel poveraccio che

adesso giaceva nel ruscello. Per sei ore aveva dovuto starlo a

sentir morire, con le budella sbrindellate dai proiettili

deformanti. In ogni modo, una vita per l'altra... E tutto questo,

detto con la stanchezza, il distacco, di un uomo cacciato avanti

dalla sfortuna, finché non gli importa più di niente. Non un

raggio di luce, non un momento di respiro nella disgrazia. Quando

domandò a Jim, a bruciapelo, con una specie di franchezza

disperata, se davvero lui - cuore in mano - non capiva che 'quando

si tratta di salvare la pellaccia al buio non si bada a chi ci va

di mezzo: tre, trenta, trecento persone,' fu come se questa frase

glie l'avesse soffiata all'orecchio un demonio. 'Lo feci diventar

bianco come la carta,' si vantò Brown con me. 'Smise subito di

fare la perla di virtù. Rimase lì senza parola, con una faccia da

temporale; e senza guardare me: guardando per terra.' Domandò a

Jim se nella sua vita non ci aveva proprio nessun punto nero per

essere così maledettamente duro contro un disgraziato che cercava

di cavarsi da un tremendo impiccio col primo mezzo che gli era

capitato sotto mano - eccetera eccetera. E sotto tutto questo

rozzo discorso correva una vena di subdoli riferimenti alla loro

comunanza di sangue, un assunto di comuni esperienze; un

disgustoso sottinteso di complicità, di compartecipazione a uno

stesso segreto che li teneva legati insieme: cervello e cuore.

Finalmente Brown si gettò lungo disteso per terra sbirciando Jim

con la coda dell'occhio. Jim, dalla sua parte del ruscello, in

piedi, sopra pensiero, si batteva la gamba col frustino. Le case

in vista erano silenziose come se fossero state completamente

svuotate di ogni alito di vita da una pestilenza; ma molti occhi

invisibili, dall'interno, osservavano i due uomini separati dal

ruscello, da una barca bianca arenata e dal cadavere di un terzo

uomo mezzo sprofondato nel fango. Sul fiume s'erano mosse di nuovo

le canoe, perché Patusan, da quando era tornato il Signore bianco,

stava riprendendo la propria fiducia nella stabilità delle

istituzioni terrene. La riva destra, le piattaforme delle case, le

zattere ormeggiate lungo le sponde, perfino i tetti delle capanne

da bagno eran gremiti di gente che, nell'assoluta impossibilità di

udire e quasi di vedere, aguzzava gli occhi verso l'altura oltre

la palizzata del Rajah. Dentro al vasto anello irregolare delle

foreste, spezzato in due punti dalla luminosità del fiume, tutto

era silenzio. 'Mi prometti di lasciare la costa?' domandò Jim.

Brown sollevò un braccio e lo lasciò ricadere, per far intendere

che si arrendeva all'inevitabile. 'E cederai le armi?' continuò

Jim. Brown si drizzò a sedere e lo guardò con occhi infocati.

'Cedere le armi? Mai, se non ce le verrete a levare dalle mani da

morti. Credi che la fifa mi abbia dato alla testa? No no! Quelle,

e quei quattro stracci che ho addosso, sono tutto quanto possiedo

al mondo, oltre a qualche altro fucile a retrocarica che ho a

bordo; e intendo vendere ogni cosa al Madagascar, se mai ci arrivo

- a forza d'elemosina da una nave all'altra.'

Jim non rispose. Alla fine, gettando via il frustino che teneva in

mano, disse, quasi per sé: 'Non so se ne ho il potere...' 'Non lo

sai! E un momento fa volevi che cedessi le armi! Questa sì che è

bella,' gridò Brown. 'E se a te dicono una cosa e con me ne fanno

un'altra?' Si calmò di molto. 'Immagino che il potere ce l'hai,

altrimenti che sugo c'era a far tutti questi discorsi?' soggiunse.

'Cosa sei venuto a fare qui? Quattro chiacchiere?'

'Benissimo,' fece Jim, alzando a un tratto la testa dopo una lunga

pausa. 'Avrai via libera o aperta battaglia.' Girò le spalle e si

allontanò.

Brown balzò subito in piedi, ma non salì sulla collina finché non

ebbe veduto Jim scomparire tra le prime case. Non doveva rivederlo

mai più. Rientrando incontrò Cornelius che scendeva curvo, con la

testa incassata nelle spalle: si fermò davanti a Brown. 'Perché

non lo hai ucciso?' domandò, con voce acida e scontenta. 'Perché

ho di meglio,' replicò Brown con un sorriso allegro. 'Niente!

Niente!' protestò Cornelius con energia. 'Impossibile. Io sono qui

da tanti anni.' Brown lo guardo con curiosità. C'erano molti

aspetti nella vita di quel paese in armi contro di lui, molte cose

che non avrebbe mai compreso. Cornelius, avvilito e strascicando

il passo, continuò la sua strada in direzione del fiume.

Abbandonava i suoi nuovi amici; accettava il corso desolato degli

avvenimenti con un'ostinazione arcigna che pareva rinsecchirgli

ancor più il suo viso di vecchio, piccolo e giallo; ora,

scendendo, gettava occhiate bieche di qua e di là, senza mai

abbandonare la sua idea fissa.

D'ora in poi gli avvenimenti precipitarono veloci, senza sosta,

fluendo dai cuori stessi degli uomini come un fiume da una occulta

sorgente, e vi troveremo in mezzo Jim, visto soprattutto

attraverso gli occhi di Tamb'Itam. Anche gli occhi della ragazza

lo avevano seguìto, ma la sua vita è troppo intrecciata con quella

di lui; e sempre la sua passione, il suo stupore, la sua collera,

e, soprattutto, la sua paura e il suo amore implacabili. Del servo

fedele, non meno inadatto degli altri a comprendere, la sola

fedeltà è in giuoco; una così piena fedeltà e fiducia nel suo

signore che perfino lo stupore si riduce in lui a una specie di

triste accettazione di un misterioso insuccesso. Non ha occhi che

per uno solo; e attraverso tutte le titubanze dello sbigottimento

egli conserva sempre il suo atteggiamento di guardiano, obbediente

e solerte.

Il suo padrone tornò dal colloquio con gli uomini bianchi,

avviandosi a passi lenti verso la palizzata sulla strada. Tutti si

rallegrarono a vederlo ritornare perché mentre era via ognuno

temeva non solo per la vita di lui, ma anche per se stesso; per le

conseguenze. Jim entrò nella casa dove si era ritirato il vecchio

Doramin e rimase solo a lungo col capo dei Bugi; senza dubbio per

prendere accordi con lui sul da farsi; ma nessuno fu presente al

colloquio. Soltanto Tamb'Itam, tenendosi il più vicino che poté

alla porta, sentì il suo padrone che diceva: 'Sì. Farò sapere a

tutto il popolo che tale è il mio desiderio; ma ho voluto parlare

a te, o Doramin, prima che a tutti gli altri, e da solo a solo:

perché tu conosci il mio cuore come io conosco il tuo, e il suo

più grande desiderio. Ma sai anche bene che non ho altro pensiero

che il bene del popolo.' Poi il suo padrone, sollevando la

portiera di stoffa, uscì, e lui, Tamb'Itam, ebbe un'occhiata dal

vecchio Doramin, seduto lì dentro nella sua poltrona con le mani

sulle ginocchia, e gli occhi fissi a terra tra un piede e l'altro.

