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Joseph Conrad.
LORD JIM.
INDICE.
Nota dell'autore: pagina 5.
Capitolo 1: pagina 9.
Capitolo 2: pagina 20.
Capitolo 3: pagina 31.
Capitolo 4: pagina 46.
Capitolo 5: pagina 55.
Capitolo 6: pagina 87.
Capitolo 7: pagina 117.
Capitolo 8: pagina 135.
Capitolo 9: pagina 152.
Capitolo 10: pagina 167.
Capitolo 11: pagina 188.
Capitolo 12: pagina 195.
Capitolo 13: pagina 208.
Capitolo 14: pagina 226.
Capitolo 15: pagina 245.
Capitolo 16: pagina 252.
Capitolo 17: pagina 262.
Capitolo 18: pagina 268.
Capitolo 19: pagina 282.
Capitolo 20: pagina 292.
Capitolo 21: pagina 312.
Capitolo 22: pagina 324.
Capitolo 23: pagina 334.
Capitolo 24: pagina 347.
Capitolo 25: pagina 357.
Capitolo 26: pagina 371.
Capitolo 27: pagina 381.
Capitolo 28: pagina 391.
Capitolo 29: pagina 403.
Capitolo 30: pagina 412.
Capitolo 31: pagina 421.
Capitolo 32: pagina 432.
Capitolo 33: pagina 441.
Capitolo 34: pagina 456.
Capitolo 35: pagina 470.
Capitolo 36: pagina 480.
Capitolo 37: pagina 490.
Capitolo 38: pagina 502.
Capitolo 39: pagina 515.
Capitolo 40: pagina 527.
Capitolo 41: pagina 541.
Capitolo 42: pagina 550.
Capitolo 43: pagina 561.
Capitolo 44: pagina 572.
Capitolo 45: pagina 580.
"E' certo che qualsiasi convinzione guadagna infinitamente non
appena vi aderisca un'altra anima".
A G. F. W. Hope ed a sua moglie con grato affetto dopo molti anni
di amicizia.
NOTA DELL'AUTORE.
Allorché questo romanzo apparve la prima volta in volume, si
cominciò a dire che mi ero lasciato prender la mano. Qualche
recensore sostenne che il lavoro, iniziato come novella, era poi
sfuggito al controllo dell'autore. Di ciò, un paio di critici
scoprirono alcune prove interne: il che parve divertirli molto.
Insistettero sui limiti della forma narrativa. E' assurdo,
sostennero, che uno possa parlare tutto quel tempo, e che altri
stiano ad ascoltarlo così a lungo. Non era molto credibile,
dissero.
Ho avuto agio di ripensarci per circa sedici anni, ma non sono
ancora tanto sicuro che avessero ragione. Si sa di uomini rimasti
in piedi metà della notte - tanto ai tropici che in zone temperate
- a "raccontarsi storie". E' vero che questa è una storia sola, ma
vi ho pur inframezzato pause che danno una certa dose di sollievo;
e, quanto alla resistenza degli ascoltatori, certo bisognerà
accettare - assunto preliminare necessario - il postulato che il
racconto sia interessante davvero. Per parte mia se non l'avessi
trovato interessante, non avrei mai potuto mettermi a scriverlo.
In riguardo poi alla possibilità fisica, ognun sa che certi
discorsi in Parlamento hanno avuto una durata più prossima alle
sei che alle tre ore; mentre tutta quella parte del libro che
corrisponde al racconto di Marlow si può leggerla ad alta voce,
direi, in meno di tre ore. E d'altronde sebbene io abbia
rigorosamente escluso dal libro tutti i dettagli del genere -
possiamo ben supporre che quella notte siano stati offerti dei
rinfreschi; e che un bicchiere d'una qualunque acqua minerale
abbia aiutato il narratore a tirare avanti. Ma, scherzi a parte, è
effettivamente vero che la mia prima concezione fu d'una novella
ristretta al solo episodio della nave dei pellegrini: null'altro.
Dopo però averne buttate giù poche pagine ne restai scontento,
chissà perché; e per un certo tempo le misi a dormire. Non tornai
a cavarle dal cassetto se non quando il povero William Blackwood
mi chiese qualcosa per la sua rivista.
Soltanto allora mi resi conto che la faccenda della nave dei
pellegrini era un buon spunto per un racconto da lasciarlo andar
libero dove volesse; e che tale episodio poteva opportunamente
prestarsi ad illuminar tutto intero il "senso dell'esistenza" in
un personaggio di temperamento semplice e sensibile. Ma tutti
questi stati d'animo e questi moti dello spirito, antecedenti
all'atto dello scrivere, mi rimasero lì per lì alquanto oscuri; e
non mi appaiono più chiari nemmeno oggi, dopo tanti anni.
Le poche pagine che avevo messo da parte ebbero il loro peso nella
scelta dell'argomento. Ma riscrissi deliberatamente ogni cosa.
Sapevo, quando mi ci misi. che sarebbe stato un libro lungo; pur
non prevedendo che avrebbe finito con l'occupare tredici numeri
della "Maga".
Talora mi è stato domandato se dei miei libri non fosse Lord Jim
quello che preferivo. Sono un nemico dichiarato dei favoritismi
nella vita pubblica, nella vita privata, e perfino nei delicati
rapporti che corrono fra un autore e le sue opere. Per questione
di principio non voglio favoriti; ma non giungo al punto da
sentirmi addolorato ed urtato per la preferenza che certuni
accordano a questo, tra gli altri miei romanzi. Non dirò neppure
che "non arrivo a capire..." No! Ma una volta ebbi ragione di
restare interdetto e sorpreso.
Un mio amico di ritorno dall'Italia aveva parlato colà con una
signora, alla quale il libro non piaceva. La cosa mi rincrebbe,
naturalmente, ma a stupirmi fu la causa della sua avversione. "E'
così malsano", aveva detto.
Su questo giudizio ebbi da meditare ansiosamente per un'ora. Alla
fine - debitamente riconosciuto che il tema è piuttosto estraneo
alla sensibilità femminile - giunsi alla conclusione che quella
signora non poteva essere italiana. Chissà anzi se era neanche
europea? Comunque, un temperamento latino non avrebbe mai trovato
nulla di morboso in un'acuta coscienza dell'onore perduto. Una
simile coscienza può essere errata, può essere giusta, o venir
condannata come artificiosa; e forse Jim non è un tipo molto
comune. Ma posso accertare ai miei lettori, senza tema di
sbagliarmi, che egli non è il prodotto di una riflessione fredda e
perversa. Non è nemmeno una creatura delle nebbie nordiche. Fu una
mattina di sole, nell'ambiente banale d'una strada di Oriente, che
vidi passare, commovente e significativa, ravvolta in una nube, la
sua figura perfettamente silenziosa. Come doveva essere. Toccava a
me, con tutta la comprensione di cui ero capace, cercar le parole
adatte per esprimerne il significato. Era "uno dei nostri".
Giugno 1917.
CAPITOLO 1.
Per tre o forse cinque centimetri non arrivava a un metro e
ottanta. Di complessione robusta, vi veniva incontro a passi
sicuri, un po' curvo nelle spalle, con la testa protesa in avanti
e uno sguardo fisso di sotto in su che vi faceva pensare a un toro
sul punto di slanciarsi. La voce era profonda e sonora; nei modi,
una sorta di sicurezza caparbia, senza nulla tuttavia di
aggressivo, che pareva voluta per imporre a se stesso non meno che
agli altri. Nella persona meticolosamente curato: tutto di bianco
dalle scarpe al cappello, immacolato. Nei diversi porti orientali
dove si guadagnava da vivere come commissionario marittimo era
favorevolmente conosciuto.
Un commissionario marittimo non ha bisogno di sottoporsi ad esami
di sorta, ma certe capacità deve possederle in astratto e saperle
dimostrare in concreto. Il suo lavoro consiste nel gareggiare di
velocità, sia a vela che a vapore o a remi, con altri
commissionari per essere il primo a raggiungere ogni nave in
procinto di dar fondo; nel salutarne festosamente il capitano,
cacciandogli in mano a forza il listino delle varie mercanzie; e,
non appena costui mette piede a terra, nel pilotarlo con energia
ma senza ostentazione fino ad un vasto magazzino che pare una
caverna, colmo non soltanto di tutte quelle cose che a bordo si
mangiano e si bevono, ma dove si può anche procurarsi quanto rende
un bastimento atto alla navigazione e bello a vedersi: da un
assortimento di ganci per le cime d'ormeggio a un libretto d'oro
in foglia per gli intagli di poppa. Qui il capitano è ricevuto dal
proprietario dell'azienda come un fratello, benché lo veda allora
per la prima volta. V'è un fresco salottino, poltrone, bottiglie,
sigari, l'occorrente per scrivere, una copia del regolamento
portuale, e un'accoglienza così cordiale da scioglier nel cuore
d'un marinaio tutta la salsedine che vi hanno accumulato tre mesi
di navigazione. I rapporti così iniziati son mantenuti vivi, per
tutto il periodo che la nave rimane in porto, attraverso le visite
giornaliere del commissionario marittimo. Egli si mostrerà fedele
al capitano come un amico e pieno d'attenzioni come un figlio;
avrà la pazienza di Giobbe, la dedizione altruistica d'una donna e
l'eterna allegria d'un buontempone. Più tardi arriverà anche il
conto. E' un mestiere bello e umano. Perciò un bravo
commissionario marittimo è raro. Se poi un commissionario
marittimo, che possieda in astratto le volute capacità, ha anche
il pregio d'essersi fatto le ossa sul mare, egli merita da parte
del suo principale un bel po' di soldi e parecchia indulgenza. A
Jim toccavano sempre buoni salari e indulgenza quanta ne
basterebbe per render fedele un demonio. Eppure, con nera
ingratitudine, ogni tanto abbandonava sui due piedi l'impiego, e
se n'andava da qualche altra parte. Ai suoi principali, le ragioni
che dava apparivano assolutamente insufficienti. "Maledetto
idiota!" esclamavano, appena aveva voltato le spalle: e questo era
tutto il commento che facevano sulla sua squisita sensibilità.
Per i bianchi che trafficavano nei commerci marittimi e per i
capitani delle navi, egli era Jim: null'altro che Jim. Aveva, ben
s'intende, anche un altro nome, ma gli premeva che non fosse mai
pronunciato. Codesto suo incognito, bucherellato d'altronde come
un setaccio, non era tuttavia destinato a nascondere una
personalità, bensì un fatto. Quando il fatto sbucava fuori
dall'incognito, Jim abbandonava all'improvviso il porto dove si
trovava in quel momento, e si trasferiva in un altro: di solito
sempre più verso oriente. Si teneva ai porti, perché era un uomo
di mare in esilio dal mare, e perché possedeva quelle capacità
astratte che non servono in nessun mestiere, salvo in quello di
commissionario marittimo. Si ritirava in buon ordine verso il sole
levante, e il fatto gli teneva dietro a caso, ma senza scampo.
Così, anno dietro anno, lo conobbero successivamente a Bombay, a
Calcutta, a Rangoon, a Penang, a Batavia: e in ciascuna di queste
tappe egli non era che Jim, il commissionario marittimo. Più
tardi, allorché la sua acuta percezione dell'intollerabile lo
distaccò per sempre dai porti di mare e dagli uomini bianchi
sospingendolo fin dentro le foreste vergini, i malesi di quel
villaggio nella giungla dove s'era deciso a nascondere la propria
deplorevole sensibilità, aggiunsero una paroletta al monosillabo
del suo incognito. Lo chiamarono Tuan Jim, che è come dire: Lord
Jim.
Era nato in un presbiterio. Molti sono i comandanti di belle navi
mercantili che provengono da simili asili di devozione e di pace.
Il padre di Jim possedeva una così sicura conoscenza
dell'Inconoscibile da lasciar soddisfatta la rigidezza morale di
chi abitava in povere catapecchie, senza perciò turbare i sonni di
coloro ai quali una Provvidenza infallibile consentiva di vivere
in ricchi castelli. La chiesetta sulla collina aveva il color
grigio muschioso di una roccia irretita da un intrico di
vegetazione. Sorgeva là da secoli, ma gli alberi onde era
circondata ricordavan probabilmente il giorno in cui ne fu posta
la prima pietra. Più in basso la rossa facciata del rettorato
brillava col suo tono caldo fra i praticelli, le aiuole e gli
abeti. Sul dietro si stendeva un frutteto, a sinistra il cortile
lastricato della scuderia, e le vetrate in pendenza delle serre
lungo un muro di mattoni. La parrocchia apparteneva da generazioni
alla famiglia; ma Jim aveva quattro fratelli: e quando, dopo una
serie di romanzi d'avventure letti durante le vacanze, s'era
manifestata in lui la vocazione marinara, lo mandarono subito su
una nave-scuola per allievi ufficiali della marina mercantile.
Qui imparò un po' di trigonometria, e come si bracciano i pennoni
di velaccio. Tutti gli volevano bene. Per la navigazione si
guadagnò il terzo posto in graduatoria e fu fatto capovoga nella
prima lancia. Aveva una testa solida e un fisico eccellente che lo
servivano a dovere nelle manovre in cima agli alberi. Il suo posto
era sulla crocetta di trinchetto, e di lassù spesso gettava un
occhio, con lo sprezzo dell'uomo destinato a rifulgere nei
pericoli, sulla pacifica moltitudine dei tetti tagliata in due
dalla torbida corrente del fiume, mentre, sparsi ai margini della
pianura circostante, i comignoli delle fabbriche si drizzavano uno
per uno a perpendicolo contro il cielo sporco: sottili come
matite, eruttavan fumo al pari di vulcani. Vedeva grandi navi
partire, chiatte panciute far la spola in continuazione, barchette
laggiù laggiù sotto ai suoi piedi, il fosco splendore del mare
verso l'orizzonte, e la speranza di una vita eccitante in un mondo
pieno d'avventure.
Sotto coperta, in una babele di duecento voci, si spogliava della
propria realtà presente per anticipar con l'immaginazione la vita
di mare quale la letteratura romanzesca glie l'aveva dipinta.
Vedeva se stesso in atto di salvare dei naufraghi, o di tagliar
con l'ascia le alberature nella furia d'un ciclone, o di nuotare
contro il risucchio trascinando un gherlino. Oppure si vedeva
naufrago solitario, scalzo e in brandelli, vagare sui nudi scogli
in cerca di frutti di mare per sfamarsi. Altre volte affrontava i
selvaggi su spiagge tropicali, sedava ammutinamenti in alto mare,
in una barchetta sperduta nell'oceano rincuorava gli affranti
compagni: esempio costante di dedizione al dovere, eroe a tutta
prova, come un personaggio di romanzo.
"E' successo qualcosa. Vieni su!"
Balzò in piedi. Come una fiumana gli allievi facevan le scalette a
quattro a quattro. Si sentiva sul ponte un gran correre e gridare.
Quando fu sbucato dal boccaporto, Jim si fermò di botto allibito.
Era il crepuscolo di una giornata d'inverno. Il vento aveva
rinfrescato nel pomeriggio, bloccando il traffico sul fiume; e ora
soffiava con la violenza d'un uragano, a raffiche capricciose che
rimbombavano come salve di grossi cannoni sull'oceano. La pioggia
veniva giù di traverso a scrosci interrotti, e nelle pause si
offriva a Jim la rapida e minacciosa visione dell'accavallarsi dei
marosi, delle barche sballottate che si urtavano lungo la riva,
dei fabbricati immobili nella bruma fuggente, delle chiatte
panciute che sgroppavano pesantemente tesando le cime
d'ancoraggio, dei grandi pontoni che facevano l'altalena inondati
dagli spruzzi. La raffica che seguì parve spazzasse via tutto.
L'atmosfera era gonfia d'acqua portata dal vento. V'era come un
proposito di ferocia nella bufera, un'intensità furibonda
nell'urlo del turbine, in quel tumulto brutale della terra e del
cielo, che pareva diretto proprio contro di lui, e che lo lasciò
senza fiato, immobile e sgomento. Gli sembrava d'esser trascinato
in un vortice.
Qualcuno gli diede uno spintone. "Armate la lancia!" Ragazzi gli
passarono accanto correndo. Un battello guardacoste, mentre filava
a ripararsi in porto, era andato a sbattere contro una goletta
all'ormeggio: dell'infortunio era stato testimone uno degli
istruttori della nave-scuola. Una folla di allievi si arrampicò
sui bastingaggi, si raggruppò intorno ai paranchi. "Una
collisione... Proprio davanti a noi... Il signor Symons ha visto
benissimo". Un urtone lo scaraventò fin contro all'albero di
mezzana, dove si sostenne afferrandosi ad una cima. La vecchia
nave-scuola costretta dall'ormeggio vibrava tutta, dando
dolcemente la prua al vento, e traverso la sua poca attrezzatura
mormorava con voce di basso profondo l'affannata canzone della sua
giovinezza sul mare. "Cala!" Vide la lancia, con l'equipaggio al
completo, scender rapida al disotto dell'intraversata e si
precipitò da quella parte. Sentì un tonfo. "Molla; libera via!" Si
sporse. Il fiume ribolliva schiumoso lungo la murata. Si scorgeva
nell'oscurità crescente la lancia in balìa del risucchio e del
vento che la tennero per un attimo magicamente in loro potere a
sballottar sul fianco della nave. Una voce tonante gli giunse a
mala pena alle orecchie: "Remate d'accordo, cuccioli che non siete
altro, se volete salvar qualcuno! Remate a tempo!" E
all'improvviso la lancia s'inalberò di prua, e balzando a remi
alzati sopra un'ondata, ruppe il breve incantesimo in cui l'avevan
tenuta il vento e il risucchio.
Jim si sentì stringere una spalla con forza. "Troppo tardi,
giovanotto". Il comandante della nave trattenne con la mano quel
ragazzo che pareva volesse buttarsi in mare, e Jim sollevò verso
di lui uno sguardo pieno di cosciente dolore per la disfatta
subita. Il comandante sorrise con simpatia. "Avrai più fortuna
un'altra volta. Questo t'insegnerà ad esser svelto".
Acute grida d'entusiasmo accolsero la lancia che tornava indietro
a balzelloni, mezza piena d'acqua e con due uomini esausti che
diguazzavano sui paglioli. A Jim il tumulto e la minaccia del
vento e del mare sembravano ormai assolutamente spregevoli, ciò
che accresceva il suo rammarico per essersi lasciato sgomentare
dal loro vano furore. Ora sapeva cosa pensarne. Era ben certo che
della bufera non glie ne importava più nulla. Sarebbe stato capace
di affrontare pericoli ben più grandi. Sicuro: un giorno li
avrebbe affrontati, e meglio di chiunque altro. Non aveva più
neanche un briciolo di paura. Tuttavia se ne rimase la serata
intera in disparte, pensieroso e aggrondato, mentre il capovoga -
un ragazzo con un viso da femminuccia e certi grandi occhi grigi -
era festeggiato come un eroe nel ponte inferiore. Tutti gli si
stringevano attorno con le più appassionate domande. E lui
raccontava: "Non appena ho scorto la sua testa che scompariva e
riappariva, subito ho lanciato in acqua l'alighiero. Gli si è
agganciato ai calzoni e per poco non cascavo in mare, se non era
il vecchio Symons che, lasciato andare il timone, mi ha acciuffato
per le gambe. La lancia è andata a un pelo dal capovolgersi. Gran
brav'uomo quel vecchio Symons. Che m'importa se ogni tanto fa il
brontolone con noi? Tutto il tempo che mi ha tenuto per le gambe
non ha fatto che coprirmi d'improperi, ma quello era il suo modo
di dirmi di non mollar l'alighiero. Certo che il vecchio Symons si
eccita con terribile facilità, vero? No, non il biondino....
voglio dir l'altro, quello grosso, con la barba. Quando l'abbiamo
tirato a bordo gemeva: OH, LA MIA GAMBA! OH, LA MIA GAMBA! e
rovesciò gli occhi fino al bianco. Curioso, un tipo così grosso,
che svenga come una ragazza. Voi sverreste per una botta di
alighiero? Io no sicuro. Gli s'era infilato nella gamba tanto
così" E, suscitando viva emozione, mostrò in giro l'alighiero che
aveva portato apposta sotto coperta. "Ma no, sciocco! Non era la
carne a reggerlo, erano i calzoni. Ma sanguinava anche molto,
s'intende".
A Jim queste parevano penose esibizioni di vanita. La tempesta
aveva provocato un eroismo spurio quanto la sua minaccia era
falsa. Si sentiva irritato contro quel brutale tumulto della terra
e del cielo che l'aveva preso alla sprovvista soffocando a
tradimento il suo slancio generoso verso il rischio. Per il
rimanente era piuttosto soddisfatto di non essere andato con la
lancia, visto che alla bisogna era bastata un'iniziativa di
proporzioni così modeste. Aveva arricchito la propria esperienza
meglio dei materiali esecutori dell'impresa. Quando tutti gli
altri avessero indietreggiato, allora sì - ne era sicuro - lui
solo avrebbe saputo affrontare la falsa minaccia del vento e del
mare. Sapeva ormai cosa pensarne. Obbiettivamente veduta, era una
minaccia spregevole. Non riusciva a trovare in se stesso la minima
traccia di emozione, e insomma l'effetto conclusivo di
quell'avvenimento eccezionale fu che, dimenticato e solo in mezzo
alla chiassosa folla dei compagni, Jim esultò nella rinnovata
certezza del proprio spirito d'avventura e in un sentimento di
multiforme coraggio.
CAPITOLO 2.
Dopo due anni di tirocinio prese imbarco; ma, addentrandosi in
regioni tanto familiari alla sua fantasia, dovette riconoscerle
stranamente povere di avventure. Fece molte traversate. Conobbe la
magica monotonia di un'esistenza fra cielo e mare; ebbe a subire
le critiche degli uomini, le esigenze del mare, e la prosaica
durezza del compito giornaliero da cui si ricava il pane, ma
anche, in compenso, l'amore per il proprio lavoro. Era un compenso
di cui non godeva: eppure non poteva tornare indietro, perché non
v'è nulla al mondo che seduca, deluda e renda schiavi come la vita
di mare. Senza contare che la carriera prometteva bene. Di modi
distinti e di buon naturale, profondamente conscio dei propri
doveri, era un tipo che ispirava fiducia; sì che, giovanissimo
ancora, si ritrovò primo ufficiale sopra una bella nave, senza
esser mai stato messo a prova da quegli incidenti di navigazione
che dimostrano alla luce del giorno il valore intrinseco d'un
uomo, l'affilatura della sua tempra, la fibra della sua stoffa:
che rivelano il grado della sua resistenza e la segreta verità
delle sue apparenze, non solo agli occhi degli altri, ma ai
propri. Una volta sola in tutto quel periodo ebbe di nuovo il
senso, in una rapida visione, di quanto possa essere intensa la
rabbia del mare. E' una rabbia che si manifesta meno spesso di
quanto può creder la gente. Vi sono molte gradazioni di pericolo,
nelle avventure e nei fortunali: solo ogni tanto appare sul volto
dei fatti la sinistra violenza di un'intenzione; quel quid
indefinibile che forza la mente e il cuore dell'uomo a convincersi
come quella concatenazione d'incidenti, o quella furia degli
elementi che lo assalgono, abbiano un preciso intento di perfidia,
una forza al di là d'ogni controllo, una crudeltà sfrenata che
vuol strappare all'animo speranza e timore, travaglio di
stanchezza e desiderio infinito di riposo; che vuol schiacciare,
distruggere, annientare tutto ciò che fino a quel momento egli ha
visto, conosciuto, amato, goduto, oppure odiato; tutto ciò che è
necessario e senza prezzo: la luce del sole, le memorie,
I'avvenire; che vuole spazzar via d'un colpo dai suoi occhi tutto
il mondo prezioso col solo, semplice e spaventevole gesto di
togliergli la vita.
Ferito da un pennone che gli era caduto addosso al principio d'una
settimana di burrasca (della quale in seguito il capitano, uno
scozzese, usava dire: "Ragazzi! per conto mio è un vero miracolo
se la nave l'ha scampata!"), Jim passò lunghi giorni disteso sul
dorso, con la testa confusa, in un abbattimento senza speranza e
in un'agitazione tale come se avesse toccato il fondo d'un abisso
di irrequietezza. Di come sarebbe finito non gli importava; nei
momenti di lucidità si esagerava la propria indifferenza. Il
pericolo, quando non lo vediamo, ha la stessa confusa imperfezione
del pensiero umano. La paura diventa vaga; e quella nemica
dell'uomo che è l'immaginazione, madre di tutti i terrori, se non
è stimolata dai fatti si affloscia nel tedio dell'emozione
esausta. Jim non vedeva altro che il disordine della sua cabina
sballottata. Giaceva là prigioniero nel bel mezzo d'una piccola
devastazione, segretamente felice di non dover salire in coperta.
Ma di quando in quando un fiotto di incontenibile angoscia lo
sopraffaceva fisicamente, lasciandolo senza fiato a contorcersi
sotto le lenzuola. Allora la stupida brutalità di un'esistenza
così atrocemente schiava di simili sensazioni gli dava un
desiderio disperato di fuggirne ad ogni costo. Poi, col ritorno
del bel tempo, non ci pensò più.
Continuava tuttavia a zoppicare, sì che quando la nave raggiunse
un porto in Oriente bisognò ricoverarlo all'ospedale. La
guarigione tardava, e dovettero lasciarlo a terra.
Nella corsia dei bianchi vi erano altri due soli pazienti: il
commissario di bordo d'una cannoniera che si era rotto una gamba
cadendo in un boccaporto, e una specie d'imprenditore di ferrovie
d'una provincia vicina. Costui, afflitto da una misteriosa
malattia tropicale, riteneva il dottore un vero ciuco, e si
abbandonava a segrete orgie di specialità medicinali che il suo
servo Tamilo gli portava di nascosto con devozione instancabile.
Si raccontarono a vicenda la storia della loro vita, giocavano un
po' a carte, oppure sbadigliando ciondolavano in pigiama dalla
mattina alla sera, sdraiati sulle poltrone senza scambiarsi una
parola. L'ospedale sorgeva sopra una collina, e un'arietta
delicata, entrando dalle vetrate sempre aperte, portava nella
stanza disadorna la morbidezza del cielo, il languore della terra,
l'affascinante respiro delle acque orientali. Vi portava profumi,
suggestioni d'infinito riposo, il dono di sogni senza fine.
L'occhio di Jim spazzava ogni giorno di là dai boschetti dei
giardini, sopra le terrazze della città, oltre le fronde dei
palmizi che crescevano sulla spiaggia, per fermarsi sulla grande
via dell'Oriente: una via costellata d'isolette inghirlandate,
illuminata dal sole delle grandi occasioni, con le sue navi simili
a giocattoli, col suo traffico brillante come una parata festiva,
con in alto l'eterna serenità del cielo orientale, e in basso la
sorridente pace dei mari orientali, padroni dello spazio fino
all'estremo orizzonte.
Non appena gli fu possibile camminare con un bastone, scese in
città a informarsi d'un mezzo per ritornare in patria. Ma non
essendovi nulla in vista per il momento, gli venne naturalmente
fatto, per ingannare l'attesa, d'entrare in relazione con gli
uomini del suo mestiere che si trovavano in porto. Costoro erano
di due categorie. Alcuni, pochi e che si vedevano raramente,
facevan vita misteriosa, avevano conservato un'inalterabile
energia e, insieme con una cert'aria da pirati, occhi da
sognatori. Pareva vivessero in un pazzo labirinto di progetti, di
speranze, di pericoli, d'imprese, al di là della civiltà, negli
oscuri ricetti del mare; la loro morte sembrava poter essere
l'unico avvenimento in qualche modo probabile di quelle
fantastiche esistenze. La maggioranza invece si componeva di
uomini che, capitati là per caso, come Jim, vi eran rimasti come
ufficiali di cabotaggio locale. Ormai pensavano con orrore
all'idea di prestar servizio sui bastimenti dei bianchi, con
quelle condizioni di vita tanto più dure, con quella rigida
concezione del dovere, col rischio delle traversate sugli oceani
bizzosi. S'erano intonati all'eterna pace del cielo e del mare
d'Oriente. Amavano i viaggi brevi, le buone sdraie di coperta, i
folti equipaggi indigeni, e il privilegio d'esser bianchi.
Rabbrividivano al pensiero di dover faticare, e conducevano così
un'esistenza precaria ma comoda, sempre sul punto d'essere
licenziati, sempre sul punto d'essere assunti; al servizio di
Cinesi, di Arabi, di meticci... Anche al soldo del diavolo si
sarebbero messi se ci fosse stato poco da fare. Discorrevano
eternamente di colpi di fortuna: come al Tal dei Tali era stato
affidato un bastimento che faceva un servizio comodo comodo lungo
le coste della Cina; come quell'altro aveva un'occupazione
piacevole in qualche parte del Giappone; come un terzo si faceva
d'oro nella marina siamese. E in tutto quanto dicevano - come
anche nelle azioni, nell'aspetto, nelle persone - si scopriva il
punto debole, il marcio: quel proposito ben determinato di
bighellonar senza rischio attraverso la vita.
A Jim codesta masnada di chiacchieroni, a considerarli come
marinai, sembraron sulle prime irreali più che fantasmi. Ma finì
con lo scoprire un certo fascino in quegli uomini, in quella loro
aria di passarsela a meraviglia con una razione così minuscola di
fatica e di rischio. Col tempo, accanto al suo iniziale disprezzo,
crebbe lentamente in lui un altro sentimento; e all'improvviso,
abbandonata l'idea di tornarsene in patria, prese imbarco sul
Patna come primo ufficiale.
Il Patna era un vapore locale vecchio come il mondo, smilzo come
un levriero e divorato dalla ruggine peggio d'un serbatoio
abbandonato. Proprietà d'un Cinese, era noleggiato da un Arabo e
lo comandava un rinnegato tedesco della Nuova Galles del Sud, il
quale ci teneva moltissimo a maledire pubblicamente la propria
terra d'origine, ma che, traendo forse esempio dalla trionfante
politica di Bismarck, si compiaceva di trattar brutalmente tutti
coloro del quali non aveva paura, e aveva un'aria di "a ferro e
sangue" combinata con un naso violaceo e dei mustacchi rossi. Dopo
che la nave fu ridipinta all'esterno e imbiancata di dentro, a un
dipresso ottocento pellegrini vi vennero imbarcati, mentre stava
all'attracco con le caldaie accese lungo un molo di palafitte.
Al fiotti i pellegrini salivano a bordo per tre passerelle;
salivano a fiotti sospinti dalla fede e dalla speranza del
Paradiso; salivano a fiotti con un struscìo continuo di piedi
scalzi, senza dire una parola, senza né mormorare né guardarsi
indietro: e, non appena fuori dai guardamano che li obbligavano a
procedere incolonnati, dilagarono d'ogni parte sul ponte, fluivano
verso prua e verso poppa, straripavan giù per i boccaporti
spalancati, andavano a riempire i più lontani recessi della nave:
come l'acqua che colma una cisterna, come l'acqua che filtra da
crepacci e fessure, come l'acqua che silenziosa cresce su su fino
all'orlo. Ottocento tra uomini e donne, con la loro fede e
speranza, i loro affetti e ricordi, si erano là riuniti provenendo
dal Nord e dal Sud e dai limiti estremi dell'Oriente, dopo aver
percorso i sentieri della giungla, disceso i corsi dei fiumi,
costeggiato in proe sui bassifondi, traversato in piccole canoe da
un'isola all'altra, sopportato disagi e patimenti, incontrato
spettacoli strani e subìto l'assedio di strane paure, un solo
anelito sostenendoli sempre. Venivano da capanne solitarie
abbandonate in lande deserte, da accampamenti popolosi, da
villaggi in riva al mare. Al richiamo di un'idea avevano
abbandonato le loro foreste, le radure, la protezione dei capi, la
prosperità e la miseria, i luoghi della giovinezza e le tombe dei
padri. Arrivavano coperti di polvere, di sudore, di sudiciume, di
stracci: gli uomini più forti a capo di gruppi di famiglie, i
vecchi scarni che si facevan strada nella calca senza speranza di
ritorno; ragazzi d'occhio ardito che si guardavano attorno con
curiosità, bambine scontrose dai lunghi capelli arruffati; timide
donne imbacuccate che si stringevano al seno, avvolti nei lembi
sciolti delle sporche pezzuole da testa, i loro marmocchi
addormentati; pellegrini inconsci di una ferrea credenza.
"Guardi un po' che mandria", fece il capitano tedesco al suo nuovo
primo ufficiale.
Per ultimo giunse il capo di quella pia carovana, un Arabo. Salì a
bordo lentamente, bello e solenne nella sua tunica bianca e col
suo grande turbante, seguito da uno stuolo di servi carichi dei
suoi bagagli. Il Patna salpò, staccandosi dalla calata a macchina
indietro.
Dapprima diresse la prua verso un passaggio tra due isolette, poi
attraversò in senso obliquo lo spazio d'ancoraggio riservato ai
velieri, descrisse un semicerchio all'ombra di una collina, e
prese la via lungo una scogliera frangiata dalla spuma dei marosi.
Dritto a poppa, l'Arabo recitò ad alta voce la preghiera dei
naviganti. Invocò la protezione dell'Altissimo sul viaggio, ne
implorò la benedizione sulle fatiche degli uomini e sulle segrete
mire dei loro cuori: il piroscafo intanto solcava pulsante nel
crepuscolo le calme acque dello Stretto e laggiù lontano lontano,
a poppavia, un faro piantato da miscredenti sopra una secca
traditrice, sembrava gli strizzasse quel suo occhio di fiamma,
quasi a deriderne la missione di fede.
Uscito fuor dagli stretti il bastimento superò la baia,
proseguendo la sua rotta attraverso il passaggio detto del " Primo
Grado". Puntò direttamente sul Mar Rosso sotto un cielo sereno,
sotto un cielo rovente e senza nubi ravvolto in un fulgore di sole
che annientava il pensiero, opprimeva il cuore, faceva avvizzire
ogni impulso d'energia. E sotto al sinistro splendore di quel
cielo, il mare azzurro e profondo restava immobile, senza un
fremito, senza un'increspatura, senza una ruga: vischioso,
stagnante, morto. Il Patna trascorreva con un lieve sibilo su
quella pianura liscia e luminosa, snodando un nastro di fumo nero
attraverso il cielo, lasciandosi dietro un nastro di spuma candida
che subito si sfaceva e scompariva, come il fantasma d'una scìa
tracciata su un mare senza vita dal fantasma d'una nave.
Tutte le mattine il sole, quasi volesse tener dietro con le sue
rivoluzioni alla marcia dei pellegrini, emergeva dalle acque con
un silenzioso scoppio di luce, sempre alla stessa distanza a poppa
della nave, la raggiungeva sul mezzogiorno, versando il fuoco
concentrato dei suoi raggi sulle pie intenzioni degli uomini; le
scivolava dinanzi nella sua discesa, e sprofondava misteriosamente
nel mare una sera dopo l'altra, conservando sempre la stessa
distanza dalla prua. I cinque bianchi di bordo vivevano a mezza
nave, appartati da quel carico umano. Il tendone copriva il ponte
da prua a poppa come un tetto bianco, e soltanto un debole
mormorìo, un sussurrar di malinconiche voci rivelava la presenza
di una folla sulla distesa immensa e sfolgorante dell'oceano. Tali
erano le giornate immobili, afose e pesanti, che scomparivano una
dopo l'altra nel passato, quasi cadessero nell'abisso
continuamente aperto dalla scìa; e la nave, solitaria sotto un
fiocco di fumo, proseguiva il suo cammino costante, nera e
infuocata in un'immensità luminosa, come arsa dalla fiamma che un
cielo senza pietà le saettava contro.
Le notti calavano su di essa come una benedizione.
CAPITOLO 3.
Una placidità meravigliosa riempiva il mondo, e pareva che le
stelle effondessero sulla terra, insieme ai loro raggi sereni, la
garanzia di un'eterna sicurezza. La falcata luna giovinetta che
splendeva bassa a ponente, era simile a un truciolo sottile
piallato da una sbarra d'oro, e il mare Arabico, liscio e fresco
all'occhio come una lastra di ghiaccio, stendeva la sua superficie
perfettamente livellata fino al circolo perfetto dell'oscuro
orizzonte. L'elica girava senza intoppo, come se il suo pulsare
rientrasse nello schema d'un universo privo di rischi; e sui
fianchi del Patna due profondi solchi d'acqua, scuri e
ininterrotti sullo scintillìo senza rughe del mare, racchiudevano,
entro i loro orli dritti e divergenti, candidi vortici di schiuma
che si rompevano con un sibilo sommesso creando piccole onde,
increspature leggere, brevi risucchi che un istante agitavano il
mare dopo il passaggio della nave, per poi placarsi con un tenue
sciacquìo e finalmente dissolversi in quell'immobilità circolare
dell'acqua e del cielo che aveva eternamente per centro la macchia
nera del piroscafo in movimento.
Jim, in piedi sul ponte, si sentiva pervaso da una grande
certezza: la certezza di un'incolumità e di una pace senza confini
che si leggeva chiaramente nell'aspetto silenzioso della natura,
così come la certezza d'esser protetti da un amore si legge nella
tenera calma del volto materno. Riparati dal tendone teso come una
tettoia, affidati alla saggezza e al coraggio degli uomini
bianchi, alla potenza del loro scetticismo e al ferreo involucro
della nave col fuoco in corpo, i pellegrini di una fede esigente
si abbandonavano al sonno su stuoie, su coperte, sulle nude tavole
dei ponti, in ogni angolo buio, ravvolti in panni ritinti,
imbacuccati in luridi cenci, con la testa sui loro fagotti e il
volto contro le braccia ripiegate: uomini, donne, bambini; i
vecchi insieme ai giovani, i decrepiti con i vigorosi - tutti
uguali davanti al sonno, fratello della morte.
Una corrente d'aria provocata dalla corsa della nave attraversava
senza posa la lunga zona di penombra fra gli alti bastingaggi,
spazzava le file dei corpi distesi. Poche lampade a globo di
debole fiamma erano appese qua e là con una breve catenella alle
capriate di sostegno del tendone; entro ai torbidi cerchi di luce
proiettati verso il basso, che tremavano appena per l'incessante
vibrazione della nave, appariva qui un mento rivolto in su oppure
due palpebre chiuse, là una mano scura con i suoi anelli d'argento
o una gamba scarna drappeggiata di stracci; qui una testa
ripiegata all'indietro o un piede scalzo, la una gola nuda e tesa
come si offrisse al coltello. I più agiati, con casse pesanti e
stuoie polverose avevan messo insieme dei ricoveri per le loro
famiglie; i poveri riposavano uno vicino all'altro tenendo sotto
al capo tutto ciò che possedevano al mondo avvolto in un cencio; i
vecchi solitari dormivano con le gambe rattratte sui loro tappeti
da preghiera, con le mani sulle orecchie e un gomito per parte
all'altezza delle guance; un padre, con le spalle sollevate e la
fronte sulle ginocchia, stava assopito con un'aria desolata
accanto a un ragazzo che dormiva supino coi capelli arruffati e il
braccio teso in un gesto imperioso; una donna chiusa dalla testa
ai piedi, come un cadavere, in un lenzuolo bianco, teneva un
bambino ignudo nel cavo di ogni braccio; il bagaglio dell'Arabo,
ammucchiato a poppa sulla destra, era come una pesante montagna
dai contorni frastagliati, su cui ciondolava una lampada da stiva;
e più dietro s'intravedeva una gran confusione di forme
eterogenee: panciuti vasi d'ottone che lanciavan riflessi,
l'appoggiapiedi d'una poltrona a sdraio, le lame di certe lancie,
il fodero dritto d'una vecchia sciabola appoggiato a un mucchio di
cuscini, il beccuccio d'una caffettiera di latta. Il solcometro
automatico sul bastingaggio di poppa batteva periodicamente un
tocco argentino per ogni miglio superato da quella spedizione di
fedeli. Talora sopra la massa dei dormienti aleggiava un lieve e
paziente sospiro, l'esalazione d'un sogno agitato; erano altra
volta brevi colpi metallici che risonavano improvvisi nelle
profondità della nave: l'aspro raschiar di una pala, lo sbattere
violento del portello d'una caldaia scoppiavano brutalmente, come
se gli uomini che laggiù maneggiavano quelle cose misteriose
avessero l'animo pieno d'ira selvaggia. Intanto lo scafo alto e
snello del piroscafo proseguiva imperturbato il suo cammino, senza
neanche un'oscillazione della spoglia alberatura, fendendo
ininterrottamente la gran calma delle acque sotto l'inaccessibile
serenità del cielo.
Jim attraversò il ponte, e i suoi passi nel vasto silenzio parvero
fragorosi al suo stesso orecchio, quasi li riecheggiassero le
stelle in agguato. Gli occhi gli andavan vagando lungo la linea
dell'orizzonte, come a scrutare l'irraggiungibile con immensa
avidità. "I fatti imminenti si proiettan dinanzi la propria
ombra": ma egli non sapeva scorgerla. Una sola ombra si vedeva sul
mare, quella del fumo nero che, uscendo dalla ciminiera, svolgeva
pesantemente la sua immensa coda, mentre l'aria ne dissolveva di
continuo l'estremità. Due Malesi, silenziosi e quasi immobili,
governavano ai due lati della ruota del timone, il cui orlo
d'ottone brillava or sì or no nell'ovale di luce irradiato dalla
chiesuola. Di quando in quando una mano, con le dita nere che a
vicenda abbandonavano ed afferravano le caviglie rotanti, appariva
nei punti illuminati; gli anelli della catena della ruota
strisciavano pesantemente entro le scanalature della botte. Jim
diede un'occhiata alla bussola, un'altra in giro verso l'orizzonte
irraggiungibile, si stirò, al colmo del benessere, fino a far
scricchiolare le giunture in un lento avvitarsi delle membra; e
quasi lo rendesse audace quell'aria circostante di calma
invincibile, pensò che non gli importava nulla di quanto avrebbe
potuto accadergli fino alla fine dei suoi giorni. Di tanto in
tanto gettava un occhio indifferente su una carta nautica
appuntata con quattro cimici su un basso tavolino a tre gambe,
dietro alla cassetta dell'apparato di governo. La carta, dov'eran
segnate le profondità marine, presentava la sua superficie lucida
al chiarore dell'occhio di bue appeso a un braccio: una superficie
liscia, livellata e luccicante come quella delle acque. Un regolo
parallelo e un paio di compassi vi stavan gettati sopra; la
posizione della nave al mezzodì del giorno innanzi era marcata con
una crocetta nera. La linea segnata a matita con mano sicura fino
a Perim figurava la rotta della nave: il sentiero delle anime
verso il Luogo Santo, la promessa di salvazione, il premio della
vita eterna. Con la punta aguzza che toccava la costa somala, la
matita giaceva cilindrica e immobile come un nudo pennone
galleggiante sul placido specchio d'acqua d'una darsena. "Guarda
come fila a dovere", pensò Jim con meraviglia, anzi con una sorta
di gratitudine per quella pace profonda del mare e del cielo. In
momenti simili i suoi pensieri eran pieni di gesta valorose: egli
amava infinitamente quei sogni e il successo che coronava le sue
imprese immaginarie. Erano la parte migliore della sua vita, la
sua verità segreta, la sua nascosta realtà. Una magnifica forza
virile era in essi, e insieme il fascino delle cose vaghe; gli
sfilavano davanti a passo eroico: gli si portavan via il cuore, lo
inebriavano col filtro divino di un'illimitata fiducia in se
stesso. Cosa non avrebbe saputo affrontare? Quest'idea gli piacque
tanto che sorrise tenendo gli occhi fissi distrattamente davanti a
sé; poi, quando si volse indietro, vide la linea bianca della scìa
tracciata sul mare con la stessa precisione della linea nera
disegnata con la matita sulla carta.
Nell'andar su e giù le secchie della cenere facevan fracasso
urtando contro i ventilatori delle caldaie, e quello sbatacchìo di
latta lo avvertì che stava per terminare il suo turno di guardia.
Sospirò soddisfatto, ma anche leggermente rammaricato di dover
abbandonare quella serenità che eccitava l'avventuroso sbrigliarsi
dei suoi pensieri. Aveva anche un po' di sonno, e si sentiva un
piacevole languore diffuso per tutte le membra, come se tutto il
sangue delle sue vene si fosse tramutato in buon latte tiepido.
Silenziosamente gli si era fatto vicino il capitano in pigiama,
con la giacca da notte tutta sbottonata. Rosso in viso, ancora
mezzo addormentato, con l'occhio sinistro semichiuso e il destro
d'una fissità stupida e vitrea, curvò la grossa testa sulla carta
grattandosi le costole con aria assonnata. V'era qualcosa di
osceno in quella sua carne nuda. Il petto scoperto luccicava
soffice e unto, come se avesse trasudato grasso nel sonno. Buttò
là un'osservazione tecnica con voce aspra ed afona, simile al
suono rasposo d'una lima sullo spigolo di un'asse di legno. La
piega del doppio mento pendeva come un sacco sospeso alla cerniera
della mascella. Jim si riscosse, e rispose con voce piena di
deferenza; ma quella figura odiosa e flaccida, quasi la vedesse
allora per la prima volta in un attimo di lucidità, gli si fissò
per sempre nella memoria come l'incarnazione di quanto si annida
di spregevole e basso nel mondo che amiamo: nei nostri stessi
cuori dai quali attendiamo salvezza, negli uomini che ci
attorniano, negli spettacoli che ci sazian la vista, nei suoni che
ci colmano le orecchie e nell'aria che ci riempie i polmoni.
L'esile truciolo d'oro della luna, avviandosi lentamente a
tramontare, si era smarrito sulle acque ormai buie, e l'eternità
che è oltre il firmamento sembrava farsi più vicina alla terra,
ora che più scintillavan le stelle e più profonde s'eran fatte le
tenebre sotto la sfolgorante cupola translucida da cui era
ricoperto il disco piatto del mare opaco. La nave avanzava così
liscia che il suo procedere restava impercettibile ai sensi, come
fosse stata un affollato pianeta in corsa attraverso i cupi spazi
dell'etere, al di là della miriade dei soli, in quelle calme e
spaventose solitudini che attendono il soffio di creazioni future.
"Non c'è parola per dire quanto caldo fa sotto coperta", fece una
voce.
Jim sorrise senza voltarsi. Il capitano presentava l'immota
larghezza del dorso: era un vezzo di quel rinnegato mostrarsi
volutamente ignaro della vostra esistenza, a meno che non gli
piacesse gettare su di voi uno sguardo divorante prima di dar la
stura al torrente d'un gergo schiumoso e offensivo che prorompeva
dalla sua bocca come uno spurgo di fogna. Questa volta non emise
che un burbero grugnito; il secondo macchinista, in cima alla
scaletta del ponte di comando, continuò imperterrito, mentre
impastava tra le palme umide uno sporco asciugamani cencioso, a
sgranare il rosario delle sue lamentele. Quassù in coperta i
marinai se la passavano proprio bene; di che utilità fossero mai
al mondo costoro, si sarebbe dannato l'anima per saperlo. Tanto,
toccava sempre a quei poveri diavoli di macchinisti far camminare
la nave; avrebbero potuto benissimo far loro addirittura anche il
resto; i macchinisti, perdinci...
"Silenzio!" ringhiò stolidamente il tedesco. "Già: silenzio... Ma
quando qualcosa non va, se la rifà con noi, eh?" proseguì l'altro.
Si sentiva a un buon punto di cottura, disse: ma almeno non glie
ne importava più niente, oramai, dei peccati che avrebbe commesso,
perché negli ultimi tre giorni aveva superato un ottimo corso di
perfezionamento per quel posto dove vanno i cattivi ragazzi dopo
morti... perdinci, l'aveva superato sul serio... oltre ad essersi
mezzo assordato col frastuono del diavolo che c'era là sotto. Quel
maledetto mucchio d'immondizia marcio e rappezzato, quella vecchia
ferraglia d'una macchina a condensazione strepitava e sbatacchiava
laggiù come un argano decrepito, ma peggio. Perché diavolo lui
rischiasse la vita ogni notte e ogni giorno che Dio fece in mezzo
a quella specie di rifiuto d'un cantiere da demolizione fatto
marciare pazzamente alla velocità di cinquantasette giri, non
riusciva davvero a capirlo. Doveva esser nato pazzo, perdinci.
Doveva... "Chi ti ha dato da bere?" chiese il tedesco, furibondo
ma immobile nella luce della chiesuola, simile alla goffa effigie
d'un uomo scolpita in un blocco di grasso. Jim continuò a
sorridere: aveva il cuore pieno d'impulsi generosi; e se con
l'occhio guardava l'orizzonte fuggente, col pensiero contemplava
la propria superiorità. "Sì, da bere!" ripeté il macchinista con
ironico spregio: si appoggiava con tutt'e due le mani al
bastingaggio, nebulosa figura dalle gambe flessibili. " Non da lei
certamente, capitano. Lei è troppo tirchio, perdinci. Lascerebbe
morire uno piuttosto che dargli una goccia di schnaps. Questa voi
tedeschi la chiamate economia. Ma chi risparmia il soldo spreca la
lira". Poi diventò sentimentale. Il capo macchinista verso le
dieci gli aveva dato quattro dita di un certo liquorino... -
"quattro di numero, che Dio m'aiuti!" - quel brav'uomo d'un capo!
ma quanto a tirar fuori quel vecchio imbroglione dalla sua
cuccetta neppure con un paranco da cinque tonnellate ci si
riuscirebbe. Macché. Per questa notte no di sicuro. Dormiva
placido come un marmocchio, con una bottiglia di brandy di prima
qualità sotto al cuscino. Dalla gola adiposa del comandante del
Patna uscì un sordo borbottìo, sopra al quale il suono della
parola schwein svolazzava su e giù come una piuma capricciosa
presa in una leggera corrente d'aria. Lui e il capo macchinista
erano amici da parecchi anni: sempre al servizio del medesimo
Cinese astuto e gioviale, con gli occhiali montati in corno e i
cordoncini di seta rossa intrecciati nei venerabili capelli grigi
del codino. L'opinione più diffusa sulle banchine del porto dove
il Patna figurava iscritto era che quei due, sul capitolo del
peculato senza scrupoli "avevan fatto di comune accordo quasi
tutto il pensabile". Fisicamente erano male assortiti: l'uno con
gli occhi opachi pieni d'astio, tutto curve molli e carnose:
l'altro asciutto e scavato, con una testa lunga e ossuta come
quella d'un vecchio cavallo: guance infossate, tempie infossate,
sguardo indifferente e vitreo negli occhi infossati. Aveva dato in
secco da qualche parte in Oriente: a Canton, a Sciangai, o forse a
Yokohama: probabilmente non ci teneva neanche lui a ricordarsi il
luogo esatto, e la causa del suo naufragio. In considerazione
della giovane età, s'erano limitati a buttarlo fuori a calci,
senza scandali. Questo era accaduto una ventina d'anni addietro o
forse più; e la cosa avrebbe potuto finire talmente peggio, che
col tempo il ricordo dell'episodio aveva quasi perduto ai suoi
occhi il carattere d'un infortunio. Tuttavia, siccome la
navigazione a vapore andava ormai estendendosi in quei mari, e sul
principio la gente del mestiere era rara, così il macchinista
aveva potuto in un modo o nell'altro tirare avanti. Era ansioso
d'informare i forestieri, con un cupo mormorìo, che lui era
"vecchio di quei posti". A ogni mossa pareva che uno scheletro gli
si agitasse dentro ai panni troppo larghi; aveva un passo sempre
incerto, e usava così andar girellando intorno al lucernario della
sala-macchine, fumando senza gusto del tabacco drogato in una pipa
d'ottone dal cannuccio di ciliegio lungo un metro, con la stolida
solennità d'un pensatore che stesse ricavando un sistema
filosofico dalla nebulosa e fugace visione della verità. Per
solito si mostrava tutt'altro che generoso della sua provvista
personale di liquori: ma quella notte aveva fatto uno strappo,
talché ii suo secondo, uno di Wapping con la testa debole, fra la
sorpresa per il dono e la forza della bevanda, era diventato
all'improvviso molto felice, molto impertinente e molto loquace.