Dopo, raggiunse il suo padrone sulla via del forte, dove tutti i

principali Bugi e i capi di Patusan erano stati convocati a

consiglio. Tamb'Itam, per conto suo, sperava che ci sarebbe stata

battaglia. 'Non si trattava che di conquistare un'altra collina,'

esclamò con aria malinconica. Tuttavia in paese molti speravano

che gli stranieri rapinatori si sarebbero decisi ad andarsene,

alla vista di tanti valorosi pronti a combattere. Da quando, prima

dell'alba, il forte aveva annunciato con una cannonata e col rullo

del tamburo il ritorno di Jim, la paura che incombeva su Patusan

si era spianata e frantumata, come un'onda su uno scoglio,

lasciandosi dietro la schiuma e il ribollire dell'eccitazione,

della curiosità e di interminabili dissertazioni. Metà della

popolazione era stata cacciata dalle case adibite alla difesa, e

viveva in mezzo alla via sulla riva sinistra del fiume,

affollandosi intorno al forte, con la preoccupazione di veder

incendiare da un momento all'altro le loro case vuote sulla riva

minacciata. Desiderio generale era di vedere la faccenda sistemata

al più presto. Gioiello si era incaricata di far distribuire

viveri ai ricoverati. Nessuno sapeva che avrebbe fatto il loro

uomo bianco. Qualcuno osservò che questa volta era peggio della

guerra contro lo sceriffo Alì. Quella, per molti, non ebbe grande

importanza; adesso invece tutti avevano qualche cosa da perdere.

Era seguìto con interesse il movimento delle canoe che andavano

avanti e indietro tra le due parti del borgo. Un paio di barche da

guerra Bugi stavano all'àncora in mezzo alla corrente per

proteggere il fiume; un filo di fumo si alzava sulla prua di

ognuna: gli uomini a bordo stavano cuocendo il loro rancio di

mezzogiorno quando Jim, finiti i suoi colloqui con Brown e

Doramin, attraversò l'acqua ed entrò nel forte dal cancello sul

fiume. Dentro, la gente gli si affollò talmente intorno che durò

fatica ad aprirsi la strada fino a casa. Non lo avevano veduto

fino allora perché, arrivato di notte, aveva scambiato appena due

parole con la ragazza, scesagli incontro all'imbarcadero, e subito

si era affrettato a raggiungere i capi e i guerrieri sull'altra

riva. Il popolo lo salutava con acclamazioni. Una vecchia sollevò

uno scoppio di ilarità facendosi largo come una pazza fino in

prima fila, per ingiungere a Jim, con voce minacciosa, di badare

che ai suoi due figli, del seguito di Dorarnin, non fosse torto un

capello per mano di quei ladroni. Parecchi degli astanti cercarono

di trascinarla via, ma lei gridava dibattendosi: 'Lasciatemi

stare! E che, oh Mussulmani! Che c'è da ridere? Sciagurati! Non

sono forse ladroni crudeli, assetati di sangue, e venuti per

sterminare?' 'Lasciatela,' fece Jim, e, nel silenzio che seguì

ìmmediatamente, disse, lento: 'Tutti saranno salvi.' E prima che

si fosse spento il grande sospiro e i forti mormorii di

soddisfazione che seguirono, era già entrato in casa sua.

Era senza dubbio deciso a lasciare a Brown via libera al mare. Il

suo destino gli si rivoltava contro e gli forzava la mano. Per la

prima volta si trovava a dover affermare la propria volontà di

fronte a un'opposizione dichiarata. 'Ci fu un gran parlare, e da

principio il mio padrone stava sempre zitto,' disse Tamb'Itam. 'Si

fece buio, e allora accesi le candele sul tavolo lungo. I capi

sedevano ai due lati e la signora rimase alla destra del mio

padrone.'

Quando cominciò a parlare, l'insolita resistenza parve ottenere il

solo effetto di rinsaldarlo solidamente nel suo proposito. I

bianchi sulla collina aspettavano la sua risposta. Il loro

capitano, parlandogli col linguaggio del suo proprio popolo, aveva

rese piane molte cose difficili da spiegarsi in altra lingua.

Erano dei traviati che i patimenti avevan fatto sordi al bene e al

male. E' vero che si erano già perdute delle vite, ma perché

perderne delle altre? Dichiarò, a quel raduno di capipopolo che

l'ascoltavano, che il loro benessere era il suo; le perdite, le

sue; i loro lutti, i suoi. Volse intorno lo sguardo su quei visi

seri in ascolto e disse loro di ricordarsi che avevano combattuto

e lavorato a fianco a fianco. Conoscevano il suo coraggio... Qui

si levò un mormorìo... E che lui non li aveva mai ingannati. Da

molti anni vivevano insieme. Amava il paese e i suoi abitanti di

un grandissimo amore. Era pronto a rispondere con la vita di

qualsiasi eventuale danno fosse capitato a loro per aver

consentito agli uomini bianchi e barbuti di ritirarsi. Erano gente

malvagia, ma anche il destino era stato malvagio con loro. Aveva

egli mai dato un cattivo consiglio? Le sue parole avevano mai

portato danno al popolo? domandò. Era convinto che era meglio

lasciar che quei bianchi e i loro seguaci se ne andassero col dono

della vita. Un dono assai modesto. 'Io, che voi avete messo alla

prova e trovato sempre fedele, vi chiedo di lasciarli andare.' Si

volse a Doramin. Il vecchio nakhoda non si mosse. 'Allora,' disse

Jim, 'richiama Dain Waris, tuo figlio e mio amico, perché a capo

di questa impresa io non ci voglio essere'".

 

 

 

 

 

CAPITOLO 43.

"Tamb'Itam dietro alla sua seggiola rimase folgorato. La

dichiarazione destò un'impressione enorme. 'Se ne vadano pure: è

il meglio a quanto pare a me, che non vi ho mai ingannati,'

insisté Jim. Seguì un silenzio. Nel buio del cortile si sentiva il

mormorìo sommesso, lo stropiccìo dei piedi di una moltitudine.

Doramin sollevò la testa pesante, e disse che leggere nei cuori è

impossibile quanto toccare il cielo con le dita - ma che

acconsentiva. Gli altri espressero a turno la loro opinione. 'E'

meglio,' 'Lasciateli andare,' e così via. Ma la maggior parte

disse semplicemente che 'credevano in Tuan Jim.'

In questa semplice formula di assenso è il nocciolo di tutta la

situazione; la loro fede, la sua lealtà; e il riconoscimento di

quella onestà che lo poneva agli stessi suoi occhi nel novero

degli uomini senza macchia che s'innalzano sul gregge. Le parole

di Stein: 'Romantico!... romantico!' sembrano superare quelle

lontananze che ormai non lo restituiranno mai più né al mondo

indifferente alle sue debolezze e alle sue virtù, né all'affetto

costante che, nello sbigottimento di un grande dolore e di una

eterna separazione, gli rifiuta l'elemosina delle lagrime. Dal

momento in cui la pura sincerità degli ultimi tre anni di vita

bastò a fargli riportare la vittoria sull'ignoranza, la paura e la

collera degli uomini, Jim non mi appare più come lo vidi l'ultima

volta - una macchiolina bianca che assorbiva tutta la tenue luce

rimasta sulla costa buia e il mare scuro - ma più grande e

compassionevole nella solitudine di quella sua anima che, anche

per colei che lo amò più di tutti, resta un amaro e insolubile

mistero.

E' evidente che non negò fede alle parole di Brown; non c'era

motivo di mettere in dubbio la sua storia, la cui autenticità

sembrava suffragata dalla sua rude franchezza, da quella sincerità

così maschia nell'accettare le conseguenze e la morale dei suoi

atti. Ma Jim non aveva idea dell'egoismo quasi inconcepibile

dell'uomo, di quell'egoismo che, se avversato o deluso nelle sue

pretese, lo riduceva pazzo di rabbiosa indignazione e di vendetta

come un autocrate contrastato. Ma se Jim non sospettava di Brown,

era però evidentemente preoccupato che non nascesse qualche

equivoco da portare a un urto e a spargimento di sangue. Per

questa ragione, appena partiti i capi malesi, pregò Gioiello di

dargli qualcosa da mangiare ché doveva uscire dal forte per andare

ad assumere il comando del borgo. All'obbiezione di lei che doveva

essere troppo stanco, Jim rispose che durante la sua assenza

poteva accadere qualcosa che non si sarebbe mai perdonato. 'Sono

responsabile di ogni vita nel paese,' disse. Dapprima appariva un

po' triste; la ragazza lo servì con le proprie mani, facendosi

dare da Tamb'Itam piatti e vassoi (del servizio che gli aveva

regalato Stein), ed egli finì per rianimarsi; le disse di tener

lei il comando ancora per una notte. 'Non possiamo pensare al

sonno, figliola,' disse, 'finché la nostra gente è in pericolo.' E

poi soggiunse scherzando che lei era il miglior soldato di tutti.

'Se tu e Dain Waris aveste fatto a modo vostro, non uno di quei

disgraziati oggi sarebbe vivo.' 'Sono molto cattivi?' domandò la

ragazza, curva sulla seggiola di lui. 'Certi uomini a volte

agiscono male senza essere molto peggiori degli altri,' rispose

Jim dopo un momento di perplessità.

Tamb'Itam seguì il suo padrone fino all'imbarcadero fuori del

forte. Era una notte limpida, ma senza luna; e mentre il centro

del fiume era buio, l'acqua sotto alle due rive rifletteva la luce

di molti fuochi 'come nella notte del Ramadan,' disse l'indigeno.

Barche armate andavano chete chete alla deriva per il buio

sentiero dell'acqua, oppure, ancorate, fluttuavano con un forte

sciacquìo. Quella notte Tamb'Itam ebbe molto da pagaiare con la

canoa, e molto da camminare alle calcagna del padrone: misurarono

più di una volta la strada dove ardevano i fuochi, e il

retroterra, al margine dell'abitato, dove piccole pattuglie

montavan la guardia nei campi. Tuan Jim dava ordini, ed era

ubbidito. In ultimo si recarono alla palizzata del Rajah, che

quella notte era difesa da un distaccamento degli uomini di Jim.

Il vecchio Rajah era fuggito quella mattina con la maggior parte

delle donne, in una sua casetta vicino a un villaggio nella

giungla, su un affluente del fiume. Kassim, rimasto lì, aveva

partecipato all'assemblea per spiegare con la sua aria di

indaffarata diligenza la sua diplomazia del giorno avanti. Ebbe

molto fredde accoglienze, ma riuscì a conservare la sua vivacità

sorridente e serena, e si dichiarò felicissimo quando Jim gli

disse secco secco che intendeva di guarnire quella notte la

palizzata coi suoi uomini. Allorché l'assemblea fu sciolta, lo si

sentì di fuori avvicinarsi a questo e a quel capo in procinto di

andarsene, parlando con voce alta e soddisfatta del territorio del

Rajah così ben difeso durante la sua assenza.

Gli uomini di Jim arrivarono verso le dieci alla palizzata, che

dominava la foce del ruscello, e Jim intendeva rimanerci finché

Brown venendo giù per il fiume non l'avesse oltrepassata. Accesero

un focherello sullo spiazzo liscio, erboso, fuori dalla cinta dei

pali, e Tamb'Itam posò a terra uno sgabello pieghevole per il suo

padrone. Jim gli disse di mettersi a dormire. Tamb'Itam si cercò

una stuoia e si distese poco distante; ma non gli riuscì di

chiuder occhio, benché sapesse di dover andare per una missione

importante prima dello spirar della notte Il suo padrone camminava

avanti e indietro davanti al fuoco, a capo chino e con le mani

dietro la schiena. Aveva un viso triste. Ogni volta che gli

passava vicino Tamb'Itam fingeva di dormire, perché il padrone non

si accorgesse che lui non lo perdeva di vista. Finalmente si

fermò, guardandolo dall'alto lì disteso, e disse piano: 'E'

l'ora.'

Tamb'Itam balzò in piedi e si mise a fare i preparativi. La sua

missione era di scendere lungo il fiume, precedendo di un'ora o

più la barca di Brown, a dire a Dain Waris, in modo formale e

perentorio, che i bianchi si dovevano lasciar passare

indisturbati. Jim non si fidava di nessun altro per questo

servizio. Prima di muoversi, Tamb'Itam domando un segno, più che

altro per formalità, giacché la sua posizione presso Jim la

conoscevano tutti. 'Perché, Tuan,' disse, 'il messaggio è

importante, e sono le tue precise parole quelle che porto.' Il suo

padrone si frugò prima in una tasca, poi nell'altra, e alla fine

si tolse dall'indice l'anello d'argento di Stein, che portava

quasi sempre, e lo consegnò a Tamb'Itam. Quando Tamb'Itam partì

per la sua missione, il campo di Brown sull'altura era buio, salvo

un'unica piccola luce che splendeva attraverso i rami di uno degli

alberi che gli uomini bianchi avevano tagliato.

Sul far della sera Brown aveva ricevuto da Jim un pezzo di carta

piegato su cui era scritto: 'Hai via libera. Parti appena la tua

barca sarà rimessa a galla dal flusso della mattina. Bada che i

tuoi uomini facciano ben attenzione, perché i cespugli ai due lati

del ruscello e della palizzata alla sua confluenza col fiume sono

pieni di uomini bene armati. Non ve la cavereste; ma non credo che

tu voglia spargimenti di sangue.' Brown lesse, strappò il foglio

in tanti pezzetti, e, volgendosi a Cornelius, che lo aveva

portato, disse con aria di motteggio: 'Addio, mio eccellente

amico.' Cornelius quel pomeriggio era andato giù al forte e si era

aggirato di soppiatto intorno alla casa di Jim. Questi lo incaricò

di portare il biglietto, prima perché sapeva l'inglese, e poi

perché Brown lo conosceva e non c era pericolo che i suoi uomini,

eccitati, lo ammazzassero per sbaglio, come sarebbe potuto

capitare a un Malese che si fosse avvicinato alla collina nel

crepuscolo.

Cornelius consegnò il biglietto, ma non se ne andò subito. Brown

sedeva davanti a un po' di fuoco, tutti gli altri erano sdraiati

per terra. 'Potrei dirti qualcosa che ti piacerebbe sapere,'

borbottò Cornelius di malumore. Brown non gli fece caso. 'Tu non

l'hai voluto ammazzare,' riprese l'altro, 'e che te n'è venuto? Ci

avresti ricavato un po' di soldi da parte del Rajah, oltre al

bottino di tutte le case Bugi; e così non prendi niente.' 'Faresti

meglio a levarti dai piedi,' brontolò Brown, senza nemmeno

guardarlo. Ma Cornelius si lasciò cadere al suo fianco e cominciò

a parlargli in fretta in fretta, sottovoce, dandogli un colpetto

sul gomito di quando in quando. Quel che aveva da dire fece

drizzar la schiena a Brown che tirò giù una bestemmia: ché l'altro

lo aveva semplicemente informato della pattuglia di Dain Waris giù

per il fiume. Lì per li Brown si considerò venduto e tradito in

pieno, ma gli bastò un momento di riflessione per convincersi che

a un tradimento non c'era neanche da pensarci. Non disse nulla, e

dopo un poco Cornelius osservò, con aria d'assoluta indifferenza,

che c'era un altra via d'acqua oltre al fiume, e che lui la

conosceva benissimo. 'Buono a sapersi,' fece Brown, drizzando le

orecchie; e Cornelius cominciò a parlare di quel che succedeva nel

borgo, e gli ripeteva tutto ciò che era stato detto in Consiglio

versando nell'orecchio di Brown un mormorìo monotono, come si fa

trovandosi in mezzo a gente addormentata, che non vogliamo

svegliare. 'Crede di avermi tirato via i denti, eh?' borbottò

Brown molto sottovoce... 'Sì. E' uno stupido. Un bamboccio. E'

venuto qui a portarmi via il mio,' continuò a mormorare Cornelius.