Il Tedesco della Nuova Galles del Sud era fuor di sé dalla rabbia:
soffiava come un tubo di scappamento; ma Jim, benché si divertisse
blandamente alla scena, non vedeva l'ora di poter scendere
abbasso: quegli ultimi dieci minuti di guardia erano irritanti
come un cannone che ritarda lo sparo; e poi costoro non
appartenevano al suo mondo di eroiche avventure, anche se non eran
cattivi ragazzi. Perfino il capitano... Gli venne la nausea alla
vista di quella massa di carne ansimante dalla quale usciva, tra
borbottii e gargarismi, un tortuoso rivolo di laide espressioni.
Ma si sentiva addosso un languore troppo piacevole per provare una
vera antipatia verso costui o chiunque altro. Che razza d'uomini
fossero poco gli importava; viveva spalla a spalla con loro, ma in
realtà non potevan toccarlo; respiravano la stessa aria, ma egli
era diverso... Il capitano le avrebbe suonate al macchinista?...
La vita era facile, e lui troppo sicuro di sé - troppo sicuro di
sé per... La linea che divideva la sua meditazione da un subdolo
pisolino all'impiedi era più sottile del filo d'una ragnatela.
Per via di facili transizioni il macchinista in seconda stava
venendo a valutar lo stato delle proprie finanze e del proprio
coraggio.
"Chi è ubriaco? Io? Ah no, no, capitano! Così non va. Oramai lo
dovrebbe sapere, perdinci, che il capo non è generoso neanche
tanto da fare diventar brillo un passerotto. A me nessun liquore
ha mai fatto effetto; l'hanno ancora da inventare quello capace di
far ubriacare me. Potrei bere fuoco mentre lei beve whisky, tanti
bicchieri lei tanti io, restando fresco come una rosa. Se mi
accorgessi d'essere ubriaco mi butterei in mare; m'ammazzerei,
perdinci. Proprio! Subito! E no, non voglio andar via dal ponte di
comando. Dove crede che potrei prender aria in una notte come
questa, sentiamo? Sotto coperta fra quei pidocchiosi? Probabile...
eh? E poi lei non mi fa paura".
Il Tedesco alzò verso il cielo due pugni pesanti, agitandoli senza
dir nulla.
"Non so neanche che sia, la paura, continuò il macchinista con
l'entusiasmo di un convincimento sincero. "Non mi spaventa neanche
tutto il maledetto lavoro di questa marcia carcassa, perdinci! Eh,
gran fortuna per lei che ci sia qualcuno al mondo che non ha paura
per la propria pelle: se no che ne sarebbe di lei... di lei e di
questa vecchia ciabatta, con le sue lamiere che sembrano di carta
da involtare... carta da involtare, che Dio m'aiuti? Per lei va
benissimo... lei ne ricava un mucchio di quattrini, in un modo o
nell'altro; ma io?... che ci guadagno io? Una paga rognosa di
centocinquanta dollari al mese e mi dica un po' lei... glie lo
domando rispettosamente rispettosamente, le faccio notare - chi
non butterebbe ai pesci un impiego maledetto come questo? Non c'è
sicurezza, Dio m'aiuti! non c'è sicurezza. Fortuna che io sono uno
di quei tipi senza paura che..."
Si staccò dal bastingaggio facendo larghi gesti come per dimostrar
nello spazio la forma e l'estensione del proprio valore; la sua
vocetta esile rimbalzava con squittii prolungati sul mare;
oscillava avanti e indietro sulla punta dei piedi per dar più
enfasi al suo discorso, e d'un tratto ruzzolò a terra come se gli
avessero appioppato una mazzata sulla nuca. "Dannazione!" disse
mentre capitombolava; e seguì un attimo di silenzio. Jim e il
capitano barcollarono in avanti di comune accordo; poi, ripreso
l'equilibrio, rimasero rigidamente fermi a fissar con stupore la
superficie indisturbata del mare. Finalmente guardarono in su,
verso le stelle.
Cos'era accaduto? Gli asmatici tonfi delle macchine continuavano.
Si era forse arrestata la terra nella sua corsa? Non riuscivano a
capire... e all'improvviso quel mare calmo, quel cielo senza nubi
apparvero formidabilmente malsicuri nella loro immobilità, quasi
fossero in bilico sull'orlo d'un vortice di distruzione. Il
macchinista rimbalzò verticalmente quant'era lungo, e ricadde in
un mucchio scomposto. Quel mucchio esclamava: "Cos'è successo?"
con accento velato di terribile angoscia. Un rombo lieve come di
tuono, d'un tuono infinitamente remoto, quasi meno d'un rumore,
poco più d'una vibrazione, trascorse lentamente nell'aria, e la
nave vibrò come se rispondesse, come se quel tuono avesse
brontolato laggiù nella profondità dell'acqua. Gli occhi dei due
Malesi al timone scintillarono in direzione degli uomini bianchi,
ma le loro mani scure rimasero ferme sulle caviglie. L'affilata
carena, procedendo nel suo cammino, parve via via sgroppare di
poche dita in tutta la sua lunghezza, quasi fosse diventata
pieghevole; poi si ripose rigidamente al suo lavoro di solcar la
liscia superficie del mare. S'interruppero le sue vibrazioni, e
anche quel lieve rombo di tuono cessò all'improvviso, come se la
nave avesse attraversato da parte a parte una sottile fascia di
acqua trepidante e d'aria sonora.
CAPITOLO 4.
Un mese o due dopo, rispondendo a domande insidiose, Jim cercò di
essere onesto e franco circa l'accaduto, quando, riferendosi alla
nave, disse: "Passò sopra all'ostacolo, quale che fosse, con la
stessa facilità d'un serpente che striscia sopra un bastone ".
L'immagine era buona; ma le domande miravano a fatti concreti, e
l'inchiesta si svolgeva nel tribunale di polizia di un porto
d'Oriente. Jim stava lassù nel recinto dei testimoni; aveva le
guance infocate, mentre l'ambiente era fresco e alto di soffitto.
La grande intelaiatura dei punkah ondeggiava dolcemente avanti e
indietro sulla sua testa, e dal basso erano fissi su di lui molti
occhi piantati in volti di color scuro, in volti bianchi, in volti
rossi, in volti attenti, ammaliati, come se tutta quella gente
seduta in file ben ordinate su strette panche fosse rimasta
soggiogata dal fascino della sua voce. Una voce fortissima, da cui
restavano colpite le sue stesse orecchie: l'unico suono, gli
pareva, che si potesse udire al mondo, perché quelle domande
terribilmente nitide che gli strappavano una risposta dietro
l'altra sembravan nascere dall'angoscia, dalla sofferenza che
aveva in petto; giungevano a lui strazianti e silenziose come i
tremendi interrogativi della coscienza. Fuori del tribunale
sfolgorava il sole; dentro, c'era il vento dei grandi punkah che
faceva rabbrividire, la vergogna che bruciava, quegli sguardi
intenti che trafiggevano. La faccia glabra e impassibile del
Presidente che lo guardava gli parve pallidissima, tra le facce
paonazze dei due assessori nautici. La luce di un'ampia finestra
sotto al soffitto pioveva dall'alto sulle teste e le spalle dei
tre uomini, che apparivano crudelmente stagliati nella penombra
della vasta sala del tribunale, dove il pubblico sembrava composto
di ombre con gli occhi fissi. Dei fatti, volevano. Dei fatti!
Pretendevan dei fatti da lui, come se i fatti potessero spiegare
qualcosa!
"Dopo che aveste l'impressione d'aver urtato contro una qualche
massa alla deriva, diciamo contro un relitto così pieno d'acqua da
restar sommerso, il capitano vi ordinò di correre a prua per
accertarvi di eventuali avarie. A voi sembrava probabile che ve ne
fossero, data la violenza dell'urto?" chiese l'assessore che
sedeva a sinistra. Costui aveva una corta barbetta a ferro di
cavallo, zigomi sporgenti, e, con i gomiti appoggiati sul banco,
si teneva le mani rugose intrecciate dinanzi al viso, guardando
Jim con pensosi occhi azzurri; l'altro, un tipo grosso e
sprezzante, gettato all'indietro sulla sedia, col braccio sinistro
teso tamburellava delicatamente con la punta delle dita sopra un
foglio di cartasuga; nel mezzo il Presidente, dritto nell'ampia
poltrona, con la testa leggermente inclinata sulla spalla, teneva
le braccia conserte sul petto; in un vaso di vetro accanto al
calamaio c'era qualche fiore.
"No, non mi sembrava probabile", rispose Jim. "Ebbi ordine di non
far chiasso per evitare che nascesse un pànico. La precauzione mi
parve ragionevole. Presi una delle lampade appese sotto il tendone
e andai a prua. Aperto che ebbi il boccaporto della gavona, sentii
uno sciabordìo. Calai giù la lampada quanto lo permetteva la
lunghezza della catena, e constatai che la gavona era già più che
a mezzo invasa dall'acqua. Allora mi resi conto che doveva esservi
una grossa falla sotto alla linea di emersione". E s'interruppe.
"Già", fece il grosso assessore rivolgendo un sorriso distratto
alla cartasuga; le sue dita giocherellavano instancabilmente,
battendo sul foglio senza rumore.
"Lì per lì non pensai al pericolo. Forse rimasi appena appena
sorpreso... Tutto s'era svolto così quietamente e all'improvviso!
Sapevo che, nella nave, di paratie stagne c'era soltanto quella
che divide la gavona dalla stiva di prua. Nel tornare indietro per
informare il capitano, m'imbattei nel secondo macchinista: si
stava rialzando da terra ai piedi della scaletta del ponte di
comando, e sembrava intontito. Mi disse che credeva d'essersi
rotto un braccio: nello scendere era scivolato sul primo gradino,
mentre io andavo a prua. 'Dio mio!' esclamò: 'marcia com'è la
paratia cederà in un minuto, e questa maledetta carcassa andrà a
picco come un pezzo di piombo!' Col braccio destro mi spinse da
parte e si arrampicò su per la scaletta prima di me, gridando
qualcosa. Il sinistro gli pendeva lungo il fianco. Lo seguii in
tempo per vedere il capitano gettarglisi addosso e, con un pugno,
buttarlo lungo disteso per terra. Non lo colpì che una volta; poi
gli si curvò sopra parlando con tono furibondo ma a voce
bassissima. Credo gli domandasse perché diavolo non andava a
fermare le macchine invece di far tutto quel chiasso sul ponte.
Sentii che diceva: 'Alzati! Corri, Vola!' Né mancò qualche
bestemmia. Il macchinista scivolò giù per la scaletta di dritta, e
fece di corsa il giro del lucernario per raggiunger la scaletta
della sala-macchine che si trovava dalla parte opposta. Correndo
si lamentava... "
Parlava lentamente; i ricordi gli si presentavano rapidi e con
estrema chiarezza; avrebbe potuto imitare come un'eco i gemiti del
macchinista, per informarne con precisione quegli uomini che
esigevano "fatti". Dopo aver ceduto in un primo momento a un senso
di ribellione, Jim era arrivato a concludere che soltanto se
avesse deposto con meticolosa esattezza sarebbe riuscito ad
esprimere tutto l'orrore che si nascondeva dietro l'aspetto non
più che impressionante dell'accaduto. I fatti che quegli uomini
tenevan tanto a sapere, erano stati visibili, offerti ai sensi;
avevano occupato il loro posto nello spazio e nel tempo,
richiedendo per manifestarsi un piroscafo di millequattrocento
tonnellate e ventisette minuti d'orologio; avevano determinato un
tutto che aveva una fisonomia, delle sfumature d'espressione, un
apparenza complessa di cui l'occhio poteva serbare il ricordo: ma,
oltre a ciò, anche qualcosa d'altro: qualcosa d'invisibile, uno
spirito di perdizione che aveva mire ben precise e risiedeva
dentro ai fatti stessi, come un'anima malefica dentro a un corpo
repulsivo. A Jim pareva importantissimo far risultare chiaramente
tutto ciò. Quella non era stata una faccenda qualunque: ogni
minimo incidente vi aveva avuto importanza estrema, e per fortuna
lui si ricordava di tutto. Voleva continuare a parlare per amor
della verità, e forse anche per amor di se stesso; ma mentre le
sue parole erano limpide e decise, il cervello vorticava entro
l'angusto cerchio dei fatti che gli si era serrato addosso per
tagliarlo fuori dal resto dei suoi simili. Era come un animale
che, sentendosi rinchiuso in un'alta stecconata, corresse
disperatamente in cerchio nella notte, impazzito, alla ricerca
d'un punto debole, d'una fessura, d'un posto da poter scalare,
d'un varco dove insinuarsi e fuggire. Questa assillante attività
mentale faceva sì che a tratti il suo discorso era un po`
incerto...
"Il capitano continuava ad andar qua e là sul ponte di comando;
sembrava abbastanza calmo, solo che incespicò varie volte; e a un
certo punto, benché stessi parlando proprio a lui, venne a
sbattermi contro come un cieco. Non rispose con precisione a
quanto gli dicevo; borbottava fra sé. Non afferrai che qualche
parola come: 'Maledetto vapore!' e 'Vapore del diavolo!' ...
qualcosa in riguardo al piroscafo, insomma. Mi parve... "
Stava divagando: una domanda precisa gli tagliò la parola in bocca
di netto, come uno spasimo subitaneo, e ad un tratto si sentì
infinitamente scoraggiato e stanco. Stava proprio arrivandoci, era
lì lì per dirlo... e invece, brutalmente interrotto, doveva
rispondere sì o no. Disse la verità, con un secco "Sì". Bello in
volto, aitante della persona, giovanili e malinconici gli occhi,
si teneva dritto, con le spalle ben squadrate, sul banco dei
testimoni, mentre l'anima, dentro, gli si contorceva. Dovette
rispondere a un'altra domanda altrettanto precisa e altrettanto
inutile, poi rimase in attesa. Si sentiva la bocca arida e
insipida come se avesse mangiato polvere, e subito dopo salata e
amara come quando si è bevuto acqua di mare. Si asciugò la fronte
madida, passò la lingua sulle labbra aride, sentì un brivido
scendergli giù per la schiena. Il grosso assessore aveva abbassato
le palpebre, e tamburellava con le dita senza far rumore,
indifferente e lugubre; gli occhi dell'altro, al di sopra delle
mani intrecciate, brune dl sole, parevano brillar di bontà; il
Presidente si era curvato in avanti, dondolando il viso pallido
davanti ai fiori; poi si adagiò di fianco sul bracciolo della
poltrona, la tempia nel palmo della mano. L'ondeggiar dei punkha
agitava l'aria sopra le teste dei presenti, sugli indigeni di
pelle scura ravvolti nei loro voluminosi drappeggi, sugli Europei
accaldati, seduti tutti in gruppo, coi loro abiti di cotone
aderenti come una seconda pelle e i rotondi cappelli di fibra
sulle ginocchia, mentre, scivolando lungo le pareti, i peoni di
servizio, attillati nelle loro palandrane bianche di uscieri del
tribunale, svolazzavano svelti svelti qua e là, correndo sulla
punta dei piedi nudi, con la fusciacca rossa ai fianchi e il
turbante rosso in testa, silenziosi come fantasmi, sempre all'erta
come cani da caccia.
Gli occhi di Jim, vagando a caso per la sala, fra una risposta e
l'altra, si posarono sopra un bianco che se ne stava seduto
discosto dagli altri, stanco e rannuvolato in volto, ma con quieti
occhi che guardavan dritto davanti a sé, limpidi e pieni
d'interesse. Jim rispose a un'altra domanda ancora, ma aveva
voglia di gridare: "A che serve tutto questo, a che serve?" Batté
leggermente un piede per terra, si morse il labbro, e guardò
lontano sopra tutte quelle teste. Incontrò gli occhi del bianco.
Lo sguardo che questi volgeva verso di lui non aveva la fissità
allucinata degli altri. Rispondeva a un atto di volontà, a un
comando dell'intelligenza. Jim, fra due domande, si distrasse
tanto dall'interrogatorio da trovar tempo a riflettere. Quest'uomo
- diceva il suo pensiero - mi guarda come se scorgesse qualcuno o
qualcosa dietro alle mie spalle. Si era già imbattuto in costui...
forse per la strada. Era sicuro però di non avergli mai rivolto la
parola. Da giorni, da parecchi giorni, non aveva parlato con anima
viva, ma intrattenuto se stesso con una conversazione silenziosa,
incoerente e continua, come un prigioniero solitario nella sua
cella o un viandante sperduto in una landa deserta. Ora stava
rispondendo, sì, a domande inutili benché dirette a uno scopo; ma
gli nasceva il dubbio se mai più in vita sua avrebbe parlato
veramente con qualcuno. Il suono delle sue dichiarazioni veritiere
confermava in lui la decisa opinione che la parola non gli avrebbe
mai più servito a nulla. Ecco, quell'uomo laggiù pareva si
rendesse conto della difficoltà disperata in cui si dibatteva. Jim
lo guardò, poi volse altrove gli occhi risolutamente, come dopo un
distacco definitivo.
Molto spesso, più tardi, in lontane parti del mondo, Marlow si
compiaceva di raccontare per disteso o con molti dettagli i suoi
ricordi su Jim.
Ciò accadeva per esempio dopo cena, su una veranda inghirlandata
di immoto fogliame e coronata di fiori, nel profondo crepuscolo
punteggiato dalle estremità incandescenti delle sigarette. La
sagoma bislunga d'ogni poltrona di vimini ospitava un ascoltatore
silenzioso. Di quando in quando un puntino di brace si spostava
all'improvviso e, ravvivandosi, illuminava le dita di una mano
languida, o parte d'un viso profondamente tranquillo; oppure
accendeva un lampo scarlatto su un paio d'occhi pensosi sotto
l'ombra d'un frammento di fronte senza nubi; e appena pronunciata
la prima parola, il corpo di Marlow, abbandonato in riposo sulla
poltrona, s'immobilizzava come se lo spirito ne fosse volato via
risalendo a ritroso nel tempo, e attraverso le sue labbra parlasse
il lontano passato.
CAPITOLO 5.
"Ma sì. Seguii l'inchiesta", diceva, "e ancora adesso mi domando
perché vi andai. Eccomi pronto a credere che ognuno di noi abbia
un angelo custode, se in cambio mi concedete che abbiamo anche un
demone familiare. Voglio che lo ammettiate perché non mi piace
sentirmi eccezionale in nessun modo, e io so bene di averne uno:
un demone familiare, voglio dire. Non l'ho mai veduto, s'intende,
ma mi baso su prove circostanziali. Ce l'ho, eccome! e, maligno
com'è, mi ficca sempre in questo genere di pasticci. Quali
pasticci, direte voi? Per esempio il pasticcio di un'inchiesta; il
pasticcio d'un certo cane giallo... non par credibile, vero? che
sia lecito a un rognoso botolo indigeno di far inciampare la gente
sulla veranda d'un tribunale! insomma, quel genere di pasticci che
mi trascina per vie tortuose, inaspettate e propriamente
diaboliche, a incontrarmi sempre con tipi che hanno qualche punto
debole, o qualche punto duro, o qualche punto con la lebbra; e
che, santi numi, scioglie loro la lingua appena mi vedono perché
mi facciano le loro maledette confidenze. Come se, perbacco, non
avessi abbastanza confidenze da fare a me stesso! Come se, Dio
m'aiuti, non avessi tante informazioni confidenziali sul conto mio
da bastare a straziarmi l'anima fino alla fine dei giorni che mi
spettano. Che cos'ho fatto per esser favorito così, vorrei proprio
saperlo. Per conto mio son già pieno di preoccupazioni come
chiunque altro, e memoria ne ho quanta la media dei pellegrini di
questa valle di lagrime; dunque vedete che non sono
particolarmente adatto per far da ricettacolo alle confessioni
altrui. E allora perché? Non saprei... salvo che non sia per far
passare il tempo agli ospiti dopo cena. Carletto, mio caro, il tuo
pranzo era squisito, e per conseguenza anche una partitina
tranquilla questi amici la considerano un occupazione
faticosissima. Si beano nelle tue comode poltrone e pensano in
cuor loro:
'Al diavolo gli sforzi inutili. Discorra Marlow, piuttosto.'
Discorrere? E va bene. Del resto discorrere del signorino Jim è
abbastanza facile, dopo un buon pranzo, a sessanta metri sul
livello del mare, con una scatola di sigari discreti a portata di
mano, in una benedetta serata di frescura e di stelle che farebbe
dimenticare anche al migliore di noi che ci troviamo quaggiù
soltanto per la tolleranza di Qualcuno, e dobbiamo trovar la
strada fra opposti segnali luminosi, badando che ogni minuto può
esser prezioso, e irrimediabile ogni passo, sperando di farcela
ancora a uscirne alla fine in un modo decente - ma senza esserne
molto sicuri, dopo tutto - e aspettandoci un aiuto maledettamente
insignificante da coloro coi quali viviamo a contatto di gomiti.
Beninteso, esistono qua e là uomini che la vita intera la
considerano un dopo cena con un buon sigaro tra le labbra: facile,
piacevole, vuota, magari insaporita da qualche racconto di dure
lotte da dimenticarsi prima ancora d'averne sentita la
conclusione... prima d'averne sentita la conclusione... anche se
per caso una conclusione c'è, all'ultimo.
I miei occhi s'incontraron coi suoi per la prima volta durante
quell'inchiesta. Dovete sapere che chiunque avesse qualcosa a che
fare col mare era presente, perché la faccenda faceva chiasso già
da parecchi giorni, fin da quando era arrivato da Aden quel
misterioso cablogramma a dar la stura alle nostre chiacchiere.
Dico misterioso perché in un certo qual senso lo era, benché si
limitasse ad esporre un nudo fatto; nudo e brutto quanto un fatto
può esserlo. Al porto non si parlava d'altro. Fin dalle prime ore
del mattino, mentre mi vestivo nella mia cabina, sentivo
attraverso il tramezzo il mio dubash ciarlare del Patna col
cambusiere, mentre beveva in dispensa una tazza di tè gentilmente
offertagli. Appena a terra, se incontravo qualche conoscente, le
sue parole erano: 'Hai mai sentito una cosa simile?' e, secondo il
tipo, o sorrideva cinicamente o prendeva un'aria triste o tirava
giù un paio di bestemmie. Gente del tutto estranea si abbordava
familiarmente, solo per sfogarsi sull'argomento; ogni maledetto
fannullone della città rimediava un mucchio di bicchierini
entrando in discussione su quella faccenda; se ne sentiva
discorrere nella capitaneria di porto, negli uffici degli armatori
e dei vostri agenti, da bianchi, da indigeni, da meticci, perfino
dai barcaioli accucciati seminudi sui gradini di pietra
dell'imbarcadero, quando si scendeva a terra... santi numi! Chi
s'indignava, chi scherza; le dispute sulla fine che poteva aver
fatto quella gente erano infinite. Si andò avanti così per un paio
di settimane e più, e già cominciava a prevaler l'opinione che la
faccenda avrebbe finito col mostrare anche un lato tragico, quando
una bella mattina, mentre me ne stavo all'ombra vicino alle scale
della capitaneria, vidi quattro uomini venirmi incontro lungo la
banchina. Mi domandai per un momento da dove potevano esser
saltati fuori quegli strani individui; ma tutto ad un tratto, se
posso esprimermi così, gridai a me stesso: Sono loro!
Erano loro davvero: tre di normale complessione, e uno assai più
largo di circonferenza che non sia lecito ad essere umano. Erano
appena sbarcati, con un'ottima colazione in corpo, da un piroscafo
della Dale Line in viaggio d'andata, giunto in porto un'ora circa
dopo il far dell'alba. Impossibile sbagliarsi: riconobbi l'allegro
capitano del Patna alla prima occhiata: l'uomo più grasso che si
potesse incontrare entro quella benedetta cintura dei tropici che
circonda questo nostro caro vecchio globo. E poi, circa nove mesi
prima, l'avevo veduto per caso a Samarang. Il suo piroscafo stava
caricando nelle Rade, e lui inveiva contro le istituzioni
tiranniche dell'impero germanico ingozzandosi di birra tutto il
giorno e tutti i giorni nel retrobottega di De Jongh, fino a che
lo stesso De Jongh, che pur gli faceva pagare un gulden a
bottiglia senza batter ciglio, mi prese da parte e, col suo
visetto di cuoio tutto corrugato, mi dichiarò confidenzialmente:
'Gli affari sono affari, ma quest'uomo, capitano mi fa troppo
schifo. Pfui!'
Lo osservavo dall'ombra in cui mi trovavo. Procedeva in fretta un
po' avanti agli altri, e la luce del sole che lo investiva in
pieno dava alla sua mole un sorprendente risalto. Mi faceva
pensare a un piccolo elefante ammaestrato che camminasse sulle
zampe posteriori. Inoltre era vestito in modo pazzamente vistoso:
un lercio pigiama da notte, verde vivo a gran righe verticali
color arancione, un paio di pantofole di paglia tutte sdrucite sui
piedi nudi, e un sudicissimo cappello di fibra, evidentemente
smesso da qualcun altro perché gli andava di due misure troppo
piccolo, legato con un pezzo di corda di manilla in cima al suo
testone. Un uomo cosiffatto, capirete, non ha l'ombra d'una
probabilità di trovar roba adatta, se gli tocca rivestirsi di
seconda mano. Benissimo. Veniva avanti di furia, senza guardare né
a destra né a sinistra; mi passò vicino a meno d'un metro, e
nell'innocenza del suo cuore si precipitò su per le scale della
capitaneria di porto per andar a fare la sua deposizione, il suo
rapporto, o come volete chiamarlo.
Pare che per prima cosa si rivolgesse all'ufficiale marittimo.
Archie Ruthvel era arrivato in ufficio da un momento appena, e, a
quanto mi raccontò poi, stava per iniziare la sua giornata di duro
lavoro con una lavata di testa al suo capo ufficio. Qualcuno di
voi costui deve averlo conosciuto... un piccolo meticcio
portoghese, servizievole, con un misero collo allampanato, sempre
in vedetta per farsi regalar dai comandanti delle navi qualcosa di
commestibile: un pezzo di maiale salato, un pacco di biscotti,
delle patate o che so io. Al ritorno da un viaggio, mi ricordo,
gli diedi per mancia una pecora viva avanzata alle mie provviste;
non che avessi bisogno dei suoi servigi - era impossibile che mi
fosse utile in nulla, si capisce - ma perché quella fede infantile
nel suo sacrosanto diritto alle regalìe mi toccò proprio il cuore.
Era così radicata da diventar quasi bella. La sua razza... anzi le
sue due razze... e il clima... Insomma, non importa. So dove
posseggo un amico per la vita.
Basta, Ruthvel dice che gli stava facendo una gran strapazzata -
m'immagino sulla moralità che dovrebbe avere un pubblico ufficiale
- quando sentì dietro di sé una specie di rattenuta agitazione, e,
voltando la testa, vide, per usare le sue parole, qualcosa di
rotondo e di enorme che somigliava a una botte di zucchero da
duecentotrentotto avvolta in una flanellina a righe e lasciata in
piedi sul vasto spazio libero che v'era al centro dell'ufficio.
Rimase così stupefatto, dice, da non rendersi conto per un bel po'
che quell'oggetto era vivo, e se ne restò lì seduto a domandarsi
per quale scopo e con quali mezzi glie l'avessero trasportato
davanti alla scrivania. L'arcata che dava sul vestibolo era
affollata di sventagliatori di punkah, di spazzini, di guardie
peone; v'era anche il comandante e l'equipaggio del rimorchiatore
destinato al servizio di porto, tutti a collo teso e quasi
arrampicati l'uno sulla schiena dell'altro. Una vera rivoluzione.
Ormai l'uomo era riuscito, con uno strappo, a togliersi il
cappello di testa, e avanzava con piccoli inchini verso Ruthvel.
Era un'apparizione talmente sconcertante che questi, come mi
disse, per un po' non seppe far altro che stare ad ascoltarlo,
incapace di capire quel che volesse. L'altro parlava con voce
aspra e lugubre, ma anche intrepida, e a poco a poco Archie
incominciò a rendersi conto che si trattava d'un seguito del caso
Patna. Dice che appena comprese chi gli stava davanti si sentì
proprio rimescolare (Archie è tanto sensibile e facile a
scombussolarsi); ma subito si dominò gridando: 'Aspetti! La cosa
non riguarda me. Lei deve andare dall'ufficiale di servizio. Non
mi riguarda assolutamente. Il capitano Elliot è l'uomo che fa per
lei. Da questa parte, da questa parte!' Balzò in piedi, fece di
corsa il giro di quel suo banco lunghissimo, tirò, spinse: e
quello, sorpreso ma remissivo, lo lasciava fare; finché sulla
porta dell'ufficio del capitano una sorta di istinto animale non
lo fece ritrarsi addietro sbuffando come un torello spaventato.
'Ma insomma! Che succede? Mi lasci andare! Guarda un po'!' Archie
spalancò la porta senza bussare. 'C'è il comandante del Patna!'
grida. 'Entri capitano!' Vide il vecchio alzar la testa dal foglio
su cui stava scrivendo, con un gesto così brusco che gli caddero
gli occhiali dal naso. Allora Archie richiuse la porta con un
tonfo, e tornò di corsa al proprio banco, dove aveva certe carte
da firmare: ma dice che la bufera che si scatenò là dentro era
così spaventosa che non gli riusciva di concentrarsi neppur quel
tanto da ricordar l'ortografia del proprio nome. Archie è il più
sensibile primo capo marittimo dei due emisferi. Dice che si
sentiva come se avesse gettato un uomo in pasto a un leone
affamato. E certo il baccano doveva esser forte, se arrivava a me
che stavo fuori; anzi ho ragione di credere che lo si sentisse
attraverso tutto il Piazzale, fino al chiosco della banda. Il
vecchio papà Elliot aveva una riserva inesauribile di parole,
sapeva urlare che era una bellezza... e non glie ne importava un
corno chi gli stesse di fronte quando urlava. Avrebbe urlato anche
col Viceré. Me lo diceva sempre: 'Sono arrivato all'apice della
carriera; la pensione è assicurata. Ho qualche sterlina da parte;
e se ai miei superiori non garba il mio modo di concepire il
dovere, poco mi fa di andarmene a casa. Sono vecchio, e ho sempre
detto quel che pensavo. Non m'importa d'altro, ormai, che di veder
accasate le mie figliole!' Era un po' fissato su questo punto. Le
sue tre figlie erano molto carine, benché gli rassomigliassero in
modo sorprendente; ma le mattine che gli capitava di svegliarsi
pessimista sulle loro prospettive matrimoniali, l'intero ufficio
glie lo leggeva negli occhi e si metteva a tremare: perché,
dicevano, 'si poteva star sicuri che si sarebbe pappato qualche
impiegato per colazione.' Quella mattina tuttavia non divorò il
rinnegato; ma, se mi è lecito continuar la metafora, se lo masticò
finché l'ebbe ridotto a pezzettini, per così dire, e... puah! lo
risputò subito.
Così, dopo pochissimi minuti, vidi quella mole mostruosa scendere
la scala a precipizio e fermarsi sull'ultimo gradino, proprio
accanto a me. Era chiaro che aveva bisogno di meditare
profondamente. Le enormi guance paonazze gli tremolavano; si
morsicava il pollice. Dopo un po' si accorse della mia presenza, e
mi guardò seccato con la coda dell'occhio. Gli altri tre individui
che eran sbarcati con lui stavano un po' distanti ad attenderlo in
gruppo. L'uno era un meschino omiciattolo col viso giallo e un
braccio al collo; un tipo alto il secondo, con una giacca di
flanella azzurra, asciutto come il legno e magro come un manico di
scopa, coi baffi grigi spioventi: si guardava attorno con un'aria
di pretensiosa imbecillità. Il terzo poi, un giovane dritto della
persona, spalle larghe e mani in tasca, voltava la schiena agli
altri due che discutevano animatamente fra loro. Teneva gli occhi
fissi sul piazzale deserto. Un gharry sconquassato, tutto polvere
e tendine di stuoia, si fermò bruscamente di fronte al gruppo, e
il cocchiere, accavallando le gambe nude, si dedicò a un esame
critico delle dita del proprio piede destro. Senza un gesto, senza
muovere nemmeno la testa, il giovinotto fissava la luce del sole.
Questa fu la mia prima visione di Jim. Appariva distaccato e
inabbordabile come soltanto i giovani sanno esserlo. Stava lì sano
di membra, bello di volto, solidamente piantato: il ragazzo più
promettente su cui mai si posasse il sole; e nel guardarlo, io che
sapevo tutto quel che sapeva lui, e anche qualcosa di più, mi
sentii vincere dall'ira come se l'avessi colto a cercar
d'imbrogliarmi. Non aveva il diritto, ecco, di sembrare così
valido. Pensai fra me: beh, se un tipo simile può andar fuori
strada in quel modo... E mi venne voglia di buttar per terra il
cappello e di ballarci sopra nient'altro che per sfogare la mia
mortificazione, come avevo visto fare una volta al capitano d'un
brigantino italiano quando quell'idiota del suo secondo, mentre
doveva dar fondo all'abbrivo in una rada piena di navi, tra la sua
e le altre ancore aveva combinato un pasticcio inestricabile. Al
vederlo lì con quell'aria così disinvolta, mi domandai: ... è
stupido? è insensibile? Sembrava sul punto di mettersi a
fischiettare. E notate, di come si comportavano gli altri due non
m'importava un fico. Le loro persone, in qualche modo,
s'intonavano con i fatti che erano ormai di pubblico dominio, e
che stavan per formare oggetto d'un'inchiesta ufficiale. 'Quel
vecchio matto di un briccone lassù mi ha dato del cane,' disse il
capitano del Patna. Non so se mi avesse riconosciuto... direi di
sì; comunque i nostri sguardi s'incontrarono. Lui lanciava fiamme
dagli occhi, io sorrisi: cane era l'epiteto più blando che mi
fosse giunto all'orecchio attraverso la finestra aperta.
'Davvero?' dissi, stranamente incapace di tener ferma la lingua.
Egli annuì col capo, tornò a morsicarsi il pollice, cacciò una
soffocata bestemmia; poi, alzando la testa e guardandomi con
aggrondata e feroce impudenza: 'Bah! il Pacifico è grande, amico
mio. Voialtri maledetti Inglesi potete fare tutto quel che volete:
so dove c'è posto a sufficienza per uno come me. Mi conoscono bene
a Apia, a Honolulu, a...' S'interruppe pensosamente, mentre io
potevo raffigurarmi senza il minimo sforzo qual fosse il genere di
persone che lo 'conoscevano bene' in quei luoghi. Non voglio
nascondervi che ne avevo conosciuti parecchi anch'io. Ci son
situazioni che uno e meglio si comporti come se la vita fosse
egualmente dolce in qualsiasi compagnia. Situazioni simili ne son
capitate anche a me; e dirò di più: non voglio atteggiarmi a
vittima della necessità, perché buona parte di quei manigoldi,
proprio per la loro mancanza di una.. di una... come dire? di
un'impostazione morale, erano il doppio più istruttivi e venti
volte più divertenti del solito rispettabile commerciante ladro
che voialtri invitate a pranzo senza necessità alcuna, ma soltanto
per abitudine, per vigliaccheria, per cordialità naturale, o per
altri cento motivi altrettanto inadeguati e meschini.
'Voialtri Inglesi siete tutti bricconi,' riprese il mio patriota
australiano di Flensburg, o di Stettino che fosse. Non ricordo
proprio quale onesto porticciolo delle sponde del Baltico si era
disonorato col dare un nido a quel prezioso uccello. 'Chi siete
voi per urlarmi contro? Eh? Si può sapere? Non valete più di me; e
quel vecchio furfante mi ha fatto una storia dell'altro mondo!'
La sua grossa carcassa tremava sulle gambe come su due pilastri:
tremava dalla testa ai piedi. 'Ecco cosa fate sempre, voialtri
Inglesi: delle storie dell'altro mondo, per qualunque piccolezza,
perché non son nato nel vostro maledetto paese. Levatemi la mia
patente. Levatemela pure. Non ne ho bisogno, io, della patente.
Uno come me non ne ha bisogno, d'una verfluchte patente! Ci sputo
sopra, io!' E sputò. 'Io voglio cittadino americano diventare,'
gridò agitandosi tutto, smaniando e battendo i piedi come per
liberarsi le caviglie da una qualche morsa misteriosa che lo
tenesse inchiodato in quel luogo. Si era scaldato tanto che quella
sua testa a palla gli si vedeva materialmente fumare. Non v'era
nulla di misterioso, invece, in quel che m'impediva di andarmene a
mia volta: la curiosità è il più naturale dei sentimenti, ed era
la curiosità a farmi restar lì per vedere che effetto avrebbe
fatto la nuova rivelazione su quel giovanotto che, mani in tasca e
schiena rivolta al marciapiedi, guardava al di là delle aiuole del
Piazzale, verso il portico color giallo dell'Albergo Malabar, con
l'aria di uno che aspetti gli amici per andare a passeggio
insieme. Ecco l'aria che aveva: un'aria odiosa. Mi trattenni per
vederlo sopraffatto, annichilito, a divincolarsi come uno
scarafaggio infilzato da parte a parte... e nello stesso tempo
avevo quasi paura d'un simile spettacolo: non so se potete
capirmi. Non c'è nulla di più orribile che osservare un uomo
riconosciuto reo, non d'un delitto, ma d'un atto di debolezza
peggio che delittuosa. Se la più elementare forza di volontà ci
impedisce di diventar delinquenti nei senso legale del termine, è
da simili debolezze, sconosciute a noi stessi, ma di cui si ha
tuttavia qualche sospetto - come in certe parti di mondo vien da
sospettare che ogni cespuglio nasconda un rettile velenoso -, è da
debolezze che giacciono nascoste in noi, sorvegliate o non
sorvegliate, tenute lontane pregando Iddio, o disprezzate con
animo virile, represse o fors'anche ignorate per più di metà della
nostra vita, che nessuno può mai sentirsi al sicuro. In certi casi
siamo trascinati ad azioni che ci fanno coprire di epiteti
ingiuriosi; ad azioni che ci portano magari al patibolo: e
tuttavia il nostro spirito sopravvive: sopravvive alla condanna,
sopravvive anche al patibolo, perdiana! E vi sono azioni invece -
sembrano così insignificanti, alle volte! dalle quali restiamo
totalmente, completamente annientati. Osservavo quel ragazzo.
Aveva un'aria simpatica; conoscevo il genere: veniva dalla parte
giusta, era dei nostri. Riassumeva in sé tutti gli ascendenti
della sua razza: uomini e donne tutt'altro che intelligenti o
pittoreschi, ma ben piantati su una fede solida e sull'istinto del
coraggio. Non alludo al coraggio militare o a quello civile, né a
qualunque altro genere particolare di coraggio. Intendo soltanto
la capacita innata di guardare in faccia le tentazioni; un tenersi
pronti, sa Dio con quanto scarso intervento del cervello ma senza
pose; una forza di resistenza, capite: sgraziata, sia pure, ma
impagabile; un irrigidirsi istintivo e benedetto di fronte a tutti
i terrori, esterni ed interni; di fronte alla potenza della natura
e alla seducente corruzione degli uomini: sostenuto, tutto questo,
da una fede invulnerabile nella forza dei fatti, nel contagio
dell'esempio nella sollecitazione delle idee. Al diavolo le idee!
Sono delle vagabonde, delle zingare che bussano alla porta di
servizio della nostra mente, e ognuna di esse vi ruba un po' della
vostra sostanza, ognuna di esse si porta via qualche briciola di
quel vostro credere in poche e semplici nozioni, che è un punto a
cui bisogna tenersi ben aggrappati se si vuol vivere con decenza e
morire con serenità.
Tutto questo non ha direttamente nulla a che vedere con Jim; solo
che, per l'aspetto esteriore, egli rappresentava nel modo più
spiccato quel tipo umano, buono e stupido, da cui fa piacere di
sentirsi circondati nel cammino della vita; quel tipo umano che
non si lascia turbare dai vaneggiamenti dell'intelligenza e dalle
perversioni dei... dei nervi, diciamo. Era il genere d'individuo
che, soltanto a guardarlo, gli avreste affidato la guardia del
ponte, sia in senso letterale che figurato. Per conto mio, glie
l'avrei affidata: e sì che dovrei intendermene. A tempo mio ne ho
iniziati un bel po' di ragazzi, sotto l'insegna dello Straccio
Rosso, al mestiere del mare! Un mestiere che tutto il suo segreto
si potrebbe condensarlo in una laconica frasetta, e che invece
ogni santo giorno bisogna tornarlo a ribadire in quei cervelli
adolescenti fino a che non sia diventato il lievito di ogni loro
pensiero da svegli, e non occupi, quando dormono, tutti i loro
sogni giovanili! Con me il mare è stato galantuomo: ma quando
ripenso a tutti quei ragazzi che mi son passati per le mani,
qualcuno ormai adulto, qualche altro finito ai pesci, ma tutti
trasformati in ottimo materiale per lui, non mi pare d'averlo
trattato male neanch'io. Dovessi tornarmene in patria domani, non
sarebbero passati due giorni, scommetto, che qualche primo
ufficiale bruciato dal sole mi raggiungerebbe sul cancello di una
darsena, e una voce giovanile e profonda risuonerebbe al disopra
del mio cappello: 'Non mi riconosce, capitano? Ma come! il piccolo
Tal-dei-Tali. Sulla nave Così-e-Così. Era la mia prima
traversata.' Allora mi tornerebbe in mente un ragazzuccio tutto
rimescolato, alto come lo schienale d'una seggiola, e, zitta zitta
sulla banchina, una madre, o forse una sorella troppo sconvolta
per sventolare il fazzoletto verso la nave che scivola via
dolcemente tra i moli; oppure un bravo babbo di mezz'età, venuto
di buon'ora col suo ragazzo per vederlo partire, e che poi è
rimasto a bordo tutta la mattinata perché, guarda un po', l'argano
lo interessava enormemente; e così si attardato troppo, tanto che
all'ultimo deve precipitarsi a terra senza più tempo per far gli
addii. Il pilota di fondo basso mi grida con voce strascicata: 'La
tenga ferma un momento col cavo d'ormeggio, capitano. C'è un
signore che deve scendere... Su, forza, signore. Quasi quasi
partiva anche lei per Talcahuano, eh? Ecco il momento giusto:
senza fretta... Bravissimo. Mollate di nuovo a prua.' I
rimorchiatori fumano come il baratro infernale e si mettono in
tirare, sbattendo le acque del vecchio fiume fino a farlo diventar
furioso; il signore che è sceso a terra si spolvera i
ginocchielli; il benevolo dispensiere gli getta l'ombrello che ha
dimenticato a bordo. Tutto molto come si deve. Lui ha offerto il
suo piccolo sacrificio al mare, e ora può tornarsene a casa
fingendo di non darvi importanza; e la piccola vittima volontaria
avrà un terribile mal di mare prima che finisca la notte. Più
tardi, quando avrà imparato tutti i piccoli misteri e l'unico
grande segreto del mestiere, anche lui sarà degno di vivere o di
morire, a seconda che il mare decreterà; e all'uomo che ha giocato
a quel giuoco da pazzi in cui il mare fa lui tutte le prese,
piacerà un mondo sentirsi battere sulla spalla da una pesante mano
giovanile, e udir la voce allegra d'un cucciolo di mare che
esclama: 'Mi riconosce, signore? Il piccolo Tal-dei-Tali.'
Vi dico che è bello; e la prova che una volta almeno nella vita
avete lavorato come si deve. M'è capitato di riceverne, di queste
botte sulla spalla! E ci ho fatto anche una smorfia, perché eran
pesanti; ma dopo mi son sentito contento tutto il giorno, e
andando a letto mi pareva d'esser meno solo al mondo, grazie a
quella manata cordiale. Se riconosco il piccolo Tal-dei-Tali? A
regola, di fisonomie dovrei intendermene. E vi dico che, dopo
un'occhiata appena, a quel giovanotto gli avrei affidato il ponte,
poi sarei andato a dormire fra due guanciali: e, perdiana! avrei
fatto una bella imprudenza. Ci sono abissi di orrore, dentro a
questo pensiero. Sembrava schietto come una sterlina di zecca, ma
nella lega del suo metallo v'era un elemento diabolicamente
impuro. In che quantità? Oh, minima... la goccia più piccola
possibile d'un qualcosa di raro e di maledetto; la più piccola
delle gocce!... ma bastava per far nascere il dubbio - a vederlo
lì in piedi con quell'aria di menimpipo - a far nascere il dubbio
che potesse esser tutto d'un metallo non più prezioso dell'ottone.
Non riuscivo a capacitarmi. Vi giuro che, per l'onore del
mestiere, avrei voluto vederlo divincolarsi. Gli altri due
individui, quelli senza importanza, si accorsero del capitano, e
lentamente si avviarono verso di noi. Venivano avanti pian piano
chiacchierando, e non m'importava nulla di loro, come non fossero
stati visibili. Ridevano... fors'anche scherzavano, può darsi.
Vidi che uno dei due aveva un braccio rotto; mentre l'altro, quel
tipo allampanato coi baffi grigi, era un capo macchinista
abbastanza conosciuto per varie ragioni. Insomma, due vere
nullità. Si avvicinarono. Il capitano stava come imbambolato a
guardarsi fra i piedi; si sarebbe detto che fino a quelle
dimensioni innaturali l'avesse gonfiato una qualche orribile
malattia o l'azione misteriosa d'un veleno sconosciuto. Alzò il
capo, si vide dinanzi i due in attesa, aprì ghignando la bocca con
uno straordinario contorcimento di quel viso incredibilmente
paffuto... e stava, credo, per dir qualcosa, quando parve che un
pensiero lo colpisse. Le grosse labbra violacee tornarono a
chiudersi senza emettere alcun suono; si diresse con passo molle
ma risoluto verso il gharry, e cominciò a scuoterne la maniglia
con tale impaziente brutalità che mi aspettavo da un momento
all'altro di veder l'intera baracca rovesciarsi su un fianco,
cavallino e tutto. Il cocchiere, distolto dalla contemplazione
della pianta del proprio piede, manifestò subito segni del più
intenso terrore. Aggrappatosi al sedile con le due mani, guardava
dall'alto quell'enorme carcassa decisa ad introdursi per forza
nella sua vettura. Il trabiccolo si agitava e rollava
tumultuosamente; la nuca paonazza di quel collo curvo, i polpacci
tesi nello sforzo, l'immenso ansimare di quella miserabile schiena
a strisce verdi e arancioni, tutta la forza d'urto di quella massa
vistosa e sordida turbavano il senso della probabilità con un
effetto comico e pauroso ad un tempo, come una di quelle visioni
insieme nitide e grottesche che spaventano e affascinano il
febbricitante. Ad un tratto scomparve. Mi aspettavo quasi che il
tetto della vettura si spaccasse in due, che quella scatoletta a
ruote scoppiasse come un baccello di cotone maturo... e invece si
limitò ad abbassarsi con un suono metallico di molle che cedono, e
di colpo una delle tendine di stuoia cadde giù srotolandosi
rumorosamente. Riapparvero, compresse entro la piccola apertura,
le spalle c'el gigante, che cacciò fuori la testa tesa e
ballonzolante come un pallone frenato, sudata, furiosa, in una
spruzzaglia di scaracchi. Agguantò il gharry-wallah con un gesto
rabbioso di quel suo pugno massiccio, rosso come un pezzo di carne
cruda, e gli muggì contro di camminare, di andarsene. Dove? Nel
Pacifico, forse. Il cocchiere diede di frusta, il cavallino
sbuffò, s'impenno, e partì al galoppo. Per dove? Per Apia? per
Honolulu? C'erano seimila miglia di cintura tropicale dove
andarsene a zonzo, e a me non riuscì d'afferrar l'indirizzo
preciso. Un cavallino sbuffante lo rapì in un baleno
nell''Ewigkeit,' e non lo rividi mai più. Che dico? non conosco
persona al mondo che gli abbia messo gli occhi addosso da quando
si sottrasse alla mia vista in quel piccolo gharry sgangherato che
svoltava a precipizio entro una bianca nuvola di polvere. Partì,
sparì, svanì; e, quel che è più assurdo ancora, si direbbe che
avesse portato via con sé anche il gharry perché mai più mi è
capitato d'imbattermi in quel cavallino sauro con l'orecchio
spaccato e in quel pigro cocchiere tamilo afflitto da un'ulcera al
piede. Il Pacifico è grande davvero; ma vi abbia trovato o no il
capitano un luogo adatto per mettere in valore le proprie doti,
resta il fatto che scomparve nello spazio come una strega a
cavallo d'una scopa. L'ometto col braccio al collo si diede a
rincorrere la vettura belando: 'Capitano! Ehi, capitano! Ehiii!',
ma dopo pochi passi si fermò di botto, chinò la testa, e tornò
indietro pian piano. All'aspro stridìo delle ruote, il più giovane
s'era rapidamente girato sui tacchi. Ma poi non fece nessun altro
movimento, nessun gesto, nessun segno: restò immobile col viso
rivolto nella direzione del gharry, anche dopo che questo era già
sparito da un pezzo.
Tutto si svolse in assai minor tempo di quanto ora me ne occorra a
raccontarlo, perché io sto cercando di analizzare per voi, con
lente parole, l'effetto istantaneo di parecchie impressioni
visive. Subito dopo entrò in scena l'impiegato meticcio, mandato
da Archie a occuparsi un po' dei poveri naufraghi del Patna.