'E l'ha data da bere a tutti. Ma se succede qualcosa per cui non

gli crederanno più, come gli va a finire, a quello lì? E il Bugi

Dain che ti aspetta in agguato lungo il fiume, capitano, è proprio

quello che ti assalì quando sei arrivato. Brown osservò con

disinvoltura che certo avrebbe preferito di non incontrarsi con

lui, e con la stessa aria distaccata, distratta, Cornelius

dichiaro di conoscere una diramazione del fiume abbastanza larga

da passarci la barca di Brown fin oltre al campo di Dain Waris.

'Dovrete stare molto zitti, però,' soggiunse, come se fosse un

ripensamento, 'perché in un punto passiamo vicino

all'accampamento, alle sue spalle. Molto vicino. Sono accampati

sulla riva con le barche tirate in secco.' 'Oh, lo sappiamo come

si fa a star zitti come topi, non aver paura.' Cornelius pattuì

che, se doveva far da guida a Brown, questi gli avrebbe portato a

rimorchio la sua canoa. 'Bisognerà ch'io torni indietro in

fretta,' spiegò.

Mancavano un paio d'ore all'alba quando le vedette passarono

parola alla palizzata che i pirati bianchi stavano scendendo alla

barca. In brevissimo tempo da un'estremità all'altra di Patusan

ogni uomo armato fu all'erta, eppure le rive del fiume rimasero

così silenziose che, non fossero stati i fuochi a ravvivarsi a

tratti con leggeri bagliori improvvisi, il borgo poteva sembrare

addormentato come in tempo di pace. Una nebbia fitta stagnava

bassissima sull'acqua, creando una specie di illusoria luce grigia

che non rischiarava niente. Quando la scialuppa di Brown scivolò

dal ruscello nel fiume, Jim stava in piedi su un promontorio basso

davanti alla palizzata del Rajah proprio lì dove aveva messo piede

a Patusan la prima volta. Vide a un tratto un'ombra, tra quel

grigiore di nebbia, scendere solitaria, massiccia, evasiva, ogni

momento sottratta alla vista, carica di un mormorìo di voci

represse. Brown, al timone, udì la voce di Jim giungere calma:

'Via libera. Farete bene ad affidarvi alla corrente finché dura

questo nebbione; ma si alzerà presto.' 'Sì, tra poco ci si vedrà

chiaro,' rispose Brown.

I trenta o quaranta uomini che stavano pronti con i moschetti

imbracciati fuori della palizzata trattennero il respiro. Il

mercante Bugi, che incontrai poi sulla veranda di Stein, e che si

trovava tra loro, mi disse che la scialuppa, passando rasente al

promontorio, sembrò per un momento ingigantirsi e dominarlo come

una montagna. 'Se potete aspettare un giorno alla fonda,' gridò

Jim, 'cercherò di mandarvi qualcosa: un vitello, un po' di patate

dolci - quello che posso.' L'ombra alta veniva sempre più avanti.

'Sì. Bravo,' disse una voce opaca e attutita dalla nebbia. Nessuno

dei difensori inorecchiti capì il significato di quelle parole;

poi la barca di Brown e i suoi uomini passarono oltre, scomparendo

in silenzio come spettri.

E così Brown, invisibile nella nebbia, se ne andò da Patusan,

gomito a gomito con Cornelius, seduto a poppa della scialuppa.

'Forse ti darà un bel vitello,' disse Cornelius. 'Già; un bel

vitello. E patate. Te li ha promessi e te li dà. E' di parola. Mi

ha rubato tutto il mio. Un bel vitello è meglio che il bottino di

molte case.' 'Ti consiglio di tener la lingua a posto, se non vuoi

che qualcuno ti butti fuori bordo in questa nebbia stramaledetta,'

fece Brown. La barca sembrava immobile; non si vedeva niente,

nemmeno il fiume sottobordo, solo un pulviscolo umido volava e si

condensava, giù per le barbe e in faccia. Una fantasmagoria, mi

disse Brown. Ognuno di loro, in sé e per sé, si sentiva come se

fosse stato solo, alla deriva in una barca, sotto l'incubo di

presenze spettrali sospirose e mormoranti. 'Buttarmi fuori, eh? Ma

io saprei orientarmi,' mormorò Cornelius, immusonito. 'Vivo qui da

molti anni.' 'Non tanti da vedere attraverso a una nebbia come

questa,' ribatté Brown, abbandonato all'indietro col braccio che

gli dondolava sulla barra inoperosa. 'Sì. Anche attraverso a

questa nebbia,' ringhiò Cornelius. 'Molto bene,' commentò Brown.

'Vuoi farmi credere che sapresti ritrovare così alla cieca quel

canale secondario di cui hai parlato?' Cornelius grugnì. 'Vi

farebbe troppa fatica remare?' domandò dopo un silenzio. 'No,

perdio!' gridò Brown a un tratto. 'Fuori i remi laggiù.' Ci fu

nella nebbia un gran tramestìo, che dopo un poco si mutò nel

raschio regolare di invisibili remi contro invisibili scalmiere.

Per il resto, tutto come prima; e non ci fosse stato un leggero

sciacquìo era come remare in mezzo a una nuvola dalla navicella di

un pallone, mi disse Brown. Da lì in poi Cornelius non aprì bocca

se non per domandare lagnosamente che qualcuno gli aggottasse la

canoa, a rimorchio della scialuppa. A poco a poco la nebbia si

sbiancò e da prua schiariva. A sinistra Brown vide una massa

scura, che poteva sembrar la schiena della notte in fuga. A un

tratto un grande albero fronzuto gli fu sopra alla testa, e le

estremità di alcuni rametti, gocciolanti e immobili s'incurvarono

sottili, vicinissimi al bordo. Cornelius, senza una parola, gli

prese di mano la barra".

 

 

 

 

 

 

 

CAPITOLO 44.

"Non credo che si scambiassero più parola. La barca entrò nello

stretto canale secondario e la spinsero pontando i remi contro le

prode sfarinose; su cui, per la fitta oscurità, pareva che si

fossero tese due enormi ali nere dal fondo fino alla cima degli

alberi per tutto il suo spessore. Grandi goccie piovevano dal

fogliame dei rami attraverso la densità della nebbia. Cornelius

brontolò qualche cosa e Brown fece caricare le armi ai suoi

uomini. 'Vi darò il modo di far pari con loro prima di abbandonare

il campo, branco di storpiati che siete,' disse alla banda.

'Badate di non perdervi l'occasione, razza di cani.' Un ringhio

sordo rispose a quelle parole. Cornelius entrò in grande

agitazione per la sua malsicura canoa.

Intanto Tamb'Itam era arrivato a destinazione con un po' di

ritardo per la nebbia: ma aveva pagaiato regolarmente, tenendosi a

contatto con la sponda meridionale. Alla fine la luce del giorno

si accese come una fiammella in un globo di vetro smerigliato. Ai

due lati del fiume le sponde mettevano una sbavatura caliginosa,

in cui si delineavano accenni di forme un po' come colonne e,

molto in alto, ombre di intrecci ramosi. La nebbia, a fior

d'acqua, era ancora fitta; ma sull'accampamento si faceva buona

guardia. Infatti, all'avvicinarsi di Tamb'Itam, le sagome di due

uomini emersero dal vapore lattiginoso, e lo investirono voci in

tono violento. Rispose; e subito una canoa essendoglisi messa di

fianco, scambiò le notizie con i pagaiatori. Tutto bene. Il

pericolo era passato. Allora gli uomini della canoa mollarono

presa dal bordo di Tamb'Itam, e immediatamente scomparvero. Egli

tirò innanzi finche non udì delle voci che gli arrivavano calme

sull'acqua; e ora vide, sotto la nebbia che si sollevava in

turbini, il chiarore di molti piccoli fuochi accesi su una

spiaggiola di rena, contro uno sfondo di alberi alti e sottili e

di cespugli. Anche lì c'erano le sentinelle che gli diedero il chi

va là. Gridò il suo nome, e con due colpi di pagaia azzuccò la sua

barca sulla rena. C'era un vasto accampamento: uomini accoccolati

in molti gruppetti nel mormorio ininterrotto delle conversazioni

mattutine. Molti fili sottili di fumo si avvitavano lenti nella

nebbia biancastra. Elevati sul terreno, sporgevano i piccoli

rifugi dei capi. I moschetti erano raggruppati a fasci, e lunghe

lancie erano conficcate, una distante dall'altra, nella sabbia,

vicino ai fuochi.

Tamb'Itam, con aria d'importanza, volle esser accompagnato da Dain

Waris. Trovò l'amico del suo padrone bianco disteso su un alto

giaciglio di bambù, riparato da una specie di tettoia di stecchi

ricoperti di stuoie. Dain Waris era sveglio, e un fuoco vivo

ardeva davanti al suo giaciglio che sembrava una specie di rozzo

altare. L'unico figlio del nakhoda Doramin rispose cortesemente al

saluto Tamb'Itam per prima cosa gli consegnò l'anello, pegno di

fede del messaggio e della sua parola. Dain Waris, appoggiato sul

gomito, gli ordinò di parlare e di riferirgli le notizie. Dopo la

formula consacrata: 'Notizie, buone,' Tamb'Itam cominciò a

riferire le parole precise di Jim. Gli uomini bianchi, partiti con

il consenso di tutti i capi, dovevano aver passo libero giù per il

fiume. Rispondendo a una domanda o due, Tamb'Itam riferì sullo

svolgimento dell'ultima assemblea. Dain Waris ascoltò attentamente

fino in fondo, giocherellando con l'anello che alla fine si infilò

nell'indice della mano destra. Dopo aver ascoltato quanto aveva da

dire Tamb'Itam, lo mise in libertà che andasse a mangiare e a

riposarsi. Furono immediatamente impartiti gli ordini per il

ritorno in Patusan nel pomeriggio. Poi Dain Waris si stese di

nuovo, a occhi aperti, mentre i servi addetti alla sua persona gli

preparavano il rancio sul fuoco, vicino al quale anche Tamb'Itam

si era seduto a chiacchierare con gli uomini che si erano distesi

ad ascoltare le ultime notizie di Patusan. Il sole si andava

divorando la nebbia. Sul braccio principale de! fiume dove si

attendeva da un momento all'altro di veder apparire la barca dei

bianchi, gli uomini facevano buona guardia.

E qui Brown sì prese la sua rivalsa su quel mondo che dopo

vent'anni di bravacciate altezzose e temerarie gli rifiutava il

tributo di successo di ogni comune brigante. Fu un atto di ferocia

a sangue freddo, che sul suo letto di morte lo sosteneva come il

ricordo di un'indomita sfida. Sbarcò i suoi uomini alla

chetichella dal lato esterno dell'isola, dietro all'accampamento

Bugi, e glie la fece attraversare tutta. Dopo una breve, ma

silenziosissima discussione, Cornelius, il quale aveva tentato di

sgattaiolarsela al momento dello sbarco, si rassegnò a indicare la

via per il sottobosco più rado. Brown gli teneva tutte e due le

mani magre strette nel suo grande pugno dietro la schiena,

mandandolo avanti con un energico spintone. Cornelius restava muto

come un pesce, abietto, ma fedele al suo scopo, di cui

intravvedeva il raggiungimento vagamente, davanti a sé. Al margine

del terreno boscoso, gli uomini di Brown si sparpagliarono al

coperto, e aspettarono. L'accampamento era tutto scoperto da

un'estremità all'altra, in piena luce ai loro occhi, e non c'era

una sentinella da quella parte. Nessuno si sognava nemmeno che i

bianchi potessero aver sentore dello stretto canale che passava

alle spalle dell'isola. Tutti e due i suoi imbocchi erano così

stretti e irti di vegetazione che gli stessi indigeni, passando in

canoa, stentavano a trovarli. Quando credette venuto il buon

momento, Brown urlò: 'Addosso!' e quattordici colpi echeggiarono

come un colpo solo.

Tamb'Itam mi disse tanta essere stata la sorpresa che, tranne i

caduti morti o feriti, dopo quella scarica, e per un bel pezzetto,

non si mosse un'anima. Poi un uomo gettò un grido, e dopo quel

grido, salì da tutte le gole un grande urlo di sorpresa e di

paura. Sotto l'impeto di un panico cieco quegli uomini si

precipitarono in folla, ondeggiando e fluttuando, avanti e

indietro per la riva, come una mandria di buoi spaventati

dall'acqua. Qualcuno saltò nel fiume subito, ma i più si decisero

soltanto dopo la terza scarica. Tre volte gli uomini di Brown

spararono sulla massa, mentre Brown, l'unico che si mostrasse allo

scoperto, bestemmiava e urlava: 'Mirate basso! Mirate basso!'

Tamb'Itam dice che, quanto a lui, quel che era successo lo capì

alla prima scarica. Benché illeso, cadde e si tenne appiattato a

terra come morto, ma con gli occhi aperti. Ai primi colpi, Dain

Waris, balzando dal suo giaciglio, saltò fuori e alla seconda

scarica corse sulla riva allo scoperto, proprio in tempo per

prendersi una pallottola in fronte. Tamb'Itam lo vide spalancare

le braccia e cadere. Allora, dice, non prima, si sentì preso da

una grande paura. I bianchi si ritirarono com'erano venuti - non

visti.

Così Brown pareggiò il suo conto con la fortuna avversa. Nota che

perfino in questo orrendo misfatto si sente la superiorità

dell'uomo che porta in sé la realtà astratta del diritto

nell'involucro dei suoi comuni desideri. Non era un massacro da

volgare tradimento, quello; era una lezione, una retribuzione una

dimostrazione di qualche attributo oscuro e spaventoso della

nostra natura, il quale temo non sia così a fondo sotto la scorza

quanto ci fa comodo di credere.

Poi i bianchi si allontanarono non visti neanche da Tamb'Itam, e

sembrarono così svanire del tutto di sotto gli sguardi umani; e

anche lo schooner scomparve al modo della roba rubata. Si racconta

però di una scialuppa bianca raccolta un mese dopo nell'Oceano

Indiano da un vapore mercantile. C'erano dentro due scheletri

rinsecchiti, gialli, con gli occhi vitrei e con un fil di voce,

sottomessi all'autorità di un terzo scheletro che dichiarò di

chiamarsi Brown. Il suo schooner, disse, diretto al sud con un

carico di zucchero giavanese, aveva fatto una brutta avaria e gli

era affondato sotto i piedi. Lui e i suoi compagni erano i

superstiti di una ciurma di sei. Gli altri due morirono a bordo

del vapore che li aveva salvati. Non ha importanza. Brown visse

per farsi vedere da me, e posso testimoniare che restò fedele a se

stesso fino all'ultimo.

Sembra, tuttavia, che, nell'andarsene, avessero trascurato di

sganciare la canoa di Cornelius. Lui, Cornelius, Brown lo aveva

lasciato libero all'iniziò della sparatoria, con un calcio

d'estrema benedizione. Tamb'Itam, sorto su di tra i morti, vide il

Nazareno correre su e giù per la riva tra i cadaveri e i fuochi in

estinzione, con grida sottili. A un tratto si precipitò verso il

fiume, e con sforzi frenetici tentò di varare una barca Bugi.