Costui sbucò fuori dall'edificio di corsa, eccitato e senza nulla
in testa, guardando a dritta e a manca, tutto compreso
dall'importanza della propria missione. La quale era destinata
all'insuccesso per quanto riguarda il personaggio principale; ma
il portoghese si avvicinò agli altri tre con aria di affaccendata
importanza, e quasi immediatamente si trovò coinvolto in un
violento alterco con l'individuo che aveva il braccio al collo e
pareva non chiedesse altro che di fare una bella leticata. Non
riceveva ordini da nessuno, lui, no, perdinci! Ci voleva altro per
spaventarlo che un mucchio di bugie uscite di bocca a uno
sfacciato impiegatucolo meticcio! Non si lasciava maltrattare da
un 'coso del genere,' anche se la storia che raccontava era
'quanto mai' vera! E gridò il suo desiderio, la sua aspirazione,
la sua determinazione di mettersi a letto. 'Se tu non fossi un
Portoghese abbandonato da Dio,' lo udii gridare, 'avresti bell'e
capito che l'ospedale è il posto che ci vuole per me.' Piantò il
pugno del braccio sano sotto al naso dell'impiegato; cominciava a
raccogliersi folla; il meticcio, agitato, ma facendo del suo
meglio per mostrarsi dignitoso, cercava di spiegar le proprie
intenzioni. Io me ne andai senza aspettare la fine della scena.
Ma per l'appunto in quei giorni avevo uno dei miei marinai
all'ospedale, e, nell'andare a prenderne notizie la vigilia
dell'inchiesta, nella corsia dei bianchi ritrovai l'omiciattolo
che smaniava, disteso sul dorso, col braccio ingessato e in preda
al delirio. Con mia grande sorpresa anche l'altro individuo, lo
spilungone coi baffi bianchi spioventi, aveva trovato modo di
entrar là dentro. Ricordavo d'averlo veduto svignarsela durante il
litigio, d'un passo metà disinvolto metà strascicato, e facendo un
gran sforzo per non apparir spaventato. In porto era conosciuto, a
quanto pare; sì che ora, trovandosi nei guai, pensò di cercar
rifugio nel caffè con biliardi di Mariani, accanto al bazar.
Quell'indescrivibile vagabondo di un Mariani, che lo conosceva per
aver provveduto ai suoi vizi in un paio di altri luoghi, baciò la
terra, per così dire, davanti ai suoi piedi, e lo rinchiuse con
una provvista di bottiglie in una camera al primo piano del suo
infame bordello. Pare che il tipo si sentisse vagamente
preoccupato circa la propria sicurezza personale, e desiderasse
rimaner nascosto. Mariani mi disse molto tempo dopo (un giorno che
salì a bordo a reclamare dal mio dispensiere il pagamento di certi
sigari) che lui per quell'uomo avrebbe fatto ben altro, senza
chiedergli nessuna spiegazione, tanto gli era grato per qualche
spregevole favore ricevuto da lui molti anni prima, a quanto mi
riuscì di capire. Si batté due volte il petto muscoloso, roteando
gli enormi occhi bianchi e neri, lucidi di lagrime. 'Antonio non
dimentica mai... Antonio non dimentica mai!' La precisa origine di
codesta immorale riconoscenza non venni mai a conoscerla; ma,
quale che fosse, quell'individuo ebbe tutte le agevolazioni per
restarsene ben chiuso a chiave, con una sedia, un tavolo, un
materasso in un angolo, e un mucchio di sudiciume sul pavimento,
in preda a un irragionevole pànico che cercava di vincere con i
tonici di cui Mariani gli era generoso. La faccenda andò avanti
fino alla sera del terzo giorno, quando, dopo aver emesso alcuni
orribili urli, fu costretto a cercar scampo nella fuga contro una
legione di millepiedi. Sfondò la porta, discese d'un unico salto
disperato la scaletta sghimbescia, finì di peso sul ventre di
Mariani, si rialzò, e fuggì via come un coniglio per la strada. La
polizia lo raccolse sopra un cumulo d'immondizie la mattina dopo,
all'alba. A tutta prima pensò che volessero portarlo via per
impiccarlo, e lottò per la libertà come un eroe; ma quando io mi
sedetti sulla sponda del suo letto, era calmo da ormai due giorni.
La scarna testa abbronzata, con quei baffi bianchi, avrebbe potuto
apparir bella e serena sul guanciale come la testa d'un soldato
che le battaglie avessero logorato, ma rimasto fanciullescamente
candido nell'animo, non fosse stato per un accenno di spettrale
paura che, annidata nel luccichìo dello sguardo atono, faceva
pensare a un'indistinta immagine del terrore appiattata in
silenzio dietro a un vetro. Era così incredibilmente calmo, che mi
abbandonai all'assurda speranza di aver qualche spiegazione dal
suo punto di vista sulla famosa faccenda. Perché poi io provassi
tanto desiderio di frugare nei deplorevoli dettagli d'un
avvenimento che, dopo tutto, non mi riguardava affatto se non come
membro d'un'oscura associazione di gente riunita insieme da una
comunanza di fatiche ingloriose e di fedeltà a una certa linea di
condotta, non so proprio spiegarmelo. Chiamatela pure curiosità
morbosa, se volete; ma fatto sta che avevo bisogno di trovare
qualcosa. Forse, inconsciamente, speravo di scoprire una qualche
giustificazione riposta, l'ombra almeno di una scusante. Oggi vedo
bene che speravo l'impossibile. Speravo di veder sgominare il più
ostinato fantasma a cui l'uomo abbia mai dato forma: quel dubbio
febbrile che si diffonde come una nebbia, che rode occulto come un
tarlo, più agghiacciante che la certezza della morte: il dubbio
che a dominare una certa linea di condotta sia un potere
dispotico. E' la cosa più dura contro cui si possa inciampare; è
la cosa che suscita il pànico urlante e le brave piccole
mascalzonate compiute in silenzio; è la vera ombra della calamità.
Credevo dunque in un miracolo? e perché lo desideravo così
ardentemente? Era egoismo quello che mi spingeva a cercar anche
l'ombra d'un'attenuante per quel giovanotto che non avevo mai
visto prima? Era bastato il suo solo aspetto per aggiungere una
sfumatura d'interesse personale ai pensieri che mi suggeriva il
convincimento della sua debolezza, e per rendere questa debolezza
una cosa di mistero e di terrore, quasi un accenno a un destino
d'annientamento in agguato dietro le spalle di tutti coloro la cui
giovinezza aveva somigliato, un tempo, alla sua giovinezza? Ho
paura che il motivo segreto della mia curiosità fosse proprio
quello. Certo è che stavo cercando un miracolo. Oggi, dopo tanto
tempo, l'unica cosa che mi sembri miracolosa è l'enormità della
mia stupidaggine. Perché non c'è dubbio che qualche esorcismo
contro lo spettro del dubbio sperai di ottenerlo da quell'ammalato
losco e consunto. Dovevo esser davvero sulle spine se, senza
perdere tempo, dopo qualche frase indifferente e cordiale a cui
rispose con languida prontezza, come farebbe qualunque malato
rispettabile, tirai subito fuori la parola Patna avvolta in una
delicata domanda come in una matassina di seta morbida. Per
egoismo, ero così delicato: non volevo spaventarlo, semplicemente;
non che provassi la minima sollecitudine verso di lui. Non mi
faceva né rabbia né compassione; poco o nulla m'importava sapere
quale fosse stata la sua esperienza personale; l'eventualità d'una
sua redenzione mi riusciva del tutto indifferente. Era invecchiato
in mezzo ad iniquità di piccolo calibro, e non poteva più ispirare
né pietà ne avversione. Ripeté: Patna in tono interrogativo, come
se facesse un breve sforzo di memoria, e poi disse: 'Già. Sono
vecchio di questi luoghi, io. L'ho veduta affondare.' Mi disponevo
a dar libero corso al mio sdegno per una bugia così stupida,
quand'egli soggiunse tranquillamente: 'Era piena di rettili.'
Queste parole mi trattennero. Che intendeva dire? Fu come se
l'ondeggiante fantasma del terrore appiattato dietro ai suoi occhi
vitrei si fermasse di colpo e guardasse malinconicamente nei miei.
'Mi cavaron fuori dalla cuccetta a metà guardia,' proseguì in tono
pensoso. La voce gli si era fatta all'improvviso troppo forte, e
io mi pentii della mia follia. Nessuna candida cuffia alata
d'infermiera in vista, svolazzante nella prospettiva della corsia;
v'era soltanto laggiù, nel mezzo d'una lunga fila di letti di
ferro vuoti, un infortunato di qualche nave delle Rade, seduto,
abbronzato e fantomatico, con una benda bianca di traverso sulla
fronte. Di scatto il mio interessante malato sfoderò un braccio
magro come un tentacolo, afferrandomi per una spalla. 'Io solo
avevo occhi abbastanza buoni per vederla. Sono famoso, io, per la
vista. E forse fu proprio per questo che mi chiamarono. Nessuno di
loro fu tanto svelto da scorgerla mentre affondava, ma videro bene
quando fu scomparsa, e allora urlarono tutti insieme... così...'
Un ululato da lupo mi penetrò fin nei precordi. 'Oh, lo faccia
star zitto,' gemette l'infortunato con irritazione. 'Forse lei non
mi crede,' continuò l'altro con un'ineffabile espressione di
vanità. 'Le dico che non ci sono occhi come i miei, da questa
parte del Golfo Persico. Guardi sotto al letto.'
Naturalmente mi curvai subito. Vorrei sapere chi non avrebbe fatto
altrettanto. 'Che vede?' domandò. 'Nulla,' risposi pieno di
vergogna. Mi scrutò in viso con un disprezzo così selvaggio da
annichilirmi. 'Già,' fece, 'ma se guardassi io, vedrei... Non
esistono occhi come i miei, le dico.' Mi afferrò di nuovo,
tirandomi a sé, nella sua ansia di liberarsi l'anima con una
confidenza. 'Milioni di rospi rosa. Non esistono occhi come i
miei. Milioni di rospi rosa. E' peggio che veder affondare una
nave. Potrei star tutto il giorno a guardare navi che affondano
senza smettere di fumar la pipa. Perché non mi rendono la mia
pipa? Potrei fare una fumatina guardando i rospi. Il piroscafo
n'era pieno zeppo. Bisogna tenerli d'occhio, sa': e ammiccava
scherzosamente. Il sudore della mia fronte gli sgocciolava
addosso; la giacca di cotone mi s'incollava alla schiena bagnata;
la brezza pomeridiana trascorse impetuosa sulla fila di letti, le
pieghe rigide delle tende si agitarono perpendicolarmente,
stridendo sulle aste d'ottone, le coperte dei letti vuoti
sventolarono senza rumore sul pavimento nudo della corsia, e io
rabbrividii fino al midollo delle ossa. Il dolce vento dei tropici
giocherellava in quella sala spoglia come una malinconica bufera
invernale in un vecchio granaio inglese. 'Non gli lasci
ricominciare i suoi urli, signore,' strillò da lontano
l'infortunato. Quella voce ansiosa e piena di rabbia giunse fino a
me risuonando fra le pareti come un grido fioco entro un tunnel.
La mano mi artigliava la spalla; l'uomo tornò a farmi l'occhietto
con aria d'intesa. 'Ne era piena zeppa, sa, e bisognò svignarsela
in un battibaleno,' sussurrò a precipizio. 'Tutti rosa. Tutti
rosa... grossi come mastini, con un occhio in cima alla testa e
delle grinfie tutt'intorno alla loro bocca schifosa. Uh! Uh!'
Rapidi sussulti come di scosse elettriche rivelarono, sotto le
coperte, la sagoma di due gambe magre e agitate. Lasciò andar la
mia spalla e cercò di afferrare qualcosa per aria; il corpo teso
gli tremava come una corda d'arpa appena abbandonata dal dito; e,
mentre lo guardavo, l'orrore spettrale che era in lui tornò ad
affiorare nel suo sguardo vitreo. All'istante quella sua faccia da
vecchio soldato, così nobile e calma di linee, si decompose
davanti ai miei occhi come corrotta da una furberia sotterranea,
da una prudenza abominevole e da una paura disperata. Trattenne un
grido: ... 'Ssssh! cosa stanno facendo là sotto?' chiese additando
il pavimento, con nella voce e nei gesti certe fantastiche
precauzioni il cui significato, ora che mi s'era rivelato d'un
lampo in tutta la sua luridezza, mi nauseò della mia intelligenza.
'Dormono tutti,' risposi osservandolo attentamente. Ecco. Era
questo che voleva: erano proprio queste le parole che potevan
calmarlo. Tirò un lungo respiro. 'Ssssh! Zitti, piano. Sono
vecchio, io, di queste parti. Le conosco quelle bestiacce. Botte
in testa al primo che si muove. Troppi ce ne sono, troppi: non
potrà galleggiare più di dieci minuti.' Ansimò di nuovo. 'Presto!'
gridò a un tratto; e poi, tutto in un urlo: 'Sono tutti svegli!
Sono milioni! Mi pesticciano! Aspettate! Oh! aspettate! Li
spiaccicherò a mucchi, come mosche. Aspettatemi! Aiuto! aiuto!'...
Un urlo tenuto, interminabile, completò la mia umiliante disfatta.
Vidi laggiù l'infortunato portarsi le mani alla testa bendata con
un gesto di disperazione; un infermiere, chiuso in un grembiale
che gli arrivava al mento, apparve in fondo alla prospettiva della
corsia, come guardato con un cannocchiale a rovescio. Mi confessai
vinto, e, infilando senz'altro uno dei finestroni aperti, fuggii
nel corridoio esterno. L'urlo m'inseguì come una vendetta. Svoltai
in un pianerottolo deserto, e all'improvviso tutto fu immobile e
silenzioso intorno a me. Scesi le lucide e nude scale in un
silenzio che mi consentì di raccogliere i miei pensieri sconvolti.
Al pianterreno incontrai uno dei medici interni, che stava
attraversando il cortile e che mi fermò. 'E' stato a trovare il
suo marinaio, capitano? Credo che potremo lasciarlo uscire domani.
Questi idioti, però, non hanno proprio idea di cosa significhi
badare alla propria pelle! A proposito, sa che abbiamo qui il capo
macchinista di quella nave dei pellegrini? Delirium tremens della
peggior specie. Ha bevuto come una spugna per tre giorni di fila
nella bettola di quel Greco, o Italiano che sia. Che altro ci si
poteva aspettare? Quattro bottiglie di brandy al giorno, mi han
detto: e di quella qualità poi! Meraviglioso, se è vero. Ha da
esser foderato di lamiera da caldaie. La testa, eh! la testa, si
capisce, è andata; ma lo strano è questo, che nel suo divagare c'è
una specie di metodo: sto cercando d'individuarlo. Caso
eccezionalissimo, un fil di logica in un delirium simile. Se
seguisse la tradizione dovrebbe veder serpenti; e invece non ne
vede affatto. Oggigiorno le buone vecchie tradizioni sono in
ribasso... Bah, che vuol farci? Le... come dire?... le visioni di
costui sono di tipo batracico. Ah! ah!... No, parlando seriamente,
non ricordo d'aver mai veduto un caso di sbronzatura così
interessante. E badi che, dopo un simile esperimento di baldoria,
sarebbe stato suo dovere andarsene all'altro mondo. Sì! è un tipo
duro, quello. E con ventiquattro anni di tropici sulle spalle,
come se non bastasse. Dovrebbe proprio dargli un'occhiata. Un
vecchio beone con un'aria molto nobile. Il tipo più straordinario
ch'io abbia incontrato mai... dal punto di vista medico,
beninteso. Non vuol vederlo?' Fino allora avevo manifestato i
consueti segni di cortese interessamento, ma a questo punto,
assumendo un'espressione di rammarico, mormorai che mi mancava il
tempo, e gli strinsi in fretta la mano. 'Senta,' mi gridò dietro,
'quel tale non potrà mica venirci, all'inchiesta. Crede che la sua
testimonianza possa essere importante?'
'Oh no, niente affatto,' risposi dalla soglia del cancello
d'ingresso".
CAPITOLO 6.
Evidentemente le autorità furono della mia stessa opinione.
L'inchiesta non venne rinviata, e si svolse entro il termine
voluto dalla legge. Gran folla vi presenziò, forse per l'interesse
umano che presentava. Dubbi circa i fatti non ne esistevano:
voglio dire in riguardo all'unico fatto materialmente assodato.
Come il Patna avesse subìto avarìa non era possibile accertare, né
il tribunale contava che elementi nuovi in proposito risultassero
dal dibattimento. D'altronde, anche nel pubblico non v'era una
sola persona a cui interessasse questo problema. E sì che, come vi
ho detto, tutti i marinai del porto erano presenti, e il commercio
marittimo era rappresentato al completo. Se ne rendessero conto
oppur no, l'interesse che attirava là quella gente era puramente
psicologico: l'attesa di qualche rivelazione fondamentale sulla
forza, la potenza, l'orrore cui possono giungere le emozioni
umane. Ma nulla di tutto questo, naturalmente, sarebbe stato
detto. L'interrogatorio dell'unica persona capace di stare a un
tema simile e disposta a confessarsi, si andava futilmente
aggirando intorno a un fatto già ben noto, e la schermaglia delle
domande in proposito era utile come battere con un martello su un
recipiente di ferro, per scoprire cosa contiene. D'altra parte
un'inchiesta ufficiale non poteva essere diversa. Suo scopo non
era l'essenziale 'perché', ma il superficiale 'in che modo' della
faccenda.
Quel perché il giovanotto avrebbe saputo esporlo benissimo; ma
sebbene fosse proprio codesto il punto che interessava il
pubblico, il modo come le domande gli venivan rivolte lo
allontanava per forza da quella che a me, per esempio, sarebbe
parsa la sola verità degna d'essere conosciuta. Non si può
aspettarsi che le autorità costituite indaghino sulle condizioni
dell'anima di una persona... o meglio sarebbe dire su quelle del
suo fegato? A loro spettava di venire alle conseguenze, e,
francamente, da un magistrato di polizia noncurante e da due
assessori nautici non c'è da attendersi molto più di così. Non
intendo insinuare che costoro fossero degli stupidi. Il magistrato
era molto paziente; uno degli assessori, capitano di velieri,
aveva una barba rossiccia e tendenze bigotte. L'altro era Brierly.
Il grosso Brierly. Qualcuno di voi deve aver sentito parlare del
grosso Brierly: il capitano della miglior nave della Blue Star
Line. Lui, sì.
Sembrava enormemente seccato dall'onore propinatogli. Mai in vita
sua aveva fatto uno sbaglio, mai gli era capitato un incidente,
mai una disgrazia, mai un intoppo nella sua carriera sempre più
brillante: uno di quegli individui fortunati che non conoscono
l'indecisione, e meno ancora la sfiducia in se stessi. A trentadue
anni aveva uno dei migliori comandi che esistano nelle linee
d'Oriente, ed era estremamente soddisfatto della propria
posizione. Secondo lui non ve n'era una come quella nel mondo
intero; e ho idea che se glie lo avessero chiesto di punto in
bianco, avrebbe confessato che, a suo giudizio, al mondo non
esisteva nemmeno un capitano come lui. Insomma, per quel posto
unico, la scelta era caduta sull'uomo più adatto. Ai suoi occhi il
resto dell'umanità, esclusa dal comando del piroscafo d'acciaio
Ossa, velocità sedici nodi, era costituita da creature
assolutamente insignificanti. Aveva salvato delle vite sul mare,
aveva soccorso navi pericolanti, possedeva un cronometro d'oro
regalatogli da un gruppo di ammiratori, e un binocolo con su
incise appropriate parole, dono di qualche Governo straniero, in
riconoscimento dei suoi servigi. Valutava al giusto i propri
meriti e le ricompense avute. A me era abbastanza simpatico; ma
conosco qualcuno - gente mite e cordiale del resto - che non lo
poteva assolutamente soffrire. Non ho il minimo dubbio che si
stimasse, e di molto, superiore a me: in effetti, anche a esser
stati Imperatori d'Oriente e d'Occidente, impossibile non rendersi
conto della propria inferiorità in sua presenza; con tutto questo
non riuscivo a sentirmi veramente offeso. Difatti non mi
disprezzava per qualcosa che dipendesse da me, o inerente alla mia
persona, capite? Soltanto ero una quantità trascurabile,
semplicemente perché non ero l'unico uomo davvero fortunato di
questo mondo: perché non ero Montague Brierly comandante
dell'Ossa; non ero il proprietario di un cronometro d'oro con
dedica, né d'un binocolo montato in argento a testimonianza della
mia eccellenza nell'arte nautica e del mio indomabile ardire; non
sapevo rendermi esatto conto dei miei meriti e del valore delle
mie ricompense; e non potevo vantar l'amore, la devozione d'un can
da caccia nero, il più meraviglioso della razza dei retriever: mai
uomo pari a quello era stato parimenti amato da un cane pari a
quello. Sì, certo, trovarsi costretti ad ammettere tutto questo
era abbastanza esasperante; ma, riflettendo che sì fatali
manchevolezze le condividevo con dodici milioni a dir poco di
essere umani, sentivo di poter sopportare la mia porzione di
benevola e sprezzante pietà in riguardo a qualcosa d'indefinito e
di attraente che v'era in lui. Non ho mai chiarito a me stesso
qual genere d'attrazione fosse mai quello, ma c'eran momenti in
cui arrivavo a individuarlo. Sul suo animo compiaciuto l'aculeo
della vita non poteva incidere più del graffio d'uno spillo sulla
superficie levigata di una roccia. E questo era invidiabile. Lo
guardavo a fianco del pallido e modesto magistrato che presiedeva
all'inchiesta: la sua soddisfazione di sé offriva a me e al mondo
una superficie dura come il granito. Pochissimo dopo si suicidò.
Era naturale che il caso di Jim lo annoiasse; e mentre io
riflettevo, con un sentimento non molto lontano dalla paura,
sull'immensità del suo disprezzo verso quel giovanotto sottoposto
all'interrogatorio, egli stava invece probabilmente svolgendo una
ben diversa inchiesta sul proprio caso: e il verdetto dev'esser
stato di colpevolezza senza attenuanti, ma il segreto delle prove
a carico se lo portò via con sé in quel suo salto nel mare. Se
sono capace di comprender qualcosa dell'animo umano, la faccenda
senza dubbio era per lui di grandissimo momento: una di quelle
inezie che risveglian le idee, danno vita a pensieri coi quali un
uomo, non avvezzo a compagnie del genere, trova impossibile
vivere. Sono in grado di sapere che non si trattava né di danaro
né di vizio del bere, e neppur d'una donna. Si buttò in alto mare
poco più d'una settimana dopo la conclusione dell'inchiesta, meno
di tre giorni dopo aver lasciato il porto con la sua nave; come se
proprio in quel punto preciso dell'oceano avesse visto
all'improvviso le porte dell'altro mondo spalancarsi per
riceverlo.
Eppure non aveva obbedito a un impulso improvviso. Il suo secondo,
un tipo coi capelli grigi e marinaio di prim'ordine, affabile
verso gli estranei ma il più arcigno ufficiale ch'io abbia mai
veduto nei suoi rapporti col comandante, raccontava la storia con
gli occhi pieni di lagrime. Sembra che, quand'egli salì in coperta
la mattina, Brierly fosse chiuso a scrivere nella cabina delle
carte nautiche. 'Mancavano dieci minuti alle quattro,' raccontava,
'e quindi la guardia di notte non aveva ancora avuto il cambio.
Sentì la mia voce sul ponte di comando mentre stavo parlando al
secondo ufficiale, e mi chiamò. Non avevo voglia d'andarci,
confesso la verità, capitano Marlow: non lo potevo soffrire, il
povero capitano Brierly. E lo dico a mia vergogna, perché
purtroppo non si sa mai di che stoffa sia fatto un uomo. Troppe
promozioni aveva avuto passando sulla testa d'altra gente, senza
contar la mia; e aveva il maledetto vizio di farvi sentire piccini
piccini, soltanto da come vi diceva buongiorno. Non gli rivolgevo
mai la parola, signore, tranne che per servizio, e anche allora
dovevo fare uno sforzo per mostrarmi educato.' (In questo
s'illudeva. Mi ero chiesto spesso come Brierly avesse potuto
tollerar le sue maniere per più di una traversata). 'Ho moglie e
figliuoli' soggiunse, 'ed ero da dieci anni nella Compagnia,
sempre ad aspettare che toccasse a me il primo comando vacante,
stupido che ero. Lui mi dice, proprio a questo modo: - Entri,
signor Jones. - E io entrai. Facciamo il punto, - dice curvandosi
sulla carta, con un paio di compassi in mano. Stando agli ordini
in vigore, sarebbe toccato all'ufficiale che smontava di fare il
punto al termine della sua guardia. Tuttavia non dissi nulla, e
rimasi a guardarlo mentre segnava la posizione con una crocettina,
e poi l'ora e la data. Lo vedo ancora tracciare quelle sue nitide
cifre: diciassette, otto, quattro A. M. L'anno era scritto in
inchiostro rosso sul bordo superiore della carta. Non le usava mai
più d'un anno, il capitano Brierly. Quell'ultima, ora è rimasta a
me. Quando ebbe finito indugiò un po' a guardare il segno che
aveva fatto, sorridendo fra sé; poi alza gli occhi e mi guarda. -
Deve fare ancora trentadue miglia sempre in questa direzione, -
dice; poi ne saremo fuori, e lei potrà modificare la rotta di
venti gradi verso sud -. (Passavamo al nord della secca di Hector,
in quel viaggio). Risposi: - Va bene, signore -; e intanto mi
domandavo di cosa mai si stesse preoccupando, visto che in ogni
modo avrei dovuto chiamarlo prima di cambiar rotta. Proprio in
quel momento la campana di bordo batté il quarto: uscimmo sul
ponte di comando, e l'ufficiale in seconda prima di allontanarsi
butta lì nel solito modo: - Settantuno sul solcometro -. Il
capitano Brierly guarda prima la bussola e poi tutt'intorno a sé.
La notte era buia e pur limpida: si vedevano nitide tutte le
stelle, come in certe notti di gelo nelle alte latitudini. Al un
tratto dice con una specie di piccolo sospiro: - Vado a poppa e le
metto io a zero il solcometro, perché non vi siano errori.
Trentadue miglia ancora su questa rotta, e poi siamo al sicuro.
Vediamo un po'... Ia correzione sul solcometro è del sei per cento
addizionale; diciamo dunque, trenta da superare secondo il
quadrante; e poi può deviar subito di venti gradi a dritta.
Inutile allungare la strada... vero? - Non l'avevo mai sentito
parlar tanto di fila, e, a mio giudizio, così inutilmente. Non
dissi nulla. Scese la scaletta, e il cane, che gli stava sempre
alle calcagna notte e giorno, lo seguì scivolando col naso avanti.
Sentii il ticchettare dei tacchi delle sue scarpe sul ponte di
poppa; poi si fermò a parlare al cane: - Torna addietro, Rover.
Sul ponte di comando! Va' via, va'... Piglia! Poi grida a me
dall'oscurità: - Chiuda il cane nella cabina delle carte, signor
Jones, per favore.- Fu questa l'ultima volta che sentii la sua
voce, capitano Marlow. Queste sono le ultime parole che lui ha
pronunciato e che orecchio umano abbia udite, signore.'
A questo punto la voce del bravo vecchio s'incrinò. 'Aveva paura
che la povera bestia gli saltasse dietro, capisce?' riprese con un
tremito. 'Proprio così, capitano Marlow.' Regolò il solcometro per
me. Lo crederebbe? Ci mise dentro anche una goccia d'olio.
L'oliatore stava ancora dove lui l'aveva posato, lì accanto. Alle
cinque e mezzo il secondo del nostromo andò a poppa con la sistola
per lavare il ponte; dopo un poco pianta lì il suo lavoro, e corre
sul ponte di comando. - Scenda a poppa, per favore, signor Jones,
- dice. - C'è una cosa buffa. Non mi va di toccarla -. Era il
cronometro d'oro del capitano Brierly appeso con cura per la
catena al bastingaggio. Ci avevo appena posato su gli occhi, che
capii, signore. Le gambe mi si piegarono sotto. Era come se
l'avessi veduto buttarsi giù: e sapevo anche con precisione di
quanto lo avevamo lasciato indietro. Il solcometro del coronamento
di poppa segnava diciotto miglia e tre quarti; e mancavano quattro
cavicchi di ferro intorno all'albero di maestra. Se li sarà messi
in tasca per aiutarsi ad andare a fondo, immagino: ma, Dio mio,
che differenza potevan fare quattro cavicchi a un uomo grosso come
il capitano Brierly? Forse la sua fiducia in se stesso in quegli
ultimi momenti era un po' scossa. E' l'unico segno d'agitazione,
direi anzi, che abbia dato in vita sua; ma sono pronto a garantir
per lui che, una volta fatto il salto, non ha tentato di dare
nemmeno una bracciata, per quello stesso coraggio che l'avrebbe
fatto nuotare un giorno intero dietro a un filo di speranza, se in
acqua ci fosse cascato accidentalmente. Sissignore. Non era
secondo a nessuno: e poco importa se era lui stesso a dichiararlo,
come l'ho sentito una volta con queste orecchie. Durante la
guardia di notte aveva scritto due lettere: una alla Compagnia e
un'altra a me. Mi dava un mucchio di istruzioni circa la
traversata - a me che ero nel mestiere prima che lui venisse al
mondo - e un'infinità di consigli sul come condurmi con i nostri
principali di Shangai perché il comando dell'Ossa restasse a me.
Mi scriveva come farebbe un padre al figlio prediletto, capitano
Marlow, e io avevo venticinque anni più di lui, e avevo assaggiato
l'acqua salata quando a lui non avevano ancora messo le prime
brachette. Nella lettera agli armatori - l'aveva lasciata aperta
apposta perché io la leggessi - diceva di aver sempre fatto il suo
dovere verso di loro... fino a quel momento; e anche ora, diceva,
non veniva meno alla loro fiducia, dacché lasciava la nave nelle
mani del marinaio più competente che ci fosse. Parlava di me,
signore, parlava di me! Diceva che, se l'ultimo gesto della sua
vita non gli aveva tolto ogni credito ai loro occhi, sperava
avrebbero apprezzato il mio fedele servizio e tenuto in conto la
sua calda raccomandazione quando si sarebbe trattato di
rimpiazzarlo. E molte altre cose del genere, signore. Non potevo
credere ai miei occhi. 'Mi sentivo una curiosa sensazione dalla
testa ai piedi,' soggiunse tutto turbato il bravo vecchio,
schiacciandosi qualcosa nell'angolo dell'occhio con l'estremità
d'un pollice largo come una spatola. 'Si sarebbe detto, signore,
che fosse saltato in mare soltanto per offrire a un uomo poco
fortunato un'ultima occasione di farsi strada. Un po' per
l'impressione d'averlo veduto scomparire in quella maniera
avventata e terribile, un po' per l'idea che un avanzamento di
carriera l'avrei dovuto a un aiuto simile, rimasi fuor di me per
una settimana. Ma niente paura. Sull'Ossa fu trasferito il
capitano del Pelton (prese imbarco a Sciangai)... un piccolo
bellimbusto, signore, con un abito grigio a quadretti e la
scriminatura in mezzo alla testa: Hem... io sono... hem... il suo
nuovo capitano, signor... signor... hem... Jones -. Era affogato
nel profumo... puzzava addirittura, capitano Marlow. Fu l'occhiata
che gli diedi, credo, a farlo balbettare. Borbottò qualcosa sulla
mia delusione: naturalissima... Era meglio sapessi subito che il
suo secondo era stato promosso capitano del Pelton... Lui non
c'entrava, s'intende... la Compagnia sapeva quel che faceva... era
spiacente... Io rispondo: - Non si preoccupi per il vecchio Jones,
signore; c'è avvezzo, maledetta l'anima sua -. Capii subito d'aver
scandalizzato le sue orecchie delicate. Poi, mentre si stava a
pranzo insieme per la prima volta, cominciò a trovar da ridire in
modo poco simpatico su questa e quella cosa che aveva osservato a
bordo. Non ho mai sentito una voce di Pulcinella come la sua.
Strinsi i denti e fissai gli occhi sul piatto restandomene cheto
il più possibile; ma alla fine dovetti pur rispondere qualcosa;
lui salta su, in punta di piedi, arruffando le sue belle pennucce
come un gallo in pieno combattimento. - Si accorgerà d'aver a che
fare con un tipo diverso dal defunto capitano Brierly -. - Me ne
sono già accorto, - risposi io con grande malinconia, ma fingendo
d'essere impegnatissimo con la mia bistecca. - Lei è un vecchio
furfante, signor... hem... Jones; e le dirò anche che per tale è
conosciuto in sede -, squittisce. Quei maledetti marinai del
servizio di mensa erano tutti lì impalati ad ascoltare, con le
bocche spalancate da un'orecchia all'altra.- Sarò anche un
delinquente incallito, - dissi, - ma non al punto da poter
sopportare di vederla seduto al posto del capitano Brierly -. E
con queste parole abbandono sulla tovaglia coltello e forchetta.-
Le piacerebbe di sedersi lei... ecco dove le duole il dente -,
ribatté lui con aria beffarda. Me ne uscii dalla saletta da
pranzo, raccolsi i miei cenci, e mi trovai sulla banchina con
tutto il mio bagaglio ai piedi quando ancora gli scaricatori di
porto non si erano rimessi al lavoro. Già. Alla deriva... a
terra... dopo dieci anni di servizio... e con una povera donna e
quattro bambini seimila miglia lontano, che ogni boccone che
mangiavano lo dovevano alla metà del mio stipendio. Sissignore!
Piantai tutto, piuttosto che sentir insolentire il capitano
Brierly. Mi aveva lasciato il suo telescopio notturno : eccolo
qua; e m'aveva pregato di prender cura del suo cane: eccolo qui
anche lui. Olà, Rover, vecchio mio. Dov'è il capitano, Rover?' Il
cane sollevò su di noi i malinconici occhi gialli, diede in un
latrato di desolazione, abbaiò e strisciò sotto la tavola.
Questa scena accadeva, più di due anni dopo, a bordo di quel
rudere nautico che era il Fire-Queen, di cui Jones aveva avuto il
comando, grazie a una curiosa combinazione, per il tramite di
Matherson.
Matherson il pazzo, lo chiamavan di solito: quello che bazzicava
sempre a Hai-phong, sapete, prima dell'occupazione. Il vecchio
Jones proseguì, con quella sua voce nasale: 'Sissignore, qui il
capitano Brierly sarà ricordato, anche se il resto del mondo
dovesse dimenticarlo. Scrissi a lungo a suo padre, ma non ebbi una
parola di risposta: né Grazie né Va' al diavolo! Niente! Forse
avrebbero preferito non sapere.'
La vista del vecchio Jones con gli occhi umidi, che si asciugava
la testa calva con un fazzoletto di cotone rosso; il guaìto
malinconico del cane; lo squallore di quel quadrato pieno di
mosche, ormai unico santuario della memoria di Brierly, gettavano
un velo inesprimibilmente umile e patetico sul ricordo dello
scomparso: postuma rivincita del fato per quella fiducia nel
proprio fulgore che dalla vita di lui aveva quasi eliminato i più
legittimi terrori. Quasi? Interamente, forse. Chi può dire di qual
splendore Brierly fosse riuscito a circonfondere dinanzi a se
stesso anche il proprio suicidio?
Giungendo le mani, Jones mi chiese: 'Perché mai, capitano Marlow,
crede lei che abbia commesso quel gesto inconsulto? Perché? Io non
arrivo a capirlo. Perché?' Si batté la fronte bassa e rugosa.
'Fosse stato povero, vecchio e indebitato... senza mai un po' di
fortuna... oppure matto. Ma non era tipo da diventar matto, lui.
Creda pure a me. Quello che un secondo ignora del proprio
capitano, non val la pena di essere conosciuto. Giovane, sano,
agiato, senza preoccupazioni... Qualche volta me ne sto seduto qui
a pensare, a pensare, finché comincia a ronzarmi la testa. Una
ragione deve pur esserci stata!'
'Stia certo, capitano Jones,' risposi, 'che è una ragione che non
avrebbe turbato gran che nessuno di noi due,' dissi. Allora, come
se una luce si fosse improvvisamente accesa nella confusione del
suo cervello, alla fine il povero vecchio Jones trovò una parola
di sorprendente profondità. Si soffiò il naso, annuendo
tristemente col capo. 'Già, già! ma né lei né io, signore, abbiamo
mai avuto un'opinione così buona di noi stessi.'
Naturalmente il ricordo della mia ultima conversazione con Brierly
è influenzato dal fatto che ora so quanto da vicino lo seguì la
fine di lui. Gli parlai per l'ultima volta durante l'inchiesta. Fu
dopo la prima udienza; mi si avvicinò per istrada. Era in uno
stato d'irritazione che notai con sorpresa; di solito il suo
comportamento, quando accondiscendeva a conversar con qualcuno,
era perfettamente calmo, con un barlume di divertita degnazione,
come se l'esistenza del suo interlocutore fosse uno scherzo
abbastanza spiritoso. 'Mi hanno accalappiato per questa inchiesta,
ha veduto?' cominciò; e per un poco si profuse in lamentele sulla
noia di doversi recar tutti i giorni in tribunale. 'E sa Dio
quanto durerà ancora. Tre giorni m'immagino!' Lo ascoltavo in
silenzio, che era un modo come un altro, secondo me, di esprimere
la mia opinione. 'E a che serve poi? E' la cosa più stupida che si
possa immaginare,' soggiunse con ira. Gli chiesi che altro si
sarebbe potuto fare. M'interruppe con una specie di violenza
trattenuta. 'Mi sento come un imbecille tutto il tempo
dell'udienza.' Lo guardai. Quella, per un Brierly che parlava di
Brierly, era già una frase fuor del comune. S'interruppe di colpo,
e, afferrandomi per il bavero, mi diede una piccola stratta.
'Perché mai stiamo tormentando quel giovanotto?' chiese. La
domanda era così all'unisono con i rintocchi di un certo mio
pensiero, che - con negli occhi l'immagine del rinnegato
introvabile - risposi subito: 'Al diavolo se lo so; a meno che non
sia perché è lui che ve lo lascia fare.' Fui stupito di veder come
si schierava, per così dire, dalla parte d'una frase che avrebbe
dovuto sembrargli un indovinello. Disse irritato: 'Ma già. Non se
ne accorge, dunque, che quel gaglioffo d'un capitano ha tagliato
la corda? Cosa si aspetta che possa succedere? Niente può
salvarlo. E' buscherato!' Facemmo qualche passo in silenzio.
'Perché mangiare tutto quel fango?' esclamò valendosi
d'un'energica espressione orientale (press'a poco l'unico genere
d'energia di cui si possa trovar traccia a oriente del
quindicesimo meridiano). In quel momento non riuscivo a immaginar
la direzione dei suoi pensieri; ma oggi ho fondato sospetto che
fossero perfettamente in carattere: ossia che il povero Brierly
stesse, in sostanza, pensando a se medesimo. Gli feci osservare
che era notorio come il capitano del Patna avesse saputo
imbottirsi bene il nido, così da potersi procurar quasi dovunque
il modo per mettersi al sicuro. Ma per Jim le cose stavano
diversamente. Intanto, a ospitarlo era il Governo, nell'Asilo del
Marinaio: e con tutta probabilità non aveva in tasca il becco d'un
quattrino. Per scappare ci voglion soldi. 'Davvero? non sempre,'
fece con una risata amara. E poi, in risposta a qualche altra mia
osservazione: 'Beh, allora, che si ficchi dieci metri sotto terra,
e che ci rimanga! Perdio! Io al suo posto farei così.' Non so
perché il suo tono m'irritò, e ribattei: 'C'è una specie di
coraggio anche nell'affrontar tutto questo come sta facendo lui:
tanto più sapendo benissimo che, se fuggisse, nessuno si darebbe
la pena di corrergli dietro.' 'Al diavolo il coraggio!' brontolò
Brierly. 'Codesta specie di coraggio non serve a tenere un uomo
sulla strada buona; non darei un soldo per un coraggio simile.
Perché non dire invece che è una specie di vigliaccheria?... di
mollezza? Sa cosa le dico? Scommetto duecento rupie contro cento
che lei ci riesce, se s'impegna a farlo scappare domattina presto.
E' un gentiluomo, benché faccia schifo... Capirà. Bisogna che
capisca! Questa maledetta pubblicità è troppo scandalosa; lui se
ne sta lì, e intanto tutti quegli indigeni del diavolo, serang,
lascar, quartiermastro, fanno deposizioni da ridurre un uomo in
cenere dalla vergogna. E' abominevole. Ma non le pare, Marlow, non
sente anche lei che è abominevole? Lo dica, su, da buon marinaio!
Se lui se ne andasse, tutto questo finirebbe subito!' Brierly
pronunciò queste parole con animazione insolita, e fece l'atto di
tirar fuori il portafogli. Lo trattenni dichiarando freddamente
che la vigliaccheria di quei quattro individui non mi sembrava poi
cosa tanto importante. 'E lei si considera un marinaio, vero?'
esclamò con ira. Risposi che infatti mi consideravo tale e speravo
anche di esserlo. Mi ascoltava con un atteggiamento del suo grosso
braccio che pareva mi volesse privare d'ogni personalità per
ricacciarmi nella folla. 'Il peggio è,' soggiunse, 'che nessuno di
voialtri ha il senso della dignità; non pensate abbastanza a ciò
che siete idealmente.'
Avevamo camminato a lenti passi, chiacchierando, e ora ci fermammo
davanti alla capitaneria di porto, vicino al punto dove l'enorme
capitano del Patna era così totalmente scomparso come una piccola
piuma spazzata via dalla furia dell'uragano. Sorrisi. Brierly
riprese: 'E' una vergogna. Ce n'è di tutte le specie fra noi...
compreso qualche furfante della più bell'acqua; ma, diamine,
dobbiamo pur serbare un certo decoro professionale, altrimenti Ci
riduciamo al livello dei vagabondi che girano per le campagne. La
gente ha fiducia in noi. Capisce?... Ha fiducia! A dirla franca,
di tutti i pellegrini che mai siano usciti dall'Asia a me non
importa un fico, ma un uomo con un minimo di dignità non si
sarebbe comportato così nemmeno con un carico di stracci vecchi.
Non siamo una classe organizzata, noi, e la sola cosa che ci tiene
insieme è proprio la fama di cui godiamo d'aver quella certa
dignità. Un processo come questo ci toglie la fiducia. Un marinaio
può passare l'intera vita senza che gli si presenti l'occasione di
mostrar del fegato. Ma quando il momento viene... Ah! se io...'
S'interruppe, e riprese con altro tono: 'Le darò subito duecento
rupie, Marlow, semplicemente perché lei gli parli. Maledetto!
Magari non fosse mai capitato qui. Fatto è che qualcuno della mia
famiglia credo conosca i suoi parenti. Suo padre è un pastore
anglicano, e ora ricordo d'averlo incontrato una volta, quando ero
ospite di mio cugino nell'Essex, l'anno scorso. Se non sbaglio, il
vecchio sembrava avesse una predilezione per questo figlio
marinaio. Orribile. Io non posso farlo... ma lei...'
Così, a proposito di Jim, ebbi una rapida visione del vero
Brierly, pochi giorni prima ch'egli affidasse realtà e posa
insieme della sua natura alla custodia del mare. Naturalmente
rifiutai d'immischiarmi nella faccenda. Il tono di quell'ultimo
'ma lei' (povero Brierly, non aveva potuto trattenersi), in cui
era implicito ch'io non contavo più d'un insetto, mi fece
considerar la proposta con indignazione; e, fosse per questo o per
qualche altro motivo, mi convinsi che l'inchiesta stessa
rappresentava una punizione sufficiente per quel Jim, e che il
fatto di affrontarla (si può dire di sua libera volontà) era un
elemento purificatore nell'abbominevole faccenda. Finallora non ne
ero stato tanto sicuro. Brierly se ne andò tutto arrabbiato. Lì
per lì il suo stato d'animo mi restò più misterioso di quanto non
mi sembri adesso.
Il giorno dopo arrivai tardi in tribunale, e mi sedetti da una
parte. Naturalmente non potevo dimenticare quella conversazione
con Brierly, e adesso avevo entrambi gli uomini sotto gli occhi.
Il contegno dell'uno sembrava dimostrare una cupa insolenza, e
quello dell'altro una noia sprezzante; eppure l'atteggiamento
dell'uno poteva non essere più schietto di quello del secondo; e
ormai sapevo che uno dei due non era sincero. Brierly non era
affatto annoiato... era esasperato; e dunque anche Jim poteva non
essere insolente davvero. Anzi, secondo la mia teoria non lo era.
Pensai che fosse piuttosto senza speranza. Fu allora che i nostri
sguardi s'incontrarono. S'incontrarono, e l'occhiata che mi diede
sarebbe bastata a togliermi ogni velleità di parlargli, anche se
l'avessi avuta. Qualunque delle due ipotesi fosse la giusta -
insolenza o disperazione - sentii che non potevo essergli utile in
nulla. Quello era il secondo giorno del processo. Poco dopo il
nostro scambio d'occhiate l'inchiesta fu nuovamente rinviata
all'indomani. I bianchi cominciarono a sfollare subito in gruppo.
Jim aveva già avuto il permesso di lasciare il suo banco, e poté
quindi andarsene fra i primi. Vidi le sue spalle larghe e la sua
testa profilarsi nella luce della porta, e mentre mi avviavo
lentamente verso l'uscita chiacchierando - qualche estraneo che mi
aveva rivolto la parola per caso -, lo scorgevo dalla sala del
tribunale con i gomiti appoggiati alla ringhiera della veranda e
la schiena rivolta verso la corrente della folla che discendeva i
pochi gradini fra un mormorio di voci e lo strascicare dei piedi.
Il processo seguente riguardava un'aggressione con vie di fatto ai
danni, se ben ricordo, d'un usuraio; e il convenuto - un venerando
campagnolo con una barba bianca tagliata dritta stava seduto sopra
una stuoia subito fuori dell'uscio insieme ai figli, alle figlie,
ai generi con le loro mogli, e, direi, a metà del villaggio per
sovrappiù, chi accovacciato per terra e chi in piedi vicino a lui.
Una donna bruna e slanciata, con parte della schiena e una spalla
nude, e un sottile anello d'oro al naso, cominciò a un tratto a
parlare con voce acuta e bisbetica. Quel tale che era con me alzò
gli occhi istintivamente a guardarla. Eravamo appena fuori
dell'uscio, e stavamo passando dietro la poderosa schiena di Jim.
Se fossero stati quei contadini a portarsi dietro il cane giallo
non so. In ogni modo il cane c'era, e si ficcava fra le gambe
della gente con quel fare silenzioso e furtivo che è dei cani
indigeni. Il mio compagno v'inciampò; il cane balzò via senza un
guaito, e l'uomo, alzando un poco la voce, disse con una risatina
soffocata: 'Guardi là quel cane rognoso!' Subito dopo ci trovammo
separati da un gruppo di gente che si era spinta in mezzo a noi.
Io mi tirai addietro un momento contro il muro mentre lo
sconosciuto, che aveva già finito di scendere i gradini,
scomparve. Vidi Jim voltarsi di colpo. Fece un passo avanti e mi
tagliò la strada. Eravamo soli; mi guardava con occhi infuocati e
un'aria di cocciuta risolutezza. Mi resi conto d'esser nelle sue
mani, per così dire, come fossi stato in un bosco solitario. La
veranda ormai era vuota, ogni rumore e movimento eran cessati
nella sala del tribunale: cadde un grande silenzio; mentre chissà
da dove, da qualche remota stanza dell'edificio, una voce di
timbro orientale incominciava un abbietto piagnisteo. Il cane,
proprio nell'atto che tentava di intrufolarsi nell'uscio,
s'accucciò di colpo per cercarsi le pulci.
'Diceva a me?' domandò Jim a voce bassissima, curvandosi in avanti
non tanto verso di me, se capite cosa voglio dire, quanto contro
di me. Risposi: 'No' immediatamente. Qualcosa nel suono di quella
voce pacata mi avvertì di tenermi in guardia. Lo osservai. Il
nostro era davvero come un incontro in un bosco: ma più incerto
nelle conseguenze, perché lui non voleva certamente la mia borsa
né la mia vita... nulla ch'io potessi consegnargli senz'altro, o
difendere con la coscienza pulita. 'Già, dice di no,' ribatté
torbido, 'ma io ho sentito.' 'Si sbaglia,' protestai, non
comprendendo assolutamente cosa volesse dire e senza levargli gli
occhi di dosso. Guardarlo in viso era come scrutare un cielo che
si annuvola prima d'un rombo di tuono. Impercettibilmente gli
calava addosso un'ombra dopo l'altra, e l'oscurità si faceva
misteriosamente intensa in quella calma dove andava maturando lo
scoppio della violenza.
'Per quel che so non ho aperto bocca,' affermai con assoluta
schiettezza. L'assurdità di quella discussione cominciava anche a
darmi un poco sui nervi. Mi colpisce il pensiero, adesso, di non
esser mai stato in vita mia così vicino a esser picchiato:
materialmente picchiato, voglio dire: a forza di pugni. Avevo però
un vago presentimento, suppongo, che ci fosse in aria una simile
eventualità. Non che Jim mi minacciasse col gesto. Tutt'altro; era
stranamente inattivo... capite? ma si curvava in avanti e, benché
non fosse eccezionalmente grosso, pareva capacissimo, tutto
sommato, di demolire un muro. Il sintomo più rassicurante che
notai fu una specie di lenta e pesante esitazione che interpretai
come un tributo all'evidente sincerità delle mie maniere e del mio
tono. Ci guardammo in faccia. Nel tribunale si stava intanto
svolgendo il processo per aggressione. Afferrai le parole: 'Beh...
bufalo... bastone... fu tale la mia paura...'
'Cosa voleva dire quel tenermi gli occhi addosso tutta la
mattina?' disse Jim finalmente. Mi squadrò e poi riabbassò lo
sguardo. 'Si aspettava forse che si restasse tutti quanti a occhi
bassi per un riguardo alla sua suscettibilità?' ribattei
seccamente. Non avevo nessuna intenzione di menargli buone le sue
strampalerie. Alzò di nuovo gli occhi, e questa volta continuò a
guardarmi dritto in faccia. 'No. Questo è vero,' dichiarò con
l'aria di aver vagliato fra sé la giustezza dell'asserzione. 'Su
questo non c'è nulla da dire; e lo sopporterò fino in fondo.
Soltanto,' e qui prese un tono più concitato, 'non permetterò a
nessuno d'insolentirmi fuori del tribunale. C'era un tale con lei.
Lei gli ha parlato... Oh sì... lo so ; d'accordo: si rivolgeva a
lui; con l'intenzione però che sentissi anch'io... '
Lo assicurai che era vittima di uno straordinario equivoco. Non
avevo idea di come potesse esserci caduto. 'Lei credeva che non
avrei avuto il coraggio di risentirmi,' soggiunse con appena una
punta di amarezza. Provavo abbastanza interesse alla scena per
cogliere anche le minime sfumature della sua espressione; tuttavia
non riuscivo ancora a capir nulla, benché un qualcosa in quelle
parole, forse soltanto l'intonazione della frase m'inducesse
all'improvviso ad accordargli tutte le attenuanti possibili.
Quanto v'era d'inaspettato nella situazione cessò d'irritarmi.
Doveva sbagliarsi; era vittima di un equivoco; e intuivo che
quell'equivoco doveva essere di natura disgraziata e antipatica.
Ero ansioso di porre termine alla scena per ragioni di decoro,
così come si è ansiosi di tagliar corto a una confidenza non
richiesta e vergognosa. Il più buffo era che, in mezzo a tutte
queste considerazioni d'ordine superiore, mi accorgevo di provare
una certa trepidazione circa la possibilità- anzi la probabilità -
che lo scontro andasse a finire in una rissa volgare, di cui
sarebbe stato impossibile spiegare le ragioni e che mi avrebbe
fatto fare una figura ridicola. Non aspiravo affatto a tre giorni
di celebrità come colui che aveva avuto un occhio pesto o qualcosa
del genere dall'ufficiale in seconda del Patna. Con ogni
probabilità lui era pronto a tutto, e comunque si sarebbe sentito
pienamente giustificato ai propri occhi. Non c'era bisogno
d'essere indovini per capire che era straordinariamente arrabbiato
per qualche cosa, con tutto che le sue maniere fossero tranquille
o addirittura torpide. Non nego che non avrei desiderato di meglio
che rappacificarlo a qualunque costo, avessi saputo da che parte
rifarmi. Ma non lo sapevo, come vi potete immaginar facilmente.
Brancolavo in una completa oscurità, senza il minimo barlume.
Stavamo l'uno di fronte all'altro in silenzio. Lui sospese il
fuoco per circa quindici secondi; poi fece un passo avanti, e io
mi preparai a parare il colpo, pur senza muovere un muscolo,
credo. 'Anche se fosse grosso come due uomini e forte come sei,'
disse pian piano, 'le direi lo stesso cosa penso di lei. Lei...'
'Un momento!' esclamai; e ciò valse a trattenerlo per un secondo.
'Prima di dirmi cosa pensa di me,' ripresi in fretta, 'vuol essere
tanto gentile da dirmi cos'ho detto o fatto di male?' Nella pausa
che seguì mi esaminò con indignazione, mentre io facevo sforzi
soprannaturali di memoria, sforzi resi anche più ardui dal suono
della voce orientale che all'interno del tribunale protestava con
appassionata volubilità contro l'accusa di mendacio. Poi parlammo
quasi contemporaneamente. 'Le farò vedere ben presto che non sono
quello che ha detto,' sbottò lui in un tono tale da lasciar
credere che si avvicinasse una crisi. 'Dichiaro di non saperne
nulla,' esclamavo io con calore nello stesso momento. Cercò di
schiacciarmi con un'occhiata di sprezzo. 'Ora che vede che non ho
paura cerca di tirarsi indietro,' disse. 'Chi di noi è un cane
rognoso adesso... eh?' Allora, finalmente, capii.
Mi stava scrutando in faccia come cercasse il posto più adatto per
piantarvi un pugno. 'Non permetterò a nessuno...,' borbottò
minacciosamente. Era davvero un equivoco orribile: egli si era
tradito a fondo. Non so dirvi quanto rimasi male. Credo mi abbia
letto in viso qualche riflesso dei miei sentimenti, perché mutò un
poco d'espressione. 'Buon Dio!' balbettai, 'non crederà mica che
io...' 'Sono sicuro d'aver sentito,' insisté; e per la prima volta
dall'inizio di quella scena deplorevole aveva alzato la voce. Poi,
con un'ombra di disprezzo, soggiunse: 'Sicché non è stato lei?
Benissimo; non mi resta che trovare quell'altro.' 'Non faccia
l'imbecille!' gridai esasperato: 'si trattava di tutt'altro.' 'Ho
sentito benissimo,' tornò a ripetere Jim con cupa e incrollabile
ostinazione.
Qualcuno forse avrebbe riso della sua insistenza. Ma io non risi.
Oh no! Mai uomo si era più spietatamente scoperto da sé, seguendo
l'impulso della propria natura. Era bastata una parola a
strappargli di dosso tutto il suo ritegno: quel ritegno più
necessario alla decenza del nostro io interno che gli abiti alla
decenza del nostro corpo. 'Non faccia l'imbecille!' ripetei.
'Però quell'altro l'ha detto, questo non lo nega, vero?' disse
scandendo le parole e guardandomi negli occhi senza batter ciglio.
'No, non lo nego,' feci fissandolo a mia volta. Finalmente il suo
occhio seguì verso il basso la direzione che gli accennava il mio
indice teso. A tutta prima parve che non capisse, poi che
rimanesse confuso, e finalmente stupito e spaventato come se un
cane fosse un mostro e lui non ne avesse mai visto uno. 'Nessuno
si è sognato d'insultarla,' conclusi.
Jim contemplò il disgraziato animale, che immobile come una statua
stava seduto con le orecchie dritte e il muso aguzzo rivolto verso
la porta. E improvvisamente diede un morso in aria per acciuffare
una mosca, come se un meccanismo gli fosse scattato dentro.
Guardai il giovanotto. La sua abbronzata carnagione di biondo
s'incupì a un tratto sotto la peluria delle guance, il rossore gli
invase la fronte, si estese fino alla radice dei capelli ricciuti.
Le orecchie gli diventarono d'un rosso acceso, e perfino l'azzurro
chiaro dei suoi occhi si fece assai più scuro per l'afflusso
improvviso del sangue. Una smorfia gli alterò le labbra che
tremarono come fosse sul punto di scoppiare in lagrime. Mi resi
conto che l'estrema umiliazione gli impediva di pronunciare una
sola parola. Forse c'entrava anche un po' di delusione... chissà?
Può darsi che avesse pensato con gioia alle botte che mi avrebbe
dato per riabilitarsi, per rimettersi in pace con se stesso. Chi
può dire qual sollievo credeva di poter trovare in una rissa
eventuale? Era abbastanza ingenuo per aspettarsi qualunque cosa; e
invece si era tradito senza motivo. Era stato franco con se stesso
con me poi, non ne parliamo neanche - nella pazza speranza di
raggiunger così una confutazione efficace: invece le ironiche
stelle non gli erano state propizie. Dalla gola gli uscì un suono
tronco e profondo, come a un uomo mezzo accoppato da un colpo sul
cranio. Era una cosa pietosa.
Non lo raggiunsi che quando era già uscito dal cancello. Alla fine
dovetti persino trottare un poco, ma quando mi trovai sfiatato al
suo fianco accusandolo di voler scappare, disse: 'Mai!',
mettendosi subito sulla difensiva. Gli spiegai che non intendevo
dire che volesse sottrarsi a me. 'A nessuno... a nessuno al
mondo,' affermò con un'espressione ostinata. Mi trattenni
dall'additargli quell'unica eccezione evidente, davanti alla quale
fuggirebbero anche i più coraggiosi; pensavo che l'avrebbe
scoperta prestissimo da sé. Mi guardò pazientemente mentre cercavo
qualcosa da dirgli: ma non trovai nulla lì per lì, e lui riprese a
camminare. Io gli tenni dietro, e, nell'ansia di non perderlo, gli
dissi in fretta che non potevo lasciarlo sotto la falsa
impressione del mio... del mio... Balbettavo. La stupidità delle
mie parole mi fece inorridire mentre tentavo di dar loro una
conclusione; ma l'efficacia di una frase non ha niente a che
vedere col suo significato o con la logica della sua costruzione.
Quel mio borbottìo idiota sembrò fargli piacere. Lo interruppe per
dire, con una placidità cortese che dimostrava un'immensa forza di
controllo su se stesso, oppure una meravigliosa elasticità di
umore: 'L'errore è tutto mio.' Mi stupii moltissimo di
quest'espressione, che sarebbe stata tutt'al più adatta per un
incidente insignificante. Ma dunque non aveva capito il
significato deplorevole dell'episodio? 'Può ben scusarmi,'
soggiunse; e riprese con aria cupa: 'In tribunale, tutta quella
gente con gli occhi fissi mi sembrava talmente idiota che... che
sarebbe potuto accadere benissimo quello che mi era parso.'
Queste parole aprirono improvvisamente alla mia meraviglia un
nuovo orizzonte su di lui. Lo guardai con curiosità, ma gli occhi
che incontrai erano imperturbati e impenetrabili. 'Non posso
tollerare questo genere di cose,' disse molto semplicemente, 'e
non intendo tollerarle. In tribunale è diverso: quello lo devo
sopportare - e lo posso, anche.'
Non dico che lo comprendessi. Le brevi visioni che mi permetteva
d'aver di lui erano come quei lembi di paesaggio che appaiono tra
le smagliature della nebbia portata dal vento: frammenti di
dettagli vividi e subito scomparsi, che non danno nessuna idea
logica dell'aspetto complessivo di un panorama. Alimentavano la
curiosità senza soddisfarla: non servivano a nulla per orientarsi.
Tutto sommato era un essere inafferrabile. Tali le mie conclusioni
a suo riguardo quando mi lasciò: il che fu a tarda sera. Io
alloggiavo all'Hôtel Malabar per qualche giorno e, cedendo alle
mie insistenze, egli vi aveva pranzato in mia compagnia."
CAPITOLO 7.
"Un postale in viaggio d'andata era entrato in porto quel
pomeriggio, e la grande sala da pranzo dell'albergo era più che a
metà piena di gente con in tasca biglietti per il giro del mondo
al prezzo di cento sterline. C'erano coppie di sposi novelli che a
mezzo viaggio avevano già un'aria d'abitudine e di noia reciproca;
c'erano gruppi piccoli e grandi, e individui solitari; chi
pranzava con solennità e chi faceva chiassose gozzoviglie, ma
tutti pensavano, conversavano, scherzavano o erano di malumore
proprio come a casa loro, reagendo alle nuove impressioni con la
medesima intelligenza dei bagagli depositati nelle loro camere.
D'ora innanzi avrebbero portato addosso, come le loro valige,
l'etichetta che dimostrava che eran passati per questo o per quel
luogo. Avrebbero tenuto cara una simile distinzione, conservando i
cartellini incollati sulle valige come documenti indiscutibili,
come unica traccia permanente del vantaggio culturale ricavato
dalla loro impresa. I camerieri di pelle scura scivolavano
leggeri, senza rumore, sul vasto pavimento lucido; di quando in
quando si sentiva zampillare la risata di una giovinetta,
innocente e vuota come il suo cervello; oppure, in un'improvvisa
pausa dell'acciottolìo delle stoviglie, si udivano poche parole
pronunciate con voce languida e affettata da qualche bello
spirito, che ricamava, per lo spasso d'una tavolata sogghignante,
sull'ultimo pettegolezzo di bordo. Due vecchie zitelle nomadi,
tutte in fronzoli per il miraggio d'una conquista, studiavano la
lista con sostenuta acrimonia: le labbra avvizzite si scambiavano
bisbigli, i visi strani e legnosi le facevano simili a spauracchi
di lusso. Un po' di vino aprì il cuore di Jim e gli sciolse la
lingua. Notai anche che aveva buon appetito. Era come se avesse
seppellito chissà dove l'episodio inaugurale della nostra
conoscenza: pareva un argomento di cui non si sarebbe parlato mai
più in questo mondo. E tutto il tempo avevo di fronte a me quei
fanciulleschi occhi azzurri, che guardavano dritto nei miei, quel
viso giovane, quelle spalle poderose, quella fronte aperta e
abbronzata con una linea bianca sotto la radice dei folti e
ricciuti capelli biondi, quell'aspetto che, fin dal primo momento,
aveva attirato tutta la mia simpatia: una fisonomia schietta, un
sorriso sincero, quella serietà giovanile... Era del ceppo buono;
era uno dei nostri. Parlava pacato, con una specie di sobria
confidenza e con una tranquilla compostezza che potevano derivare
tanto da un autocontrollo virile come da un'impudenza o
incoscienza colossale, quanto anche da una duplicità mostruosa.
Chi può dirlo? Dal tono della nostra conversazione, si sarebbe
potuto credere che parlassimo d'una terza persona, o d'una partita
a calcio, o del tempo che faceva l'anno scorso. La mia mente si
perdeva in un mare di congetture: finché la piega della
conversazione non mi consentì, senza indiscrezione offensiva per
il mio interlocutore, di osservare che, tutto sommato,
quell'inchiesta doveva riuscirgli abbastanza penosa. Lanciò il
braccio attraverso la tovaglia e, afferrando la mano che tenevo
accanto al piatto, mi fissò con occhi infuocati. Rimasi proprio
sbalestrato. 'Sì, dev'essere terribilmente penoso,' balbettai,
tutto confuso da questa muta esplosione di sentimento.' '... è un
inferno,' si lasciò sfuggire con voce rauca.
Quel gesto, e le sue parole, fecero alzar gli occhi con
inquietudine a due turisti elegantissimi, che al tavolo vicino
stavano curvi sui loro dolci glassati. Mi alzai, e passammo nella
grande galleria esterna per prendere il caffè e fumare un sigaro.
Sui tavolini ottagonali ardevano delle candele entro globi di
cristallo; ciuffi di piante dalle foglie rigide dividevano in
tanti gruppi le accoglienti poltrone di vimini, e fra le colonne
abbinate, i cui fusti rossastri riflettevano in lunga fila la luce
dei finestroni, sembrava che la notte buia e scintillante pendesse
come un drappeggio sontuoso. I fanali di navigazione delle navi
occhieggiavano da lontano come stelle al tramonto, e le colline al
di là della rada sembravan le rotonde masse di pece d'immobili
nuvole temporalesche.
'Non potevo svignarmela,' cominciò Jim. 'Il capitano l'ha fatto...
affar suo. Io non potevo e non volevo. Tutti si sono arrangiati in
un modo o nell'altro, ma per me non era il caso.'
Ascoltavo con attenzione concentrata, non osando muovermi sulla
sedia; volevo sapere... ma oggi ancora non so nulla, posso
soltanto indovinare. Egli appariva tutt'insieme fiducioso e
depresso, come se il convincimento di un'innata innocenza
ricacciasse indietro la verità che ad ogni passo gli si contorceva
dentro per saltar fuori. La prima cosa che disse, col tono d'un
uomo che si riconosca incapace di saltare un muro di sei metri, fu
che ormai non sarebbe più tornato a casa: il che mi fece ricordare
di quanto mi aveva detto Brierly sul 'vecchio pastore dell'Essex
che pareva avesse un debole particolare per quel suo figliolone
marinaio.'
Non saprei dirvi se Jim avesse coscienza di quel 'debole
particolare'; ma il tono come accennava al 'mio babbo' voleva
certo dar l'impressione che mai uomo migliore di quel buon vecchio
decano campagnolo avesse sentito tutta la responsabilità d'una
famiglia numerosa. Questo convincimento Jim non lo manifestava
esplicitamente, ma nel suo sottintenderlo si leggeva l'ansia che
non sorgessero dubbi in proposito: un'ansia davvero piena di
sincerità e di grazia, ma che in quel suo evocare esistenze
lontane aggiungeva un senso doloroso agli altri elementi della
storia. 'Ormai deve averlo letto in tutti i giornali inglesi,'
fece Jim. 'Non potrò mai più guardare in faccia quel povero
vecchio.' Non osai alzar gli occhi fino a che non sentii che
soggiungeva: 'Non riuscirei mai a spiegargli la verità. Non
capirebbe.' Allora lo guardai: fumava con aria assorta; ma dopo un
momento si riscosse e riprese a parlare. Manifestò subito il
desiderio ch'io non lo confondessi con i suoi complici nel... nel
delitto, diciamo così. Non era dei loro, lui, ma di tutt'altra
razza. Io non manifestai segno alcuno di dissenso. Non avevo la
più lontana intenzione, per amor della nuda verità, di rubargli
neanche un atomo di grazia redentrice, se glie n'era toccata in
sorte. Non sapevo fino a qual punto credesse alle proprie parole,
né a che mirasse (se pur mirava a qualcosa): ho idea che non lo
sapesse nemmeno lui, tanto sono convinto che nessuno si rende mai
ben conto delle proprie ingegnose gherminelle per sfuggire
all'ombra torva della conoscenza di se stesso. Mi guardai
dall'aprir bocca mentre egli si chiedeva 'cosa avrebbe potuto fare
una volta finita quella stupida inchiesta.'
Aveva l'aria di condividere il disprezzo di Brierly verso codesti
procedimenti voluti dalla legge. Non avrebbe saputo da che parte
voltarsi, confessò: e si vedeva chiaro che, più che parlare con
me, stava riflettendo ad alta voce. Perduta la patente, spezzata
la carriera, senza danaro per andarsene, credeva che non avrebbe
più trovato lavoro di nessuna specie. In patria forse avrebbe
potuto rimediare un impieguccio: ma questo significava rivolgersi
ai suoi per aiuto, e non voleva farlo. L'unica possibilità era un
imbarco come semplice marinaio... forse non gli avrebbero negato
un posto di quartiermastro su qualche piroscafo. Sì, il
quartiermastro avrebbe potuto farlo... 'Lo crede proprio?'
domandai spietatamente. Si alzò di scatto e, avvicinatosi alla
balaustra di pietra, si mise a scrutare la notte. Ma quasi subito
tornò indietro: dominava con l'alta statura su me seduto, il volto
giovanile ancora contratto nella sofferenza di un'emozione
contenuta. Aveva capito benissimo che non era della sua capacità a
governare una nave che dubitavo. Con voce leggermente tremante mi
chiese perché avevo detto così. Ero stato "tanto mai buono" con
lui.. Non avevo nemmeno riso di lui quando - e qui incominciò a
barbugliare - "quell'equivoco, sa... ho fatto una figura da
imbecille". L'interruppi per dire con un certo calore che a me in
un equivoco simile non pareva ci fosse nulla da ridere. Sedette e
bevve il suo caffè con aria decisa, vuotando la tazzina fino
all'ultima goccia. 'Questo non significa ch'io ammetta neppure per
un momento che quella definizione mi si adatti,' dichiarò
nettamente. 'Davvero?' domandai. 'No,' affermò con tranquilla
decisione. 'Lo sa cosa avrebbe fatto lei al mio posto? Lo sa? E sì
che lei non si crede un...' (parve che inghiottisse qualcosa) 'non
si crede un... un cane rognoso, vero?'
E così dicendo - parola d'onore! - mi guardava con aria
interrogativa. Era proprio una domanda: una domanda bona fide! Ma
non aspettò la risposta. Prima ch'io mi rimettessi, guardando
fisso davanti a sé come se leggesse delle parole scritte sulla
carne della notte, riprese: 'Tutto sta nell'esser pronti. E io non
lo ero... non lo ero ancora, in quel momento. Non cerco scusanti:
ma vorrei spiegare... vorrei che qualcuno capisse... qualcuno...
una persona almeno! Lei! Perché non lei?'
Era una scena un po' solenne e anche un po' ridicola, come sempre
lo sono gli sforzi d'un uomo che tenti di salvar dal fuoco la
propria personalità etica, quale avrebbe dovuto essere nell'idea
ch'egli se ne è fatto: idea preziosa benché si tratti di pura
convenzione, di una fra le regole del gioco e nulla più; eppure
terribilmente efficace, per quel tanto di illimitato potere che ha
sugli istinti naturali e per il terribile prezzo che costano le
sue sconfitte. Egli incominciò il suo racconto con abbastanza
calma. A bordo di quel piroscafo della Dale Line che aveva
raccolto i quattro naufraghi da un battello alla deriva sul
semispento fulgore del mare al tramonto, fin dal secondo giorno si
erano messi a guardarli di traverso. L'enorme capitano tedesco
aveva raccontato non so che storiella, ascoltata in silenzio da'
loro salvatori, che lì per lì glie la menarono buona. A nessuno
verrebbe in testa di sottoporre a interrogatorio dei poveri
naufraghi che si è avuto la fortuna di salvare, se non da una
morte crudele, per lo meno da crudeli sofferenze. Dopo,
ripensandoci su, forse balenò alla mente degli ufficiali
dell'Avondale che nella faccenda potesse esserci qualcosa di
losco; ma naturalmente si tennero i loro dubbi per sé. Avevano
raccolto il capitano, il secondo, e due macchinisti d'un vapore
affondato; e, da persone beneducate, non domandavan di più. Non
interrogai Jim sulla natura dei suoi sentimenti durante i dieci
giorni che passò a bordo. Da come ne parlava mi era lecito dedurre
che fosse rimasto stordito dalla propria scoperta - la scoperta
del fondo di se stesso - e che facesse di tutto per cercar di
darne una spiegazione esauriente all'unico uomo capace di
valutarne la spaventosa enormità. Capitemi bene: non tentava in
nessun modo di attenuar l'importanza del fatto. Di questo sono
sicuro; e qui sta la sua attrattiva. Delle sue sensazioni quando,
sceso a terra, venne a conoscere l'inaspettata conclusione della
storia cui aveva preso parte in modo così pietoso non mi disse
nulla, ed è difficile immaginarsele. Chissà se si sentì mancare il
terreno sotto i piedi? Chissà? Ma certo riuscì a trovare ben
presto un nuovo punto di appoggio. Rimase a terra in attesa due
settimane intere, nella Casa del Marinaio, dove in quel periodo
v'erano altri sei o sette ricoverati, dai quali ebbi occasione di
sentir parlare un poco di lui. La loro languida opinione pareva
fosse questa, che, a prescindere dagli altri suoi difetti, Jim era
un animale sempre ammusonito. Aveva trascorso quelle giornate
sepolto in una poltrona a sdraio della veranda, e usciva da quella
tomba soltanto nelle ore dei pasti o la sera tardi, per girellare
sulle banchine tutto solo, estraneo a quanto lo circondava,
incerto e silenzioso come uno spettro a cui manchi una casa dove
aggirarsi. "Non credo d'aver rivolto tre parole ad anima viva
durante tutto quel periodo", disse, ispirandomi molta compassione;
e subito dopo soggiunse: 'Qualcuno di quei tipi si sarebbe certo
abbandonato a considerazioni che non avrei saputo tollerare, e non
volevo scene. No! Allora, no. Ero troppo... troppo... non mi
andava, ecco.' 'Dunque quella paratìa ha resistito, dopo tutto,'
osservai allegramente. 'Già,' mormorò, 'ha resistito. Eppure le
giuro che l'ho sentita incurvarsi sotto la mia mano.' 'E'
straordinario, certe volte, a quali tensioni può reggere il ferro
vecchio,' dissi. Gettato all'indietro sulla poltrona, con le gambe
rigidamente allungate e le braccia penzoloni, annuì leggermente
col capo a più riprese. Non si potrebbe immaginare spettacolo più
malinconico. A un tratto rialzò il capo e si drizzò a sedere,
dandosi una manata sulla coscia. 'Ah! che occasione perduta! Mio
Dio! che occasione perduta!' esclamò con calore; e in quell'ultimo
'perduta' sentii come la vibrazione d'un grido che gli fosse
strappato da un dolore fisico.
Tornò silenzioso, e nel suo sguardo fisso e lontano c'era una
voglia feroce di codesta gloria mancata, mentre le narici gli si
dilatavano un attimo ad aspirare l'odore inebriante di
quell'occasione andata in fumo. Se credete che io fossi sorpreso o
scandalizzato mi fate proprio torto. Ah, era un ragazzo pieno
d'immaginazione, quello! Si sarebbe tradito; si sarebbe arreso.
Dentro a quel suo sguardo immerso nella notte scorgevo la sua più
segreta natura proiettata a capofitto nel regno fantasioso delle
aspirazioni temerarie, degli eroismi inauditi. Non pensava nemmeno
pl a rimpiangere quel che aveva perduto, tanto era completamente
assorbito dal miraggio di ciò che non era riuscito a raggiungere.
Era lontanissimo da me, che lo osservavo da un metro di distanza.
Attimo per attimo stava penetrando più addentro nel mondo
impossibile delle gesta romantiche: e alla fine vi giunse proprio
nel cuore! Una strana espressione di beatitudine gli si diffuse in
volto, e gli occhi gli luccicarono alla luce della candela che
stava fra me e lui; arrivò addirittura a sorridere! Sì, era
arrivato proprio nel cuore... nel più profondo cuore di quel
mondo! Un sorriso estatico, il suo, che sui vostri visi non si
vedrà mai, e nemmeno sul mio, cari ragazzi. Lo ricondussi in un
attimo alla realtà, dicendo: 'Se lei fosse rimasto sulla nave,
eh?'
Volse verso di me due occhi improvvisamente sbigottiti e pieni di
dolore, un volto confuso, interdetto, sofferente, come se l'avessi
fatto piombar giù da una stella. Né voi né io avremo mai uno
sguardo simile. Rabbrividì profondamente, come se la punta d'un
dito di ghiaccio gli avesse toccato il cuore. In ultimo sospiro.
Io non mi sentivo d'umor compassionevole. Quelle sue
sfacciataggini contraddittorie m'irritavano. 'Peccato che non
l'abbia saputo prima!' dissi, con le più malvagie intenzioni; ma
la mia perfida frecciata cadde senza ferire - gli cadde ai piedi
come uno strale esausto, per così dire, ed egli non pensò neanche
a raccoglierla. Forse non l'aveva nemmeno veduta. Dopo un poco,
sistemandosi più comodamente sulla sdraia, fece: 'Al diavolo! Le
dico che si era incurvata. Andavo esplorando con la lampada il
ponte inferiore di stiva lungo lo spigolo di ferro, quando una
falda di ruggine grande come il palmo della mano si staccò da sé
dalla lamiera.' Si passò la mano sulla fronte. 'La falda di
ruggine si mosse e saltò via, mentre guardavo, come una cosa
viva.' 'Dev'esser stata una brutta impressione, no?' osservai con
noncuranza. 'Ma lei crede forse,' ribatté, 'che pensassi alla mia
pelle, con centosessanta passeggeri dietro a me profondamente
addormentati in quel corridoio del ponte di prua, e parecchi di
più a poppa; e altri ancora sopra coperta... addormentati... senza
sospettare di nulla.. il triplo di quanti potessero entrarcene
nelle scialuppe, anche se ci fosse stato il tempo di calarle in
mare? Mi aspettavo di veder la piastra di ferro spaccarsi da un
momento all'altro, e l'acqua precipitarsi su di loro, distesi
com'erano... Cosa potevo fare?... cosa?'
Non facevo fatica a figurarmelo nel buio cavernoso di quell'antro
stivato di corpi giacenti, dove la lampada a globo non rischiarava
che un breve tratto di quella paratìa che con l'altra faccia
sosteneva tutto il peso dell'oceano, ed egli aveva nelle orecchie
il respiro di tutti quei dormienti ignari. Lo vedo che fissa la
parete di ferro con occhi infuocati, atterrito dalla ruggine che
si stacca, sopraffatto dalla certezza di una morte imminente.
Tutto questo accadeva, a quanto capii, la seconda volta che era
stato mandato a prua dal capitano, soprattutto per allontanarlo,
penso, dal ponte di comando. Mi disse che il suo primo impulso era
stato quello di gridare, facendo balzar su di colpo dal sonno
tutta quella gente terrorizzata; ma lo sopraffece tale un senso
della propria impotenza che non fu capace di articolare alcun
suono. Questo si deve voler esprimere quando si dice che la lingua
s'appiccica al palato. 'Troppo arida,' disse concisamente Jim per
spiegare la sua sensazione. Così, in silenzio, si precipitò sopra
coperta dal boccaporto numero uno. Una manica a vento lì fuori gli
sbatté contro per caso, e Jim si ricordava che il lieve tocco
della tela sul suo viso per poco non era bastato a farlo ruzzolare
giù per la scaletta.
Mi confessò che i ginocchi gli tremavano forte mentre s'era
fermato sul ponte di prua a guardare un'altra massa di dormienti.
Le macchine erano ormai ferme e gli ultimi sbuffi di vapore
uscivano dalla ciminiera con un muggito cupo che faceva vibrar la
notte come una corda di contrabbasso. La nave ne tremava tutta.
Vedeva qua e là una testa sollevarsi dalla stuoia, una forma vaga
drizzarsi a sedere, stare un momento in ascolto piena di sonno, e
poi risprofondarsi in quella montuosa confusione di bagagli,
verricelli a vapore e ventilatori. Si rendeva conto che quella
gente era troppo all'oscuro di tutto per attribuire un significato
preciso a quel rumore anormale. La nave di ferro, gli uomini dai
visi bianchi, tutto quel che si vedeva e si udiva a bordo, ogni
cosa per quella pia e ignorante moltitudine era egualmente strana,
tanto degna di fiducia quanto incomprensibile. Gli venne fatto di
maledire codesta fiducia cieca: ma era un pensiero tremendo.
Dovete ricordarvi che era convinto - e chiunque altro lo sarebbe
stato al suo posto - che la nave sarebbe colata a picco da un
momento all'altro: le piastre rigonfie, divorate dalla ruggine,
che trattenevano l'oceano, dovevano cedere fatalmente tutto d'un
colpo, come una diga minata dal di sotto che apra la via a
un'improvvisa e travolgente inondazione. Restava immobile a
guardare quei corpi distesi, come un condannato cosciente del
proprio destino che contemplasse la compagnia silenziosa dei
morti. Perché eran già morti: nulla poteva salvarli! C'eran forse
scialuppe sufficienti per la metà di loro, ma in ogni modo non
c'era tempo. Non c'era tempo! non c'era tempo! Non valeva la pena
di aprir la bocca, di muovere una mano o un piede. Prima che
avesse potuto urlar tre parole o muovere tre passi, starebbe a
dibattersi in un mare reso orribilmente spumeggiante dagli sforzi
disperati di esseri umani, echeggiante delle loro angosciate grida
d'aiuto. Ma nessun aiuto era possibile. Immaginava perfettamente
quel che sarebbe accaduto; l'intera scena gli passò dinanzi agli
occhi, mentre se ne restava immobile vicino a quel boccaporto, con
la lanterna in mano; l'intera scena gli passò dinanzi agli occhi
fino ai minimi, ai più atroci dettagli; e credo che, mentre mi
stava raccontando queste cose di cui non poteva parlare in
tribunale, quella visione gli si ripresentasse ancora.
'Vidi chiaro come vedo lei adesso che non avrei potuto far nulla,
e questo pensiero mi svuotava di vita le membra. Mi dissi che
tanto valeva rimanere addirittura dov'ero, e aspettare. Non
credevo di avere ancora molti secondi a disposizione...' A un
tratto gli sbuffi di vapore cessarono. Quel frastuono faceva
impazzire; ma il silenzio diventò subito opprimente,
intollerabile.
'Mi pareva che prima ancora d'affogare sarei morto soffocato,'
disse.
Insisté che non pensò neppure a salvarsi. L'unico pensiero nitido
che si formava, svaniva, e tornava a formarsi nel suo cervello era
questo: ottocento passeggeri e sette scialuppe; ottocento
passeggeri e sette scialuppe.
'Qualcuno parlava a voce alta nella mia testa,' fece, un po fuori
di sé. 'Ottocento passeggeri, sette scialuppe... e non c'era
tempo! Pensi cosa significa.' Si curvò verso di me attraverso il
tavolino, e io cercai di evitare il suo sguardo fisso. 'Crede che
avessi paura di morire?' domandò a bassa voce, con una sorta di
ferocia. E lasciò cadere la mano aperta sul tavolo con un colpo
che fece traballare le tazzine da caffè.
'Sono pronto a giurare che non ne avevo... non ne avevo... per
Dio!... no!' Si raddrizzò sulla vita incrociando le braccia; il
mento gli cadde sul petto.
Un leggero acciottolìo di stoviglie giungeva attutito fino a noi
dai finestroni. Ci fu uno scoppio di voci, e un gruppo di gente
allegra uscì nella galleria scambiandosi umoristiche reminiscenze
sui somarelli del Cairo. Un giovanotto pallido e con l'aria
inquieta che camminava senza rumore sulle lunghissime gambe, era
preso in giro da un globe-trotter pettoruto e rubicondo a
proposito dei suoi acquisti al bazar. 'No, via... credi che mi sia
lasciato mettere in mezzo fino a questo punto?' domandò in tono
deciso e caloroso. La brigata si allontanò, rovesciando due
seggiole al passaggio; fiammeggiarono dei cerini, illuminando per
un secondo dei volti completamente inespressivi e la lucida
superficie piatta degli sparati bianchi; il brusìo di molte
conversazioni animate dal calore del banchetto mi parve un suono
assurdo e infinitamente remoto.
'Qualche marinaio dormiva sul boccaporto numero uno, a portata del
mio braccio,' riprese Jim.
Dovete sapere che su quella nave si montava la guardia all'uso
Kalashee; la notte l'intero equipaggio dormiva, e non si faceva il
cambio che dei quartiermastri e delle vedette. Jim fu tentato di
afferrare e scuotere per la spalla il 'lascar' più vicino, ma non
lo fece. Qualcosa gli tenne fermo il braccio lungo il fianco. Non
aveva paura... oh, no! solo che non poteva... ecco tutto. Forse,
infatti, non aveva paura della morte, ma ve lo diro io di che
aveva paura: aveva paura del disastro. La sua maledetta
immaginazione gli aveva evocato tutti gli orrori di un panico, il
precipitarsi furioso, le urla pietose, le scialuppe stracariche
che imbarcavano acqua - tutti insomma gli atroci episodi d'un
disastro in mare, quali li conosceva da letture e racconti. Forse
a morire era rassegnato; ma suppongo che volesse morire senza
terrori in soprappiù, silenziosamente, in una specie di coma
tranquillo. Una certa qual attitudine alla morte non è poi tanto
rara, ma raro è incontrar uomini la cui anima, chiusa
nell'impenetrabile e ferrea armatura della risolutezza, siano
pronti a combattere fino all'ultimo una battaglia perduta: il
desiderio di pace aumenta via via che la speranza svanisce, finché
giunge a superare il desiderio stesso di vivere. Chi di noi non ha
osservato questo fatto, o non ha addirittura provato in se stesso
un po' di questo sentimento: un'estrema stanchezza delle emozioni,
L'inanità dello sforzo, l'immenso desiderio di riposo? Coloro che
lottano contro forze brute lo conoscono bene: i naufraghi
abbandonati sulle scialuppe, i viaggiatori sperduti nei deserti,
tutti gli uomini che combattono contro le potenze cieche della
natura o contro la stupida brutalità delle folle".
CAPITOLO 8.
"Quanto tempo rimase immobile vicino al boccaporto, aspettandosi
da un istante all'altro di sentir la nave sprofondarglisi sotto i
piedi e un fiotto d'acqua investirlo alle spalle, sballottarlo di
qua e di là come un fuscello, non lo saprei dire. Certo non
molto... forse due minuti. Un paio d'uomini che non riuscì a
distinguere cominciarono a discorrere con voce assonnata, e gli
giunse all'orecchio, non sapeva da dove, uno strano scalpiccìo. Ma
sovrastante a codesti lievi rumori c'era quella calma terribile
che precede le catastrofi, quel silenzio insostenibile che si fa
un attimo prima del crollo; allora gli balenò nella mente che
forse avrebbe avuto il tempo di precipitarsi a tagliar tutte le
cime dei paranchi, in modo che, affondando la nave, le scialuppe
si trovassero a galleggiare per conto loro.
Il Patna aveva un ponte di comando più lungo che per solito non
usi, e tutte le scialuppe si trovavano lassù, quattro da una parte
e tre dall'altra; la più piccola era sospesa sulla sinistra, quasi
di traverso all'apparato di governo. Jim mi assicurò, con evidente
ansia d'esser creduto, che si era sempre preoccupato con ogni
diligenza di tenerle pronte per l'uso. Conosceva il suo dovere. E'
probabile che, da questo punto di vista, fosse un bravo ufficiale.
'Mi è sempre parsa una buona cosa tenersi pronti al peggio,'
soggiunse fissandomi inquieto. Annuii con aria di approvazione, ma
distogliendo gli occhi dallo spettacolo di quell'astuzia malfida.
Incominciò a correre con difficoltà. Dovette scavalcar delle
gambe, stare attento a non inciampare contro delle teste. Al un
tratto qualcuno lo afferrò per le falde della giacca, mentre una
voce angosciata gli parlava di sotto al gomito. Il raggio della
lampada che teneva nella destra cadde sopra un viso rivolto in su,
i cui occhi erano supplichevoli come la voce. Con quel poco che
Jim aveva imparato della lingua dei pellegrini, capì la parola
acqua ripetuta varie volte con insistenza, in tono di preghiera,
quasi di disperazione. Diede uno strattone per liberarsi, e sentì
che un braccio gli si avvinghiava a una gamba.
'Mi teneva stretto come quando uno sta affogando,' disse con tono
mordente. 'Acqua, acqua? Di che acqua voleva parlare? Cosa sapeva?
Con quanta calma potei, gli ordinai di lasciarmi. Mi tratteneva,
il tempo stringeva, altra gente cominciava ad agitarsi: avevo
bisogno di tempo... di tempo per sciogliere le scialuppe. Poi mi
afferrò la mano, e capii che stava per mettersi a gridare. Mi
balenò alla mente che sarebbe bastato questo per provocare un
panico, e allora col braccio libero gli sbattei il lume sulla
faccia. Il vetro tintinnò, la fiamma si spense, ma il colpo gli
fece lasciar presa, e io corsi via... Volevo raggiungere le
scialuppe; volevo raggiungere le scialuppe. Quegli mi saltò
addosso alle spalle. Mi voltai. Non voleva smetterla; cercò di
gridare; e prima di capire cosa volesse l'avevo già mezzo
strangolato. Dell'acqua, voleva... acqua da bere! Perché deve
sapere che eran tenuti strettamente a razione, e quello aveva con
sé un ragazzetto che avevo notato varie volte. Ora il bambino era
malato... aveva sete. Egli mi aveva visto passare, e mi supplicava
di dargli un po' d'acqua. Ecco tutto. Eravamo sotto al ponte di
comando, nel buio. Continuava a stringermi i polsi: non c'era modo
di liberarsene. Mi precipitai nella mia cabina, afferrai la
borraccia e glie la misi in mano. Scomparve. Non mi ero accorto
fino allora quanto bisogno avessi anch'io di bere.' Si appoggiò a
un gomito con una mano sugli occhi.
Una specie di brivido mi corse giù per la schiena; c'era qualcosa
di strano, in tutto questo... Le dita che gli nascondevan la
fronte tremavano leggermente. Ruppe il breve silenzio.
'Cose come queste succedono una volta sola nella vita d'un uomo,
e... Bene: allorché raggiunsi finalmente il ponte dl comando, quei
mascalzoni stavano calando una scialuppa giù dai paranchi. Una
scialuppa! Io correvo su per la scaletta quando un colpo pesante,
passandomi a un pelo dalla testa, mi cadde sulla spalla. Ma non
bastò a fermarmi; e il capo macchinista - erano riusciti a tirarlo
fuori dalla sua cuccetta - alzò di nuovo su di me il poggiapiedi
della scialuppa. Non so perché, ma non mi sorprendevo più di
nulla. Mi sembrava tutto naturale... e orribile... orribile.
Scansai quel miserabile pazzo, poi saltandogli addosso lo sollevai
su dal ponte come fosse stato un bambino, e lui cominciò a
sussurrarmi, mentre lo tenevo così in braccio: - No! mi lasci!
Credevo fosse un di quei negri -. Lo scaraventai lontano:
ruzzolando lungo il ponte andò a finir tra le gambe di quell'altro
omettino, il secondo macchinista, e lo fece cadere a sua volta. Il
capitano, che si dava da fare intorno alla scialuppa, si voltò e
mi venne contro a testa bassa, grugnendo come un animale
selvatico. Io rimasi immobile come una roccia. Ero duro, lì in
piedi, duro quanto questo': e batté leggermente con le nocche sul
muro vicino alla sua poltrona. 'Mi pareva d'aver già sentito, già
visto, già vissuto tutto questo venti volte. Non avevo paura di
loro. Tirai indietro il pugno pronto a colpire, e lui si fermò di
colpo, borbottando:
- Ah, è lei. Mi dia una mano, presto! -. Ecco cosa disse: PRESTO!
Come se si fosse potuto fare abbastanza presto! - Sicché lei non
ha intenzione di far qualcosa? - domandai. - Sì. Di squagliarmela
-, sogghignò senza voltarsi.
Non credo d'aver capito lì per lì cosa intendesse dire. Gli altri
due si erano ormai rimessi in piedi, e si precipitavano insieme
sulla scialuppa. Pestavano i piedi, ansavano, facevan forza di
spalle, maledicevano la scialuppa, la nave, si maledicevano a
vicenda... e maledicevano me. Tutto a bassa voce. Io non mi
muovevo, non dicevo nulla. Tenevo d'occhio la pendenza del
piroscafo. Stava immobile come lo sostenessero i puntelli in
bacino di carenaggio... soltanto che stava così.' Alzò una mano
col palmo verso il basso, inclinando la punta delle dita. 'Così,'
ripeté. 'Davanti a me vedevo, chiara come un tocco di campana, la
linea dell'orizzonte, al disopra della ruota di prua; vedevo
laggiù l'acqua nera e lucente, quieta... quieta come uno stagno,
mortalmente quieta, più di quanto fosse mai stata... più di quanto
potessi sopportar di vederla. Ha mai visto, lei, un piroscafo con
la prua in giù, che non va a picco perché una piastra di ferro
vecchio regge ancora... regge, ma e troppo marcia perché si possa
puntellarla? L'hai mai visto? Eh, già, puntellarla! Ci pensai...
pensai tutto quello che si può pensare; ma è possibile puntellare
una paratìa in cinque minuti?... o anche in cinquanta, del resto?
Dove avrei trovato gli uomini da far scendere nella stiva? E il
legname... il legname? Avrebbe avuto il coraggio, lei, di dare il
primo colpo di martello, dopo aver veduto quella paratìa? Non mi
dica di sì; lei non l'ha veduta; nessuno avrebbe avuto il
coraggio. Al diavolo!... per fare una cosa simile, si sarebbe
dovuto credere a una possibilità: almeno a una su mille; all'ombra
di una possibilità: e neanche lei ci avrebbe creduto. Nessuno ci
avrebbe creduto. Lei mi giudica un cane rognoso perché sono
rimasto lì senza far niente, ma cosa avrebbe fatto lei? Cosa? Non
si sa... nessuno può saperlo. Bisogna avere almeno il tempo di
guardarsi intorno. Cosa vuole che facessi? Bell'atto di bontà
sarebbe stato far impazzire di paura tutta quella gente che da
solo non potevo salvare... che nulla poteva salvare! Senta: come è
vero che son seduto su questa poltrona...'
Ogni due o tre parole ansimava lanciandomi rapide occhiate, come
se, nella sua angoscia, volesse leggermi in viso l'effetto che
produceva. Non stava parlando a me; parlava soltanto davanti a me,
alle prese con una personalità invisibile, con un antagonista
ormai inseparabile dalla sua esistenza: con un altro padrone
dell'anima sua. Queste erano quistioni che esulavano dalla
competenza d'un tribunale; era una controversia grave e sottile
sulla più vera essenza della vita, e non richiedeva un giudice.
Egli aveva bisogno d'un alleato, d'un aiutante, d'un complice. Mi
rendevo conto che stavo correndo il rischio di lasciarmi circuìre,
acciecare, prendere in trappola, forse obbligare con la violenza
ad assumere una parte precisa in quella disputa, che non aveva
conclusione possibile se si voleva esser giusti verso tutti gli
elementi in campo: sia verso i diritti dell'onesto quanto verso le
esigenze dell'essere abbietto che è in noi. Non posso spiegare, a
voi che non avete conosciuto Jim e che sentite le sue parole
soltanto dalla mia bocca, il contrasto dei miei sentimenti. Era
come se mi si obbligasse a comprendere l'Inconcepibile - e non
conosco disagio paragonabile a quello d'una sensazione simile. Mi
si obbligava a contemplar quanto di convenzionale si annida in
ogni verità e la fondamentale sincerità della menzogna. Si faceva
appello in una volta sola a tutti i lati della mia coscienza... al
lato che sta perpetuamente rivolto verso la luce del sole, e a
quel lato di noi che, come l'altro emisfero della luna, esiste
segretamente in un'oscurità perenne, e i cui orli soltanto sono
sfiorati a momenti da una spaventosa luce cinerea. Egli mi
dominava: lo confesso, lo confesso. Il fatto in sé era oscuro,
insignificante... quei che volete: un giovane finito male, uno fra
un milione di suoi simili... ma era uno dei nostri! L'incidente
era privo d'importanza come un formicaio allagato: e tuttavia il
mistero dell'atteggiamento di Jim s'impossessò di me come se egli
fosse stato in prima fila fra i suoi pari, come se l'oscura verità
della sua condotta avesse un tal peso da influire sul concetto che
di se stessa può farsi l'umanità..."
Marlow s'interruppe per riaccendere il sigaro morente. Per un
istante parve aver completamente dimenticato quel che stava
dicendo; poi all'improvviso riprese:
"La colpa era mia, si capisce. Non bisognerebbe mai interessarsi
davvero alle cose. E' una mia debolezza. La sua invece era d'un
altro genere. La mia debolezza consiste nel non avere occhio
critico per tutto ciò che è accidentale, esteriore: nessuna
capacità di distinguere tra la cesta del cenciaiolo e la
biancheria fine del mio prossimo. Il mio prossimo... dico bene. Ho
incontrato tanti uomini!" soggiunse Marlow con una passeggera
sfumatura di malinconia..., "li ho incontrati anche con una
certa... una certa... violenza, diciamo; come quel ragazzo lì, per
esempio... e ogni volta non ho saputo vedere in essi che l'essere
umano. Un maledetto modo democratico di vedere, che varrà anche
più della cecità totale, può darsi, ma non mi è stato mai di
nessun vantaggio... ve lo posso assicurare. Gli uomini si
aspettano che si faccia gran conto della loro biancheria fine; io
invece non sono mai riuscito a entusiasmarmi per queste faccende.
Oh! è un difetto, lo so: è un difetto; poi capita una serata
soave, un gruppo di amici troppo indolenti per giuocare a whist...
e un racconto..."
S'interruppe di nuovo, forse per aspettare una riflessione
incoraggiante: ma nessuno aprì bocca. Soltanto il padrone di casa,
quasi adempisse contro voglia a un dovere, mormorò...
"Sei così cavilloso, Marlow!"
"Chi, io?" replicò Marlow a bassa voce. "Oh no! ma 'lui' sì che lo
era; e benché faccia di tutto per portare a buon fine questa
storia, mi sto lasciando sfuggire una quantità di sfumature...
troppo sottili, troppo difficili da rendere in parole scolorite.
Perché complicava le cose, a furia d'essere così semplice, lui...
il più semplice dei poveri diavoli!... Perdiana! Era stupefacente.
Se ne stava lì seduto dinanzi a me dicendomi che, così come lo
vedevo, non avrebbe avuto paura di affrontar nulla al mondo... e
sono sicuro che ci credeva. Vi dico che era una cosa di
un'innocenza favolosa, ed anche enorme, enorme! Lo tenevo d'occhio
senza parere, proprio come se lo sospettassi intenzionato a farmi
un brutto colpo. 'Se il gioco è leale,' affermava con sicurezza,
'ma leale davvero;' intendiamoci, non c'era nulla che lo potesse
spaventare. Fin da quando era 'alto così' - un ragazzino, proprio
- si era preparato a tutto quel che può capitare in terra e per
mare. Era orgoglioso di questa specie di previdenza. Si era
rappresentato ogni sorta di pericoli e tutti i modi di pararli,
aspettandosi sempre il peggio e sempre di sé dando il meglio.
Dev'esser stata, la sua, l'esistenza di un esaltato. Ve
l'immaginate? Una sequela di avventure, uno splendore di gloria,
una marcia continuamente vittoriosa; e ogni giorno della sua vita
interiore trionfalmente dominato dal sentimento profondo della
propria sagacia. In quel momento era del tutto fuori dalla realtà;
gli luccicavano gli occhi; e ad ogni sua parola il mio cuore,
sempre più penetrato dalla luce della sua mentalità assurda, mi si
faceva più pesante nel petto. Non avevo voglia di ridere; e
tuttavia, per paura di sorridere, mi diedi un'espressione stolida.
Jim incominciò ad irritarsi.
'E' sempre l'inaspettato a succedere,' osservai in tono
propiziatorio.
La mia ottusità lo fece uscire in un 'puah!' sprezzante.
Probabilmente voleva dire che l'inaspettato non poteva toccarlo;
nel suo stato di preparazione perfetta, soltanto l'inconcepibile
poteva aver la meglio su di lui. Era stato preso alla
sprovvista... e mormorò fra i denti una maledizione contro le
acque e il firmamento, contro la nave, contro gli uomini. Tutto lo
aveva tradito! Con l'inganno era stato ridotto a quella specie di
altera rassegnazione che gli impedì di muovere anche un dito,
mentre quegli altri, che al contrario si rendevano chiarissimo
conto delle necessità impellenti, si montavano addosso, sudavano,
si arrabbattavano da disperati intorno alla scialuppa. Qualcosa si
era guastato proprio all'ultimo momento. Sembra che, nella furia,
fossero riusciti in qualche misteriosa maniera a bloccar la
chiavarda scorrevole d'uno dei paranchi della prima scialuppa, e
così, davanti a quella catastrofe, avevan finito di perdere quel
po' di testa che ancora avevano. Doveva essere un bello
spettacolo, sulla nave immobile, galleggiante in pace nel silenzio
d'un mondo addormentato, il dimenarsi indiavolato di quei
miserabili che si agitavano per far presto a liberare la
scialuppa, si trascinavano a quattro zampe, e si rialzavano in
piedi disperati, tiravano, spingevano, si scambiavano ringhiando
insulti velenosi, pronti a uccidere, sul punto di scoppiare in
pianto, e che dal prendersi l'un l'altro alla gola tratteneva
soltanto la paura della morte, silenziosa alle loro spalle come un
sorvegliante inflessibile, con gli occhi di ghiaccio. Oh sì,
doveva essere un bello spettacolo! Jim l'aveva veduto, e poteva
parlarne con disprezzo e amarezza; ne aveva afferrato i minimi
dettagli per mezzo d'un sesto senso, direi, perché mi giurò che si
era tenuto da parte senza gettare un'occhiata né sugli uomini né
sulla scialuppa... neanche un'occhiata. E ci credo. Doveva esser
troppo occupato a osservare l'inclinazione minacciosa della nave,
quella sospesa minaccia rivelatasi nel bel mezzo della più
perfetta sicurezza; troppo affascinato dalla spada che pendeva per
un filo sulla sua testa immaginosa. Nulla al mondo che si muovesse
dinanzi ai suoi occhi; nulla che gli impedisse di rappresentarsi
l'improvviso balzo all'insù dell'orizzonte buio, il subitaneo
impennarsi della vasta pianura del mare, il rapido, silenzioso
sollevamento, lo schianto brutale, la stretta dell'abisso, la
lotta senza speranza, la luce delle stelle che gli si sarebbe
rinchiusa per sempre sul capo come la pietra d'un sepolcro, la
ribellione della sua giovane vita, la fine nera. Sapeva
figurarselo benissimo. Perdiana! E chi non avrebbe saputo? Dovete
anche ricordarvi che su quel particolare terreno era un artista
compiuto, un povero diavolo dotato di un'antiveggenza fulminea. Le
visioni suscitategli da codesta facoltà davanti agli occhi della
fantasia l'avevan mutato dalla pianta dei piedi alla nuca in una
gelida pietra; ma nella sua testa c'era una danza infuocata
d'idee, un turbine d'idee zoppe, cieche, mute... una ridda di
ripugnanti mutilati. Non vi ho detto che si confessava a me come
se io avessi avuto il potere di legare e di sciogliere? Si scavava
profondo nel cuore, sperando in una assoluzione, che non gli
sarebbe servita a nulla. Il suo era uno di quei casi che nessuna
solenne menzogna avrebbe potuto placare; a cui nessuno può prestar
rimedi; uno di quei casi in cui lo stesso Creatore sembra
abbandonare il peccatore alle proprie risorse.