'Dopo, finché non mi ebbe scorto,' riferì Tamb'Itam, 'rimase lì in

piedi a guardare la pesante canoa grattandosi la testa.' 'Che ne è

stato di lui?' domandai. Tamb'Itam, guardandomi fisso, fece un

gesto espressivo col braccio destro. 'Due volte l'ho colpito,

Tuan,' fece. 'Quando mi vide avvicinare si gettò a terra

scalciando, e gridando forte. Due volte l'ho colpito. Strillò come

una gallina spaventata finché non sentì la punta; poi tacque, e

rimase steso lì, a guardarmi fisso, mentre la vita gli usciva

dagli occhi.'

Tamb'Itam non si attardò oltre. Capì l'importanza di arrivar primo

con le orrende notizie al forte. C'erano, naturalmente, molti

superstiti della pattuglia di Dain Waris; ma nel furore del panico

qualcuno aveva attraversato il fiume a nuoto, altri erano fuggiti

nella macchia. In realtà nessuno sapeva precisamente chi avesse

fatto il colpo - e se non fossero in via altri predoni bianchi, e

se non avessero già dilagato per tutto il paese. Immaginavano

senz'altro di essere vittime di un tradimento in grande, votati

alla distruzione totale. Si dice che alcuni piccoli gruppi non

giunsero a casa che tre giorni dopo. Comunque, pochi tentarono di

tornare subito a Patusan. Una delle canoe che quella mattina erano

di ronda sul fiume, si trovò in vista del campo proprio al momento

dell'assalto. E' vero che da principio gli uomini si buttarono di

sotto, e nuotarono fino alla riva opposta, ma poi tornarono nella

barca e ripresero la rotta, incerti, contro corrente. Su costoro.

Tamb'Itam aveva un'ora di vantaggio".

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

CAPITOLO 45.

"Quando Tamb'Itam, pagaiando come un matto, arrivò in vista del

paese, le donne stavano affollate sulle piattaforme davanti alle

case, aspettando il ritorno della flottiglia di Dain Waris. Il

borgo aveva un'aria festosa; qua e là si vedevano gruppi di

uomini, ancora armati di lance e fucili, muoversi o star fermi a

capannelli lungo la riva. I negozi cinesi avevano aperto di

buon'ora; ma il mercato era vuoto, e una sentinella, ancora al suo

posto all'angolo del forte, riconobbe Tamb'Itam e diede la voce a

quelli di dentro. Il cancello era spalancato. Tamb'Itam saltò a

terra e si precipitò dentro. La prima persona che incontrò fu la

ragazza che usciva di casa.

Tamb'Itam, sconvolto, affannato, con le labbra tremanti e gli

occhi stralunati, rimase un momento davanti a lei come paralizzato

da un improvviso sortilegio. Poi disse a precipizio: 'Hanno ucciso

Dain Waris e molti altri.' La ragazza si torse le mani, e le sue

prime parole furono: 'Chiudi i cancelli.' La maggior parte degli

uomini del forte erano tornati alle loro case, ma Tamb'Itam

trasmise l'ordine immediato ai pochi rimasti per il turno di

guardia. La ragazza rimase immobile in mezzo al cortile, mentre

gli altri correvano qua e là 'Doramin,' esclamò disperata, mentre

Tamb'Itam le passava vicino. Quando ripassò, rispose in fretta al

pensiero inespresso di lei. 'Sì. Ma noi abbiamo tutta la polvere

di Patusan.' Lo afferrò per un braccio e, indicando la casa: 'Va'

a chiamare lui,' mormorò, tutta in tremito.

Tamb'Itam corse su per i gradini. Il suo padrone dormiva. 'Sono

io, Tamb'Itam,' gridò alla porta: 'con notizie che non possono

aspettare.' Vide Jim rivoltarsi sul cuscino e aprire gli occhi, e

aggiunse subito: 'Questo, Tuan, è giorno di sventura, giorno

maledetto.' Il suo padrone si sollevò su un gomito per ascoltarlo

- proprio come aveva fatto Dain Waris. E allora Tamb'Itam cominciò

il suo racconto, cercando di riferire i fatti per ordine,

chiamando Dain Waris 'Panglima;' e stava dicendo:

'Allora il Panglima gridò al suo capo-voga: - Da' a Tamb'Itam

qualcosa da mangiare -', quando il suo padrone mise i piedi a

terra e lo guardò con un viso così sconvolto che gli chiuse le

parole in gola.

'Parla,' fece Jim. 'E' morto?' 'Possa tu vivere a lungo,' esclamò

Tamb'Itam. 'E' stato il più infame dei tradimenti. Corse fuori ai

primi colpi, e cadde...' Il suo padrone si avvicinò alla finestra

e con un pugno aprì le imposte. La stanza si illumino; e allora

con voce sicura, ma parlando rapidamente, cominciò a dargli gli

ordini: radunare una flotta di barche per un immediato

inseguimento; andare da questo e da quello... mandare messaggeri;

e mentre parlava sedette sul letto, chinandosi ad allacciarsi le

scarpe in fretta. A un tratto alzò gli occhi: 'Sei ancora lì?'

domandò, acceso in volto. 'Non perdere tempo.' Tamb'Itam non si

mosse. 'Perdonami, Tuan, ma... ma,' cominciò a balbettare. 'Che

cosa?' gridò il suo padrone alzando la voce, terribile

nell'aspetto, e inclinato in avanti, stringendo con tutte e due le

mani l'orlo dei letto. 'Non è prudente per il tuo servo uscire in

mezzo al popolo,' disse Tamb'Itam dopo un attimo di esitazione.

Allora Jim capì. Si era ritirato da un mondo, per un incidente da

nulla: un salto istintivo; e ora quest'altro mondo, che si era

costruito con le sue mani, gli era crollato addosso. Non era

prudente per il suo servo uscire in mezzo al suo popolo! Credo che

da quel preciso momento abbia deciso di sfidare il disastro

nell'unico modo in cui gli parve che un simile disastro si potesse

sfidare; questo soltanto so, che, senza dir parola, uscì dalla sua

stanza e sedette davanti alla lunga tavola, in capo alla quale era

abituato a dirigere gli affari di questo suo mondo, proclamando

quotidianamente la verità che gli viveva sicura in cuore. Ma era

romantico - romantico - e tuttavia leale. Le potenze oscure non

gli avrebbero rubata due volte la pace. Sedeva come una statua di

pietra. Tamb'Itam, deferente, accennò ai preparativi di difesa. La

sua amata entrò a parlargli, ma Jim fece un cenno con la mano, ed

ella rimase atterrita a quel muto disperato invito al silenzio. La

ragazza uscì sulla veranda e sedette sulla soglia, come a

difenderlo con la sua persona dai pericoli esterni.

Quali pensieri gli passarono per il capo quali memorie? Chissà?

Tutto era finito, e lui che già una volta aveva mancato fede al

suo compito aveva perduto un'altra volta la fiducia degli uomini.

Fu allora, credo, che tentò di scrivere - a qualcuno - e poi vi

rinunziò. La solitudine gli si stringeva addosso. Solo per questo

la gente gli aveva affidato la propria vita - e intanto nessuno

mai, come aveva detto lui, mai sarebbe stato in grado di capirlo.

Quelli di fuori non gli udirono pronunciare parola. Più tardi,

verso sera, comparve sulla soglia a chiamare Tamb'Itam. 'Ebbene?'

domandò. 'C'è molto pianto. Anche molta collera,' rispose

Tamb'Itam. Jim lo guardò. 'Tu sai,' mormorò. 'Sì, Tuan,' disse

l'altro. 'Il tuo servo sa, e i cancelli sono chiusi.

Combatteremo.' 'Combattere? A che scopo?' domandò Jim. 'Per la

vita.' 'Io non ho vita,' rispose. Tamb'Itam udì un grido della

ragazza che era sull'uscio. 'Chi sa?' disse Tamb'Itam. 'Con

audacia e accortezza potremmo forse fuggire. C'è anche molta Paura

nei cuori degli uomini.' Uscì, pensando vagamente alle barche e al

mare aperto, e lasciò Jim solo con la ragazza.

Non mi basta l'animo di riferire qui le brevi notazioni di

Gioiello sulla sua lotta di più d'un'ora per il possesso della

propria felicità. Se a lui restasse qualche speranza - se e cosa

aspettasse, o immaginasse - è impossibile dire. Fu irremovibile, e

nell'isolamento sempre più cupo della sua ostinazione, il suo

spirito sembrò sollevarsi al disopra delle rovine della sua

esistenza. Gli gridò nelle orecchie: 'Combatti!' Lei non capiva. A

che scopo combattere? Egli avrebbe dimostrato altrimenti la sua

forza, vincendo la fatalità stessa del suo destino. Uscì in

cortile; la ragazza lo seguì barcollando, con i capelli sciolti,

il viso sconvolto, ansimante, e si appoggiò allo stipite. 'Aprite

i cancelli,' ordinò Jim. Poi, rivolto a quei suoi uomini che

stavano nel forte, diede loro il permesso di tornare a casa. 'Per

quanto tempo, Tuan?' domandò timidamente uno di essi. 'Tutta la

vita,' rispose con voce cupa.

Sul borgo era disceso il silenzio. Dopo un primo scoppio di gemiti

e lamentazioni che avevano spazzato il fiume come una raffica di

vento venuta dall'aperta dimora del dolore, sul borgo era disceso

il silenzio. Ma le dicerie si spandevano in labili mormorazioni, e

riempivano i cuori di atroci dubbi e di costernazione. I predoni

stavano per tornare, e con loro ne avrebbero portati chi sa quanti

altri in una grande nave, e non ci sarebbe più stato scampo per

nessuno in paese. Un senso di totale sbigottimento, come durante

un terremoto, empiva l'animo degli uomini che si mormoravano i

loro sospetti, guardandosi l'un l'altro negli occhi come in

presenza di un pauroso presagio.

Il sole calava verso le foreste quando portarono il corpo di Dain

Waris nel campong di Doramin. Lo portarono quattro uomini, coperto

pietosamente da un lenzuolo che la vecchia madre aveva mandato al

cancello incontro al figlio che le tornava. Lo posarono ai piedi

di Doramin, e il vecchio sedette a lungo immobile, con le mani

sulle ginocchia, guardando in terra. Le fronde delle palme

ondeggiavano dolcemente e sul suo capo palpitava il fogliame degli

alberi da frutto. Tutti gli uomini del suo popolo erano lì, armati

di tutto punto, quando il vecchio nakhoda alla fine alzò gli

occhi. Li volse lentamente sulla folla, quasi cercando un viso che

mancava. Il mormorìo della moltitudine si mescolava al fruscìo

lieve delle foglie.

Era lì anche il Malese che portò poi Tamb'Itam e la ragazza a

Samarang. 'Non in rivolta come tanti altri,' mi disse, 'ma colpito

da sgomento e stupore di fronte al destino subitaneo che pende sul

capo degli uomini come una nuvola carica di tuoni.' Mi disse che

quando, a un cenno di Doramin, scopersero il corpo disteso di Dain

Waris, colui che usavano chiamare l'amico del Signore bianco

apparve immutato, con le palpebre socchiuse, come sul punto di

svegliarsi. Doramin si inclinò un poco più in avanti, quasi

cercasse qualche cosa caduta per terra. Percorse con gli occhi

tutto il corpo dai piedi alla testa, forse per vedere dov'era

ferito. Il foro era nella fronte, e piccolo; nel più profondo

silenzio uno degli astanti, chinandosi sul cadavere, sfilò

l'anello d'argento dalla mano fredda, rigida, e in silenzio lo

mostrò a Doramin. Allora corse per la folla un mormorìo d'orrore e

di sgomento alla vista di quel pegno ben noto. Il vecchio nakhoda

lo fissò a occhi sbarrati, e ad un tratto lanciò un gran grido

selvaggio, dal profondo del petto; un ruggito di dolore e di

rabbia, potente come il muglio di un toro ferito, che mise un gran

timore nel cuore degli uomini per la smisurata forza della sua

collera e della sua pena, chiarissime così, senza parola. Seguì un

gran silenzio per qualche attimo, mentre quattro uomini

sollevavano il corpo e, spostandosi da un lato lo deponevano sotto

un albero. Immediatamente, con un solo lungo urlo, le donne della

casa cominciarono a far lamento tutte insieme, piangendo con acute

strida. Il sole volgeva al tramonto; nelle pause delle grida delle

lamentatrici si sentivano, staccate, le voci alte a cantilena di

due vecchi che intonavano il Corano.

Press'a poco nello stesso momento, Jim, appoggiato a un affusto di

cannone, guardava il fiume, volgendo le spalle alla casa; e la

ragazza, ansimante nel rettangolo della porta, come se fosse

venuta di corsa a fermarsi lì, lo guardava di là dal cortile.

Tamb'Itam in piedi, non lontano dal suo padrone, stava in paziente

attesa degli avvenimenti. Ad un tratto Jim, che sembrava immerso

in calmi pensieri, si voltò verso di lui dicendo: 'E' ora di

finirla.'

'Tuan?' disse Tamb'Itam con premura. Non capiva le intenzioni del

suo padrone, ma al primo movimento di Jim, anche la ragazza si era

mossa, uscendo all'aperto. Pare che nessun altro della casa fosse

in vista. Barcollava un poco, e circa a metà cammino chiamò Jim,

che sembrava aver ripreso a contemplare tranquillamente il fiume.

Egli si voltò, appoggiando la schiena al cannone. 'Combatterai?'

gli gridò. 'Non c'è ragione di combattere,' le rispose; 'niente è

perduto.' Così dicendo fece un passo verso di lei. 'Fuggirai?'

gridò ancora la ragazza. 'Non c'è via di scampo,' ribatté,

fermandosi lì su due piedi; e anche lei si fermò, in silenzio,

fissandolo con occhi di fuoco. 'E andrai là?' disse lentamente.

Jim chinò la testa. 'Ah!' esclamò la fanciulla, fissandolo come a

scrutarlo. 'O sei pazzo, o mancatore di parola. Ti ricordi la

notte che ti pregai di andartene, e tu dicesti che non potevi? Che

era impossibile! Impossibile! Ti ricordi che dicesti che non mi

avresti mai lasciata? Perché? Io non ti domandavo nessuna

promessa. Me l'hai fatta tu spontaneamente - ricordatene.' 'Basta,

poveretta,' rispose. 'Che varrei ormai, se restassi?'

Tamb'Itam disse che mentre parlavano la ragazza scoppiò a ridere

forte e senza senso, come una visitata da Dio, sicché il suo

padrone dovette chiudersi la testa tra le mani. Era vestito di

tutto punto come sempre, ma senza cappello. A un tratto Gioiello

smise di ridere. 'Per l'ultima volta,' gridò minacciosa, 'ti vuoi

difendere o no?' 'Niente può toccarmi,' ribatté Jim con un ultimo

lampo di superbo egoismo. Tamb'Itam la vide curvarsi in avanti,

aprire le braccia e correre veloce verso Jim, abbattersi sul suo

petto e abbracciarlo al collo.

'Ah! ma io ti terrò così,' gridò... 'Tu sei mio!'

Era scossa da singhiozzi violenti. Il cielo sopra Patusan era

sanguigno, immenso, colava sangue come una vena aperta. Un sole

enorme, scarlatto, si annidava tra le cime degli alberi, e, sotto,

la foresta aveva un volto nero e sinistro.