Stava sulla dritta del ponte, lontano il più possibile da quegli
uomini curvi sulla scialuppa, accaniti al fatto loro con
un'agitazione da forsennati e una cautela da cospiratori. I due
Malesi non avevano mollato la barra. Immaginatevi gli attori di
quel dramma del mare, di quell'episodio unico, grazie a Dio!... i
quattro uomini esausti di sforzi, selvaggi e furtivi, e gli altri
tre che li guardavano immobili come statue davanti ai tendoni che
coprivano la profonda inconsapevolezza di centinaia di esseri
umani, addormentati nella loro stanchezza, nei loro sogni,
trattenuti da una mano invisibile sull'orlo dell'abisso. Che
fossero proprio sull'orlo dell'abisso, date le condizioni della
nave, per me è assolutamente fuori dubbio; nessuna avaria avrebbe
potuto esserle altrettanto fatale. Quei disgraziati intorno alla
scialuppa avevano tutte le ragioni di perder la testa dal terrore.
Francamente, mi ci fossi trovato, non avrei dato un soldo per
l'eventualità che la nave restasse a galla fino al seguente minuto
secondo. Eppure galleggiava! Quei pellegrini addormentati erano
destinati a seguitare il loro pellegrinaggio fino all'amarezza di
un'altra fine. Si sarebbe detto che l'onnipotenza da cui
invocavano misericordia avesse bisogno per qualche momento ancora
della loro umile testimonianza su questa terra, e avesse chinato
gli occhi sull'oceano con un gesto di comando: 'Non voglio!' La
loro sopravvivenza mi colpirebbe come un miracolo inesplicabile,
se non sapessi quanta resistenza possano avere i ferri vecchi
resistenza analoga a quella di certe carcasse umane incontrate qua
e là, ridotte a un'ombra, e che pure sopportano ancora tutto il
peso della vita. Non è per me la sorpresa minore di quei venti
minuti il comportamento dei due timonieri. Facevano parte di quel
gregge variopinto di indigeni menato da Aden per venire a
testimoniare all'inchiesta. Uno di essi, giovanissimo, lottava
contro un'estrema timidezza, e la sua faccia glabra, giallastra e
gioviale, lo faceva ancora più giovane di quel che fosse. Ricordo
perfettamente che Brierly gli fece domandare dall'interprete che
cosa avesse pensato in quel momenti; e l'interprete, dopo un breve
colloquio, volgendosi alla Corte con aria importante: 'Dice che
non pensava niente.' L'altro, con i suoi occhi remissivi che
sbatteva continuamente, col suo fazzoletto di cotone azzurro,
scolorito dai molti lavaggi e annodato con arte su una massa di
ciocche grigie, aveva un viso scavato da dure pieghe, e una pelle
bruna che faceva sembrare più scura una rete di rughe; aveva
coscienza che una sciagura si era abbattuta sulla nave: ma non
aveva ricevuto ordini: per lo meno non se ne ricordava: perché
avrebbe dovuto lasciar la barra? Di fronte a più precise domande
gettò indietro le magre spalle, e dichiarò che non lo aveva
neanche sfiorato l'idea che gli uomini bianchi potessero aver
abbandonato la nave per paura della morte. Non ci credeva ancora.
Potevano aver avuto ragioni segrete. Scuoteva la vecchia testa con
l'aria di chi la sa lunga. Certo! ragioni segrete... Era uomo
d'esperienza, e voleva far capire a quel Tuan lì - si volse verso
Brierly, che non alzava il capo - che lui ne aveva imparate tante
in tanti anni al servizio di uomini bianchi sul mare; e,
improvvisamente, con agitazione febbrile, scaricò sulla nostra
attenzione ansiosa un fiotto di nomi che suonavano strani, nomi di
capitani scomparsi, nomi dalle consonanze familiari e storpiate e
velieri dimenticati, come se la mano del tempo vi avesse gravato
sopra da secoli. Finirono col farlo tacere. Il silenzio cadde sul
tribunale - un silenzio totale che durò oltre un minuto prima di
risolversi in un mormorio profondo. L'episodio fu l'avvenimento
sensazionale della seconda udienza e scosse tutto il pubblico,
tutti fuorché Jim, il quale sedeva aggrondato all'estremità del
primo banco, e non alzò mai gli occhi su quel testimone strano e
terribile che sembrava seguire un suo misterioso metodo di difesa.
Così quei due lascar erano dunque rimasti alla barra della nave
senza governo, e ve li avrebbe trovati la morte, se tale fosse
stato il loro destino. I bianchi non li degnarono nemmeno di uno
sguardo; probabilmente si erano dimenticati della loro esistenza.
Jim non se ne ricordava certamente più. Ricordava soltanto di non
poter far nulla, ora che era solo. Altro non rimaneva che
scomparire con la nave. A che scopo far del chiasso? A che scopo?
Aspettava in piedi, senza una parola, irrigidito in un'attitudine
di eroico riserbo. Il capo macchinista gli corse incontro in punta
di piedi attraverso il ponte di comando e lo tirò per la manica.
'Venga a aiutarci! Per amor di Dio venga a aiutarci!'
Corse di nuovo verso la scialuppa in punta di piedi, ma poi tornò
subito indietro a tirarlo per la manica, supplicando e
bestemmiando.
'Credo che mi avrebbe baciato le mani,' diceva Jim, violento, 'e,
subito dopo, cominciò a schiumare di rabbia, bestemmiandomi in
faccia: - Se avessi tempo sarei felice di spaccarle la testa.- Lo
respinsi. A un tratto mi afferrò per il collo. Maledetto! Lo
colpii. Lo colpii senza guardare. - Allora non vuol salvarsi la
vita, lei... maledetto vigliacco! singhiozzava. Vigliacco! Mi
chiamò maledetto vigliacco! Ah! ah! ah! ah! mi chiamò... ah! ah!
ah!...'
Si era rovesciato indietro, in un convulso di riso. Non avevo mai
udito in vita mia un riso così amaro. Cadeva come un vento
malefico sopra l'allegria delle chiacchiere sugli asinelli, sulle
piramidi, sui bazar, e tutto il resto. Nella penombra della lunga
galleria le voci tacquero, le macchie pallide dei visi si volsero
tutte insieme verso di noi e si fece un così profondo silenzio che
il tintinnìo di un cucchiaino caduto sul pavimento della veranda
lo riempì di un piccolo rumore argentino.
'Non rida così, con tutta questa gente intorno,' protestai con
aria di rimprovero. 'Fa un brutto effetto, sa.'
Da principio parve non aver sentito; ma fissò un attimo sul vuoto
uno sguardo che, senza vedermi, contemplava una visione orribile,
e borbottò con noncuranza: 'Oh, crederanno che sono ubriaco.'
E, dopo, a guardarlo, si sarebbe pensato che non avrebbe più detto
una parola. Ma... neanche per sogno! Non poteva smettere di
parlare, ora, più di quanto non avrebbe potuto smettere di vivere
per pura forza di volontà".
CAPITOLO 9.
"'Io dicevo tra me: - E va' a fondo... maledetta! Va' a fondo! -'
Con queste parole riprese il discorso. Non desiderava se non che
fosse finita. Gli altri con disprezzo lo avevano lasciato da
parte, ed egli nella sua testa lanciava questa apostrofe alla nave
in tono di invocazione e d'imprecazione, mentre, e nello stesso
tempo, gustava il privilegio di esser testimonio di scene- a mio
parere - di bassa commedia. Quelli continuavano ad arrabattarsi
intorno alla chiavarda. Il capitano dava ordini. 'Buttatevi là
sotto e cercate di sollevarla;' e gli altri naturalmente si
schermivano. Capirete che trovarsi appiattiti sotto la chiglia di
una scialuppa non è una posizione ideale, con una nave che può
affondare da un momento all'altro. 'Perché non ci va lei... lei -
il più forte?' guaì il piccolo macchinista. 'Gott-for dam! Sono
troppo grosso,' borbottò il capitano disperato. Era buffo da far
piangere gli angeli. Rimasero lì immobili un momento, e poi a un
tratto il capo macchinista si buttò contro Jim.
'Venga a aiutare, lei! E' matto a voler gettare via l'unica sua
speranza? Venga a aiutare, lei! lei! Guardi... guardi!'
E finalmente Jim guardò verso poppa dove l'altro indicava con
insistenza di maniaco. Vide un silenzioso tendone nero che s'era
già mangiato un terzo del cielo. Sapete come vengono su quei nembi
da quelle parti, in quella stagione. Prima si vede oscurarsi
appena appena l'orizzonte - niente altro; poi si alza una nuvola
opaca come un muro. Un orlo diritto di vapore sfrangiato da
luccicori lividi e giallastri monta da sudovest, ingoiandosi le
stelle a intere costellazioni; la sua ombra vola sulle acque, e
confonde mare e cielo in un unico abisso di oscurità. E tutto è
calmo. Né tuoni né vento né rumori; non un bagliore di lampi. Poi
nella tenebrosa immensità appare una cappa livida; una o due onde
lunghe, quasi il fiatare della stessa oscurità, passano veloci, e
improvvisamente vento e pioggia si abbattono insieme con
particolare impetuosità, come se avessero sfondato un ostacolo
solido. Una di codeste nuvole s'era levata senza che ci avessero
fatto caso. Ora la scorsero, si resero esattamente conto che, se
nella calma assoluta c'era qualche possibilità che la nave
restasse a galla ancora qualche minuto, non appena il mare si
fosse mosso le avrebbe dato subito il colpo di grazia. Il suo
primo sbandamento avanti il rompersi di uno di quei nembi sarebbe
stato anche l'ultimo, si sarebbe risolto in un tuffo, si sarebbe,
per così dire, prolungato in un lungo inabissarsi, giù giù, fino
in fondo. Donde quei loro scossoni di paura, quei nuovi gesti
buffoneschi con cui dimostravano che non eran disposti a morire.
'Era nera, nera,' continuava Jim con una calma tetra. 'Ci era
venuto su, sornione sornione alle spalle, quel dannato! In fondo
al cervello mi doveva essere rimasta un'ombra di speranza. Non so.
Ma ormai era finita. Mi esasperava di trovarmi preso così. Ero
furibondo di sentirmi in trappola. E c'ero in trappola! Mi ricordo
che la notte era calda, molto: non un soffio d'aria.'
Se ne ricordava così bene, che, ansimando sulla sua poltrona,
sembrava sudare e soffocare davanti ai miei occhi. Certo che il
nembo lo aveva esasperato: lo aveva messo a terra una seconda
volta, per modo di dire - ma gli aveva anche fatto tornare in
mente lo scopo importante che lo aveva spinto a precipizio sul
ponte e che lì poi gli era svanito subito dalla mente. Voleva
liberare le scialuppe di salvataggio. Tirò fuori il coltello e si
mise a dar di taglio come se non avesse veduto nulla, udito nulla,
e non conoscesse nessuno a bordo. Gli altri pensarono che gli
avesse dato di volta il cervello e che fosse matto senza rimedio,
ma non osarono protestare a voce alta contro quell'inutile perdita
di tempo. Quando ebbe terminato, tornò nel punto preciso da cui si
era mosso. Il capo macchinista era lì, pronto ad afferrarlo e a
sussurrargli, con la testa vicino alla sua, rabbiosamente, come se
volesse mordergli l'orecchio...
'Imbecille! E lei crede di avere un'ombra di probabilità di
salvarsi quando quel branco di bestie saranno nell'acqua? La
prenderanno a colpi in testa da codeste scialuppe.'
E si torceva le mani, accanto a Jim che non gli badava
menomanente. Il capitano continuava a battere i piedi borbottando:
'Martello! Martello! Mein Gott! andate a prendere un martello '
Il piccolo macchinista piagnucolava come un bambino, ma, con tutto
il suo braccio rotto, si dimostrò meno vigliacco degli altri,
pare; perché in realtà trovò tanto coraggio da correre
ubbidientemente nella sala macchine. Non è cosa da poco, a voler
esser giusti con lui, questa. Jim mi disse che lanciava occhiate
di disperazione come uno messo alle strette, aveva dato soltanto
un gemito sordo, e era corso via. Tornò immediatamente,
incespicando, col martello in mano, e senza fermarsi si gettò
sulla chiavarda. Gli altri abbandonarono subito Jim e corsero ad
aiutarlo. Jim udì i colpi del martello, e il rumore della zeppa
che cadeva. La scialuppa era libera. Soltanto allora si voltò a
guardare - soltanto allora. Ma mantenne le distanze... mantenne le
distanze. Desiderava farmi capire che manteneva le distanze; che
non c'era nulla in comune fra lui e quegli uomini... quelli del
martello. Assolutamente nulla. Molto probabilmente si sentiva
separato da loro da uno spazio insuperabile, da un abisso senza
fondo. Si teneva alla massima distanza da loro... l'intera
larghezza della nave.
Teneva i piedi abbarbicati in quel punto isolato e gli occhi fissi
sul gruppo indistinto di quegli uomini curvi che avevano strani
ondeggiamenti nell'angoscia collettiva della paura. Una lampada
portatile appesa a un sostegno sopra un tavolino messo sul ponte
di comando - il Patna non aveva una cabina di guardia a mezza nave
- gettava un po' di luce sulle loro spalle tese nello sforzo,
sull'oscillare delle loro schiene arcuate. Spingevano la scialuppa
da prua, la spingevano avanti nella notte; spingevano, e non si
curavano più di lui. Lo avevano lasciato perdere come se veramente
fosse stato tanto lontano e senza rimedio separato da loro, da non
meritare neanche un richiamo, uno sguardo, un cenno. Non avevano
tempo di voltarsi a osservare il suo eroismo passivo, di sentire
l'aculeo della sua astensione. La scialuppa era pesante; la
spingevano da prua senza che avanzasse fiato per una parola
d'incitamento; ma l'orgasmo di terrore che aveva disperso il loro
coraggio come pula al vento, trasformava i loro sforzi disperati
in una specie di farsa. Una vera farsa da pagliacci in un circo.
Spingevano con le mani, con la testa, spingevano disperatamente
con tutto il peso del corpo, spingevano con tutta la forza della
loro anima - se non che, appena riuscivano con la prua a
oltrepassare la gru, smettevano tutti come un sol uomo, si
arrampicavano per gettarsi come matti nella barca. La scialuppa,
manco a dirlo, tornava indietro di colpo, rigettandoli a terra
senza rimedio, e ammucchiandoli uno contro l'altro. Per un poco
rimanevano lì intontiti, scambiandosi in un feroce brontolìo gli
epiteti più infamanti che venivano loro alla bocca, e poi
riprendevano da capo. Per tre volte si ripeté la scena. Jim me la
descriveva con una tetra precisione. Non un gesto gli era sfuggito
di quella scena comica. 'Li odiavo. Li aborrivo. E ho dovuto
vedere tutto questo,' disse senza enfasi, volgendosi verso di me
con uno sguardo cupo e sospettoso. 'Ci fu mai nessuno messo a più
vergognosa prova?'
Si prese la testa fra le mani per un momento, come uno uscito di
senno per qualche indicibile offesa. Queste cose non poteva
spiegarle al tribunale - e nemmeno a me; ma sarei stato poco degno
di ricevere le sue confidenze se non avessi saputo ogni tanto
capire anche le pause tra le parole. In questo assalto contro la
sua forza d'animo c'era l'intenzione beffarda di una vendetta vile
e maligna; c'era qualcosa di buffonesco nella prova a cui era
sottoposto... qualcosa di degradante nelle comiche smorfie che
accompagnavano l'avvicinarsi della morte o del disonore.
Mi riferì fatti che non ho dimenticati, ma a tanta distanza di
tempo non potrei rammentarmi le sue precise parole; ricordo
soltanto che riuscì magnificamente col nudo racconto degli
avvenimenti a manifestare il rancore che covava nell'animo. Due
volte, mi disse, aveva chiuso gli occhi nella certezza che fosse
scoccata la sua ultima ora, e due volte ebbe a riaprirli. Ogni
volta notò più oscurità nella grande calma. L'ombra della nuvola
silenziosa, che cadeva ormai a perpendìcolo sulla nave, sembrava
aver estinto ogni suono in quella sua vita formicolante. Non si
sentiva più una voce sotto i tendoni. Mi disse che ogni qual volta
aveva chiuso gli occhi un lampo di pensiero gli aveva mostrato,
chiaro come il sole, quella folla di corpi distesi, pronti per la
morte. Quando li riapriva, vedeva la lotta confusa e caparbia dei
quattro uomini che si accanivano come matti intorno alla barca. Di
quando in quando arretravano, e si mettevano a inveire uno contro
l'altro, per poi precipitarsi avanti di nuovo tutti in una
volta... 'C'era da morir dal ridere,' commentò a occhi bassi: poi,
alzandomeli in viso un momento con un sorriso malinconico: 'Dovrei
avere un avvenire allegro, perché, per Dio! quel buffo spettacolo
lo avrò davanti agli occhi un bel po' di volte prima di morire.'
Abbassò gli occhi di nuovo. 'Negli occhi e nelle orecchie... negli
occhi e nelle orecchie...' disse due volte, con un lungo
intervallo pieno di uno sguardo assorto.
Si riscosse.
'Mi ero imposto di tener gli occhi chiusi,' riprese, 'ma non mi
riuscì. Non mi riuscì, e non m'importa che si sappia. Si provino a
passare per certe esperienze, prima di parlare. Si provi... e a
far meglio:... ecco tutto. La seconda volta le palpebre mi si
aprirono di colpo, e anche la bocca. Avevo sentito muover la nave.
S'era abbassata un poco di prua - per risollevarsi pian piano -
lenta... lenta un'eternità e appena appena. Da giorni e giorni non
faceva così. La nuvola era trascorsa, e questa prima onda lunga
sembrava avanzare su un mare di piombo. Non c'era vita in quel
movimento. Eppure bastò a sconvolgere qualcosa nella mia testa.
Che avrebbe fatto lei? E' sicuro di sé, no? Ma che farebbe se
sentisse ora, sul momento, muoversi la casa, qui, muoversi appena
d'un tantino, sotto la sua poltrona? Un salto! Un salto -
perdiana! - da qui dove è seduto fino a quel gruppo di cespugli
laggiù.'
Tese il braccio verso la notte oltre la balaustra di pietra.
Tacqui. Mi guardava con occhi fermi, severi. Non c'era dubbio, mi
trovavo io, ora, a mal punto e mi conveniva non dar segno né con
un gesto né con una parola che mi mettesse a rischio di venir
trascinato a qualche fatale ammissione in rapporto con quella
faccenda. Non ero affatto disposto a correre un rischio del
genere. Non dimenticate che Jim io me lo trovavo di fronte, e che,
realmente, era troppo dei nostri per non riuscire pericoloso. Non
ho vergogna a dirvi - se volete saperlo - che con un rapido
sguardo scandagliai la distanza che mi separava da quella massa
d'ombra più densa che spiccava nel mezzo dell'aiuola, davanti alla
veranda. Aveva esagerato. Con un salto non sarei mai arrivato
tanto lontano... ed è l'unica cosa di cui sono piuttosto sicuro.
Il momento estremo era giunto - pensava - ma non si mosse. I piedi
gli rimanevano abbarbicati al piancito, è i pensieri gli
turbinavano nella testa. In quel momento vide uno degli uomini
intorno alla scialuppa arretrare improvvisamente di un passo,
batter l'aria con le braccia alzate, barcollare e accasciarsi.
Non proprio caduto, ma scivolato dolcemente a sedere, tutto
raggomitolato, e con le spalle appoggiate al fianco del lucernario
della sala macchine. 'Era il fuochista. Un tipo macilento,
pallido, con baffi ispidi. Fungeva da terzo macchinista,' spiegò.
'Morto,' dissi. Ne avevamo sentito accennare in tribunale.
'Così dicono,' pronunciò con cupa indifferenza. 'In verità non
l'ho capito allora. Malato di cuore. Si lamentava, da qualche
tempo, di non sentirsi molto in gamba. L'eccitazione. Lo sforzo.
Lo sa il diavolo. Ah! ah! ah! Si vedeva bene che neanche lui
voleva morire. Buffo, no? Che io possa morire ammazzato se non
l'avevano trascinato ad uccidersi! Trascinato... né più né meno.
Trascinato, perdiana! Proprio come me... Ah! Se non si fosse
mosso! se avesse detto a quei tre di andare all'inferno quando
erano corsi a strapparlo dalla cuccetta perché la nave stava
affondando! Se si fosse tenuto da parte con le mani in tasca e
glie ne avesse dette quattro!'
Si alzò, agitò il pugno, mi guardò con occhi di fuoco, e si rimise
a sedere.
'Un'occasione perduta, eh?' mormorai.
'Perché non ride?' fece. 'Uno scherzo combinato nell'inferno.
Debolezza di cuore!... Qualche volta vorrei averla avuta anch'io,
la debolezza di cuore!'
Questo mi irritò. 'Davvero?' esclamai con profonda ironia. 'Sì!
Non lo capisce?', gridò. 'Non so che altro avrebbe potuto
desiderare, lei,' ribattei con ira. Mi guardò con aria di assoluta
incomprensione. Anche questa freccia non era andata a segno, ed
egli non era tipo da preoccuparsi di frecce sperdute. Parola mia,
era troppo poco sospettoso; non era un giuoco leale. Fui contento
di avere sprecato il mio dardo... che lui non avesse udito nemmeno
la vibrazione dell'arco.
Di certo, allora, non poteva sapere che quell'uomo era morto. Il
minuto seguente - il suo ultimo a bordo - fu pieno d'un tumulto di
casi e di sensazioni che gli si rovesciarono addosso come il mare
su uno scoglio. Adopro di proposito questo paragone perché dal suo
racconto debbo credere che abbia mantenuto per tutto lo svolgersi
di questi avvenimenti una strana illusione di passività, come se
non fosse stato lui l'agente, ma uno strumento nelle mani di
potenze infernali che lo avevano scelto a vittima del loro scherzo
diabolico. La prima cosa di cui riebbe coscienza fu lo stridore
delle pesanti gru che si misero finalmente in moto oscillando...
uno stridore pungente che parve propagarglisi in corpo dal ponte
attraverso le piante dei piedi, e su su lungo la spina dorsale
fino alla sommità del capo. Allora, nell'imminenza del nembo ora
vicinissimo, un'onda più alta sollevò lo scafo inerte a una
altezza paurosa che gli tolse il respiro, mentre grida di terrore
come pugnalate gli passavano cuore e cervello. 'Molla! per amor di
Dio, molla! Molla! Va giù.' Subito dopo le cime di sostegno
scorsero nei bozzelli e molti uomini sotto i tendoni si diedero a
parlare con voce spaventata. 'Quegli sciagurati, perduto ogni
ritegno, cominciarono a strillare che avrebbero svegliato un
morto,' disse. Poi, dopo il colpo e lo sciacquìo della scialuppa
messa di peso in acqua, sentì rumori sordi e lo scalpiccìo di
quelli che si buttavano nella scialuppa, in una confusione di
grida: 'Scoccia! Scoccia! Spingi! Scoccia! Spingi per amor di Dio!
Ecco, il nembo ci viene addosso!...' Udì, alto sopra il suo capo,
il lieve sussurro del vento; e, sotto i piedi, un grido di dolore.
Una voce sperduta da sottobordo si alzò a bestemmiare contro una
gaffa. La nave cominciò a ronzare da poppa a prua come un'arnia
infastidita; e, con la stessa calma con cui mi aveva raccontato
tutto questo perché in quel momento era calmo nell'atteggiamento,
nel volto, nella voce - Jim soggiunse, per così dire, senza
preavviso: 'Inciampai nelle sue gambe.'
Era il primo accenno al fatto di essersi mosso. Non potei
trattenere un segno di sorpresa. Qualcosa lo aveva finalmente
fatto muovere, ma quando esattamente, e per qual motivo si fosse
distolto dalla sua immobilità, egli non sapeva più di quanto un
albero sradicato ne sappia del vento che lo ha buttato a terra. Ai
suoi sensi erano arrivati i suoni, le immagini, I'urto contro le
gambe del morto... perdiana! Lo scherzo diabolico gli era stato
ficcato in gola da una potenza infernale, ma - badate non avrebbe
mai ammesso di aver consentito, lui, con un pur minimo movimento
di deglutizione. E' straordinario come riusciva a trascinarvi
nella sua illusione. Lo ascoltavo come si ascolta una storia di
magìa nera operata su un cadavere.
'Cadde piano piano di fianco; e questa è l'ultima cosa che mi
rammento di aver veduta a bordo,' continuò. 'Di quel che facesse
non mi curavo. Sembrava volesse tirarsi su, e mi parve naturale.
Mi aspettavo di vedermelo correre davanti a buttarsi di là dai
bastingaggi, nella scialuppa, dietro agli altri che sentivo
urtarsi di qua e di là, lì sotto, e una voce che sembrava venire
dal fondo di un pozzo chiamò: - Giorgio! - Poi tre voci urlarono
contemporaneamente. Ma mi arrivarono ben distinte: un belato, uno
strillo, un guaìto. Puah!'
Ebbe un brivido, e lo vidi alzarsi lentamente in piedi, come se
una mano ferrea lo avesse tirato su dalla poltrona per i capelli.
Su, lento - quanto era alto; e quando le ginocchia si furono tese,
quella mano lo lasciò, ed egli vacillò un poco. C'era un tal senso
di paurosa immobilità nel suo volto, nei suoi movimenti, perfino
nella sua voce quando disse 'urlarono' che involontariamente tesi
le orecchie per ascoltare il fantasma di quel grido che tra poco
avrei certamente udito in quell'effetto di illusorio silenzio.
'C'erano ottocento persone sulla nave,' disse Jim, inchiodandomi
contro lo schienale della poltrona col suo terribile sguardo
vuoto. 'Ottocento persone vive: e loro urlavano a quell'unico
morto di buttarsi giù e di salvarsi. Salta, Giorgio! Salta! Oh!
Salta! - Io stavo lì, con la mano sulla gru. Ero molto calmo.
S'era fatto buio come la pece. Non si vedeva né cielo né mare. Per
un momento non udii più che la scialuppa sbattere, sbattere
sottobordo, contro lo scafo, mentre la nave sotto di me era piena
di brusìo. A un tratto il capitano urlò: - Mein Gott! Il nembo! il
nembo! Tiriamoci fuori! - Col primo fischio di pioggia e la prima
raffica di vento gridarono: Salta, Giorgio! Ti prendiamo noi!
Salta! - La nave beccheggiò lentamente; la pioggia la spazzava
come colpi di mare, il berretto mi volò via; il vento mi
ricacciava in gola il respiro. Come dall'alto di una torre udii un
ultimo grido selvaggio: Giooorgio! Oh, salta! - La nave stava
affondando, affondando sotto i miei piedi... a cominciar dalla
prua.'
Si portò deliberatamente una mano al viso, muovendo le dita come
per togliersi delle ragnatele che gli dessero fastidio; poi si
guardò per un attimo la palma aperta prima di sputar fuori le
parole:
'Mi ero buttato giù...' S'interruppe, volse gli occhi... 'Pare,'
soggiunse.
I suoi occhi celesti si volsero verso di me con uno sguardo
penoso, e vedendolo lì, in piedi davanti a me, confuso e accorato,
mi sentii oppresso da un senso triste di rassegnata saggezza,
misto alla pietà distaccata e profonda di un vecchio, impotente
davanti al malestro fatto da un bambino.
'Già, sembrerebbe,' borbottai.
"Non me ne accorsi finché non guardai in su", spiegò in fretta. E
anche questo è possibile. Bisognava starlo a sentire, come un
ragazzetto nei guai. Non se n'era accorto. La cosa era andata
così... ma non sarebbe mai più successo. Era cascato quasi addosso
a uno, di traverso, su un banco. Ebbe l'impressione di essersi
sfondato tutto il costato sinistro: poi rotolò, e vide
confusamente sopra di lui la nave che aveva abbandonata, con il
fanale rosso di fianco che nella pioggia sembrava più grande, come
un fuoco in cima a una collina visto attraverso la nebbia.
'Sembrava più alta di un muro; dominava la scialuppa come una
rupe... Desiderai di morire,' gridò. 'Non c'era modo di tornare
indietro. Era come se mi fossi buttato in un pozzo... in un buco
fondo senza fine.'".
CAPITOLO 10.
"Intrecciò le dita, poi le disciolse con uno strappo. Non c'era
nulla di più vero: era saltato proprio in un buco fondo senza
fine. Era caduto da un'altezza che mai più avrebbe potuto scalare.
Frattanto la scialuppa alla deriva aveva sorpassato la prua. Era
troppo buio in quel momento perché potessero vedersi i quattro
uomini, accecati, per di più, e mezzo affogati dalla pioggia. Mi
disse che era come se fossero stati trascinati da un'inondazione
attraverso una caverna. Voltavano le spalle al nembo; il capitano,
pare, aveva messo fuori un remo da poppa per mantenere la barca
prua a vento, e per due o tre minuti fu un finimondo con quel
diluvio in un'oscurità di pece. Il mare fischiava 'come ventimila
pentole.' Il paragone è suo, non mio. Immagino non ci fosse più
molto vento, dopo quella prima raffica; e lui stesso aveva
ammesso, all'inchiesta, che il mare non era cresciuto gran che
durante la notte. Si accoccolò a prua guatandosi alle spalle. Vide
un'unica luce gialla: quella del fanale a riva dell'albero
maestro, alto e incerto come un'ultima stella sul punto di
spegnersi. 'Mi fece drizzare i capelli, a vederlo ancora lì,'
disse. Questo disse. Ciò che lo empì di terrore fu l'idea che la
nave non fosse ancora affondata. Senza dubbio desiderava che
quell'abominio fosse finito al più presto possibile. Nessuno
fiatava nella scialuppa. Nell'oscurità la barca sembrava volare,
ma naturalmente non doveva far molta strada. Poi l'acquazzone
passò oltre, veloce; e il vasto sibilo che li ossessionava la
seguì allontanandosi, e si spense. Non si udiva altro che un
leggero sciabordare lungo i fianchi della barca. Uno batteva forte
i denti. Una mano toccò la schiena di Jim. Una voce fioca disse:
'Ci sei?' Un'altra, tremula, esclamò: 'Se n'è andata!' e tutti
insieme si alzarono in piedi a guardare verso poppa. Non si vedeva
più il fanale. Tutto buio. Una pioggerella fredda e sottile
batteva le facce. La barca rollò leggermente. I denti batterono
più in fretta, poi più nulla, poi ricominciarono due volte a
battere prima che l'uomo riuscisse a dominare il proprio tremito
tanto da dire: 'G... g... g... Giusto in t... t... t... tempo...
Brrr.' Jim riconobbe la voce del primo macchinista che diceva in
tono burbero: 'L'ho vista affondare. Mi sono voltato per caso.' Il
vento era caduto quasi del tutto.
Scrutavano l'oscurità stando rivolti contro vento, come in attesa
di udire delle grida. Da principio si sentì grato alla notte di
avergli nascosto alla vista la scena; ma poi il fatto che tutto
era accaduto senza che egli avesse visto né udito nulla gli parve
in qualche modo il punto saliente di un'orribile disgrazia.
'Strano, vero?' mormorò, interrompendosi nella sua saltuaria
narrazione.
A me non parve tanto strano. Doveva aver avuto una inconsapevole
convinzione che la realtà non avrebbe potuto essere neanche
lontanamente brutta, angosciosa, spaventosa e crudele quanto il
terrore creato dalla sua immaginazione. Sono sicuro che, in quel
primo momento, il suo cuore dovette essere dilaniato da tutta
intera la sofferenza, la sua anima aver assaporato il cumulo di
paura, di orrore, di disperazione di quegli ottocento esseri umani
afferrati in piena notte da una morte subitanea e violenta; se no,
perché avrebbe detto: 'Mi pareva di dover saltar giù da quella
maledetta barca, per tornar indietro a nuoto a vedere... Un mezzo
miglio... di più... qualunque distanza... fino al punto
preciso...?' Perché questo impulso? Ne capite il significato?
Perché indietro, nel punto preciso? Perché non affogarsi lì vicino
alla barca - se intendeva affogarsi - perché tornare nel punto
preciso, a vedere... come se la sua immaginazione avesse avuto
bisogno di placarsi nella certezza che tutto era finito prima di
cercare una liberazione nella morte? Sfido chiunque di voi a
trovare un'altra spiegazione. Era, attraverso la nebbia, uno di
quei bizzarri e commoventi barlumi che vi ho detto. Una
rivelazione straordinaria: egli la buttò fuori come la cosa più
naturale del mondo. Aveva soffocato quell'impulso; poi si rese
conto del silenzio intorno. Me ne accennò. Silenzio del mare, del
cielo, fusi in una unica immensità indefinibile, ferma come la
morte, intorno a quelle vite salve, palpitanti. 'Si sarebbe
sentito cadere uno spillo, in quella barca,' disse con una strana
contrazione delle labbra, come un uomo che si sforzi di dominare
la propria sensibilità mentre racconta un fatto di una estrema
commozione. Il silenzio! Soltanto Iddio, che aveva voluto Jim così
com'era, sapeva che cosa significava quel silenzio per il suo
cuore. 'Non credevo che al mondo ci fosse un luogo così cheto,'
disse. 'Non si distingueva il mare dal cielo: non si vedeva, non
si sentiva nulla. Non una luce, non una forma, non un suono. Si
sarebbe detto che la terraferma fosse sprofondata tutta fino
all'ultima zolla; che tutti gli uomini della terra, eccetto quei
tali della scialuppa e io, fossero affogati.' Si curvò sulla
tavola con le nocche delle mani puntate tra le tazzine da caffè, i
bicchierini da liquore, le cicche di sigarette. 'Mi pareva di
crederlo davvero. Tutto scomparso, e... tutto finito...' sospirò
profondamente... 'per me.'".
Marlow si drizzò di colpo sulla sedia, e gettò via con forza il
sigaro che seguì una traiettoria rossa, come un razzo da bambini
lanciato attraverso il drappeggio dei rampicanti. Nessuno si
mosse.
"Ehi, che ve ne pare?" esclamò con improvvisa vivacità. "Era in
linea con se stesso, no? La sua vita salvata era perduta perché
gli mancava la terra sotto i piedi, gli mancava la vista per gli
occhi, gli mancavano voci per le sue orecchie. Annichilimento..
ehi! E sempre soltanto il cielo torbido, la bonaccia senza
frangenti, e un'aria senza moto. Nient'altro che la notte;
nient'altro che il silenzio.
"Così durò per un poco; poi improvvisamente gli altri tre si
misero a schiamazzare sul loro salvataggio. 'Lo sapevo fin dal
primo momento che sarebbe andata giù.' 'In tempo in tempo.'
'Scampati proprio per un pelo, porca miseria!' Lui non disse
nulla, ma la brezza che era caduta riprese, una bava di vento
venne rinfrescando gradatamente, e il mare unì il suo mormorio a
quello schiamazzo di reazione dopo i primi istanti di muto
spavento. Sparita! Sparita! Non c'era dubbio. Nessuno avrebbe
potuto farci niente. Ripetevano le medesime parole, sempre quelle,
come se non potessero farne a meno. Non avevano mai dubitato che
sarebbe andata giù. I fanali erano scomparsi. Non c'era da
sbagliare. I fanali erano scomparsi. Non c'era da aspettarsi
altro. Doveva andar giù per forza... Notò che parlavano come se si
fossero lasciati dietro una nave vuota. Conclusero che doveva
averci messo poco, una volta che aveva cominciato ad affondare.
Ciò sembrava procurar loro una specie di soddisfazione. Si
rassicuravano l'uno con l'altro: doveva averci messo poco...
'Calata giù come un ferro da stiro.' Il primo macchinista dichiarò
che il fanale a riva dell'albero maestro, al momento d'affondare,
era precipitato 'come a buttar via un fiammifero acceso.' A queste
parole, il secondo macchinista scoppiò in una risata isterica.
'Sono c-c-contento, sono c-c-contento.' I suoi denti continuavano
a battere 'come una raganella,' disse Jim, 'e tutto a un tratto si
mise a piangere. Piangeva e frignava come un bambino, tirando il
fiato e singhiozzando: - Oh, Dio! Oh Dio! Oh Dio! - Si
interrompeva per un po', e poi ricominciava tutto a un tratto: -
Oh il mio povero braccio! Oh, il mio povero bra-a-accio -. Lo
avrei picchiato. Qualcuno sedeva sul cordame di poppa. Potevo
appena intravvedere le loro ombre. Mi arrivavano voci, borbottii,
mugolii, grugniti. Tutto questo era difficile da sopportarsi.
Avevo anche freddo. E non potevo far nulla. Mi pareva che se mi
fossi mosso avrei finito col gettarmi in acqua e...'
Poiché con la mano brancicava a caso, venne a contatto con un
bicchierino da liquore, e la ritrasse di colpo, come se avesse
toccato un carbone acceso. Gli avvicinai un poco la bottiglia.
'Non ne vuole un altro po'?' domandai. Mi lanciò un'occhiata
rabbiosa. 'Crede che io non possa dirle quello che c'è da dire
senza farmi ubriacare?' domandò. Il gruppo di globe-trotters era
andato a letto.
Eravamo rimasti soli; c'era soltanto un'incerta forma bianca,
dritta nell'ombra, che, quando si sentì guardata, si sporse in
avanti, esitò, e si allontanò in silenzio. Si faceva tardi, ma non
diedi fretta al mio ospite.
Nella sua desolazione sentì i compagni inveire contro qualcuno.
'Che aspettavi a saltar giù, pezzo di scemo?' gridò una voce
aspra. Il primo macchinista scese dal cordame di poppa e avanzò
incespicando come mosso da intenzioni ostili contro "il più grande
imbecille del mondo". Il capitano, dal suo posto dove era seduto
reggendo il remo, con voce rauca, sforzata, lanciava insulti. Jim
a questo berciare alzò la testa e sentì chiamare: 'Giorgio!'
mentre una mano nel buio lo colpiva al petto. 'Avanti! Che hai da
dire, stupido?' domandò qualcuno, con una rabbia che ricordava
quella della virtù offesa. 'Ce l'avevano con me,' disse. 'Mi
insultavano - mi insultavano - continuando a chiamarmi Giorgio.'
S'interruppe per fissare il vuoto, cercò di sorridere, volse gli
occhi e riprese: 'Quel mezz'uomo del sotto capo macchinista ecco
che mi mette la testa sotto al naso. - Ma è quel maledetto
ufficiale in seconda! - Come? - urla il capitano dall'altra
estremità della scialuppa. - Ma no! - grida il capo. E anche lui
si chinò per guardarmi in faccia.'
Il vento s'era improvvisamente calmato. Ricominciò a piovere, e si
udì nella notte tutto intorno il suono dolce, ininterrotto, un
poco misterioso dell'acquazzone sul mare. 'Lì per lì non dissero
altro tanto erano sbalorditi,' proseguì con voce ferma; 'e io che
potevo dire?' La voce gli mancò un momento; poi, con uno sforzo,
riprese a dire: 'Mi ricopersero degli insulti più ignominiosi.' La
sua voce, che s'era venuta spegnendo, a tratti si riaccendeva
all'improvviso, indurita dalla violenza del suo disprezzo, come se
stesse svelando qualche segreto abominio. 'Non mi facevano niente
con i loro improperi,' disse a muso duro. 'Si sentiva l'odio nelle
loro parole. Per fortuna. Non potevano perdonarmi di essere lì in
quella barca. L'idea li rivoltava; eran furibondi...' Ebbe un
breve riso... 'Ma fu proprio questo a trattenermi da... Guardi!
Sedevo a braccia conserte sul bordo!...' Si sedette addirittura
sull'orlo del tavolino, a braccia conserte... 'Così... vede? Una
spintina e sarei andato... a raggiungere gli altri. Una
spintina... da niente... appena appena...' Aggrottò le
sopracciglia, e battendosi in fronte la punta del medio: 'C'era da
un pezzo, qui,' disse in tono solenne. 'Da un pezzo - quel
pensiero. E la pioggia... fredda, fitta, fredda come neve
sciolta... più fredda... sui miei vestiti leggeri di cotone... non
avrò mai più tanto freddo in vita mia, lo so. E il cielo era
nero..., tutto nero. Non una stella, non una luce da nessuna
parte. Nulla fuorché quella maledetta barca e quei due che mi
abbaiavano addosso come una coppia di botoli ringhiosi che
incalzano un ladro. Bau! Bau! Che fai qui? Bel genere! Troppo
delicato il signore per dare una mano. E s'è svegliato, eh? Per
intrufolarsi qua con noi! Vero? Bau! Bau! Non è degno di stare al
mondo! Bau! Bau! Due alla volta, e cercando di abbaiare uno più
forte dell'altro. E il terzo latrava da poppa attraverso la
pioggia... non potevo capire le sue sudicie parolacce. Uà! uà!
Bauau-au-au-au. Uà! uà! Bau! Bau! Era un dolce sentire; mi legava
alla vita... le dico. Ci si misero d'impegno, come se volessero
gettarmi in mare a forza di berci!... Mi meraviglio che abbia
avuto il fegato di buttarsi di sotto. Non ce lo vogliamo qui. Se
avessi saputo che era lei, l'avrei scaraventato fuori bordo...
coniglio che non è altro! Che ne ha fatto del nostro compagno?
Dove ha trovato tanto fegato da buttarsi di sotto?... vigliacco!
Chi c'impedisce a noi tre di cacciarla in mare? Non avevan più
fiato; l'acquazzone dileguò sul mare. Poi più nulla. Nulla intorno
alla barca, nemmeno un rumore. Avrebbero voluto vedermi in mare,
eh? Perdio! Credo che il loro desiderio sarebbe stato soddisfatto
senz'altro, se fossero rimasti tranquilli. Gettarmi fuori bordo!
Davvero? - Provateci, dissi. - Per due soldi lo faccio -. -Troppo,
per lei! urlarono tutti insieme. Era così buio che soltanto quando
l'uno o l'altro si muoveva ero proprio sicuro di vederlo.
Perdiana! Magari ci avessero provato!'
Non potei trattenermi dall'esclamare: 'Straordinario!'
'Non c'è male... eh?' disse con una cert'aria stupita. 'Fecero
finta di credere che quel fuochista, per qualche motivo, l'avessi
levato di mezzo. Perché lo avrei fatto? E come diavolo potevo
sapere? Non c'ero comunque arrivato in quella barca? in quella
barca... io...' I muscoli della bocca gli si contrassero in una
smorfia involontaria sotto la maschera della sua espressione
abituale... un segno violento, istantaneo, rivelatore come il zig-
zag d'un lampo che apra all'occhio per un attimo la segreta
geografia di una nuvola. 'C'ero: c'ero evidentemente lì con
loro... no? Non è terribile che un uomo possa essere trascinato a
fare una cosa in quel modo... e ne debba poi rispondere? Che ne
sapevo di quel Giorgio di cui stavano berciando? Ricordavo di
averlo veduto sul ponte raggomitolato su se stesso. - Vigliacco
assassino! - continuava a gridarmi il capo-macchinista. Sembrava
incapace di ricordare altre parole che quelle due. Non me
n'importava niente, a me, ma il baccano che faceva, quello sì
cominciava a seccarmi. - Falla finita! - dissi. Allora raccolse
tutte le sue forze per urlare da maledetto: - Lei l'ha ucciso! Lei
l'ha ucciso! - No! gridai, ma ammazzerò te se séguiti -. Balzai in
piedi, e lui cadde riverso sul banco con un tonfo pauroso. Non so
come. Troppo buio. Forse, nel tentativo di tirarsi indietro.
Cercai di guardar bene da poppavia dove quel mezzo uomo del
secondo macchinista si sentiva ora piagnucolare: - Avrebbe il
coraggio, lei, di mettersi con un disgraziato che ha un braccio
rotto... e poi dice di essere un gentiluomo...- Sentii un passo
pesante... uno... due... e un gorgoglio asmatico. Era l'altro
bestione, che mi serrava addosso, sbattendo il suo remo sulla
poppa. Lo vidi venire avanti, grande, grande... come si vede un
uomo nella nebbia, o in sogno.- Fatti avanti -, gridai. Gli sarei
piombato addosso come una valanga. Si fermò, brontolò qualche
cosa, e tornò indietro. Forse aveva sentito il vento. Io no. Fu
l'ultima raffica greve che ci investì. E fece ritorno al suo remo.
Peccato! Mi sarebbe piaciuto di... di...'.
Aprì e richiuse le dita adunche; le sue mani ebbero un fremito
d'impazienza feroce. 'Calma, calma,' mormorai.
'Eh? Come? Sono calmo" protestò, terribilmente offeso; e con uno
scatto convulso del gomito rovesciò la bottiglia del cognac. Feci
un balzo, tirandomi dietro la poltrona. Scattò giù dal tavolo come
se una mina gli fosse esplosa alle spalle, e, fatto un mezzo giro
prima di toccar terra, restò accoccolato sul pavimento con occhi
atterriti e un orlo di pallore intorno alle narici. Poi ebbe uno
sguardo d'intenso fastidio. "Sono mortificatissimo. Che sventato!'
borbottò tutto indispettito, mentre nella pura, fresca oscurità
della notte l'odore pungente dell'alcool spanto ci avviluppò
tutt'a un tratto in una avvinazzata atmosfera da bettola. Nella
sala da pranzo erano state spente le luci; la nostra candela
ardeva solitaria per tutta la lunghezza della galleria, e le
colonne s'erano fatte nere dal basamento al capitello. Contro le
stelle vivide, lo spigolo superiore della Capitaneria di Porto
spiccava distintamente di là dal piazzale, come se quella massa
oscura fosse scivolata avanti, avvicinandosi a noi per meglio
vederci e ascoltarci.
Affettò un'aria d'indifferenza.
'Oserei dire di esser meno calmo adesso che allora. Ero pronto a
tutto. Quelle mi sembravano piccolezze...'
'Lei se la deve essere spassata in quella scialuppa', osservai.
'Ero pronto,' ripeté. 'Scomparsi i fanali del piroscafo, qualunque
cosa sarebbe potuta succedere nella barca - qualunque cosa al
mondo - che nessuno ne avrebbe mai saputo niente. Questo lo
sentivo, e mi faceva piacere. C'era anche un discreto buio.
Eravamo come uomini murati alla rinfusa in una tomba capace.
Nessun rapporto con nessuna cosa al mondo. Tutto senza importanza'
Per la terza volta nel corso di quella conversazione rise amaro,
ma non c'era nessuno lì in giro che potesse crederlo ubriaco. 'Né
paure, né leggi, né rumori, né sguardi - nemmeno i nostri... fino
almeno alla levata del sole.'
Fui colpito dalla suggestione di verità che nasceva dalle sue
parole. Una barchetta in mezzo al mare immenso dà una sua
particolare sensazione. Sulle vite sottratte all'ombra della morte
sembra incombere l'ombra della pazzia. Perdendo la vostra nave, vi
sembra di perdere tutto il vostro mondo: il mondo che vi ha fatti,
vi ha tenuti a freno, che si è preso cura di voi. Come se le anime
degli uomini, a galla sull'abisso e in contatto con l'immensità,
fossero libere di oltrepassare ogni limite di eroismo, di
assurdità, o di abominio. Naturalmente, anche per i naufragi, come
per la fede, per il pensiero, l'amore, l'odio, le convinzioni e
perfino per l'aspetto visibile delle cose materiali, tanti sono i
casi quanti sono i tipi di uomini; e in questo qui c'era qualcosa
d'abietto che rendeva più completo l'isolamento; c'era nelle sue
contingenze una bruttura che tagliava fuori nel modo più preciso
quegli uomini da tutta quella parte di umanità, il cui ideale del
costume non era mai stato sottoposto alla prova di uno scherzo
così diabolico e spaventoso. Erano esasperati contro di lui che
ritenevano uno scroccone vile; e lui li gratificava d'un odio
globale, per tutta quella faccenda: avrebbe voluto trar su di loro
una vendetta esemplare per l'odiosa occasione che gli avevano
fornito. Servitevi di una barca in alto mare per far emergere
l'Irrazionale che si annida in fondo a ogni nostro pensiero, e
sentimento, e sensazione o emozione. Fu ancora un segno della
meschinità buffonesca insita in quel particolare sinistro nautico,
il fatto che i naufragi non arrivarono a scazzottarsi. Tutto si
limitò a minacce, a una finzione terribilmente efficace; una
commedia dal principio alla fine, preparata dal supremo scherno
delle Potenze Oscure i cui terrori reali, sempre sull'orlo del
trionfo, restano perpetuamente smontati dalla costanza degli
uomini. Domandai, dopo una breve pausa d'attesa: 'Beh, che
accadde?' Futile domanda. Troppe già ne sapevo per poter sperare
la grazia che tutto avesse a riscattarsi con un sol tocco:
l'attenuante di un sospetto di pazzia, di un'ombra di orrore.
'Nulla,' disse. 'Io facevo sul serio, ma loro facevano solo per
chiasso. Non accadde nulla.'
E l'alba lo trovò esattamente come quando era saltato sulla prua
della scialuppa: pronto in attesa. Che costanza! Se n'era stato
tutta la notte con in mano la barra del timone. Il timone l'avevan
perso in mare nel tentativo di gettarlo a bordo, e, probabilmente,
un calcio aveva buttato la barra verso prua mentre correvano su e
giù per la scialuppa cercando di far mille cose in una volta nella
fretta di allontanarsi dalla nave. Era un pezzo di legno duro,
lungo e pesante: deve esserselo tenuto stretto in pugno per circa
sei ore. Se non si chiama questo essere pronti! Ve lo figurate?
Taciturno, in piedi per metà della notte, faccia alle raffiche di
pioggia, fissi gli occhi su quelle forme d'ombra, attento a ogni
cenno di movimento, con le orecchie tese per afferrare i mormorii
sommessi che venivano dalla poppa! Saldezza di coraggio, o sforzo
di paura? Che vi pare? Innegabilmente, anche capacità di
sopportazione. Sei ore più o meno sulla difensiva; sei ore di
immobilità guardinga, mentre la barca o avanzava lenta o fluttuava
immobile a capriccio del vento; mentre il mare, ora in bonaccia
finalmente, dormiva sorvolato dalla nuvolaglia; mentre il cielo da
un'immensità di opaco e di nero si delimitava in una volta scura e
traslucida cosparsa di un più lucente scintillìo, sfumava verso
levante, sbiadita allo zenith; e quelle ombre oscure, che là da
poppa nascondevano alla vista le stelle basse, prendendo a poco a
poco rilievo e contorno, diventavano spalle, teste, facce,
fattezze; là di fronte a lui, con sguardi fissi e tetri; capelli
scomposti, abiti strappati, le palpebre arrossate e inquiete nel
pallore dell'alba. 'Sembrava gente che avesse sguazzato per le
pozzanghere della strada, in un'ubriachezza di sette giorni,'
disse con un'immagine visiva; e poi borbottando ricordò quella
levata di sole come una di quelle che annunciano una bella
giornata. Conoscete l'abitudine dei marinai di riferirsi al tempo
che fa a proposito di tutto. E a me bastarono quelle poche parole
smozzicate a mostrarmi al vivo l'orlo inferiore del disco solare
staccarsi dalla linea dell'orizzonte, e il fremito di una larga
increspatura scorrere a vista d'occhio su tutta la stesa del mare,
come se le acque avessero rabbrividito nel partorire il globo di
luce, mentre l'ultimo soffio di brezza moveva I'aria in un sospiro
di sollievo.
'Stavano seduti a poppa, spalla contro spalla, col capitano nel
mezzo, come tre brutti gufi, e mi fissavano,' disse con un accento
d'odio che versava un tossico erosivo in quelle parole banali,
come versare una goccia di potente veleno in un bicchier d'acqua;
ma il mio pensiero si era fermato su quella levata di sole.
Immaginavo sotto la vacuità pellucida del cielo quei quattro
uomini prigionieri della solitudine di quel mare, il sole
ascendere solitario, incurante di quell'atomo di vita, su per
l'arco limpido del cielo come per voglia di contemplare da più
alto il proprio splendore riflesso nello specchio immobile
dell'oceano. 'Da poppa, alzando la voce, mi parlarono,' disse Jim,
'come se fossimo stati amiconi. Li udivo. Mi pregavano di essere
savio e di lasciare quel PEZZO DI LEGNO DEL DIAVOLO. Perché mai
volevo prenderla su questo tono? Non mi avevano fatto niente di
male, no? Male a nessuno... Niente di male!'
Avvampò come se non riuscisse a tirare il fiato. 'Niente di male!'
esclamò. 'Giudichi lei, che può capire. Vero? Che potevano fare di
peggio? Ah sì, lo so benissimo... sono saltato giù... Certo. Sono
saltato giù! Glie l'ho detto da me che sono saltato giù; però
anche le dico che quelli erano troppo forti per chiunque. Erano
stati loro; chiaro solare; come se mi avessero tirato giù con un
raffio. Non capisce? Eppure deve capirlo. Su, parli... cuore in
mano!'
I suoi occhi turbati si fermarono sui miei, con aria di
interrogazione, di preghiera, di spavento, di implorazione. Non
potei trattenermi dal mormorare: 'Certo, lei è stato messo a dura
prova.' 'Più del dovere,' ribatté pronto. 'C'era poco da
scegliere, con una cricca simile. E ora trattavano da amici...
così maledettamente da amici! Camerati, compagni di mare. Tutti
nello stesso guaio. Prendiamola per il meglio. Con me non ci
avevano proprio niente. Di Giorgio non glie ne importava un fico.
Giorgio era tornato in cabina a prender qualcosa all'ultimo
momento, e era rimasto in trappola. Quell'uomo era un fior
d'imbecille. Certo la cosa non era molto allegra... Avevano gli
occhi su di me. Muovevano le labbra, scuotevano la testa,
all'altra estremità della barca; mi facevano cenni... a me. Perché
no? Non m'ero buttato di sotto? Non dissi nulla. Non ci sono
parole per esprimere cose del genere di quelle che volevo dire. Se
avessi aperto bocca in quel momento avrei urlato come una bestia.
Mi domandavo quando mi sarei svegliato. Mi invitarono con
insistenza, ad alta voce, a portarmi a poppa per sentire con calma
quel che il capitano aveva da dirmi. Ci avrebbero ricuperati senza
dubbio prima di sera - eravamo proprio sulla rotta di tutto il
traffico del Canale; già si vedeva del fumo a nord-ovest.
'Ebbi un colpo al cuore alla vista di quella vaga, tenue macchia;
quella traccia bassa di nebbia color marrone che lasciava
trasparire la linea di demarcazione tra mare e cielo. Gridai loro
che li sentivo benissimo da dove mi trovavo. Il capitano si mise a
bestemmiare, più rauco d'una cornacchia. Non intendeva sgolarsi
per far comodo a me. - Ha paura che lo sentano da terra? -
domandai. Roteò gli occhi come se avesse avuto voglia di sbranarmi
con le unghie. Il primo macchinista gli consigliò di lasciar
perdere. Disse che non ero ancora tornato del tutto in me. L'altro
si alzò in piedi, da poppa, e si mise a parlare - a parlare...'
Jim s'interruppe, soprappensiero. 'Ebbene?' dissi. 'Cosa m'importa
che storiella s'eran combinati fra loro?' gridò eccitato.
'Potevano dire tutto quello che gli andava a genio. Affar loro. La
storia vera, la sapevo io. Nulla di quanto sarebbero riusciti a
far credere alla gente avrebbe potuto cambiare la mia verità. Lo
lasciai parlare, argomentare... parlare, argomentare. E avanti-
avanti-avanti... A un tratto mi sentii cedere le gambe. Ero
nauseato, stanco... stanco... da morire. Lasciai cadere la barra,
voltai le spalle ai tre, e sedetti sul banco più vicino. Ne avevo
abbastanza. Mi gridarono se avevo capito - non era, parola per
parola, la verità? Perdio, se era la verità! Non voltai la testa.
Li sentii che tenevan conciliabolo. - Quel pezzo d'asino non dirà
niente -. - Oh, capisce benissimo! - Lo lasci stare; funzionerà a
dovere -. Tanto, che cosa può fare? - Che potevo fare? Non eravamo
tutti nello stesso guaio? Cercai di restar sordo. Il fumo era
scomparso in direzione Nord. C era una bonaccia marcia. Bevvero al
barile e bevvi un sorso anch'io. Dopo si diedero un gran da fare a
stendere la vela sul carabottino. Mi domandarono se mi sarei
prestato a far da vedetta. Si infilarono sotto, che non li vedevo,
grazie a Dio! Mi sentivo stanco morto, esausto, come se non avessi
dormito un'ora dal giorno ch'ero nato. L'acqua non si scorgeva,
tanto il barbaglio del sole. Di quando in quando uno di loro
veniva fuori carponi, si alzava in piedi per dare un'occhiata in
giro, e poi si rinfilava sotto. Sentivo russare a tratti di sotto
la vela. Dunque qualcuno riusciva a dormire. Uno almeno. Io no!
Tutto era luce, luce, e la barca sembrava vi sprofondasse
attraverso. Ogni tanto provavo una vera sorpresa a ritrovarmi lì
su un banco...'
Cominciò a far su e giù a passi misurati davanti alla mia
poltrona, con una mano nella tasca dei calzoni, la testa china.
pensieroso, sollevando ogni tanto il braccio destro come a toglier
di mezzo un invisibile intruso.
'Lei penserà che diventavo matto?' riprese con tono diverso. 'E
non avrebbe torto, se si ricorda che avevo perduto il berretto. Il
sole mi batté per tutto intero il suo arco da est a ovest sul capo
nudo, ma si vede che quel giorno là non mi poteva succedere nulla.
Il sole non riuscì a farmi diventar matto... Col braccio destro
respinsi l'idea della pazzia... Né a uccidermi...' Di nuovo
ricacciò un'ombra col braccio... 'Questo dipendeva da me.'
'Davvero?' esclamai, profondamente stupito a questa svolta
inattesa, e guardandolo con l'espressione che sarebbe stata
naturale se Jim, fatta una piroetta, mi fosse riapparso col viso
d'un altro.
'Non mi presi un'insolazione, e nemmeno cascai morto,' proseguì.
'Non mi scomposi affatto per tutto quel sole che mi batteva sulla
testa. Riflettevo con la stessa calma di uno che, seduto
all'ombra, segua i suoi pensieri. Quel bestione sugnoso del
capitano spinse fuori il suo testone rasato di sotto la tela e
fissò su di me i suoi occhi di pesce. - Donnerwetter! Lei si
piglia un accidente -, brontolò, ritraendosi nel guscio come una
tartaruga. Lo avevo veduto. Lo avevo udito. Ma non mi mossi. Stavo
concludendo, proprio in quel momento, che non sarei morto.'
Cercò di sondare i miei pensieri lanciandomi un'occhiata
penetrante nel passarmi davanti. 'Lei vuol dire che stava
decidendo in se stesso, se morire o no?' domandai, col tono più
impenetrabile che mi riuscì di assumere. Annuì col capo senza
fermarsi. 'Sì, c'ero arrivato mentre stavo seduto là, da solo,'
disse. Fece qualche passo fino al limite immaginario della sua
marcia, e quando si voltò di scatto per tornare indietro, s'era
ficcato tutt'e due le mani in tasca fino in fondo. Si fermò di
colpo davanti alla mia poltrona e mi guardò dall'alto in basso:
'Non mi crede?' domandò con tesa curiosità. E mi sentii portato a
dichiarare solennemente d'esser pronto a credere implicitamente a
tutto ciò che gli fosse piaciuto di raccontarmi".
CAPITOLO 11.
"Mi stava a sentire con la testa inclinata da una parte, e fu per
me un'altra schiarita, come uno squarcio nella nebbia entro a cui
si muoveva la sua sostanza viva. Lo vedevo appena, alla luce
debole di una candela che sfrigolava nel suo globo di vetro;
dietro di lui la notte buia con le limpide stelle, il cui
scintillìo remoto attirava l'occhio attraverso una successione di
piani di tenebra sempre più fitta; e tuttavia una luce misteriosa
sembrava scoprirmi la sua testa di ragazzo, come se in quel
momento la gioventù che era in lui si fosse effusa in un attimo di
chiarore subito spento. 'E' proprio buono, lei, ad ascoltarmi
così,' disse. 'Mi fa bene. Non può sapere che significhi per me.
Lei non...' Parve non trovare le parole. Questa volta in un netto
chiarore vidi che era un giovanotto del tipo di quelli che ci
vediamo volentieri d'attorno; del tipo a cui ci piace immaginare
di aver somigliato un tempo; del tipo il cui aspetto richiama per
affinità illusioni che credevamo perdute, estinte, fredde, e che,
quasi riaccese dall'accostarsi di un'altra fiamma, danno ancora un
guizzo in qualche punto laggiù, laggiù... dal profondo; un guizzo
di luce... di calore!... Sì, ebbi una illuminazione di lui in quel
momento... e non fu l'ultima... 'Non può immaginare che significhi
per uno nella mia situazione essere creduto... poter raccontare
tutto a un più anziano. E' così difficile... così terribilmente
iniquo... così duro da capire.'
La nebbia si riaddensava. Non so quanto gli sembrassi vecchio... o
quanto saggio. Assai meno vecchio di quanto mi sentivo io in quel
momento; e assai meno saggio (di una saggezza inutile) di quanto
mi conoscevo. Certo, in nessun altro mestiere quanto nel
marittimo, il cuore di chi è già varato, per naufragare o per
restar a galla che sia, si sente più vicino ai giovani che guardan
dall'orlo con occhi accesi lo scintillare della vasta superficie,
che altro non è se non il riflesso dei loro sguardi infuocati. C'è
una così magnifica indeterminatezza nelle speranze che hanno
spinto ognuno di noi verso il mare, una così meravigliosa
indefinitezza, una così bella sete di avventure che hanno soltanto
in se stesse la loro ricompensa! Con che costrutto poi - beh,
lasciamo andare - ma esiste chi tra noi riuscirà a trattenere un
sorriso? In nessun altro genere di vita l'illusione è così lontana
dalla realtà... in nessun altro l'esordio è così tutto
illusione... e la delusione così pronta... così completo
l'asservimento. Non avevamo cominciato tutti con le stesse
aspirazioni, finito con la stessa esperienza, portato il ricordo
dello stesso incantesimo lungo le nostre giornate sordide
d'imprecazioni? Che meraviglia, dunque, se, quando capita addosso
qualche grossa tegola, ci si accorge che il legame resiste; che
oltre al senso di consorteria e di mestiere c'è la forza di un più
profondo sentimento... il sentimento che unisce un adulto a un
bambino. Era lì, davanti a me, fiducioso che l'età e la saggezza
possano trovare un rimedio contro lo squallore della verità e mi
rivelava in lui, di colpo, un giovanotto che si è messo in un
guaio che è l'anima dei guai, uno di quei guai davanti ai quali i
barbogi scuotono il capo solenni, nascondendo un sorriso. Dunque,
tra sé, aveva pensato alla morte... maledetto! Aveva trovato
questo bell'argomento da meditare, perché gli pareva di essersela
salvata la vita, dopo aver perduto tutta la sua aureola - quella
notte - insieme alla nave. Che c'era di più naturale? Piuttosto
tragico e buffo, in coscienza, quel chiedere a gran voce
compassione. Valevo io forse più degli altri per rifiutargli la
mia pietà? E già mentre ancora lo stavo guardando, la nebbia
riavvolse lo squarcio, e non udii più che la sua voce:
'Ero così sperso, capisce. Era una di quelle cose che uno non se
l'aspetta mai. Non come una battaglia, per esempio.'
'Infatti,' annuii. Sembrava cambiato, come se si fosse maturato
tutt'a un tratto.
'Non si poteva essere sicuri,' borbottò.
'Ah! Lei non era sicuro,' feci, placato però dall'alito di un
lieve sospiro che passò fra di noi come il fruscìo di un'ala nella
notte.
'Non ero sicuro,' ripeté deciso. 'Come quella storia meschina che
avevano inventato quei tre. Che non era una menzogna... ma non era
nemmeno la verità. Era una certa cosa... Una menzogna vera e
propria si riconosce. C'è meno d'un capello tra il bene e il male,
in questa faccenda.'
'Che voleva di più, lei?' chiesi; ma credo di averlo detto così
piano che, non afferrò le mie parole. Aveva sostenuto la sua tesi
come se la vita fosse un intreccio di sentieri separati da abissi.
La sua voce aveva un tono di convinzione.
'Mettiamo che io non avessi... insomma, mettiamo che io fossi
rimasto sulla nave. Bene. Per quanto tempo ancora? Diciamo un
minuto - mezzo minuto. Ecco. Dopo trenta secondi, come allora
sembrava certo, mi sarei trovato in acqua; e crede lei che non mi
sarei afferrato alla prima cosa che mi fosse capitata sottomano...
un remo, un salvagente, un pagliolo... qualunque cosa. Non lo
crede?' 'E si sarebbe salvato,' feci.
'Avrei cercato di salvarmi,' ribatté. 'E questo è più di quanto
intendevo fare quando...' rabbrividì come chi ingoia una droga
nauseabonda... 'quando mi buttai di sotto,' disse con uno sforzo
convulso che, quasi si propagasse in onde d'aria, mi fece
trasalire sulla poltrona. Mi fissò con occhi cupi. 'Non mi crede?'
esclamò. 'Lo giuro!... Accidenti! Mi ha fatto venir qui a parlare,
e... Lei deve! Deve credermi!... Lei ha detto che mi avrebbe
creduto.' 'Certo che le credo,' risposi con un tono naturale che
ebbe un effetto calmante. 'Mi scusi,' fece. 'Naturalmente non le
avrei parlato di tutto questo se lei non fosse un gentiluomo.
Avrei dovuto capire... Sono... sono... un gentiluomo anch'io...'
'Sì, sì,' dissi subito. Mi guardò dritto in faccia, poi lentamente
distolse lo sguardo. 'Ora capisce perché, dopo tutto, non... non
ho seguito la mia prima idea. Non volevo aver paura di quel che
avevo fatto. E, in ogni modo, se fossi rimasto sulla nave avrei
cercato con ogni mezzo di salvarmi. Si sa di gente che è rimasta a
galla per delle ore... in alto mare... e fu ricuperata in
condizioni abbastanza buone. Io avrei potuto resistere meglio di
tanti altri. Io il cuore ce l'ho sano.' Si tolse di tasca il pugno
destro, e il colpo che si diede sul petto risuonò nel buio come
una detonazione sorda.
'Già,' dissi. Meditava, con le gambe leggermente divaricate e il
mento sul petto. 'Un filo di rasoio,' borbottò. 'Un filo di
rasoio, fra questo e quello. E lì per lì...'
'E' difficile vedere un filo di rasoio a mezzanotte,' commentai
con un po' di veleno, forse. Lo capite che intendo io per
solidarietà di mestiere? Ero irritato contro di lui come se avesse
rubato a me... a me personalmente!... una splendida occasione per
confermare le illusioni dei miei primi tempi; come se avesse tolto
alla nostra vita comune l'ultima scintilla del suo splendore. 'E
così lei se n'è andato... subito.'
'Saltato di sotto,' corresse con tono deciso. 'Saltato... badi!'
ripeté, e io mi stupii dell'evidente, ma oscuro, sottinteso.
'Ebbene, sì! Forse non ci ho visto chiaro, sul momento. Ma poi
ebbi tanto tempo per schiarirmi bene le idee in quella scialuppa.
E per riflettere, anche. Nessuno ne avrebbe saputo nulla,
naturalmente, ma questo non migliorava la mia condizione. Lei deve
credermi anche in questo. Io non avevo in mente di far tutte
queste chiacchiere... No... Sì... non voglio mentire... Ne avevo
bisogno; era la cosa che desideravo di più... laggiù. Crede che
lei o chiunque altro avrebbe potuto obbligarmi se io... Non ho...
non ho paura di parlare. Come non avevo paura di riflettere. Ho
guardato bene le cose in faccia. Non intendevo scappare. Da
principio... durante la notte, non fosse stato per quegli uomini,
forse avrei... No! perdio! Non intendevo dar loro quella
soddisfazione. Si erano già spinti anche troppo. Avevano inventato
una storia, e, per quanto ne so, ci credevano. Ma io conoscevo la
verità e, giorno per giorno, con le mie sole forze, sarei riuscito
a sgretolarla ed a vincerla. Non intendevo cedere a una così
bestiale ingiustizia. Cosa provava, dopo tutto? Ero maledettamente
giù. Nauseato della vita... a dirle la verità; ma a cosa sarebbe
servito di sfuggirle in... in... quella maniera? Non era quella la
buona via. Credo... credo che non avrebbe... non avrebbe messo
fine... a nulla.'
Andava in su e in giù, ma a quest'ultima parola si volse di scatto
verso di me.
'Che ne pensa, lei?' domandò con violenza. Seguì una pausa, e a un
tratto mi sentii carico di una stanchezza profonda e disperata,
come se la sua voce mi avesse strappato fuori da un vagare, in
sogno, fra gli spazi vuoti di una immensità che mi torturava
l'anima e mi estenuava il corpo.
'... non avrebbe messo fine a nulla,' insisté dopo un poco,
borbottando, dominandomi con la persona. 'No! Non c'era altro da
fare che affrontar tutto questo... da me solo... aspettare
un'altra occasione... scoprire...'".
CAPITOLO 12.
"Intorno, tutto era silenzio fin dove si arrivava coll'udito. La
nebbia dei sentimenti di Jim che stagnava tra noi, ora, come se
l'avessero agitata gli sforzi di lui, si franse, e negli squarci
di quel velo immateriale, egli apparve ai miei occhi fissi netto
nei suoi contorni e carico di un fascino vago, come una figura
simbolica in un quadro. Il rigore della notte mi pesava addosso
come una lastra di marmo.
'Capisco,' mormorai, più che altro per provare a me stesso che ero
in grado di rompere quel mio stato di torpore.
'L'Avondale ci raccolse poco prima del tramonto,' osservò con aria
imbronciata. 'Filò dritto su di noi. Non avemmo che da star ad
aspettarlo, seduti.'
Dopo un lungo intervallo, soggiunse: 'Gli altri raccontarono la
loro storiella.' Seguì un altro silenzio opprimente. 'Soltanto
allora capii la portata della mia decisione,' fece poi.
'Lei non disse nulla,' mormorai.
'Che potevo dire?' domandò, anche a lui a bassa voce... 'Urto
leggero. Fermata la nave. Accertato il danno. Prese le misure
necessarie per mettere in mare le scialuppe senza creare panico.
Mentre si calava la prima, la nave, presa in un nembo, andò giù.
Affondò come piombo... Che poteva esserci di più chiaro...'
abbassò il capo... 'e di più orribile?' Gli tremarono le labbra
mentre mi fissava dritto negli occhi. 'Mi ero buttato giù... non è
vero?' domandò, sgomento. 'Ecco cosa dovevo scancellare con la mia
vita. La storiella non contava...' Giunse le mani un attimo,
gettando uno sguardo a destra e a sinistra nel buio. 'Era come
ingannare i morti,' balbettò.
'E morti non ce n'erano,' feci.
A queste parole svanì. Non posso altrimenti dare un'idea del suo
movimento. Vidi a un tratto la sua schiena contro la balaustra.
Rimase un poco lì, quasi ammirasse quella purezza e quella pace
della notte. Qualche cespo fiorito, dal giardino di sotto, esalava
il suo profumo potente nell'aria umida. Tornò dietro a passi
affrettati.
'E neanche questo contava niente,' disse, testardo come un mulo.
'Può darsi,' ammisi. Cominciavo a dubitare se non fosse lui più
forte di me. Dopo tutto, che ne sapevo?
'Morti o non morti, non potevo cavarmela così,' disse. 'Dovevo pur
continuare a vivere, no?'
'Beh, sì... se la prende da questo lato,' mormorai.
'Naturalmente fui ben contento,' gettò lì con indifferenza, con la
mente fissa altrove... 'della chiarificazione,' soggiunse
lentamente; e alzò il capo. 'Sa lei quale fu il mio primo pensiero
quando seppi? Un senso di sollievo. Di sollievo nel sapere che
quelle grida... le ho detto che avevo udito delle grida? No? Beh,
le avevo udite. Grida di aiuto... portate dal vento con la
pioggia. Immaginazione, suppongo. Eppure, mi sarebbe difficile...
Che stupidaggine... Gli altri non le avevano udite. Glie lo
domandai, dopo. Dissero tutti di no. No? E io le udivo ancora!
Avrei dovuto capire... ma non facevo riflessioni... ascoltavo
soltanto. Fievolissime grida... giorno per giorno. Poi quel
piccolo meticcio mi si avvicinò e mi parlò.- Il Patna... una
cannoniera francese... riuscita a rimorchiarlo fino a Aden...
Indagine... Capitaneria di porto... Casa del Marinaio... Tutto
sistemato. Vitto e alloggio! - Lo seguii, contento del silenzio,
finalmente. Dunque non c'erano state grida. Immaginazione.
Bisognava credergli. Non udivo più nulla. Mi domandavo per quanto
tempo avrei potuto reggerci. Di male in peggio... sì, voglio dire,
sempre più forti...'
Si immerse nei suoi pensieri.
'E invece non avevo udito nulla! Bene. E sia. Ma i fanali? I
fanali erano scomparsi! Non li abbiamo visti più. Se li avessimo
visti ancora, sarei tornato indietro fino alla nave a gridare. Li
avrei scongiurati di riprendermi a bordo... Avrei riavuto una
possibilità di salvezza... Lo mette in dubbio?... Come può sapere
quello che sentivo io? Che diritto ha di dubitare?... Anche così
fui sul punto di farlo... capisce?' Poi, a voce più bassa: 'Non
c'era nemmeno una luce... neppur l'ombra...' protestò lugubre.
'Non capisce che se ci fosse stato anche un barlume lei, adesso,
non mi vedrebbe qui? Mi vede qui... e dubita?'
Negai col capo. Quella faccenda dei fanali scomparsi alla vista
quando la scialuppa non poteva essere a più d'un quarto di miglio
dalla nave, offriva molta materia di discussione. Jim si teneva
fermo alla versione che non si era visto più niente dopo il primo
acquazzone; e gli altri avevano confermato la cosa davanti agli
ufficiali dell'Avondale. Naturalmente la gente scuoteva il capo e
sorrideva. Un vecchio capitano seduto vicino a me in tribunale mi
fece il solletico nell'orecchio con la sua barba bianca per
mormorare: 'E' naturale che mentiscano.' In realtà non avevano
mentito affatto; nemmeno il capo macchinista con la sua storia del
fanale che aveva fatto una traiettoria come un fiammifero buttato
via. Per lo meno, non aveva mentito in mala fede. Un uomo col
fegato in quello stato può benissimo aver veduto una luminella
all'angolo dell'occhio nel volgere una rapida occhiata alle sue
spalle. Non videro luci di nessun genere pur essendo tanto vicini;
e non se lo seppero spiegare che in un modo solo: la nave era
affondata. Era consolante certezza. E la immediatezza onde la loro
previsione si era avverata aveva giustificato la loro
precipitazione. Naturale che non si fossero indugiati in cerca di
altre ipotesi. Eppure la vera era la più semplice, e appena
Brierly l'ebbe accennata alla Corte, cessò ogni discussione su
quel punto. Se ricordate, la nave era ferma, con la prua sulla
rotta seguìta fino a quel momento, con la poppa sollevata e la
prua ingavonata per l'allagamento del quadrato prodiero. Essendo
così in panna, quando il nembo la investì da poppa, virò
rapidamente prua a vento come se fosse stata all'àncora. Questo
giro di posizione nascose in un batter d'occhio tutti i fanali
dalla vista della scialuppa, di sottovento. Può darsi benissimo
che, se fossero stati visibili, quei fanali avrebbero avuto
l'effetto di una muta invocazione - la loro luce solitaria, contro
l'oscurità della nuvolaglia, avrebbe forse avuto il misterioso
potere di uno sguardo umano, capace di risvegliare il senso del
rimorso e della pietà. Avrebbe detto: 'Sono qui - ancora qui...' e
cosa può dire di più l'occhio del più abbandonato essere umano? Ma
la nave voltò le spalle come per disprezzo della loro sorte: aveva
virato di bordo, col suo peso d'acqua, a contemplare ostinatamente
con sguardi accesi sul mare aperto il pericolo a cui doveva
sopravvivere in un modo così impensato, per terminare i suoi
giorni in un cantiere di demolizione, come se fosse stato
stabilito dal destino che dovesse fare una morte oscura sotto i
colpi di tanti martelli. Quale fine avesse riservato la sorte ai
pellegrini, non sono in grado di dirlo io; ma il loro immediato
avvenire portò sul luogo, alle nove circa del mattino dopo, una
cannoniera francese che rimpatriava, proveniente da Réunion. Il
rapporto del suo comandante era di dominio pubblico. Aveva
dirottato alquanto per vedere cosa fosse successo a quel piroscafo
che navigava paurosamente appruato su un fosco mare in bonaccia.
C'era una bandiera nazionale capovolta che sventolava sul suo
picco di maestra (il serang aveva avuto il buon senso di metter
questo segnale di pericolo appena giorno); ma i cuochi stavano
preparando come al solito il cibo nelle cassette di cottura a
prua. I ponti erano gremiti come stazzi di pecore; c'era gente
arrampicata su tutti i bastingaggi, stipata sul ponte di comando
in massa compatta; centinaia d'occhi fissavano la cannoniera, e
non si udì una voce mentre questa si dirigeva sul Patna, come se
quel mucchio di labbra fosse stato sigillato da un incantesimo.
Il comandante chiamò, e non avendo ricevuto risposta
intelligibile, dopo essersi accertato col binocolo che la folla
sul ponte non aveva l'aria di essere appestata, decise di mandare
una scialuppa. Due ufficiali salirono a bordo, ascoltarono il
serang, tentarono di parlar con l'Arabo, ma non riuscirono a
levare un ragno dal buco; comunque, la natura del pericolo era
abbastanza evidente. I Francesi rimasero anche molto colpiti nel
vedere un bianco morto, tranquillamente raggomitolato sul ponte di
comando. 'Fort intrigués par ce cadavre,' come mi disse molto
tempo dopo un tenente anziano che incontrai a Sidney, per uno
stranissimo caso, in una specie di caffè, e che si ricordava
benissimo dell'incidente. In realtà quella faccenda, detto tra
parentesi, aveva una straordinaria potenza per sfidare la brevità
della memoria e la lunghezza del tempo: sembrava persistere con
una sorta di vitalità dispettosa nella mente e sulla lingua degli
uomini. Ho avuto il dubbio piacere di risentirla spesso, anni più
tardi, a migliaia di miglia di distanza, emergere dai discorsi
meno attinenti, portata alla superficie dalle allusioni più
lontane. Non è forse venuta a galla anche stasera fra noi? E io
sono il solo uomo di mare, qui. Sono il solo per il quale questa
storia rappresenti un ricordo. Eppure ha trovato la via per saltar
fuori! Se due uomini al corrente della faccenda, ma all'insaputa
uno dell'altro, si fossero incontrati per puro caso in un punto
qualunque della terra, era immancabile come il destino che questa
cosa, prima di separarsi, venisse in ballo tra loro. Non avevo mai
conosciuto quel Francese, e un'ora dopo avevamo già chiuso i
nostri rapporti per tutta la vita: non sembrava nemmeno molto
comunicativo: era anzi un tipo tranquillo, massiccio, con la
divisa ciancicata, seduto, sonnacchioso, davanti a un mezzo
bicchiere di un liquido scuro. Aveva le controspalline un po'
opache, guance ben rasate larghe e pallidicce: sembrava un tipo da
fiutar tabacco - sapete? Non dico che ne fiutasse davvero: ma che
a un tipo così quell'abitudine sarebbe stata in carattere.
Cominciò così: lui mi porse attraverso il tavolino di marmo un
numero del Home News che non m'interessava affatto. Dissi:
'Merci.' Scambiammo qualche frase apparentemente senza importanza,
e a un tratto, prima di poter sapere com'era successo, eravamo
entrati in pieno nella faccenda del Patna, e quegli mi stava
raccontando come 'erano rimasti perplessi di fronte a quel
cadavere.' Risultò che lui era uno degli ufficiali saliti a bordo.
In quel locale c'era una gran varietà di bibite straniere, per gli
ufficiali di marina di passaggio, e il mio compagno bevve un sorso
di quella roba scura, dall'aspetto medicinale, che probabilmente
era un innocente cassis à l'eau; poi, gettando con un occhio solo
uno sguardo nel bicchiere, scosse leggermente la testa.
'Impossible à comprendre - vous concevez,' disse, con una strana
mistura di indifferenza e di riflessione. Potevo agevolmente
rendermi conto di come fosse stato impossibile per loro capire.
Nessuno sulla cannoniera sapeva tanto l'inglese da seguir la
storia raccontata, a modo suo, dal serang. E si faceva anche un
gran baccano attorno ai due ufficiali. 'Molti li avevamo tra i
piedi; altri stavano in cerchio intorno al morto (autour de ce
mort)' raccontò. 'C'era da badare a cose più urgenti. Quella gente
cominciava ad agitarsi... Parbleu! Una folla così... capisce?'
esclamò con filosofica indulgenza. Quanto alla paratìa, lui aveva
detto al comandante che la cosa migliore era di lasciarla stare,
tanto aveva un'aria malsicura. Portarono immediatamente (en toute
hâte) a bordo due gherlini, e presero il Patna a rimorchio - per
la poppa! - il che, data la situazione, non era poi una
sciocchezza, ché il timone, un bel po' fuori dell'acqua, non
poteva servire gran che a governare, e questa manovra alleggeriva
lo sforzo della paratìa, il cui stato, come mi spiegò con
loquacità volubile, voleva le massime precauzioni (exigeait les
plus grands ménagements). Non potevo fare a meno di pensare che la
mia nuova conoscenza doveva aver avuto una parte consultiva in
quasi tutte codeste operazioni: sembrava un ufficiale degno di
fiducia, non più molto agile, ma d'aspetto in certo modo assai
marinaresco, benché, mentre sedeva lì, con le grosse dita
intrecciate sul ventre, facesse venire in mente uno di quei preti
di campagna tabaccosi e tranquilli, nelle cui orecchie si
riversano peccati, sofferenze, rimorsi di generazioni di
contadini, e la cui espressione placida e semplice è come un velo
gettato sul mistero di tanti dolori e miserie. Avrebbe dovuto
indossare una soutane nera e consunta, liscia, abbottonata fino
all'ampio mento, invece della finanziera con le controspalline e i
bottoni d'ottone. Il suo largo petto si sollevava regolarmente,
mentre seguitava a raccontarmi che era stato un lavoro del
diavolo, come certamente (sans doute) potevo figurarmi, nella mia
qualità d'uomo di mare (en vôtre qualité de marin). Alla fine
della frase curvò appena il corpo verso di me, e, spingendo un
poco in fuori le labbra rasate, cacciò una specie di sibilo. 'Per
fortuna,' soggiunse, 'il mare era liscio come questa tavola e non
c'era più vento che qui...' In realtà il locale sapeva di chiuso
in un modo intollerabile; faceva molto caldo; il viso mi bruciava
come se fossi stato tanto giovane da arrossire di imbarazzo.
Avevano fatto rotta, continuò, verso il porto inglese più vicino
'naturellement,' dove si scaricarono di quella responsabilità
'Dieu merci...' Gonfiò un poco le guance piatte... 'Perché, badi
(notez bien) durante tutta l'operazione due quartiermastri
rimasero piazzati con delle ascie vicino ai gherlini, pronti a
liberarci dal rimorchio nel caso che...' Abbassò lentamente le
palpebre pesanti, rendendo di piena evidenza il proprio
pensiero... 'Che vuole! Si fa quel che si può (on fait ce qu'on
peut)' e per un momento riusci a permeare di un'aria di
rassegnazione la sua poderosa immobilità. 'Due quartiermastri per
trenta ore - sempre lì. Due!' ripeté, alzando un poco la destra e
mostrando due dita. Era il primo gesto che gli vedevo fare, e mi
fornì l'occasione di osservare una cicatrice a stella sul dorso
della mano - prodotta evidentemente da pallottola di fucile; e
come se mi si fosse acuita la vista per questa scoperta, mi
accorsi anche della sutura di una vecchia ferita, che partendo da
un po' sotto la tempia andava a perdersi tra i corti capelli grigi
da un lato della testa - il solco di una lancia o il taglio di una
sciabola. Di nuovo intrecciò le mani sul ventre. 'Rimasi a bordo
di quel, di quel... la mia memoria se ne va (s'en va). Ah! Patt-
nà. C'est bien ça. Patt-nà. Merci. E' buffo come svanisce la
memoria. Rimasi a bordo trenta ore...'
'Davvero!' esclamai. Sempre guardandosi le mani, strinse un poco
le labbra ma senza fischiare, stavolta. 'Parve opportuno,' disse
sollevando pacato le sopracciglia, 'che uno degli ufficiali
rimanesse lì a tener d'occhio (pour ouvrir l'oeil...)' sospirò a
caso... 'e per i segnali di collegamento con la cannoniera...
capisce... E anch'io ero d'accordo. Mettemmo le nostre scialuppe
in posizione di ammaraggio... e anch'io su quel piroscafo avevo
preso le opportune misure... Enfin! Si è fatto il possibile. Era
una posizione delicata. Trenta ore. Mi prepararono da mangiare.
Quanto al vino... col binocolo!... nemmeno una goccia.' Io non so
per che straordinaria maniera, senza nessun percettibile mutamento
nel suo aspetto inerte e nella placida espressione del suo volto,
riuscì a dare l'idea di un profondo disgusto. 'Io... sa... quando
si tratta di mangiare senza il mio bicchiere di vino... non mi ci
ritrovo.'
Temevo che l'avrebbe fatta lunga sul tema di quel torto patito;
perché, pur senza muovere membro né batter ciglio, riusciva a
manifestare l'alto grado di irritazione che gli suscitava quel
ripensamento. Ma poi sembrò dimenticarsene del tutto. Consegnarono
il loro ricupero alle 'autorità portuali' come disse lui. Era
rimasto colpito dalla calma con cui lo ricevettero. 'Si sarebbe
detto che di questi buffi oggetti rinvenuti (drôle de trouvaille)
ne ricevessero in consegna uno tutti i giorni. Siete straordinari
- voialtri,' commentò, con la schiena appoggiata al muro,
mostrando a sua volta l'aspetto di un essere incapace di reazioni
emotive quanto un sacco di farina. C'era per caso una nave da
guerra e un piroscafo della marina indiana in porto in quel
momento, e il Francese non nascose la sua ammirazione per la
sveltezza onde le scialuppe delle due navi liberarono il Patna dei
suoi passeggeri. In verità, con quel suo aspetto torpido non
lasciava nulla inespresso: aveva quei potere misterioso, quasi
miracoloso, di raggiungere effetti impressionanti con mezzi
impercettibili; che è il non plus ultra della grande arte.
'Venticinque minuti - orologio alla mano - venticinque, non
più...' Aprì e intrecciò di nuovo le dita senza togliere le mani
di sul ventre, arrivando a un effetto molto più efficace che se
avesse alzato le braccia al cielo in gesto di stupore... 'Tutta
quella gente (tout ce monde) a terra... con le loro carabattole...
a bordo soltanto una squadra di marinai (marins de l'Etat) e
quell'interessante cadavere (cet intéressant cadavre)...
Venticinque minuti...' Con gli occhi bassi e la testa un tantino
piegata da una parte, sembrava assaporarsi da conoscitore, tra
lingua e palato, una fettina di quella brillante operazione. Dava
la persuasione in tale modo, senz'altro segno, che il suo
gradimento era di gran peso, e, riassumendo quella sua immobilità
che non aveva quasi mai interrotto, riprese a parlare per
informarmi che, avendo ricevuto l'ordine di recarsi a Tolone al
più presto, ripartirono meno di due ore dopo, 'talché (de sorte
que) molte cose in questo episodio della mia vita (dans cet
épisode de ma vie) mi sono poi rimaste oscure.'".
CAPITOLO 13.
"Dopo queste parole, e senza mutar posizione, egli, per così dire,
si sottomise a uno stato di silenzio passivo. Gli tenni compagnia;
e ad un tratto, ma non in modo brusco, come se fosse giunto il
momento prestabilito per far uscire dal chiuso la sua voce calma e
roca, esclamò: 'Mon Dieu! come passa il tempo!' Nulla poteva
essere più banale di questa osservazione; ma venne a sorprendermi
in un momento di visione. E' straordinario: noi passiamo
attraverso la vita con gli occhi semichiusi, con le orecchie
ovattate, col pensiero addormentato. Forse è meglio così; e può
darsi che sia proprio questo attutimento dei sensi a far la vita
sopportabile e gradita alla stragrande maggioranza della gente.
Tuttavia, ben pochi di noi non avranno mai vissuto uno di quei
rari momenti di risveglio, quando viviamo ascoltiamo,
comprendiamo tante cose - tutte - in un lampo prima di ricadere
nella nostra dolce sonnolenza. A quelle sue parole alzai gli occhi
e lo vidi come per la prima volta. Vidi il suo mento abbassato sul
petto, le goffe pieghe della sua giacca, le sue mani giunte, la
sua immobilità che dava la stranissima idea di un oggetto
abbandonato lì. Ne era passato davvero tanto, del tempo: e lo
aveva raggiunto e sorpassato, lasciandoselo irrimediabilmente alle
spalle, con pochi, poveri doni: i capelli grigio-ferro, la pesante
stanchezza del viso abbronzato, due cicatrici, un paio di
controspalline che avevano perso il lustro; uno di quegli uomini
solidi, di fiducia, che sono la materia prima delle grandi
reputazioni; una di quelle vite che non si calcolano, che si
seppelliscono senza tamburi né trombe sotto le fondamenta dei
successi monumentali. 'Ora sono capitano di corvetta sulla
Victorieuse,' (era l'ammiraglia della squadra francese del
Pacifico in quel periodo), disse, staccando di cinque centimetri
le spalle dal muro per presentarsi. M'inchinai leggermente dalla
mia parte del tavolo, dicendogli che comandavo una nave mercantile
ancorata in quel momento nella Rushcutters' Bay. L'aveva
'rimarcata': un bel bastimentino. Pur nella sua impassibilità, su
questo argomento fu molto gentile con me. Mi pare che arrivasse
perfino a muovere la testa per complimento, mentre ripeteva a
bassissima voce 'Ah sì. Un bastimentino verniciato di nero...
molto carino... molto carino (très coquet)'. Dopo un po' fece una
lenta conversione per volgersi alla porta a vetri sulla nostra
destra. 'Città malinconica (Triste ville)' osservò, fissando la
strada. Era una giornata luminosa; faceva vento di scirocco:
vedevamo i passanti, uomini e donne, schiaffeggiati dalla buriana
lungo i marciapiedi, e le facciate solatìe delle case di fronte
seminascoste dagli alti mulinelli di polvere. 'Ero sceso a terra,'
disse, 'per sgranchirmi un po' le gambe, ma...' S'interruppe, e
ricadde nelle profondità del suo riposo. 'Mi dica un po', scusi,'
riprese, risalendo faticosamente alla superficie. 'Che c'era
precisamente (au juste) in fondo a quella faccenda? Curiosa cosa!
Quel cadavere, per esempio... e tutto quanto.'
'E i vivi,' risposi. 'Qualcuno, anche molto più strano del morto.'
'Senza dubbio, senza dubbio,' annuì come un soffio; poi, quasi
dopo matura riflessione, mormorò: 'Evidentemente.' Non ebbi
difficoltà a comunicargli quel che più mi aveva colpito nella
faccenda. Mi sembrava che avesse il diritto di saperlo: non aveva
passato trenta ore sul Patna - non ne aveva, per così dire,
raccolto l'eredità, non aveva fatto 'il possibile?' Mi ascoltò
con un aspetto più sacerdotale che mai e con un'aria probabilmente
per via di quei suoi occhi bassi - di devoto raccoglimento. Una o
due volte sollevò le sopracciglia (ma senza alzare le palpebre)
come uno che dicesse 'Diavolo!' Una volta esclamò con calma: 'Ah,
bah!' sottovoce, e quando ebbi terminato spinse le labbra in fuori
con decisione emettendo un leggero sibilo di pena.
In qualunque altra persona questo avrebbe significato uno stato di
noia, un segno d'indifferenza; ma lui, col suo metodo misterioso,
riuscì a dare alla sua immobilità un profondo senso di risposta,
piena di pensieri importanti come un uovo è pieno di sostanza. Ciò
che disse alla fine non fu che un 'molto interessante' pronunciato
con cortesia, e poco più forte di un sussurro. Prima che mi fossi
rimesso dalla mia delusione, soggiunse, come parlando fra sé:
'Già. Proprio così.' Il mento sembrò sprofondarglisi ancor più nel
petto, il suo corpo pesare ancor più sulla sedia. Stavo per
domandargli che intendesse dire, quando una specie di tremito
preparatorio lo trascorse per tutta la persona, come quella
leggera increspatura che si scorge sulle acque di uno stagno prima
che si metta il vento. 'E così quel povero giovanotto se ne scappò
con gli altri,' disse, con pacata severità.
Non so che cosa mi fece sorridere: è l'unico mio sorriso sincero
che ricordi in tutta questa storia di Jim. Comunque, anche questa
semplice dichiarazione suonava buffa, in francese... 'S'est enfui
avec les autres,' aveva detto il tenente. E a un tratto cominciai
ad ammirare la prontezza di quell'uomo, che aveva colto subito il
punto della questione; aveva afferrato subito l'unica cosa per me
importante. Mi parve di essere a consulto da un avvocato. La sua
maturità calma e imperturbabile era quella di un esperto in
possesso dei fatti, per il quale le perplessità altrui non sono
che giochi di bambini. 'Ah! la gioventù, la gioventù,' disse con
indulgenza. 'E dopo tutto, di questo non si muore.' 'Di che cosa
non si muore?' domandai subito. 'Di paura.' Chiarito il suo
pensiero, buttò giù un sorso della sua bibita.
Mi accorsi che il medio, l'anulare e il mignolo della sua mano
ferita erano rigidi e senza facoltà di movimento autonomo, sicché
teneva il bicchiere in modo un po' sgraziato. 'Si ha sempre paura.
Si può discorrere quanto si vuole, ma...' Posò il bicchiere... 'La
paura, la paura... badi... è sempre qui...' Si toccò il petto
vicino a uno dei bottoni di metallo, proprio nel punto dove Jim si
era dato una manata quando aveva dichiarato che il suo cuore era
sanissimo. Mi sfuggì forse un moto di dissenso, perché insistette:
'Sì! Sì! Si discorre, si discorre; va tutto benissimo, ma alla
resa dei conti uno non è più intelligente di un altro... e nemmeno
più coraggioso. Coraggioso! Questo resta sempre da vedersi. Ho
viaggiato un mucchio (roulé ma bosse)' disse, usando quel termine
del gergo con imperturbabile serietà in tutte le parti del mondo;
'ho conosciuto uomini coraggiosi - alcuni celebri addirittura.
Allez!...' Bevve con aria indifferente... 'Coraggiosi... lei lo
capisce... in servizio... bisogna esserlo... lo richiede il
mestiere (le métier veut ça). No?' Si volse a me in tono calmo.
'Eh bien! Ognuno di loro - dico ognuno di loro, se fosse stato
sincero - bien entendu - avrebbe confessato che c'è un punto c'è
un punto - per il più in gamba di noi - c'è più in qua o più in là
il punto che si lascia andare ogni cosa (vous lâchez tout). E
bisogna vivere con questa certezza... Capisce? In certe date
coincidenze di casi, la paura non può mancare. Una fifa terribile
(un trac épouvantable). E anche per coloro che non credono a
questa verità, la paura c'è ugualmente... la paura di se stessi.
Non si scappa. Creda a me. Sì. Sì... Alla mia età si parla a
ragion veduta... que diable!...' Aveva scodellato tutto ciò nella
sua immobilità, come un portavoce della saggezza astratta; ma a
questo punto accrebbe quel senso di distacco mettendosi a girare
lentamente i pollici. 'E' chiaro... parbleu!' riprese; 'perché, ha
voglia uno di essersi preparato l'animo, basta un semplice mal di
capo o una indisposizione di stomaco (un dérangement d'estomac)
a... Guardi me, per esempio... io ne ho passate abbastanza... Eh
bien! Io che le parlo, una volta...'
Scolò il bicchiere, e poi riprese a far girare i pollici. 'No, no;
non si muore di questo,' dichiarò con aria conclusiva; e quando
capii che non intendeva continuare il racconto del suo fatto
personale rimasi estremamente deluso; tanto più che eravamo in un
campo che, si sa, non è mai il caso di spingere la gente a
confidarsi. Rimasi in silenzio, e anche lui; come se niente
potesse riuscirgli più gradito. Erano fermi, adesso, perfino i
suoi pollici. A un tratto cominciò a muovere le labbra. 'E' così,'
riprese, placidamente. 'L'uomo nasce vigliacco (L'homme est né
poltron). E' una difficoltà parbleu! Altrimenti sarebbe troppo
facile. Ma l'abitudine... la necessità... capisce?... l'occhio
degli altri... voilà. Ci si vince. E poi l'esempio degli altri,
che non valgono più di noi, eppure si tengono su...'. Tacque.
'Quel giovane - lei lo avrà notato - non aveva di questi
stimolanti... almeno in quel momento,' osservai.
Alzò le sopracciglia con aria benevola. 'Non dico, non dico. Il
giovanotto in questione poteva avere le migliori qualità - le
migliori ,' ripeté ansando un poco.
'Sono contento di vedere che lei considera la cosa con tanta
indulgenza", dissi. "I sentimenti di quel giovane, in materia,
erano... ah!... ottimisti, e...'
Lo stropiccìo dei suoi piedi sotto la tavola m'interruppe. Tirò su
le palpebre pesanti. Tirò su, dico - nessun'altra espressione
potrebbe descrivere la calma decisa dell'atto - e finalmente mi si
rivelò del tutto. Mi stavano addosso due cerchietti grigi,
stretti, come due minuscoli anelli di acciaio intorno al nero
carico delle pupille. Quello sguardo acuto, da quel corpo
massiccio, dava un senso di estrema potenza, come un'affilatura di
rasoio su un'ascia da battaglia. 'Domando scusa, disse con un po'
di pedanteria. Alzò la mano destra e si piegò in avanti. 'Mi
permetta... Sostenevo che si può vivere sapendo benissimo che il
coraggio non viene da sé (ne vient pas tout seul). In questo non
c'è nulla di male. Una verità di più non sarà quella che rende la
vita impossibile... Ma l'onore - l'onore, monsieur!.. . L'onore...
quella è una realtà. .. quella! E che valore può aver la vita
quando,'... si alzò in piedi con pesante impeto, come un bue
spaventato si tira su dall'erba... 'quando l'onore se n'è andato -
ah! ça par exemple - non posso esprimere una opinione. Non posso
esprimere un'opinione... perché... monsieur - non ne so nulla.'
Mi ero alzato in piedi anch'io, e, sforzandoci di manifestare la
più gran cortesia con i nostri atteggiamenti restammo l'uno di
fronte all'altro, muti, come due cani di porcellana su un
caminetto. Al diavolo anche quello lì! Aveva bucato la bolla di
sapone. Il demone della futilità che tende l'agguato ai discorsi
degli uomini era piombato in mezzo alla nostra conversazione,
riducendola a una vuota discussione di suoni. 'Benissimo,' dissi,
con un sorriso impacciato. 'Ma forse basterebbe non essere
scoperti?' Fece il gesto di ribattere subito, ma quando parlò
aveva cambiato idea. 'Questo, monsieur, è troppo sottile per me -
mi supera di molto - non ci voglio pensare.' S'inchinò
profondamente, tenendo il suo berretto davanti a sé, per la punta,
fra il pollice e l'indice dalla mano ferita. Mi inchinai anch'io.
Ci inchinammo insieme uno di fronte all'altro con gran strusciar
di piedi e salamelecchi, sotto gli occhi d'una specie di cameriere
bisunto che ci osservava con aria di critico, come se avesse
pagato il biglietto per quello spettacolo. 'Serviteur,' disse il
Francese. Un'altra strisciatina di piedi. 'Monsieur...'
'Monsieur...' La porta a vetri si richiuse dietro alla sua schiena
voluminosa. Vidi la sciroccata investirlo e portarselo via col
vento in poppa, una mano sulla testa, le spalle squadrate, e le
falde della giacca appiccicate alle gambe.