Tamb'Itam mi disse che quella sera l'aspetto del cielo era

crucciato e minaccioso. Posso ben crederlo, perché so che proprio

quel giorno un ciclone era passato entro il raggio di sessanta

miglia dalla costa, sebbene lì non spirasse che una languida

brezza.

A un tratto Tamb'Itam vide Jim afferrarle le braccia, nel

tentativo di staccarsi le mani di lei dal collo. Essa stava appesa

con la testa rovesciata all'indietro; i capelli toccavano terra.

'Vieni qui, tu!' gli gridò il padrone, e Tamb'Itam lo aiutò a

metterla giù. Fu difficile scioglierle le dita. Jim, curvo su lei

a terra, la fissò a lungo nel viso, poi, di colpo, si slanciò

verso l'imbarcadero. Tamb'Itam lo seguì, ma, volgendo il capo,

vide che la ragazza si era rimessa in piedi a fatica. Li rincorse

per qualche passo, e ricadde pesantemente sulle ginocchia. 'Tuan!

Tuan!' chiamò Tamb'Itam; 'voltati e guarda!' Ma Jim stava già

nella canoa, in piedi, con la pagaia in mano. Non si voltò.

Tamb'Itam ebbe appena il tempo di arrampicarsi a bordo, che la

canoa prese il largo. La ragazza era sempre in ginocchio,

torcendosi le mani, al cancello d'imbarco. Rimase così per un po'

in atto di implorazione prima di balzar su e a gridargli dietro:

'Traditore!' 'Perdonami!' rispose Jim. 'Mai! Mai!' ribatté.

Tamb'Itam tolse la pagaia di mano a Jim perché era indecoroso che

lui stesse a sedere mentre il suo signore remava. Quando toccarono

la riva opposta, il suo padrone gli proibì di proseguire; ma

Tamb'Itam lo seguì a distanza, salendo l'erta fino al campong di

Doramin.

Cominciava a imbrunire. Torcie occhieggiavano qua e là. Quelli che

incontravano sembravano atterriti e si facevano subito da parte al

passaggio di Jim. Dall'alto scendeva il lamento delle donne. Il

cortile era pieno di Bugi armati con i loro seguaci, di gente di

Patusan.

Non so precisamente che scopo avesse questa adunata. Erano

preparativi di guerra, o di vendetta, o di difesa da una minaccia

d'invasione? Trascorsero molti giorni prima che la gente cessasse

di star in vedetta, trepidante, per il ritorno degli uomini

bianchi dalle lunghe barbe e dagli abiti a brandelli, di cui non

erano mai arrivati a capire gli esatti rapporti col loro uomo

bianco. Anche per quei semplici cervelli Jim rimane nell'ombra di

una nuvola.

Doramin solo, immenso e desolato, sedeva nella sua poltrona, con

le sue due pistole a pietra focaia sulle ginocchia, di fronte alla

folla armata. Quando comparve Jim, si levò qualche esclamazione,

le teste si voltarono tutte insieme, poi la massa si aprì a destra

e a sinistra, e lui avanzò lungo un sentiero di sguardi volti

altrove. Era seguito da sommessi mormorii; da sussurri: 'Tutto il

male ci viene da lui;' 'Possiede un sortilegio... '. Egli, forse,

li sentì.

Quando entrò nella zona di luce delle torcie, il lamento delle

donne cessò tutt'a un tratto. Doramin non alzò il capo, e Jim gli

stette fermo davanti per un po', in silenzio. Poi si guardò a

sinistra e si avviò in quella direzione a passi lenti. La madre di

Dain Waris stava accoccolata vicino alla testa del cadavere, con

la faccia coperta dai suoi capelli grigi in disordine. Jim si

avvicinò piano piano e, sollevato il lenzuolo, guardò il suo amico

morto; poi riabbassò il lenzuolo senza una parola. Lentamente

tornò indietro.

'E' venuto! E' venuto!' passava di bocca in bocca, formando un

mormorìo che accompagnava i suoi passi. 'Ha preso tutto questo sul

suo capo,' disse forte una voce. Jim sentì e si voltò verso la

folla. 'Sì. Sul mio capo.' Qualcuno si tirò indietro. Jim attese

un poco davanti a Doramin, e poi disse con dolcezza: 'Sono venuto

in tristezza.' Aspettò ancora. 'Sono venuto, preparato e

senz'armi,' ripeté.

Il pesante vecchio, abbassando la fronte enorme come un bove sotto

al giogo, fece uno sforzo per alzarsi, impugnando le pistole che

teneva sulle ginocchia. Gli uscì dalla gola come un gorgoglio

soffocato, disumano, e i suoi due servi lo aiutarono sostenendolo

alle spalle. La gente osservò che l'anello, che si era lasciato

cadere sulle ginocchia, era rotolato fino ai piedi dell'uomo

bianco, e che il povero Jim aveva abbassato un momento gli occhi

su quel talismano che gli aveva aperto la porta alla fama,

all'amore, al successo entro muri di foreste orlati di schiuma

bianca, e la costa che, a calasole, sembra il baluardo stesso

della notte. Doramin, rizzandosi faticosamente in piedi, formava

con i suoi due sostegni un gruppo instabile e barcollante; i suoi

piccoli occhi guardavano fissi con un'espressione di dolore pazzo,

di rabbia, e una luce selvaggia che non sfuggì agli astanti; poi

mentre Jim in piedi - rigido e a capo scoperto nella luce delle

torcie, lo fissava dritto in viso - si appoggiò pesantemente col

braccio sinistro al collo di uno dei giovanotti, che piegò sotto

il peso, e, alzando deliberatamente la destra, sparò a bruciapelo

contro il petto dell'amico di suo figlio.

La folla, che si era subito aperta alle spalle di Jim quando

Doramin alzò la mano armata, si precipitò in avanti tutta insieme

dopo il colpo. Si dice che l'uomo bianco lanciò a destra e a

sinistra su tutti quei volti uno sguardo fermo e superbo. Poi, una

mano sulle labbra, cadde in avanti, morto.

Ed è finito. Egli se ne va nell'ombra di una nuvola, col suo cuore

imperscrutabile; dimenticato, non perdonato ed estremamente

romantico. Nemmeno le folli visioni dei più bei giorni della sua

infanzia avrebbero potuto creargli più attraente visione di uno

straordinario successo! Perché può ben darsi che, nel breve attimo

del suo ultimo sguardo fermo e superbo, abbia veduto il volto di

quell'Occasione che gli si era messa al fianco tutta velata come

una sposa orientale.

Ma noi possiamo vederlo, oscuro conquistatore di rinomanza,

strapparsi dalle braccia di un'innamorata gelosa, al cenno, alla

chiamata del suo esaltato egoismo. Egli se ne va lontano da una

donna viva per celebrare spietate nozze con una vaga idealità di

condotta. E' forse proprio del tutto soddisfatto adesso? Dovremmo

saperlo. E' uno di noi - non mi sono io fatto garante, una volta,

come uno spettro evocato, della sua eterna costanza? E, dopo

tutto, mi ero proprio sbagliato? Ora che lui non c'è più, certi

giorni la realtà della sua esistenza mi viene incontro con una

forza immensa, soverchiante; eppure, sul mio onore, vi sono anche

momenti in cui mi appare agli occhi della mente come uno spirito

disincarnato sperduto tra le passioni di questa terra - pronto a

rendersi puntualmente alla chiamata del suo mondo di ombre.

Chi sa? Se n'è andato, col suo imperscrutabile cuore e la povera

ragazza trascina una specie di vita inerte, sorda, nella casa di

Stein. Stein è invecchiato molto negli ultimi tempi. Lo sente da

sé, e dice spesso che si sta 'preparando a lasciare tutto questo;

si sta preparando a lasciare...' e triste accenna con la mano alle

sue farfalle".

Settembre 1899-luglio 1900.

 

 

FINE.