Tornai a sedermi, solo e scoraggiato - scoraggiato per il caso di
Jim. Non vi meravigliate che dopo più di tre anni la faccenda
fosse ancora presente al mio spirito. Jim, io lo avevo riveduto
poco prima. Venivo dritto da Samarang dove avevo fatto carico per
Sydney: un affare privo assolutamente di interesse - una di quelle
cose che Carletto, qui, chiamerebbe una delle mie transazioni
razionali: e a Samarang avevo visto Jim. Lavorava allora per De
Jongh, su mia raccomandazione. Commissionario marittimo. 'Il mio
commesso galleggiante,' lo chiamava De Jongh. Non potete
immaginare vita più povera di consolazioni, con meno possibilità
di rallegrarsi per una scintilla di bellezza. Soltanto quella di
un agente di assicurazioni è peggiore. Il piccolo Bob Stanton -
Carletto, qui, lo conosceva bene - ci è passato. Parlo di quel Bob
che annegò nel tentativo di salvare una cameriera nel naufragio
del Sephora: quel caso di collisione- ve lo ricorderete certo -
una mattina di nebbia lungo la costa spagnola. Tutti i passeggeri
erano stati sistemati a dovere nelle scialuppe e spinti lontano
dalla nave, quando Bob tornò ancora sottobordo e si arrampicò sul
ponte a riprendere quella ragazza. Come mai l'avessero
dimenticata, non so capacitarmene; comunque, era impazzita: non
voleva abbandonare la nave - si reggeva al bastingaggio con tutte
le sue forze. Dalle scialuppe questa lotta si vedeva benissimo; ma
il povero Bob era il più basso di statura degli ufficiali in prima
di tutta la marina mercantile: e la donna, alta un metro e
settantacinque, pare che fosse robusta come un accidente. Così,
tira di qua, e tira di là; e quella disgraziata che urlava senza
tregua, e Bob che ogni tanto dava uno strillo per raccomandare
alla scialuppa di tenersi lontana dalla nave. Uno dei marinai mi
raccontò, sorridendo al ricordo: 'Sembrava proprio, signore, un
bambino cattivo alle prese con la mamma.' Aggiunse: 'Alla fine
vedemmo che il signor Stanton aveva rinunciato all'idea di staccar
la donna dal bastingaggio, e si teneva semplicemente vicino a lei,
come in osservazione. Pensammo poi che doveva aver fatto calcolo
sulla forza del mare, che forse, dopo, l'avrebbe strappata di lì
dandogli modo di salvarla. Avvicinarci noi sottobordo, neanche a
dirlo: difatti, poco dopo, la vecchia nave, dopo una sbandata a
dritta, andò giù di colpo: plop! Il risucchio fu una cosa
terribile. Non vedemmo tornar a galla niente: né vivo né morto.'
Il periodo di vita a terra del povero Bob fu, credo, un episodio
d'un suo affare di cuore. Sperava seriamente di averla finita per
sempre col mare, e gli pareva di toccare il cielo con le dita, ma
alla fine dovette acconciarsi a un lavoro duro. Il posto glie
l'aveva trovato un suo cugino di Liverpool. Ci raccontava sempre
quanto aveva tribolato a far quel mestiere. Ci faceva ridere fino
alle lagrime e, incoraggiato dal successo, piccolo com'era e
barbuto fino alla cintura come uno gnomo, si alzava sulla punta
dei piedi in mezzo a noi, e diceva: 'Ridete pure, voialtri, ma la
mia anima immortale si riduceva alle proporzioni di un pisello
secco, dopo una settimana di quel lavoro.' Non so come si
adattasse la natura di Jim alle sue nuove condizioni di vita -
avevo già dovuto sudar sangue per trovargli un'occupazione che gli
conservasse l'anima in corpo ma sono convinto che la sua fantasia
avventurosa ha dovuto soffrire tutte le pene dell'inedia non
avendo certamente di che nutrirsi nel suo nuovo impiego. Faceva
pena vederlo lavorare, benché ci si mettesse con una serena
pertinacia degna di ogni rispetto. Tenevo d'occhio la sua costanza
in quel noioso lavoro, che mi pareva una forma di punizione per le
fanfaronate della sua fantasia - un castigo per la sua aspirazione
a una bellezza per la quale non gli sarebbero bastate le forze.
Gli era troppo piaciuto immaginarsi come un magnifico cavallo da
corsa; e ora era condannato a faticar senza gloria come il ciuco
d'un erbivendolo. Era bravissimo. Si chiudeva in se stesso,
abbassava la testa, e non diceva mai una parola. Bene; benissimo -
eccetto quando tornava disgraziatamente a galla l'insopprimibile
storia del Patna, ché allora scoppiavano scenate fantastiche e
violente. Per sua sventura, quello scandalo dei mari d'Oriente era
duro a morire. E perciò non avevo mai la sensazione di averla
finita con Jim.
Rimasi seduto pensando a lui dopo che l'ufficiale francese se ne
fu andato; però non lo rivedevo nel retrobottega fresco e
malinconico di De Jongh, dove ci eravamo stretti la mano qualche
tempo prima, ma come tre anni fa, agli ultimi guizzi della
candela, nella lunga galleria dell'Hôtel Malabar, col freddo, il
buio della notte alle spalle. La rispettabile spada della patria
Legge gli pendeva sospesa sul capo. Domani - o oggi? (la
mezzanotte era scivolata via molto prima che ci separassimo) il
magistrato faccia di marmo, dopo aver distribuito multe e prigione
nel processo di aggressione con vie di fatto, avrebbe impugnato la
sua terribile arma, e lo avrebbe colpito sul collo proteso. Il
nostro colloquio durante quella notte era stato incredibilmente
simile all'ultima veglia di un condannato. Anche lui era
colpevole. Era colpevole - me l'ero ripetuto tante volte;
colpevole e finito; e tuttavia desideravo risparmiargli i
particolari di un'esecuzione formale.
Non mi proverò a spiegare le ragioni di quella mia disposizione
d'animo - non credo che potrei; ma se non siete arrivati ormai a
farvene un'idea, allora devo esser stato assai poco chiaro nel mio
racconto, oppure avete troppo sonno per afferrare il significato
delle mie parole. Io non difendo la mia moralità. Non c'era una
questione di moralità nell'impulso che mi spinse a offrirgli il
piano d'evasione di Brierly - se così posso chiamarlo - in tutta
la sua semplicità primitiva. Le rupie c'erano - le avevo in tasca
assolutamente pronte per lui, a sua disposizione. Oh! non era che
un prestito; un prestito, si capisce - e se una presentazione a un
tale (a Rangoon) che poteva trovargli qualche lavoro... Ma col
massimo piacere! Avevo penna, inchiostro e carta in camera, al
primo piano. E già mentre parlavo ero impaziente di cominciare la
lettera: giorno, mese, anno, ore 2.30 antimeridiane... in nome
della nostra vecchia amicizia ti prego di trovare un'occupazione
per il signor Giacomo Tal dei Tali, nel quale, ecc. ecc.... Per
lui ero pronto perfino a scrivere in quel tono. Se non si era
conquistato la mia simpatia, per sé aveva fatto di più - era
penetrato fino alla sorgente e alla radice di quel sentimento,
aveva toccato la segreta sensibilità del mio egoismo. Non vi
nascondo nulla, perché se lo facessi il mio atto apparirebbe più
inspiegabile di quanto sia lecito a qualsiasi atto umano; senza
contare che domani avrete dimenticato la mia sincerità come tutte
le altre lezioni del passato. In questa faccenda, a parlar chiaro,
I'uomo irreprensibile ero io; ma le raffinate intenzioni della mia
immoralità furono vinte dalla semplicità morale del colpevole.
Aveva anche lui, senza dubbio, la sua parte d'egoismo, ma di
un'origine più alta, e per uno scopo più elevato. Mi accorsi che,
qualunque cosa io dicessi, lui era ansioso di presentarsi alla
cerimonia dell'esecuzione; né dissi gran che, perché sentivo che
in una discussione tra noi la sua gioventù avrebbe avuto buon
giuoco contro di me: egli credeva ancora in ciò su cui da un pezzo
io avevo cessato d'illudermi. C'era una certa bellezza nella
follia della sua inespressa, quasi non formulata speranza.
'Svignarmela! Non ci penso nemmeno,' fece, scuotendo il capo. 'Le
faccio una offerta per la quale non pretendo né mi aspetto neanche
l'ombra della gratitudine,' dissi; 'mi restituirà il danaro a suo
comodo, e...' 'Lei è molto buono,' borbottò senza alzare gli
occhi. Lo osservai a fondo; l'avvenire doveva sembrargli
orribilmente incerto; ma non esitò un attimo, come se davvero nel
suo cuore non ci fosse stato nulla di men che buono. Mi sentii
irritato non era la prima volta, in quella sera. 'Tutta questa
disgraziata faccenda,' dissi, 'è già abbastanza dura, direi, per
un uomo come lei...' 'Infatti, infatti,' mormorò due volte, con
gli occhi fissi sul pavimento. Spezzava il cuore. Era lì dritto,
alto sopra il lume, e vedevo la peluria della sua guancia, il
colorito caldo sotto la pelle liscia del suo viso. Credetemi o no,
vi dico che faceva spezzare il cuore. Mi sentii spinto alla
brutalità. 'Sì,' feci; 'e mi permetta di confessarle la mia
impossibilità assoluta di vedere che vantaggio c'è a voler
arrivare così fino alla feccia.' 'Vantaggio!' mormorò senza un
gesto. 'Dio mi dànni se ce lo vedo,' ribattei, furibondo. 'Per
farle capire che cosa c'è sotto...,' seguitò lentamente, come
preparasse un argomento inconfutabile. 'Ma, dopo tutto, è un guaio
mio personale.' Aprii la bocca per ribattere, ma mi accorsi d'un
tratto di aver perduto ogni fiducia in me stesso; e mi parve che
anche lui mi avesse tolta la sua stima, perché borbottò come uno
che riflette a mezza voce: 'Chi scappato - chi all'ospedale...
Nessuno di loro ha voluto affrontare... Loro!...' Agitò lievemente
la mano in segno di spregio. 'Ma io ho da superare questa prova,
senza sottrarmi a nulla, altrimenti...' Tacque. Fissava il vuoto
come allucinato. La sua faccia inconsapevole rifletteva il
susseguirsi di varie espressioni: disprezzo, disperazione,
risolutezza - le rifletteva a turno, come in uno specchio magico
il passaggio labile di forme ultraterrene. Viveva in un cerchio di
spettri fallaci, di ombre austere. 'Oh, sciocchezze, ragazzo,'
cominciai. Ebbe un moto d'impazienza. 'Sembra che non mi abbia
inteso bene,' fece con tono incisivo; poi, guardandomi senza
batter palpebra: 'Mi son buttato giù, è vero, ma non sono uno che
scappa.' 'Non intendevo offenderla,' dissi; poi soggiunsi come uno
stupido: 'Uomini meglio di lei hanno trovato opportuno, talvolta,
di scappare.' Arrossì tutto, mentre io per poco non soffocavo
dalla mortificazione. 'Forse è così,' disse alla fine. 'Io non
valgo abbastanza: non posso permettermi questo lusso. Debbo
lottare contro questo... Sto lottando anche adesso.' Mi alzai
dalla poltrona, e mi sentii tutto irrigidito. Il silenzio era
penoso, e per finirla non seppi trovar nulla di meglio che
osservare con disinvoltura: 'Non credevo fosse così tardi...' 'Lei
ne ha abbastanza - credo - di questa storia,' disse bruscamente:
'e, per dire la verità,' - cominciò a cercar con gli occhi il suo
berretto - 'anch'io.'
Bene! Aveva rifiutato quella straordinaria offerta. Aveva respinto
la mia mano tesa ad aiutarlo; ora era pronto ad andarsene, e al di
là della balaustra la notte sembrava aspettarlo immobile, come la
vittima designata. Udii la sua voce. 'Ah! eccolo qui.' Aveva
trovato il berretto. Per pochi secondi rimanemmo sospesi. 'Che
farà quando... quando...' domandai a voce bassissima. 'Andrò al
diavolo, molto probabilmente,' rispose in un borbottio roco. Mi
ero un po' ripreso, e mi parve meglio prender la cosa alla
leggera. 'La prego di ricordarsi,' dissi, 'che sarei molto lieto
di rivederla prima della sua partenza.' 'Perché no? Questa
maledetta storia non mi renderà mica invisibile.' replicò con
intensa amarezza... 'Magari!' Allora, al momento di congedarsi, fu
una serie di balbettii, di gesti incerti, di tremende esitazioni.
Dio gli perdoni, a lui... e anche a me! Si era ficcato in quella
sua testa fantastica che forse avrei avuto difficolta a
stringergli la mano. Una cosa tremenda! Credo che gli gridai
qualcosa a un tratto, come si urlerebbe a un uomo sul punto di
metter piede sopra un burrone; ricordo che alzammo la voce, e
ricordo l'apparire sul suo volto di un povero sorriso, una stretta
di mano da stritolarmela, e la sua risatina nervosa. La candela si
spense sfrigolando, e la cosa finì, se Dio vuole, con un gemito
che mi giunse per l'aria nel buio. In qualche modo riuscì ad
allontanarsi. La notte ne inghiottì la sagoma. Era uno spaventoso
pasticcione. Spaventoso. Sentii lo scricchiolìo della ghiaia sotto
le sue scarpe. Se n'andava di corsa; proprio di corsa, senza un
posto al mondo dove andare. E non aveva ancora ventiquattr'anni".
CAPITOLO 14.
"Dormii poco, mangiai un boccone in fretta e decisi, dopo un
attimo di titubanza, di saltare la visita mattutina alla mia nave.
Facevo uno strappo grave perché il mio primo ufficiale di bordo,
sebbene fosse in tutto e per tutto un eccellente uomo, era
soggetto a così nere fantasie che, se non riceveva una lettera
dalla moglie nel termine stabilito, diventava addirittura matto di
rabbia e di gelosia; lasciava perdere il suo lavoro, litigava con
tutti i marinai, e se non si ritirava a piangere in cabina,
s'inaspriva al punto di portar l'equipaggio sull'orlo della
rivolta. Questa faccenda non l'avevo mai capita: erano sposati da
tredici anni: lei l'avevo vista di sfuggita una volta e in
coscienza non si arriva a immaginare un donnaiolo di così buon
palato da cadere in tentazione per quello straccetto. Non so se ho
fatto male a non aprir gli occhi in proposito al povero Selvin,
quando quel disgraziato si creava un inferno in terra che, di
contraccolpo, investiva anche me; ma una certa, indubbiamente
falsa, delicatezza mi trattenne. I rapporti coniugali dei marinai
sarebbero un interessante argomento; io potrei raccontarvi
episodi... Ma ciò sarebbe fuor di tempo e di luogo: qui noi ci
stiamo occupando di Jim - che era celibe. Qualora per il suo
carattere estroso o il suo orgoglio, ovvero per tutte quelle
fantasmagorie e ombre austere di cui ebbe le calamitose
visitazioni in gioventù, non fosse riuscito a sfuggire al ceppo,
io che, naturalmente, non ho mai ricevuto visitazioni simili,
neanche il sospetto, ero spinto da una forza irresistibile ad
assistere alla sua decapitazione. Presi la via del tribunale. Non
pensavo affatto di rimanere molto colpito o edificato, o eccitato
e nemmeno impaurito, sebbene un bello spavento ogni tanto sia
disciplina salutare finché uno ha vita da vivere. Ma non mi
aspettavo nemmeno che la faccenda mi avrebbe così terribilmente
depresso. L'amarezza del suo castigo era tutta in quell'atmosfera
gelida e meschina. La vera essenza del delitto sta nel mancar di
fede al consorzio umano; da questo punto di vista Jim non era un
traditore da poco, ma la sua esecuzione fu una cerimonia pietosa.
Né la solennità del patibolo, né i drappi rossi (si usavano i
drappi rossi a Tower Hill? Avrebbero dovuto esserci) né
moltitudini esterrefatte dall'orrore del delitto, e commosse fino
alle lacrime per la fine del reo - né l'aspetto d'una cupa
giustizia punitrice. Splendeva, sui miei passi, un limpido sole
troppo vivo per riuscir consolante, le strade piene d'un
guazzabuglio di note di colore, come in un caleidoscopio rotto:
giallo, verde, azzurro, bianco da levar gli occhi; la nudità
scoperta di una spalla abbronzata, un carro di buoi con un
baldacchino rosso, una compagnia di fanteria indigena in un blocco
color nocciola opaco punteggiato di teste nere, che marciava con
gambaletti coperti di polverone; un agente indigeno in uniforme
scura di taglio striminzito, con cintura di cuoio lucido, che mi
guardò con occhi d'un'accoratezza orientale, come se il suo
spirito trasmigratore soffrisse troppo di quell'imprevista come si
chiama?... avatar... incarnazione. All'ombra di un albero
solitario nel cortile, i contadini implicati nel processo
d'aggressione, in gruppo pittoresco, seduti, sembravano la
cromolitografia di un accampamento per un libro di viaggi in
Oriente. Veniva fatto di cercare l'immancabile fil di fumo in
primo piano e le bestie da soma a brucare in libertà. Più alto
dietro l'albero si levava un liscio muro giallo e rifletteva il
bagliore del sole. L'aula del tribunale, così buia, sembrava più
grande. Lassù nella zona in penombra i punkahs oscillavano avanti
e indietro, avanti e indietro. Qua e là una figura drappeggiata,
rimpicciolita dalla nudità delle pareti, stava immobile in mezzo
alle file di banchi vuoti, come assorta in pia meditazione. Il
querelante, quello che era stato bastonato, un obeso color
cioccolato con la testa rapata, col petto oleoso scoperto e un
segno di casta di un giallo brillante sopra la radice del naso,
sedeva in pomposa immobilità, rotando nell'ombra gli occhi
scintillanti, e dilatando nel respiro e riabbassando le narici con
energia. Brierly si abbandonò sulla sedia e pareva esausto, come
se avesse passato la notte a correre su una pista di cenere. Il
pio capitano di veliero sembrava eccitato e aveva scatti nervosi,
come se trattenesse a stento l'impulso di balzare in piedi per
esortarci solennemente alla preghiera e al pentimento. La testa
del magistrato, di uno squisito pallore sotto le chiome ravviate
con cura, sembrava la testa d'un malato incurabile che, ben lavato
e pettinato, avessero messo a sedere sul letto, sollevato sui
cuscini. Spostò il vaso da fiori - un mazzo di corolle purpuree su
gambi lunghi, con qualche punteggiatura di rosa - poi, sollevato a
due mani un foglio di carta azzurrina, lo scorse con gli occhi,
appoggiò gli avambracci sull'orlo della scrivania, e cominciò a
leggere ad alta voce in tono uguale, nitido e assente "Perdiana!
Con tutte le mie sciocchezze a proposito di patiboli, e di teste
tagliate - io vi assicuro che fu infinitamente peggio di una
decapitazione. Un grave senso di ineluttabilità incombeva, senza
neanche il sollievo di quella speranza di riposo e di sicurezza
che segue il cadere della mannaia. Questo giudizio legale aveva la
freddezza vendicativa di una sentenza di morte, aveva la crudeltà
di un bando di esilio. Così per lo meno mi parve quella mattina -
e ancora adesso mi sembra di riconoscere un innegabile fondo di
verità in quella mia valutazione eccessiva d'un fatto di cronaca.
Potete dunque farvi un'idea dell'intensità dei miei sentimenti in
quel giorno. Per questo, forse, non riuscivo a persuadermi che il
giudizio fosse definitivo. La questione, per me, restava aperta;
ero ancora ansioso di rimetterlo in discussione, come se non fosse
già esaurita - suffragandola di pareri individuali - di opinioni
internazionali, magari. Per esempio, quella del Francese. E costui
aveva emesso il giudizio di tutto il suo Paese con la fraseologia
spassionata e precisa di una macchina, se le macchine sapessero
parlare. La testa del magistrato restava mezzo nascosta dal
foglio, la sua fronte sembrava d'alabastro.
Vari quesiti vennero sottoposti alla Corte. Primo, se la nave era,
sotto ogni punto di vista, in efficienza e in condizione di
reggere il mare. La Corte rispose: no. Il secondo quesito,
ricordo, era se fino al momento dell'incidente il Patna avesse
navigato con le debite e specifiche norme nautiche. A questo
risposero: sì - Dio sa perché - e poi dichiararono che non era
emerso alcun elemento probatorio sulle precise cause del sinistro.
Probabilmente un relitto vagante. Mi ricordavo di un tre alberi
norvegese, che faceva rotta con un carico di pino americano e fu
dato disperso verso quell'epoca: giusto il tipo di nave da
scuffiare sotto un fortunale e seguitar poi a galleggiare, chiglia
in su, per dei mesi - una specie di versiera marina, alla ricerca
di preda nell'oscurità. Tali cadaveri vaganti sono piuttosto
comuni nell'Atlantico settentrionale, infestato com'è da tutti i
terrori del mare nebbie, icebergs, carcasse di navi all'agguato, e
la maledizione di burrasche insistenti, che ti si attaccano
addosso come vampiri, e non mollano finché non hanno succhiato
tutte le forze, tutto il coraggio, e perfino la speranza, e ti
riducono un uomo a un guscio vuoto. Ma lì - in quei mari - il caso
era tanto raro da sembrare piuttosto il personale proposito di una
provvidenza maligna: la quale, tranne non si fosse proposta come
scopo preciso la morte d'un fuochista e peggio della morte per
Jim, appariva un gioco diabolico assolutamente gratuito. Queste
considerazioni che mi spuntavano in mente, mi sviarono
l'attenzione. Per un certo tempo la voce del magistrato non la
sentii più che come puro suono; ma improvvisamente riprese a
scandirsi in parole definite... 'con assoluta noncuranza del loro
preciso dovere,' diceva. La frase successiva, non so come, mi
sfuggì. E poi... 'abbandonando nel momento del pericolo le vite e
la roba a loro affidate...' continuò la voce in tono monotono, e
quindi si tacque. Due pupille sotto a una fronte bianca gettarono
un cupo sguardo di sopra il margine del foglio. Cercai subito Jim
con gli occhi, come se mi aspettassi di non trovarlo più li. Era
fermo immobile - ma c'era, seduto, biondo, roseo, raccolto. 'Per
questi motivi...' riprese la voce, enfatica. Jim con gli occhi
fissi e la bocca semiaperta, pendeva dalle parole di quell'uomo di
là dalla scrivania: cadevano esse nel silenzio intorno, librandosi
sul vento mosso dai punkahs: e io, che badavo al loro effetto su
Jim, non afferravo che a frammenti quella terminologia
ufficiale... 'La Corte... Gustavo Tal-dei-Tali, capitano... nato
in Germania... Giacomo Tal-dei-Tali... primo ufficiale... radiati
dall'albo.' Seguì in silenzio. Il magistrato aveva lasciato cadere
il foglio, e, chinandosi di traverso su un bracciolo della
poltrona, si mise a parlare tranquillamente con Brierly. La gente
si avviava all'uscita; altri cercavano di entrare, io mi avviai
alla porta. Fuori, mi fermai; e quando Jim mi passò vicino,
diretto al cancello, lo presi per un braccio. L'occhiata che mi
diede mi turbò come se fossi stato responsabile della sua
situazione: mi guardò come se fossi io, in carne e ossa, il male
della vita. 'E' finita,' balbettai. 'Già,' ribatté con voce afona.
'E ora, che nessuno...' con uno strappo si liberò il braccio dalla
mia stretta, e lo vedevo di schiena allontanarsi. La strada
correva dritta ed egli mi rimase in vista per un pezzo. Camminava
piuttosto adagio, con le gambe un po' aperte, come se gli
riuscisse difficile seguire una linea retta. Poco prima di
perderlo d'occhio, mi parve di vedere che barcollava un po'.
'Un uomo in mare,' disse una voce profonda dietro di me.
Voltandomi, vidi un tipo che conoscevo appena, un Australiano
dell'Ovest: un tal Chester. Anche lui l'aveva accompagnato con gli
occhi. Era un uomo con un torace immenso, un viso scabro, raso,
color mogano, e due ciuffetti di peli grigio ferro, folti, duri,
sul labbro superiore. Era stato pescatore di perle, recuperatore
di relitti, commerciante e anche pescatore di balene, credo;
secondo quanto diceva lui stesso, aveva fatto tutto ciò che un
uomo può fare in mare, eccetto il pirata. Il Pacifico del Nord e
del Sud era la sua bandita di caccia; ma adesso era arrivato fino
a quel porto in cerca di un piroscafo da comprare a buon mercato.
Recentemente aveva scoperto in qualche parte - a sentir lui -
un'isola di guano, ma c'era un approdo pericoloso e l'ancoraggio,
allo stato delle cose, si presentava innegabilmente, a dir poco,
malsicuro. 'Vale una miniera d'oro,' esclamava. 'Proprio in mezzo
alle scogliere di Walpole, e anche se non si trova, magari, dove
dar fondo a meno di quaranta braccia, che importa? E ci sarà
magari qualche ciclone. Però è un affare di prim'ordine. Vale una
miniera d'oro... di più! Eppure non ce n'è uno, di questi
imbecilli, che se ne renda conto. Non mi riesce di trovare un
capitano o un armatore che ci si voglia accostare. Così ho deciso
di caricarla da me quella grazia di Dio...' Ecco perché cercava un
piroscafo, e sapevo che proprio allora stava trattando con grande
entusiasmo con una ditta Parsi per un vecchio anacronismo
attrezzato a brigantino, della forza di novanta cavalli. Ci
eravamo incontrati varie volte, e avevamo fatto quattro
chiacchiere insieme. Ora guardava Jim allontanarsi, e con aria di
chi è al corrente, domandò con sarcasmo: 'E quello se la prende,
eh?' 'Moltissimo,' risposi. 'Allora è un buono da niente,'
concluse. 'Tante storie per uno straccio di pergamena: roba che
non è mai servita a fare un uomo! Bisogna vedere le cose come sono
- altrimenti meglio piantarla, che tanto non si farà mai nulla in
questo mondo. Guardi me. Mi sono fatto una regola di non
pigliarmela mai di nulla.' 'Già,' feci. 'Vede le cose come sono,
lei.' 'Vorrei veder arrivare il mio socio, ecco cosa vorrei
vedere,' disse. 'Lo conosce lei il mio socio? Il vecchio Robinson.
Già: il Robinson. Non lo conosce, lei? Il famoso Robinson. L'uomo
più in gamba al mondo per contrabbandare l'oppio e sgraffignar
foche. Dicono che costumava arrembare gli schooner dei cacciatori
di foche su verso l'Alaska quando la nebbia era così fitta che
Domeneddio solo poteva riconoscere un uomo da un altro. Robinson
il Terrore di Dio. Ecco chi è il mio socio, in quell'affare di
guano. La migliore occasione che gli sia capitata in vita sua.'
Avvicinò le labbra al mio orecchio. 'Cannibale? - beh, lo
chiamavano così tanti e tanti anni fa. Si ricorda della storia? Un
naufragio sulla costa occidentale dell'isola Stewart; appunto;
arrivati a toccar terra in sette, pare che non andassero gran che
d'accordo. C'è sempre il fegatoso che niente gli va bene e piglia
tutto per traverso che non vede le cose come stanno - ma proprio
come stanno, caro mio! E allora come va a finire? E' chiaro! Guai,
guai! e la bona in testa, si sa, poi ci scappa, e meritata,
magari. Quei tipi li fan più comodo morti. Vuol la leggenda che
una scialuppa della Regia Nave Wolverine lo trovò inginocchiato
sulle alghe, nudo bruco, che cantava qualcosa come un salmo, sotto
un nevischio leggero. Aspettò che la barca fosse a un remo dalla
riva, poi si rialzò, e via. Gli diedero la caccia per un'ora su e
giù per la scogliera, e alla fine un marinaio gli tirò un sasso
che lo pigliò provvidenzialmente dietro l'orecchio e lo stese in
terra svenuto. Solo? Si capisce. Ma è come quell'altra storia
degli schooner dei cacciatori di foche, che Dio solo sa il vero e
il falso di quella faccenda. Quelli della scialuppa non andarono a
cercar tanto in là. Lo avvilupparono in una incerata e se lo
portarono via in fretta, che già faceva buio, il tempo minacciava
e la nave sparava colpi d'appello ogni cinque minuti. Tre
settimane dopo era più in gamba che mai. Non si curò né tanto né
poco delle storie che mettevano in giro a terra; strinse forte le
labbra, e che la gente cantasse pure. Era già un guaio grosso aver
perduto nave e ogni cosa, senza dover anche far attenzione agli
insulti della gente. Ecco l'uomo che fa per me.' Alzò un braccio
per far cenno a qualcuno in fondo alla strada. 'Ha un po' di
quattrini, e così ho dovuto metterlo a parte dell'affare. Per
forza! Sarebbe stato un delitto buttar a mare una simile scoperta!
E io ero a secco. Mi piangeva il cuore, ma a guardar la faccenda
esattamente com'era, non potevo far a meno di dividere l'impresa
con qualcuno - e allora, pensai- viva la faccia di Robinson. L'ho
lasciato che faceva colazione in albergo, perché son voluto venire
in tribunale, per via di una certa idea... Ah! buongiorno capitano
Robinson... Un mio amico, il capitano Robinson.'
Un emaciato patriarca, con un vestito di cotonina bianca, un casco
orlato di verde sul capo tremulo di vecchiaia, ci raggiunse dopo
aver attraversato la strada con un trottellerino strascicato; e si
fermò, con le due mani appoggiate sul manico dell'ombrello. Una
barba bianca striata d'ambra gli scendeva a bioccoli fino alla
vita. Sbatté le palpebre rugose guardandomi con aria sperduta.
'Come sta? come sta?' cinguettò amabilmente, e barcollò. 'Un po'
sordo,' mi confidò Chester. 'E lei se lo è strascinato dietro per
seimila miglia per comprare un piroscafo a buon mercato?'
domandai. 'Gli avrei fatto fare due volte il giro del mondo
soltanto perché ci desse un'occhiata,' rispose Chester con una
straordinaria energia. 'Quel vapore sarà la nostra fortuna, caro
mio. E' forse colpa mia se tutti i capitani e armatori della mia
benedetta Australasia non sono che dei maledetti imbecilli? Una
volta ci persi tre ore a parlare con uno a Auckland. - Mandi una
nave -, gli dissi, - mandi una nave. Le do metà del primo carico,
gratis et amore Dei... per niente, regalo: solo per cominciare. -
Dice lui: - Ma neanche se non avessi altro posto al mondo da
mandarci una nave. - Quell'asino calzato e vestito, capisce?
Scogli, correnti, niente baie riparate, roccia a strapiombo nel
punto di ancoraggio, nessuna compagnia d'assicurazione che voglia
correre un rischio simile, non vedeva come si sarebbe potuto fare
il carico in meno di tre anni... Asino. Quasi quasi mi ci
inginocchiavo davanti. - Ma guardi la cosa esattamente com'è -
dissi. - Macché scogli e cicloni del diavolo. La guardi com'è. C'è
guano laggiù, roba che i piantatori di zucchero del Queensland ci
farebbero a botte... a botte sulla banchina, glie lo dico io... -
Che si può combinare con un imbecille?... - Questo è uno dei suoi
scherzetti, Chester, - dice... Scherzetti! Mi sarei messo a
piangere. Lo domandi al capitano Robinson, qui... E c'era un altro
tipo di armatore - un grassone in panciotto bianco, a Wellington,
che pareva avesse paura di esser magari messo in mezzo. - Non so
che genere d'imbecille lei stia cercando, dice, ma in questo
momento ho da fare. Arrivederla. - Avevo una voglia matta di
prenderlo a due mani e buttarlo fuori per la finestra del suo
ufficio. Ma non lo feci. Mi tenni dolce come un sagrestano. - Ci
pensi, - dico. - Ci pensi, la prego. Ripasso domani. - Grugnì che
sarebbe stato 'fuori tutto il giorno'. Scendendo le scale avrei
battuto la testa contro il muro dalla rabbia. Il capitano
Robinson, qui, glie lo può dire. Era una disperazione pensare a
tutto quel ben di Dio, fermo, inutilizzato, sotto al sole - roba
da mandar le canne da zucchero a bucare il cielo. La fortuna del
Queensland! La fortuna del Queensland! E a Brisbane, dove andai
per un ultimo tentativo, mi diedero del matto. Imbecilli! L'unica
persona di buon senso capitatami fu il vetturino che mi portò in
giro. Doveva essere un pezzo grosso decaduto - positivo! Ehi!
Capitano Robinson! Si ricorda quello che le ho detto del mio
vetturino di Brisbane - eh? Quello aveva un occhio straordinario
per le cose. Vide l'affare di colpo. Era un piacere parlare con
lui. Una sera, dopo una giornata infernale tra gli armatori, mi
sentii così a mal partito che, dico: - Qui o prendo una sbornia o
impazzisco. - Ci sto - dice lui. - E subito. - Non so cos'avrei
fatto senza di lui. Ehi! Capitano Robinson!'.
Ficcò un dito nelle costole del suo socio. " Eh! eh! eh!" rise
quell'Antico guardando giù per la strada con occhio svagato, e poi
dandomi un'occhiata dubbiosa con le sue pupille tristi e opache...
'Eh! eh! eh!'... Si appoggiò con più forza sull'ombrello e abbassò
gli occhi a terra. Io - neanche a dirlo - avevo cercato varie
volte di andarmene, ma Chester aveva sventato ogni mio tentativo
semplicemente afferrandomi per la falda della giacca. 'Un minuto.
Ho un'idea.' 'Che è questa maledetta idea?' gridai alla fine. 'Se
crede di trascinarmici dentro...' 'No, no, caro. Troppo tardi,
anche se ne morisse di voglia. Abbiamo il piroscafo, ormai!'
'Avete un fantasma di piroscafo, feci. 'Per cominciare, basta...
non abbiamo sciocche pretese, noi. Vero, capitano Robinson?' 'No!
no! no!' gracchiò il vecchio senza alzare gli occhi, ma con tanta
risolutezza che il tremito della sua testa divenne quasi
spasmodico. 'So che lei conosce quel giovanotto,' disse Chester
accennando col capo verso la strada per la quale era scomparso Jim
un bel po' prima. 'Ha mangiato con lei al Malabar ieri sera - me
l'hanno detto!'
Risposi che era vero; e quegli mi confidò che anche a lui piaceva
viver bene e con eleganza, ma che, per il momento, doveva spellare
il centesimo; 'non ce n'è mai abbastanza, per il nostro affare!
Vero, capitano Robinson?' Poi drizzo le spalle, e si lisciò i
baffetti, mentre il famoso Robinson, al suo fianco, nei colpi di
tosse si attaccava più che mai al manico del suo ombrello, e
sembrava sul punto di dissolversi insensibilmente in un mucchietto
di vecchie ossa lì a terra. 'Capisce, è il vecchio che ci mette i
quattrini,' mormorò Chester confidenzialmente. 'Io sono rimasto a
secco nel tentativo di riparare quella maledetta caffettiera. Ma
aspetti un po', aspetti e vedrà! Si avvicina il momento buono.'
D'un tratto sembrò stupirsi dei miei segni d'impazienza. 'Oh!
canchero!' esclamò, 'io gli parlo dell'affare più grandioso che si
sia mai visto, e lui...' 'Ho un appuntamento,' dichiarai con aria
di umile preghiera. 'E che importa?' domandò con schietta
sorpresa. 'Li faccia aspettare.' 'E': proprio quello che sto
facendo,' osservai. 'Non farebbe più presto a dirmi che vuole?'
'Arrivare a comprare venti alberghi come quello,' brontolò fra sé,
'e anche tutti i buffoni che ci abitano... comprarli venti volte.'
Alzò la testa di scatto. 'Mi occorre quel giovanotto.' 'Non
capisco,' feci. 'E' un buon da niente, vero?' disse Chester con
vivacità. 'Non ne so nulla,' protestai. 'Ma se me l'ha detto
proprio lei che se la prendeva tanto per quel suo guaio 'ribatté
Chester. 'Beh, secondo me, un tipo che... In ogni caso, di scarso
valore certo; d'altra parte, sto cercando gente, e ho per
l'appunto un lavoro adatto per lui: un impiego sulla mia isola.' E
fece col capo un cenno significativo. 'Ci sgnacco un quaranta
coolies - dovessi rapirli. Qualcuno ci ha pur da lavorare a quella
roba. Oh! intendo far le cose a modo: baracca di legno, tetto di
lamiera, conosco un tale a Hobart che mi accetta un effetto a sei
mesi per i materiali. Davvero. Giuro. Poi c'è la riserva d'acqua.
Devo mettermi in giro presto per trovare qualcuno che mi fornisca
su parola una dozzina di serbatoi di seconda mano. Per captare la
pioggia, capito? A lui la direzione. Lo faccio direttore generale
dei coolies. Buon'idea, no? Che ne dice, lei?' 'Passano anni
interi senza che caschi una goccia d'acqua a Walpole,' risposi,
troppo stupito per poter ridere. Si morse il labbro e parve
perplesso. 'Oh, beh, mi arrangerò in qualche modo- magari ci porto
una provvista d'acqua - accidenti! Non è questo il problema.'
Non risposi. Vidi come in un lampo Jim arrampicarsi per una
sassaia bruciata, immerso nel guano fino alle ginocchia, con le
orecchie intronate dagli strilli dei gabbiani, e la palla
incandescente del sole sopra la testa; il cielo deserto e l'oceano
deserto a perdita d'occhio, frementi di una stessa tensione
torrida. 'Neanche al mio peggior nemico...' cominciai. '"Che va
cercando?' gridò Chester; 'intendo dargli un ottimo stipendio -
voglio dire, appena la cosa sia ben avviata, si sa. Un incarico
facile come lasciarsi cadere da un ramo. Assolutamente niente da
fare; due pistole a sei colpi nella cintura... Non avrà mica
paura, quello, di ciò che possono fare quaranta coolies...
disarmati, e lui con due pistole. Molto meglio che non sembri a
prima vista. Lei mi deve aiutare a convincerlo.' 'No!' gridai. Il
vecchio Robinson alzò un attimo la malinconia dei suoi occhi
cisposi; Chester mi guardò con un supremo disprezzo. 'Dunque lei
non glie lo vuol proporre?' disse lentamente. 'No certo,' risposi,
indignato come se mi avesse chiesto di aiutarlo ad assassinare
qualcuno. 'E poi sono sicuro che lui non accetterebbe. E' molto
avvilito, ma non è matto, ch'io sappia.' 'Non può più fare niente
al mondo,' ribatté Chester ad alta voce. 'Mi andava proprio bene.
Se lei sapesse veder le cose come sono, capirebbe che è proprio
quello che fa per lui. E poi... Ma come! Ma se è l'occasione più
rara, la più sicura...' E, d'un tratto, furibondo: 'Ho bisogno di
un uomo. Ecco!...' Batté un piede in terra, con un sorriso
antipatico. 'Comunque, la mia isola garantisco che non gli si
affonderebbe sotto i piedi... e mi pare che questa sia una
circostanza di particolare valore per lui.' 'Buongiorno,' dissi io
secco secco. Mi guardò come se fossi stato un assurdo imbecille...
'Bisognerà levar l'àncora, capitano Robinson,' urlò a un tratto
nell'orecchio del vecchio. 'Questi citrulli di Parsee ci stanno
aspettando per concluder l'affare.' Con una stretta energica
afferrò il socio per un braccio, gli fece fare un mezzo giro su se
stesso, e, improvvisamente, si voltò lanciandomi un'occhiata
furbesca di sopra le sue spalle. 'Intendevo di fargli un piacere,'
asserì, con un'espressione e un tono di voce che mi rimescolarono
il sangue. 'Le pare - grazie per lui,' ribattei. 'Oh, lei ha un
punto più del diavolo,' disse a scherno; 'ma è anche lei come
tutti gli altri. Troppo nelle nuvole. Vedremo che ne saprà fare,
lei, di quell'individuo.' 'Non credo di volerne far nulla.'
'Davvero?' Sputacchiò; dalla rabbia gli si drizzarono i baffi
grigi, mentre il famoso Robinson puntellato dall'ombrello gli
stava al fianco volgendomi le spalle, paziente immobile come un
esausto brocco di carrozzella. 'Io non ho trovato isole di guano,'
feci. 'Sono convinto che lei non saprebbe trovarne, quando anche
ce lo portassero per mano,' ribatté sùbito. 'E in questo mondo
bisogna prima vederla una cosa, per poterla mettere a partito.
Bisogna vederla da parte a parte, né più né meno.' 'E persuadere
anche gli altri a vederla,' insinuai con un'occhiata alla schiena
curva che gli stava vicino. Chester grugnì. 'Gli occhi ce l'ha
buoni abbastanza... non abbia paura. Non è mica un cucciolo.' 'Oh,
mai più!' dissi. 'Venga via, capitano Robinson,' urlò, con una
specie di deferenza dispotica, sotto alla falda del cappello del
capitano; il Terrore di Dio fece un salterello remissivo. Un
fantasma di piroscafo li aspettava; come pure la Fortuna su
quell'isola bella! Formavano una curiosa coppia di Argonauti.
Chester a passi lenti, ben costruito, maestoso e in aspetto di
dominatore - l'altro, allampanato, smunto, cadente, attaccato al
suo braccio, trascinava in affannosa fretta le cianche vizze".
CAPITOLO 15.
"Non andai sùbito in cerca di Jim perché avevo davvero un
appuntamento a cui non potevo mancare. Poi accadde che,
nell'ufficio del mio agente, fossi bloccato da uno arrivato di
fresco dal Madagascar con uno schema di progetto per un affare
mirabolante. Si trattava di bestiame, di cartucce e di un tal
principe Ravonalo; ma il perno dell'intera faccenda era la
stupidità di un ammiraglio - l'Ammiraglio Pierre, mi pare. Tutto
convergeva lì, e quel tipo non riusciva a trovare parole
abbastanza efficaci ad esprimere tutta la sua fiducia. Aveva due
occhi a globo che gli uscivano dalle orbite, con una rifrazione da
pesce, forti bozze frontali e capelli lunghi tirati indietro senza
scriminatura. Aveva una sua frase favorita che ripeteva
trionfalmente: 'Il minimo rischio col massimo profitto è il mio
motto. Eh?' Mi diede il mal di capo, mi rovinò la colazione, ma mi
sfruttò a suo piacere; e appena me lo fui levato dai piedi, mi
diressi al mare. Trovai Jim appoggiato al parapetto della
banchina. Vicino a lui tre barcaioli indigeni che litigavano per
cinque anni facevano un baccano del diavolo. Non mi sentì
arrivare, ma quando lo toccai si voltò di colpo come se il lieve
contatto del mio dito avesse fatto scattare una molla. 'Guardavo,'
balbettò. Non ricordo che dissi, certo poche parole, ma si lasciò
condurre all'albergo senza difficoltà.
Mi seguì con la docilità d'un bambinetto, e un'aria ubbidiente,
senz'ombra di reazione, quasi fosse stato lì ad aspettare ch'io
venissi a prenderlo e condurlo via. Non avrei dovuto rimanere così
sorpreso della sua docilità. In tutta la sfera del mondo, che a
qualcuno sembra così grande e che altri fan mostra di considerare
alquanto più piccola di un seme di mostarda, per lui non esisteva
un luogo dove avrebbe potuto - come dire? - dove avrebbe potuto
rifugiarsi. Ecco! Rifugiarsi - essere solo con la propria
solitudine. Mi camminava al fianco, molto calmo, guardando un po'
qua e un po' là, e una volta girò il capo per seguire con lo
sguardo un pompiere Sidiboy dalla giacca a coda di rondine e i
calzoni giallini, con un volto nero dai riflessi di seta come un
pezzo d'antracite. Stimo però che non vedesse nulla, in realtà, e
che neppur si accorgesse sempre neanche della mia esistenza,
perché se non lo avessi ora spinto un po` a sinistra, ora tirato
un po' a destra, credo che avrebbe proseguito dritto davanti a sé
in qualsiasi direzione, finché non lo avesse fermato un muro o
qualche altro ostacolo. Lo portai in camera mia, e mi misi subito
a sedere per scrivere delle lettere. Era l'unico posto al mondo
(oltre, forse, le scogliere di Walpole: ma quelle non erano così
sotto mano) dove potesse concentrarsi in se stesso senza esser
disturbato dal resto dell'universo. Quella maledetta faccenda -
l'aveva detto lui stesso - non lo aveva reso invisibile, ma io mi
comportavo proprio come se lo fosse. Appena messomi a sedere, mi
chinai subito sul mio tavolino, come uno scriba medioevale, e,
tranne il movimento della penna, rimasi in una ansiosa immobilità.
Non che avessi paura; ma è certo che mi tenni immobile come se
nella stanza ci fosse una presenza pericolosa, pronta a balzarmi
addosso al primo accenno di movimento da parte mia. Non c'era gran
che nella stanza: sapete come sono combinate le camere d'albergo -
una specie di letto a colonne sotto a una zanzariera, due o tre
sedie, il tavolo al quale sedevo, un pavimento nudo. Una porta a
vetri dava su una veranda, e Jim se ne stava in piedi di fronte a
quella, in un isolamento assoluto, alle prese col proprio dramma.
Calò il crepuscolo; accesi una candela con la massima parsimonia
di movimenti, guardingo come se fosse un atto clandestino. Non c'è
dubbio che fosse per lui un momento difficile, e anche per me,
tanto che, lo confesso, arrivai in cuor mio a mandarlo
all'inferno, o almeno alle scogliere di Walpole. Una o anche due
volte mi venne fatto di pensare che, dopo tutto, Chester poteva
essere davvero l'uomo adatto, provvidenziale, in un disastro
simile. Quel curioso tipo d'idealista aveva trovato subito il lato
pratico della questione, diciamo così. Tanto da farmi supporre
che, forse, lui fosse in grado sul serio di vedere il vero aspetto
di cose che, a persone di minore immaginazione, apparivano
misteriose e del tutto disperate. Scrivevo, scrivevo; sbrigai
tutta la corrispondenza arretrata e poi mi misi a scrivere a gente
che non aveva nessun motivo di aspettarsi da me una lettera di
chiacchiere a vuoto. Ogni tanto lo sbirciavo con la coda
dell'occhio. Ci pareva radicato, lì, ma si vedeva che brividi
convulsi gli correvano per la schiena; a tratti scuoteva le
spalle, di colpo. Lottava, lottava... più che altro, o almeno in
apparenza, per tirare il respiro. Le ombre massicce, proiettate
tutte da una parte dalla fiamma diritta della candela, sembravano
possedute da una cupa consapevolezza; il mobilio immobile pareva
al mio occhio furtivo in sospensione attenta. Mi si accendeva la
fantasia in quei miei laboriosi scarabocchi; e sebbene, quando
s'interrompeva un momento lo stridore della mia penna, nella
stanza succedesse un silenzio pieno e un'immobilità assoluta,
tuttavia provavo quella penosa confusione mentale e quel profondo
turbamento provocati normalmente da un fragore violento e pauroso
- per esempio da una grossa burrasca in mare. Qualcuno di voi,
forse, sa cosa intendo dire: quel misto di ansia, di pena, di
irritazione e quel filo di vigliaccheria che vi s'insinua dentro;
che, piuttosto difficile da confessare, dà tuttavia un valore
speciale alla nostra forza d'animo. Non voglio farmi un merito per
aver resistito alla tensione emotiva di Jim; avevo, nelle mie
lettere, una diversione; potevo anche scrivere a degli
sconosciuti, se volevo. A un tratto, mentre prendevo un altro
foglio di carta, sentii come un gemito sommesso: il primo suono
che, da quando eravamo chiusi insieme, mi fosse giunto
all'orecchio nella silenziosa penombra della stanza. Restai a capo
chino, con la mano sospesa. Chi ha mai vegliato vicino al letto di
un infermo sa che cosa sono questi suoni leggeri nel silenzio
delle ore notturne, strappati dalla sofferenza del corpo, dalla
stanchezza dell'anima. Spinse la porta con tanta forza, che ne
rintronarono tutti i vetri: lo ascoltai uscire trattenendo il
respiro e tendendo le orecchie senza sapere che altro mi
aspettassi. Davvero se la prendeva troppo per una vuota formalità
che al rigoroso senso critico di Chester appariva di nessun peso,
per chi vede le cose come sono. Una vuota formalità: un pezzo di
pergamena. Già, già. Quell'inaccessibile banco di guano, invece,
era tutt'un'altra storia. Di questo si poteva, non senza ragione,
farsi una spina al cuore. Una sorda folata di voci mescolate a un
tintinnìo d'argenterie e di cristalli salì dalla sala da pranzo.
Attraverso la porta aperta l'estremo orlo di luce della mia
candela batteva fioco sulla schiena di Jim; di là, era tutto buio.
Stava sul margine di una vasta oscurità, come una figura solitaria
sulla spiaggia di un oceano disperatamente buio. In quell'oceano
c'era la scogliera di Walpole - questo sì - un puntino nella vuota
oscurità, una festuca per un uomo che affoga. La mia compassione
per lui si concretò in questo pensiero: non avrei voluto che la
sua gente lo vedesse in quel momento. Era già una pena per me.
L'ansito non gli scuoteva più la schiena: stava lì in piedi,
dritto come una freccia, appena visibile e fermo; e il significato
di quell'immobilità mi scese in fondo all'animo come piombo
nell'acqua, e con tanto peso che per un attimo mi augurai di tutto
cuore mi restasse un'unica cosa da fare: pagargli il funerale.
Ormai neppure la legge aveva più nulla da spartire con lui.
Seppellirlo sarebbe stato un atto di bontà così facile, e così in
accordo con la saggezza della vita, la quale vuole che
scancelliamo in noi ogni rievocazione delle nostre follie, delle
nostre debolezze, della nostra natura mortale: tutto ciò che può
diminuire il nostro rendimento - il ricordo dei nostri mancamenti,
l'incubo dei nostri timori sempre vivi, i cadaveri dei nostri
amici morti. Forse davvero se la prendeva troppo. E in tal caso...
l'offerta di Chester... A questo punto presi un foglio bianco e mi
misi a scrivere, risoluto. Non c'ero che io fra lui e il buio
oceano. Sentii tutta la mia responsabilità. Se avessi parlato,
quel giovane lì fermo, in pena, non avrebbe forse fatto un salto
nel buio... per afferrarsi a una festuca? Capii come può essere
difficile talvolta uscir dal silenzio. C'è un potere magico nella
parola detta. E perché no, che diavolo! Me lo domandavo con
insistenza mentre seguitavo faticosamente a scrivere. Tutto a un
tratto mi si insinuarono di sorpresa sul foglio bianco, proprio
sotto la punta della penna, le due figure di Chester e del suo
vetusto socio, nitidissime e complete, col loro passo e i loro
gesti, come riprodotte sullo schermo d'un qualche giocattolo
ottico. Le osservai un attimo. No! Erano troppo spettrali e
stravaganti per influire sul destino di un uomo. E una parola può
portare lontano... molto lontano... portare col tempo la
distruzione, come una pallottola nella sua traiettoria. Non dissi
nulla; e Jim era in piedi, lì fuori, con le spalle alla luce, come
incatenato e imbavagliato da tutti i nemici invisibili dell'uomo,
senza un gesto né una parola".
CAPITOLO 16.
Giorno sarebbe venuto nel quale l'avrei visto amato, stimato,
ammirato; il suo nome aureolato da una leggenda di forza e di
ardimento, come se fosse stato della stoffa degli eroi. E' proprio
vero... ve lo assicuro: com'è vero che io sono qui seduto a
parlare di lui senza costrutto. Jim, da parte sua, aveva quel dono
di scoprire, al minimo accenno, il volto del suo desiderio e la
forma del suo sogno, dono senza il quale non ci sarebbe al mondo
né un amante ne un avventuriero. Si acquistò molto onore e una
felicità arcadica (dell'innocenza non parlo) nel "bush", e ciò
valeva per lui quanto l'onore e la felicità arcadica che altri
uomini trovano nelle strade delle città. La felicità, la
felicità... come dire?... si attinge da una tazza d'oro sotto
qualunque latitudine: il gusto ne è in noi... solo in noi, che lo
possiamo rendere inebriante a volontà. Lui era tipo da berne a
fondo, come potete intuire da quello che ho detto finora. Lo
ritrovai, se non proprio ubriaco, alquanto acceso dalle reiterate
libagioni di quell'elixir. Non lo aveva però scoperto subito.
Aveva avuto, come sapete, un periodo di tirocinio in mezzo a quei
diavoli di fornitori marittimi, e in quel tempo aveva sofferto e
io mi ero molto preoccupato per... per - come dire? - per il mio
pupillo... Né posso dire di sentirmi tranquillo del tutto neanche
adesso, dopo averlo veduto in tutto il suo splendore: è proprio
questo l'ultimo ricordo rimastomi di lui: radioso, dominatore,
eppure in perfetto accordo col suo mondo: con la vita della
foresta e con la vita degli uomini. Confesso di esser rimasto
colpito lì per lì, ma devo anche confessare a me stesso che dopo
tutto quella non fu un'impressione durevole. Era protetto dal suo
isolamento, esemplare unico di una razza superiore, a stretto
contatto con la natura, che tiene fede con tanta liberalità a chi
l'ama. Ma non riesco a fissare davanti agli occhi l'immagine di
lui già salvo. Lo ricorderò sempre come lo vidi attraverso la
porta aperta della mia camera, quando se la prendeva tanto, e
forse troppo, per le naturali conseguenze della sua mancanza. Sono
contento, si capisce, che un po' di bene - e anche un certo
splendore - sia risultato dai miei sforzi; ma a volte mi pare che
sarebbe stato meglio, per la tranquillità del mio spirito, di non
essermi trovato tra lui e quell'offerta maledettamente generosa di
Chester. Chissà che ne avrebbe fatto la sua immaginazione
esuberante, di quell'isoletta delle Walpole - il briciolo di terra
più disperatamente abbandonato sulla faccia delle acque!
Probabilmente non ne avrei saputo mai più nulla, perché, vi dirò,
Chester, dopo essersi fermato in un porto australiano per far
rabberciare quel suo anacronismo marittimo attrezzato a
brigantino, partì verso il Pacifico con un equipaggio di ventidue
uomini in tutto; e la sola notizia che forse poteva collegarsi al
mistero del suo destino fu di un uragano che circa un mese dopo
avrebbe investito le secche delle Walpole. Degli Argonauti mai più
neanche il segno; non una voce uscì da quel nulla. Finis! Il
Pacifico è il più discreto fra gli oceani di temperamento
turbolento; anche il gelido Antartico sa serbare un segreto, ma
piuttosto come lo serba una tomba.
"C'è un senso di finalità divina in tale discrezione, che noi
tutti più o meno sinceramente siamo pronti a riconoscere;
cos'altro c'è infatti di così adatto a rendere accettabile l'idea
della morte? La fine! Finis! Quella parola potente di esorcismo
che scaccia dalla casa della vita lo spettro incombente del fato.
Ecco - nonostante la testimonianza dei miei occhi, e le sue stesse
affermazioni calorose - quel che mi manca quando considero il
successo di Jim. Finché c'è vita c'è speranza, è vero; ma c'è
anche paura. Non che io rimpianga il mio atto; non che io voglia
far credere che ciò mi tolga il sonno la notte! ma mi si presenta
insistente l'idea che lui facesse troppo caso al suo disonore,
mentre quello che importa è soltanto la colpa. Egli per me aveva
perduto - per così dire la sua limpidità. Ai miei occhi non era
limpido. E c'è da credere che non fosse limpido neanche ai suoi.
Rimanevano certe sue raffinate sensibilità, i suoi raffinati
sentimenti, le sue aspirazioni raffinate - una specie di
sublimato, di idealizzato egoismo. Era - lasciatemelo dire - molto
raffinato; molto raffinato - e molto disgraziato. Una natura un
po' più grezza non avrebbe retto a quella tensione; sarebbe venuta
a patti con se stessa - con un sospiro, un grugnito o magari con
una risata; una natura ancora più grezza sarebbe rimasta immersa
in un'ignoranza invulnerabile e del tutto priva d'interesse per
me.
Ma lui era troppo interessante o troppo disgraziato per esser
buttato ai cani, o anche a Chester. Me ne resi conto mentre ero
seduto col viso sul foglio e lui lottava ansimando e cercando di
riprender fiato in quel suo modo di pena segreta, in camera mia;
me ne resi conto vedendolo precipitarsi in veranda come per
buttarsi di sotto - ma non si buttò; me ne resi conto sempre più e
meglio tutto il tempo che rimase là fuori, rischiarato appena
sullo sfondo della notte, come sul margine di un mare buio senza
speranza.
Un grave rombo improvviso mi fece alzare il capo. Sembrò rotolar
via; un subito bagliore penetrante e violento accese il volto
cieco della notte. Il barbaglio sostenuto e abbacinante sembrò
durare per un tempo infinito. Il brontolìo del tuono cresceva
mentre guardavo Jim, nitido e nero, piantato solido sulla riva di
un oceano di luce. Al momento di più intenso bagliore, successe
una più fonda oscurità nell'acme del tuono; ed egli mi sparve
tutto dalla vista abbacinata come mi si fosse dissolto in atomi in
quel fragore. Passò nell'aria un fiato strepitoso; mani furibonde
sembrarono strappare arbusti, agitare cime d'alberi sotto la
finestra, sbattere porte, rompere vetri lungo tutta la facciata
dell'edificio. Jim rientrò, chiudendosi l'uscio alle spalle, e mi
trovò sempre curvo sul mio tavolo; mi prese una grandissima ansia
improvvisa per ciò che avrebbe detto, un'ansia assai vicina alla
paura. 'Posso prendere una sigaretta?' domandò. Gli spinsi la
scatola senza alzare il capo. 'Ho bisogno... ho bisogno di
fumare,' borbottò. Mi sentii tutto sollevato. 'Un momento,'
mormorai con cortesia. Fece un po' su e giù per la stanza. 'E'
passata,' lo sentii dire. Un lontano tuono isolato arrivò dal mare
come una cannonata d'allarme. 'Il monsone ha rotto per tempo
quest'anno,' osservò in tono di conversazione, da un punto alle
mie spalle. Questo mi persuase a voltarmi, appena messo
l'indirizzo sull'ultima busta. Fumava avidamente, nel mezzo della
stanza; e nonostante il rumore che feci muovendomi, continuò a
volgermi le spalle per un bel po'.
'Beh - me la son cavata abbastanza bene,' fece, girando tutt'a un
tratto sui tacchi. 'Un po' l'ho pagata - ma non tanto. Chissà che
altro mi succederà.' Non mostrava nessuna emozione in viso, solo
sembrava un po' più scuro e teso, come se avesse trattenuto il
respiro. Sorrise, si direbbe, di controvoglia, e mentre lo
guardavo in silenzio soggiunse: '... Grazie, però... la sua
stanza... una bella comodità... per uno... a mal partito...'. La
pioggia tamburellava e scrosciava nel giardino; una grondaia
(doveva esserci un buco) faceva proprio davanti alla finestra la
parodia di un dirotto pianto con ridicoli singhiozzi e
lamentazioni gorgogliose, interrotti da strappi di silenzio
spasmodico... 'Una specie di ricovero...' mormorò, e tacque.
Il bagliore smorzato di un lampo dardeggiò attraverso la cornice
nera della finestra, e svanì senza rumore. Studiavo il modo di
avvicinarmi a lui (non volevo esser respinto malamente un'altra
volta) quando abbozzò una risatina. 'Né più né meno che un
vagabondo adesso...' la cicca della sigaretta gli finiva di
bruciare tra le dita... 'senza neanche un... un...' disse
lentamente; 'eppure...'. S'interruppe, la pioggia cadeva con
raddoppiata violenza. 'Ha da capitare, un giorno o l'altro, per
forza, l'occasione di recuperare ogni cosa. Per forza!' mormorò
bene scandito e con gli occhi fissi sulle mie scarpe.
Non arrivavo a capire cosa desiderava tanto di recuperare; che
cosa avesse perduto così tragicamente. Forse era cosa tanto
importante che a lui riusciva difficile anche parlarne. Uno
straccio di diploma in pergamena, secondo Chester... Alzò su di me
uno sguardo interrogativo. 'Può darsi. Se le basterà la vita,'
borbottai fra i denti con un'irritazione senza motivo. 'Non ci
conti troppo.'
'Perdiana! Ho idea che ormai niente mi può far più niente,' fece,
in tono di cupa convinzione. 'Se questa storia non ce l'ha fatta a
mettermi a terra, non c'è pericolo che ora mi manchi il tempo
per... per arrampicarmi, e...' Guardò per aria.
Mi balenò l'idea che è tra individui simili che si recluta il
grande esercito dei vagabondi e dei reietti, l'esercito in marcia
sempre più giù, sempre più giù per tutti i pantani del mondo.
Appena lasciata la mia stanza, quella 'specie di ricovero,'
avrebbe preso posto nei ranghi, iniziando la sua marcia verso
l'abisso senza fondo. Io, per lo meno, non mi facevo illusioni; ma
ero pur sempre io che, così sicuro fino a un momento prima della
potenza delle parole, ora avevo paura di parlare, così come non si
osa muoversi per tema di perdere una presa vacillante. Proprio
quando ci troviamo di fronte alle esigenze più intime del nostro
prossimo, allora ci appare chiaro quanto indecifrabili, cangianti
e nebulosi siano gli esseri compartecipi con noi dello spetta olo
delle stelle e del calore solare. E' come se la solitudine fosse
una dura e assoluta condizione d'esistenza; l'involucro di carne e
sangue su cui fermiamo lo sguardo sfugge di sotto la mano tesa, e
rimane soltanto il capriccioso, inconsolabile ed elusivo spirito
che l'occhio non può seguire, che la mano non afferra. Era il
timore di perderlo, quello che mi teneva in silenzio, perché ebbi
la sensazione immediata e stranamente precisa che se lo avessi
lasciato scivolar via nella notte non me lo sarei perdonato mai
più.
'Beh - grazie... ancora una volta. E' stato... hem...
straordinariamente... proprio non ci sono parole per...
Straordinariamente. Davvero non so perché... Temo di non riuscire
a dimostrarmi tanto grato quanto potrei se tutta questa faccenda
non mi fosse piovuta addosso in un modo così brutale. Perché in
fondo... anche lei...'. Balbettava.
'Può darsi,' risposi. Aggrottò le sopracciglia.
'Siamo, malgrado tutto, degli esseri responsabili.' Mi fissava
come un falco.
'E anche questo è vero,' dissi.
'Beh. Ho sopportato fino in fondo, e non intendo che nessuno venga
a rivedermi le bucce senza... senza... averla da fare con me.'
Strinse i pugni.
'Ha sempre da vedersela con se stesso,' ribattei con un sorriso -
Dio sa se poco allegro - ma bastò perché mi guardasse con cipiglio
minaccioso.
'Questo è affar mio,' disse. Un'aria di risolutezza indomita gli
si accese sul viso, subito spenta come un'ombra vana e passeggera.
Un attimo dopo tornò il bambino crucciato di prima. Gettò via la
sigaretta. 'Addio,' disse con l'improvvisa furia di chi si è
indugiato troppo da un lavoro urgente che lo aspetta; ma per un
paio di secondi rimase lì senza il minimo movimento. L'acquazzone
cadeva con lo scroscio pesante e continuo della corrente impetuosa
di un fiume in piena, con un fragore furibondo, prepotente e senza
ritegno, che richiamava alla mente immagini di ponti crollati, di
alberi sradicati, di montagne sconvolte. Nessun uomo avrebbe
potuto affrontare il flutto colossale e turbinoso che sembrava
infrangersi e mulinare contro l'isola di pacata penombra in cui
stavamo, precariamente riparati. La grondaia forata gorgogliava,
rantolava, sputava e sciaguattava; odiosa parodia di nuotatore che
lotta per la vita. 'Piove,' avvertii, 'e io...' 'Piova o splenda
il sole,' cominciò deciso; ma s'interruppe e si avvicinò alla
finestra. 'Un vero diluvio,' borbottò dopo un poco; appoggiò la
fronte al vetro. 'E poi è buio.'
'Sì. Molto,' feci.
Girò sui tacchi, attraversò la stanza, e, prima che io fossi
balzato dalla seggiolina aveva già aperto la porta che dava sul
corridoio. 'Aspetti,' gridai. 'Voglio che lei...'. 'Non posso mica
cenare con lei un'altra volta questa sera,' esclamò con un piede
già fuori della porta. 'Non ho la più lontana intenzione di
invitarla,' risposi. Allora ritrasse il piede, ma rimanendo con
aria sospettosa sulla soglia. Lo pregai senz'altro e con
insistenza di non fare assurdità; di tornar dentro e chiudere la
porta".
CAPITOLO 17.
"Finalmente rientrò; ma credo che fu soprattutto per via della
pioggia; stava diluviando in quel momento con una violenza
rabbiosa che venne poi calmandosi a poco a poco mentre
discorrevamo. Si portava in modo calmo e deciso;
nell'atteggiamento di un uomo naturalmente taciturno e dominato da
un pensiero fisso. Io, prospettandogli il lato materiale della sua
situazione, con l'unico scopo di salvarlo dall'abbrutimento, dalla
rovina e dalla disperazione che fanno così presto, laggiù, a
riversarsi sull'uomo senza amici e senza casa, lo supplicai di
accettare il mio aiuto; gli portai argomenti solidi; ma ogni volta
che alzavo gli occhi su quel volto assorto e liscio, così giovane
e serio, provavo il disagio di essergli non di aiuto ma piuttosto
di ostacolo, per non so quale misteriosa, inesplicabile,
impalpabile reazione del suo spirito ferito.
'Immagino che intenda mangiare, bere e dormire sotto un tetto come
tutti,' ricordo di aver detto con irritazione. 'Lei dice di non
voler neanche toccare il danaro che le è dovuto...' Fece il più
vivo gesto d'orrore di cui sia capace un individuo del suo tipo.
(Gli venivano, di paga, tre settimane e cinque giorni come primo
ufficiale del Patna). 'Beh, comunque è troppo poco per
occuparsene; ma che farà domani? Dove si rivolgerà? Deve pur
vivere...' 'Non è questo,' commentò tra i denti. Feci finta di non
averlo udito, e continuai confutando quelli che supponevo fossero
gli scrupoli di una eccessiva delicatezza. 'Lei deve comunque
permettermi d'aiutarla,' conclusi. 'Non si può,' rispose con molta
semplicità e dolcezza, seguendo una sua idea profonda, che potevo
intravvedere come uno specchio d'acqua nel buio, ma senza speranza
di poter mai tanto avvicinarmi ad esso da riuscire a sondarne la
profondità. Considerai la sua ben proporzionata struttura. 'Ad
ogni modo,' feci, 'posso aiutarla per quel che di lei è
l'esteriore. Non pretendo arrivare più in là.' Scosse il capo,
senza guardarmi, incredulo. Mi sentii le fiamme al viso. 'Posso!
posso!' insistei. 'E posso fare forse anche di più. Già lo sto
facendo. Io le faccio credito...' 'I quattrini...' cominciò a
dire. 'Parola mia, meriterebbe che io la mandassi al diavolo,'
esclamai, sforzandomi di apparire molto indignato. Sorrise
perplesso; io cercai di sfruttare quel vantaggio iniziale. 'Non si
tratta di quattrini. Affatto! Lei è troppo superficiale,' dissi (e
pensavo tra me: Piglia su! che, in fondo, è forse proprio così).
'Guardi: questa è una lettera che voglio consegnarle. Ho scritto a
una persona a cui non ho mai chiesto un favore; e ho parlato di
lei in termini che non si osa adoperare se non scrivendo di un
amico molto intimo. Mi assumo a suo riguardo tutte le
responsabilità; senza riserve. Ecco che sto facendo io per lei. E
in realtà, se lei volesse riflettere un momento sul significato di
questo mio atto...'
Alzò il capo. L'acquazzone era passato; solo dalla grondaia
seguitava uno stillicidio di lagrime ridicole lì, fuori della
finestra. Nella stanza tutto era tranquillo, con quelle zone
d'ombra addensata negli angoli, lontano dalla fiamma della candela
dritta e ferma come un pugnale; e il suo volto, a poco a poco,
apparve soffuso d'un tenue riflesso di pallida luce, come se fosse
già spuntata l'alba.
'Perdiana!' sospirò. 'Un gesto veramente nobile il suo...'
Se mi avesse lì per lì mostrato a scherno la lingua, non mi sarei
sentito più mortificato. Pensai fra me: mi sta bene a fare il
moralista a collotorto... Mi fissava in faccia con occhi accesi,
ma non d'ironia. Poi, tutto a un tratto, si riscosse, preso da una
improvvisa agitazione spasmodica, come una marionetta mossa dai
suoi fili. Alzò le braccia, poi le riabbassò con rumore. Divenne
un altr'uomo. 'E non l'avevo capito,' gridò, mordendosi il labbro
e aggrottando le sopracciglia. 'Che asino sono stato,' aggiunse
lento e sbigottito. 'Lei è un asso!' gridò con voce rotta: e mi
afferrò la mano come se l'avesse scoperto allora allora, e subito
me la lasciò. 'Ma come! se proprio questo io... lei... io...'
balbettò; poi, tornando al suo primo atteggiamento stolido, vorrei
dire mulesco, riprese a stento: 'Ma ora sarei una bestia se...'
Qui parve gli si spezzasse la voce. 'Sì, sì; va bene,' dissi. Mi
aveva un po' scombussolato questa piena di sentimenti, da cui
traspariva uno strano giubilo. Involontariamente avevo, per così
dire, tirato i fili giusti, senza conoscere la meccanica del
giocattolo. 'Ora devo andare,' disse. 'Perdio! Lei mi ha aiutato
sul serio! Non sto più nei panni. Proprio quello che...'
Proprio quello - sicuro! questo era il punto. Dieci contro uno,
che l'avevo salvato da morir di fame - quella particolare sorta di
fame che quasi invariabilmente si associa all'ubriachezza. Ecco
tutto. Non faceva ombra di dubbio in proposito; ma, osservandolo,
mi permisi di domandare a me stesso che sorta di miraggio fosse
quello che negli ultimi tre minuti gli si era evidentemente creato
dentro. Lo avevo costretto ad accettare un piano per tirare
avanti, con qualche decenza, in quella cosa seria che e la vita;
per procurarsi anche lui da mangiare e da bere e un asilo come
tutti; mentre il suo spirito ferito, come un uccello con un'ala
rotta, si sarebbe infrattato a salti e sbalzi in qualche buco a
morir d'inedia, in silenzio. Quel che l'aveva spinto ad accettare
era, in ultima analisi, una cosa da nulla: e invece, miracolo! per
il modo come l'aveva accettata, ora essa ci dominava, nella
incerta luce della candela, come un'ombra enorme, indistinta e
forse minacciosa. 'Non faccia caso se non so trovare le parole
adatte,' esclamò. 'Ma non ci sono parole che bastino. Già ieri
sera lei mi ha fatto un bene incalcolabile standomi a sentire...
capisce? Le do la mia parola che ho sentito più di una volta
scoppiarmi il cervello...' Si slanciò - proprio si slanciò - da un
punto all'altro della stanza; si infilò le mani in tasca d'un
tratto, e le tirò di nuovo fuori; si buttò il berretto in testa.
Non riuscivo a immaginare che avesse in corpo da essere così
arioso e vivace. Dava l'idea di una foglia secca presa in un
mulinello, e intanto un'apprensione misteriosa, un gravame di
oscuri dubbi mi inchiodava sulla sedia. Rimase fermo impietrito,
come folgorato da una sùbita illuminazione. 'Lei mi ha ridato
fiducia,' dichiarò senza enfasi. 'Oh, per amor di Dio, figliolo...
basta così!' lo supplicai, come se mi avesse offeso. 'Va bene: non
dirò più niente - né ora né mai. Però lei non può impedirmi di
pensare... che... Non fa niente!... Vedrà... vedrà...' Corse alla
porta, sostò un attimo a testa bassa, tornò indietro con passo
risoluto. 'Ho sempre pensato se un uomo non potrebbe ricominciare
da capo, a pagina bianca... e ora lei... fino a un certo punto...
sì... pagina bianca.' Gli feci un saluto con la mano, e lui uscì
senza voltarsi; il suono dei suoi passi a poco a poco si spense di
là dalla porta chiusa - il passo sicuro di un uomo che procede
nella luce piena del sole.
Ma io, rimasto solo con la mia candela solitaria, io mi trovavo
per contro in pieno buio. Non ero più tanto giovane da scoprire a
ogni svolta il magnifico splendore che guida i nostri passi
perduti verso il bene o il male. Sorrisi al pensiero che, dopo
tutto, di noi due, era lui che possedeva la luce. E mi sentii
triste. Una pagina bianca aveva detto, eh? Come se la parola
iniziale nel destino di ciascuno di noi non fosse incisa a lettere
indelebili sul vivo di una roccia!".
CAPITOLO 18.
"Sei mesi dopo ricevetti una lettera dal mio amico. Era costui uno
scapolo su per giù di mezza età, cinico, in fama d'eccentrico,
proprietario di un mulino da riso. Dal calore della mia
raccomandazione, aveva stimato che la cosa mi stesse a cuore, e
perciò nello scrivermi si diffuse alquanto sulle doti, pacate, ma
efficaci, di Jim. 'Non essendo riuscito a trovarmi in cuore più
che una rassegnata sopportazione di fronte a tutti gli altri
esemplari della razza umana, ho vissuto finora solitario in una
casa che anche in questo clima torrido potrebbe considerarsi
troppo grande per una persona sola. Me lo sono preso in casa tempo
fa: e, a quanto pare, non è stato uno sbaglio.' Mi domandavo,
leggendo questa lettera, se il mio amico si fosse scovato in
cuore, meglio che un sentimento di tolleranza verso Jim, il
preannuncio di una vera simpatia. E si esprimeva in un modo tutto
personale. Punto primo, Jim si conservava fresco in quel clima.
'Se fosse una ragazza,' scriveva il mio amico, 'si potrebbe dire
che fiorisce - fiorisce quieto quieto come una violetta, non come
uno dei nostri roboanti fiori tropicali.' Da sei settimane abitava
in casa sua, e non si era ancora spinto a dargli una manata sulla
schiena, o a chiamarlo 'vecchio mio,' o a dargli la sensazione di
considerarlo un annoso fossile. Non aveva il vizio di
chiacchierare, proprio dei giovani. Era di buon carattere, di
poche parole, non troppo intelligente 'se Dio vuole' - scriveva il
mio amico. Abbastanza però, da apprezzare tranquillamente le
arguzie dell'ospite che a sua volta era molto rallegrato
dall'ingenuità del ragazzo. 'Ha ancora addosso la rugiada, e da
quando ho avuto la buona idea di dargli una stanza in casa mia e
tenermelo a tavola mi par di rinverdire. L'altro giorno si è messo
in testa di attraversare tutta la stanza solo per aprirmi una
porta; e questo mi ha fatto sentire in accordo con l'umanità; che
da anni non mi capitava. Buffo, no? Non mi sfugge che qualche
mistero sotto ci ha da essere; qualche brutto piccolo guaio - di
cui tu sei al corrente - ma se anche si tratta di cosa
riprovevole, con un po' di buona volontà credo che si possa
passarci sopra. Per parte mia, confesso che non riesco a
immaginarlo reo se non, tutt'al più, di aver rubato della frutta
in un orto. Si tratta davvero di cosa molto più grave? Me ne
avresti forse dovuto parlare: ma da tanto tempo siamo diventati
santi, noi due, che devi esserti scordato che i nostri peccati, al
tempo nostro, li abbiamo fatti anche noi. Può darsi che un giorno
te lo abbia da chiedere, e allora bisognerà che tu mi risponda.
Non voglio interrogarlo io direttamente finché non ho almeno
un'idea di quel che si tratta. E poi, è ancora troppo presto.
Lasciamolo aprirmi la porta qualche altra volta...' Così il mio
amico. Ero soddisfatto per tre ragioni per la buona riuscita di
Jim, per il tono della lettera, per la mia perspicacia.
Evidentemente avevo agito con criterio; avevo studiato a fondo i
caratteri delle persone; e così via. E se ne fosse venuto fuori
qualche risultato inatteso e meraviglioso? Quella sera, steso su
una sdraia all'ombra del mio tendone di poppa (ero nel porto di
Hong-Kong), posai in onore di Jim la prima pietra d'un castello in
aria.
In seguito, di ritorno da un viaggetto nel nord, trovai tra la
posta in giacenza un'altra lettera del mio amico. L'apersi per
prima: 'Posate non ne mancano, a quanto pare,' diceva la prima
riga; 'e non mi son curato di farne la verifica, perché non mi
importa molto. Se n'è andato, lasciandomi sulla tavola da pranzo
un bigliettino di scuse convenzionali, che denota o stupidità o
mancanza di cuore. Probabilmente tutt'e due le cose insieme, per
me è lo stesso. Permettimi di dirti, casomai tu avessi in serbo
qualche altro giovinotto misterioso, che ho chiuso bottega,
definitivamente e per sempre. Sarà stata la mia ultima
eccentricità. Non devi credere che me ne importi un fico secco; ma
ha lasciato molti rimpianti sui campi di tennis, e, nel mio stesso
interesse, ho dovuto raccontare una storia plausibile al
circolo...'. Misi la lettera da parte e mi posi a frugare fra le
altre ammucchiate sul mio tavolino, finché mi capitò sott'occhio
la calligrafia di Jim. Lo credereste? Un caso su cento! Ma è
sempre quel centesimo caso che càpita! Il secondo macchinista del
Patna, quel mezz'uomo, era saltato fuori in condizioni più o meno
disperate, ed aveva ottenuto l'incarico temporaneo di sorvegliante
al macchinario del mulino. 'Non potevo sopportare la confidenza
che si pigliava quell'animale,' scriveva Jim da un porto di mare a
settecento miglia più a sud del luogo dove avrebbe dovuto essere a
far vita da re. 'Per il momento lavoro da Egström e Blake,
fornitori marittimi, come... ecco... galoppino, a dirla com'è. Per
le referenze, ho dato il suo nome, che naturalmente conoscono; e
se lei volesse mettere una buona parola, il mio impiego potrebbe
diventare stabile.' Ero rimasto schiacciato sotto le rovine del
mio castello ma, naturalmente, scrissi quanto mi veniva richiesto.
Prima della fine dell'anno, il mio nuovo ingaggio mi portò da
quelle parti, e così ebbi occasione di vederlo.
Lavorava ancora per Egström e Blake, e c'incontrammo nel
'salottino,' come chiamavano una stanzetta che dava sul magazzino.
Tornava da una nave appena attraccata, e mi affrontò a fronte
bassa, pronto a battagliare. 'Che ha da dire a sua difesa?'
cominciai, appena ci fummo stretti la mano. 'Quello che le ho
scritto, niente di più,' disse, in tono scontroso. 'Quello ha
chiacchierato... o che cosa?' domandai. Alzò gli occhi,
guardandomi, con un sorriso turbato. 'Oh no! chiacchierato no. Ma
ne aveva fatto una specie di legame confidenziale tra noi.
Prendeva una maledetta aria di mistero ogni volta che io andavo al
mulino; mi strizzava l'occhio molto compunto, come per dire: NOI
SAPPIAMO QUEL CHE SAPPIAMO. E poi, sempre con un maledetto
servilismo e una familiarità... eccetera, eccetera.' Si lasciò
andare su una seggiola con lo sguardo fisso sulle sue gambe. 'Un
giorno ci capitò di ritrovarci soli, e quell'individuo ebbe la
faccia di dirmi: - Beh, signor Giacomo - (lì mi chiamavano tutti
signor Giacomo, come fossi il figlio del padrone) - eccoci un
altra volta insieme. Meglio qui che su quel ferrovecchio, no? Non
era orribile? Lo guardai, e lui prese un'aria furba. Niente
paura, signor Giacomo, - dice. - Riconosco un gentiluomo a colpo
d'occhio, e so come un gentiluomo la intende. Spero, quindi, che
lei mi terrà a questo posto. L'ho passata brutta anch'io per via
di quella vecchia maledetta storia del Patna. Perdiana! era
spaventoso. Non so che avrei detto o fatto se in quel momento non
avessi sentito dal corridoio la voce del signor Denver che mi
chiamava. Era ora di pranzo; attraversammo insieme il cortile e il
giardino per entrare nel bungalow. Cominciò a stuzzicarmi, col suo
modo così pieno di bontà... credo che mi volesse bene...'
Jim rimase un po' in silenzio.
'Lo so che mi voleva bene: e proprio per questo mi sentivo tanto a
disagio. Un uomo così straordinario!... Quella mattina mi prese
sotto braccio... Anche lui mi trattava con familiarità.' Scoppiò
in una risata secca e piegò il mento sul petto. 'Bah! Ricordavo le
parole e il modo di quello schifoso vermiciattolo,' riprese a un
tratto con voce tesa, 'e mi ribellai all'idea che io... Lei lo
sa...' Annuii col capo. 'Più che un padre,' esclamò; poi abbassò
la voce. 'Dovevo dirgli tutto. Così non si poteva seguitare, no?'
'Beh?' mormorai, dopo un momento di attesa. 'Ho preferito
andarmene,' rispose lento; 'questa faccenda bisogna seppellirla.'
Sentivamo Blake in negozio scaricare una volata d'improperi contro
Egström con grandi strilli e berci. Erano soci da molti anni. E
ogni giorno, dall'apertura del negozio fino all'ultimo minuto
prima della chiusura, si sentiva Blake, un omino dai capelli lisci
lisci, nerissimi, e due occhietti tondi, scontenti, strapazzare
così, senza posa, il suo socio, con una specie di furia astiosa e
lagnosa. Il frastuono di quelle eterne scenate faceva parte
dell'ambiente con tutto il resto della mobilia; i forestieri
imparavano anche loro molto presto a non farci più caso e si
limitavano a borbottare qualche volta: 'Accidenti!' o ad alzarsi
di colpo dalla sedia per chiudere la porta del 'salottino'.
Intanto Egström, uno scandinavo massiccio, dalle ossa a fior di
pelle, e due immensi scopettoni biondi, seguitava indaffarato a
dar ordini ai suoi dipendenti, a registrar pacchi, a preparar
conti o a scrivere lettere su un alto bancone in negozio,
comportandosi insomma in mezzo a quell'ira di Dio come se fosse
sordo spaccato. A tratti, e per scarico di coscienza, lanciava un
'Sshh!' che non produceva, né intendeva produrre, il minimo
effetto. 'Mi trattano molto bene, qui,' fece Jim. 'Blake è una
canaglietta, ma Egström è in gamba.' Balzò in piedi, e,
avvicinandosi al treppiede che sosteneva il telescopio puntato
alla finestra verso la baia, vi applicò un occhio. 'Ecco la nave
rimasta in panne stamani al largo e che ha trovato alla fine una
bava di vento per entrare,' osservò tranquillamente. 'Devo andare
a bordo.' Ci stringemmo la mano in silenzio, e si avviò per
uscire. 'Jim!' esclamai. Si volse con la mano sulla maniglia.
'Lei... lei ha buttato via qualcosa come una fortuna.'
Riattraversò tutta la stanza e mi si avvicinò. 'Un così
straordinario vecchio...' fece. 'Come potevo? Come potevo?' Gli
tremavano le labbra. 'Qui, non ha importanza.' 'Oh! che... che...'
cercavo la parola adatta, ma prima che arrivassi a rendermi conto
che non c'era un epiteto confacente, Jim se n'era andato. Udii da
fuori la voce profonda e dolce di Egström che diceva allegramente:
'E' il Sara W. Granger, Jimmy. Devi far di tutto per trovarti a
bordo prima di tutti,' e subito interloquì Blake, strillando come
un pappagallo infuriato. 'Di' al capitano che abbiamo posta per
lui, qui. Vedrai che viene subito. Capito, signor Come-ti-chiami?'
E la risposta di Jim a Egström con un che di fanciullesco nel
tono. 'Va bene. Si va in regata!' Sembrava consolarsi della
miseria di quel mestiere prendendolo dal lato marinaresco.
Non lo vidi più in quel mio viaggio, ma durante il seguente (avevo
un contratto di sei mesi) tornai all'emporio. A dieci metri
dall'ingresso mi arrivò all'orecchio il blaterare di Blake, il
quale, quando fui entrato, mi lanciò un'occhiata piena di uno
scoramento totale; Egström, tutto sorrisi, avanzò, tendendomi una
grande mano ossuta. 'Molto lieto di vederla, capitano... Sshh...
Lo dicevo io che doveva esser in via di ricapitare da queste
parti. Come dice, signore?... Sshh... Ah! quello lì! Se n'è
andato. Si accomodi in salottino.'... Richiuso l'uscio, la voce
stridula di Blake arrivò alquanto smorzata, come di uno che
facesse sfoghi disperati in mezzo al deserto... 'Ci ha messo in un
grosso impiccio, anche. Si è comportato male con noi, se l'ho da
dire...' 'Dov'è andato? Lo sa?' domandai. 'No. A lui era inutile
chiederlo,' rispose Egström, rimasto in piedi davanti a me, con i
suoi scopettoni, servizievole, le braccia goffe lungo i fianchi, e
l'esile catenina d'argento dell'orologio attaccata molto in basso
su un panciotto di lana blu tutto ciancicato. 'Un uomo così non ha
mai una particolare direzione.' La notizia mi rattristava troppo
per lasciarmi la voglia di farmi spiegare questa sua teoria; egli
proseguì: 'E' partito... vediamo un poco... proprio il giorno che
riparò qui in porto un piroscafo con dei pellegrini di ritorno dal
Mar Rosso, che aveva perso due pale dell'elica. Giusto tre
settimane oggi.' 'Non si parlò, per caso, della faccenda del
Patna?' domandai, temendo il peggio. Trasalì e mi guardò come se
fossi un mago. 'Ma sì! Come fa a saperlo? Se ne parlò proprio qui:
un paio di capitani, il direttore dell'officina Vanlo al porto,
altri due o tre e io. C'era anche Jim, che faceva colazione con
panini imbottiti e un bicchiere di birra; quando abbiamo molto da
fare - capisce, capitano - non c'è tempo per un vero pasto.
Mangiava in piedi a questo tavolino, e noialtri intorno al
telescopio a guardar entrare il piroscafo. Dopo un po' il
direttore della Vanlo cominciò a parlare del capo macchinista del
Patna; gli aveva fatto certe riparazioni una volta; da questo
passò a raccontarci di quella nave, che era una vecchia carcassa,
e quanto danaro ne avevan ricavato. Gli capitò d'accennare al suo
ultimo viaggio, e allora interloquimmo tutti. Chi disse una cosa,
chi un'altra - non gran che - cose che lei o chiunque altro
potrebbe dire; e ci fu qualche risata. Il capitano O'Brien del
Sara W. Granger, un vecchio grosso, rumoroso, col bastone - che
ascoltava seduto su questa poltrona qui, tutto a un tratto batte
col bastone per terra e ruggisce: Vigliacconi!... - Ci fece
sobbalzare tutti. Il direttore della Vanlo ci fa l'occhietto e
chiede: - Che succede, capitano O'Brien? - Che succede? Che
succede? - cominciò a gridare il vecchio; - che c'è da ridere,
pezzi di pellirossa? Non c'è niente da ridere. E' una vergogna per
il genere umano, ecco cos'è. Mi vergognerei di farmi vedere nella
stessa stanza con uno di quegli uomini. Sissignore! - Pareva
avesse preso di mira proprio me, e dovetti rispondere per
educazione: Vigliacconi! dissi, - certo, capitano O'Brien: e
neanch'io li riceverei qui dentro: dunque lei, qui, può star
tranquillo, capitano O'Brien. Prenda una bibita fresca -. - Al
diavolo le sue bibite, Egström, disse sbattendo le palpebre, -
quando mi va di bere qualcosa, so gridare da me che me la portino.
Vi pianto. Ci puzza qua dentro, adesso -. A queste parole tutti
scoppiarono a ridere, e se ne andarono dietro al vecchio. E
allora, signore, quel dannato di Jim posò il panino che aveva in
mano e fece il giro del tavolino per appressarsi a me; e lasciò lì
il suo bicchiere di birra ancora pieno fino all'orlo. - Me ne
vado, dice... così, preciso. - Non è ancora l'una e mezzo, -
faccio io; - puoi farti una fumatina, prima. - Credevo dicesse che
era l'ora di andare al lavoro. Quando capii la sua vera
intenzione, mi caddero le braccia... così! Non si trova tutti i
giorni un uomo come quello, sa, signore; un vero diavolo per
portare una barca a vela; pronto a far miglia e miglia di mare con
qualunque tempo per andare incontro alle navi. Più d'una volta è
successo che qualche capitano mi entrasse qui pieno di meraviglia,
e la prima cosa che diceva era: - Un bel matto quel suo
commissionario di bordo, Egström. Stavo cercando la rotta per il
porto, approfittando dell'ultima luce del giorno, e interzarolato
stretto, quando mi sbuca dalla nebbia come una freccia, propria
sulla mia rotta di prua, una barca mezza abboccata d'acqua, con
gli schizzi che le arrivavano a riva dell'albero, due negri
spaventatissimi sui paglioli, e un diavolo al timone che urla:
Ehi! Ehi! Ohè della nave! Ohè! Capitano! Ehi! Ehi! Qui, l'uomo di
Egström e Blake: il primo a passarvi parola! Ehi! Ehi! Egström e
Blake! Olà! Ehi! - Via! un calcio ai negri - molla i terzaroli -
arriva una raffica - ci fila davanti urlando e berciando di
mollare a vento che mi avrebbe pilotato lui fino in porto - un
demonio più che un uomo. Non ho mai visto in vita mia portare una
barca così. E non aveva mica bevuto, vero? Un ragazzo così
tranquillo quando fu a bordo, educato, capace di arrossire come
una ragazza... - Le dico, capitano Marlow, che nessuno poteva
vincerci con le navi in arrivo, quando in mare c'era Jim. Gli
altri fornitori marittimi era bazza se riuscivano a conservarsi i
vecchi clienti, e...'
Egström parve sopraffatto dall'emozione.
'Beh, signore - non ci avrebbe pensato né poco né tanto a farsi
cento miglia al largo su una scarpa vecchia per guadagnare una
nave alla nostra ditta. Se si fosse trattato di un commercio suo
ancora tutto da impiantare, sotto questo riguardo non avrebbe
potuto fare di più. E ora... tutto a un tratto... ecco! Penso io
tra me: Oho!... un piccolo aumento - sta qui la questione eh?
Benissimo - dico, - inutile far tante storie con me, Jimmy. Basta
la cifra. Di' tu... Qualunque somma, se di ragione.- Mi guarda
come se cercasse d'ingoiare qualcosa rimastagli in gola. Devo
andarmene da qui -. - Che scherzo stupido è questo? domando.
Scosse il capo, gli si leggeva negli occhi che se n'era già bell'e
andato, signore. Allora lo presi di petto e glie ne dissi di cotte
e di crude. - Che cosa ti fa scappar via? domando. Chi ti ha fatto
torto? Chi ti ha minacciato? Non hai più cervello di un topo:
quelli, da una nave buona non se ne vanno. Dove credi di trovare
un posto migliore?... pezzo di questo e di quest'altro. - Lo
ridussi come un cencio, glie lo dico io. - La nostra ditta non
andrà a fondo lo stesso, - dico. Fece un gran salto. - Addio, -
dice, salutandomi con un cenno del capo, come un gran signore; -
Lei è un buon uomo, Egström. E io le do la mia parola che se
conoscesse la mia condizione, non avrebbe più tanta voglia di
trattenermi -. - Questa è la più grossa bugia che tu abbia mai
detto, - dico io. - So io che pensare. - Mi aveva talmente fatto
andare in bestia, che dovetti mettermi a ridere. - Non puoi
davvero fermarti nemmeno tanto da finirti questo bicchiere di
birra, disgraziato? - Non so co sa gli successe; sembrava che non
riuscisse più a trovare la porta; una cosa buffa, le assicuro,
capitano. La birra me la bevvi io. Beh, se hai tanta furia, bevo
io alla tua buona fortuna, dico; solo, senti a me, se continui di
questo passo, ti accorgerai presto che il mondo non è abbastanza
grande per contenerti, ecco. - Mi diede un'occhiata torva, e
scappò con una faccia da far paura ai bambini.'
Egström sbuffò con amarezza, lisciandosi uno dei basettoni
rossicci, con le dita nodose. 'Non mi è mai più riuscito, dopo, di
trovare un uomo che valesse un soldo. Tutto a rotoli, qui. Ma lei,
se è lecito, dove l'ha conosciuto, capitano?'
'Era secondo sul Patna durante quella famosa traversata,' risposi,
sentendo che gli dovevo una spiegazione. Egström rimase un po'
immobile, con le dita immerse nel pelame degli scopettoni; poi
esplose. 'E che diavolo può importare questo? A chi?' 'Forse a
nessuno,' cominciai... 'E chi diavolo crede di essere, quello,
comunque, per prendersela in questo modo?' A un tratto si ficcò in
bocca il basettone sinistro e prese un'aria stupita. 'Perdiana!'
esclamò. 'Glie l'ho ben detto che la terra non sarebbe bastata
alle sue giravolte!'".
CAPITOLO 19.
"Vi ho raccontato per esteso questi due soli episodi, che mostrano
lo stato d'animo di lui in quel periodo della sua vita: ma ce ne
furono molti altri del genere; quanti ne potrei contare sulle dita
delle mani e anche più; tutti con lo stesso segno di un così alto
scrupolo morale da rendere profonda e commovente anche la loro
futilità. Gettare via il proprio pane quotidiano per aver mano
libera nella lotta contro un fantasma sarà magari un atto di
eroismo banale. Altri l'hanno fatto prima di lui (ma noi sappiamo
troppo bene - noi che abbiamo vissuto - come non sia l'ossessione
spirituale, ma la fame fisica a creare i proscritti): sempre
applaudita la loro meritoria pazzia dagli uomini che mangiano, e
intendono continuare a mangiare ogni giorno. Davvero disgraziato,
il povero Jim, che, con tutta la sua temerarietà non riusciva a
liberarsi da quell'ombra: sul suo coraggio persisteva sempre un
dubbio. La verità è, forse, che non ci si libera dallo spettro di
un fatto materiale. Lo si può affrontare o sfuggire - e mi è
capitato d'incontrare un tipo o due che sapevano dare
eventualmente una strizzatina d'occhio al loro fantasma familiare.
Jim non era davvero tipo da fargli l'occhietto; io però non sono
mai riuscito a decifrare se si comportava così con l intenzione di
fuggire il suo spettro o d'affrontarlo.
Tutti i miei sforzi di perspicacia mi portavano soltanto alla
conclusione che, come sempre nella complessità delle nostre
azioni, l'ombra di differenza era troppo sfumata per riuscire a
coglierla. Quella di Jim poteva essere una fuga come poteva essere
una maniera di combattere. Il volgo vedeva Jim come l'immagine di
un sasso che seguita a rotolar giù; cioè dal suo lato più buffo:
dopo un certo tempo divenne infatti notissimo, addirittura famoso,
nel cerchio dei suoi vagabondaggi (che aveva un diametro di,
mettiamo, tremila miglia) allo stesso modo come un tipo strambo è
conosciuto nel suo circondario. Per esempio a Bangkok, dove trovò
lavoro presso i fratelli Yuckee, noleggiatori e mercanti di teck,
era quasi commovente vederlo andare in giro lungo il fiume sotto
la canicola, tenendosi stretto dentro il suo segreto, conosciuto
ormai fino alle più lontane capanne del retroterra. Schomberg, il
direttore dell'albergo dove alloggiava, un irsuto Alsaziano che
con quell'aria virile era un inesauribile divulgatore di tutte le
chiacchiere e scandali locali, propinava regolarmente, gomiti sul
tavolino, una versione infiorettata della storia di Jim a tutti i
clienti propensi ad ingerire un po' di notizie insieme ai liquori
più costosi. 'E, badi, il più simpatico ragazzo che si possa
incontrare,' concludeva generosamente; 'proprio un uomo
superiore.' E' tutto a favore della folla eterogenea di clienti
dello stabilimento di Schomberg, il fatto che Jim riuscisse a
reggere a Bankok per sei mesi buoni. Notai che la gente, senza
conoscerlo affatto, gli si affezionava come a un caro bambino.
Nonostante i suoi modi riservati, il suo aspetto fisico, i suoi
capelli, i suoi occhi, il suo sorriso, gli creavano amicizie
dovunque capitasse. E poi non era affatto uno sciocco. Udii
Siegmund Yucker (oriundo svizzero: un mite uomo, consumato da una
feroce dispepsia, zoppo sconciato, che la testa gli tracciava un
quarto di cerchio a ogni passo) dichiarare con ammirazione che,
per essere così giovane, era 'di grande gabacità' come se fosse un
caso di semplice capienza cubica. 'Perché non mandarlo
nell'interno?' suggerii con ansia, sapendo che i fratelli Yucker
possedevano certe concessioni e foreste nel retroterra. 'Se ha
capacità, come lei dice, farà presto a impratichirsi. Ha un fisico
molto robusto, una salute di ferro.' 'Ah! E' una gran cosa in
questo paese non soffrire di tispepsia,' sospirò il povero Yucker
con invidia, dandosi un'occhiata di sfuggita alla cavità dello
stomaco. Lo lasciai lì, assorto a tamburellare sulla scrivania,
borbottando: 'Es ist eine Idee. Es ist eine Idee.'
Disgraziatamente, proprio quella sera accadde nell'albergo una
scena incresciosa.
Non per farne troppo un carico a Jim, ma fu senz'altro un caso
molto sgradevole: una delle solite squallide risse da bar; e
l'avversario era un Danese strabico, che nel biglietto da visita,
sotto un nome bastardo, si spacciava per 'primo tenente della
Regia Marina Siamese.' Costui era una vera schiappa al biliardo,
ma naturalmente, di perdere non l'intendeva. Aveva la sbornia
cattiva, sicché alla sesta partita perse le staffe e si permise
qualche frase di scherno contro Jim. I più dei presenti non lo
avevano udito; quei pochi che avevano inteso se lo scordarono in
fretta per lo spavento di quel che ne seguì immediatamente. Fu una
fortuna per il Danese quella di saper nuotare, perché il locale
dava su una veranda a picco sul Menam che scorreva di sotto,
larghissimo e nero. Una barca di Cinesi, diretti molto
probabilmente a qualche impresa ladresca, ripescò l'ufficiale del
Re del Siam, e Jim mi arrivò a bordo verso mezzanotte senza
cappello. 'Sembrava che lo sapessero tutti, nel locale,' disse,
quasi ansimando ancora per la baruffa. In via di principio era
piuttosto pentito dell'accaduto, benché, nella specie, secondo
lui, non rimaneva altro da fare. Soprattutto lo aveva atterrito la
scoperta che era noto a tutti il segreto che gli pesava addosso,
come se lo fosse portato in giro sempre bene in vista.
Naturalmente, ora doveva andarsene anche di lì. Tutti lo
accusarono di violenza brutale, così poco opportuna per un uomo
nella sua situazione delicata; alcuni sostenevano che in quel
momento era ubriaco fradicio; altri gli rinfacciavano la sua
mancanza di tatto. Perfino Schomberg ne fu molto seccato. 'E' un
giovanotto molto simpatico,' mi disse con una punta di polemica,
'ma anche il tenente è un tipo di prim'ordine. Cena ogni sera alla
mia table d'hôte, sa. E mi hanno rotto una stecca di biliardo.
Queste cose non le posso permettere. La mattina dopo sono andato
per tempo a far le mie scuse al tenente, e per parte mia credo
d'aver appianato le cose; ma pensi un po', capitano, se tutti si
mettessero a fare di questi giochetti! E se quell'altro affogava?
Senza contare che qui non si tratta mica di fare un salto nella
strada accanto per ricomprarmi una stecca nuova. Devo ordinarla in
Europa. No, no! Un carattere simile non va!...' L'argomento gli
bruciava forte.
Questo fu l'incidente più grave di tutta la sua... la sua
ritirata. Nessuno più di me era nel caso di rammaricarsene;
perché, se qualcuno nel sentirlo nominare aveva potuto dire: 'Ah,
sì! lo conosco. E' venuto a sbatter la testa anche da queste parti
per un bel po'' - egli era tuttavia riuscito fino a quel momento a
tirar avanti senza troppe botte e ammaccature. Quest'ultima
faccenda, invece, mi seccò sul serio, perché se la sua squisita
suscettibilità arrivava al punto di trascinarlo a risse da
bettola, allora avrebbe perduto quella sua nomèa di baggiano
innocuo, anche se un po' pesante, acquistandosi quella di un
fannullone qualunque. Con tutta la mia fiducia in lui, non potevo
tenermi dal pensare che in certi casi dalla parola al fatto il
passo è breve. Capirete, mi figuro, che oramai non potevo pl
pensare a lavarmene le mani. Me lo portai via da Bankok sulla mia
nave; la traversata fu piuttosto lunga. Faceva pena vederlo
ritirarsi così in se stesso. Un marinaio, anche da semplice
passeggero, prende interesse alla nave, e osserva la vita
marinaresca intorno a lui col godimento valutativo di un pittore,
mettiamo, che osservi l'opera di un collega. Egli è "sul ponte" in
tutto il senso della parola. Il nostro Jim, invece, stava per lo
più da basso, tutto aggrondato, come un passeggero clandestino. Me
l'attaccò anche a me; tanto che mi astenevo dal parlargli di
questioni professionali, come sarebbe naturale tra due marinai
durante una traversata. Restavamo senza scambiarci una parola per
intere giornate; e mi riusciva estremamente difficile anche dare
ordini ai miei ufficiali in sua presenza. Spesso, trovandoci
insieme soli sul ponte o in cabina, non sapevamo dove posare gli
occhi.
Lo misi da De Jongh, come sapete, ben lieto di sistemarlo in
qualche modo, ma convinto che la sua situazione diventava
intollerabile. Aveva perduto un poco di quella elasticità che gli
aveva permesso altre volte di tornare a galla intatto dopo ogni
rovescio. Un giorno, sbarcando, lo trovai in piedi sulla banchina;
l'acqua della baia e il mare aperto formavano un piano liscio e
ascendente; i bastimenti all'àncora, lontani, sembravano navigare
immobili nel cielo. Stava aspettando che finissero di caricare una
barca, sotto ai nostri piedi, con pacchi di minute provviste per
qualche nave lesta a salpare. Ci salutammo e restammo in silenzio,
uno vicino all'altro. 'Perdiana!' disse a un tratto. 'E' un lavoro
che ammazza.'
Mi sorrise; devo dire che in genere fino a un sorriso ci arrivava.
Non risposi. Sapevo benissimo che non alludeva alla fatica: aveva
la vita facile con De Jongh. Tuttavia, a quelle sue parole, mi
convinsi in pieno che veramente quel lavoro lo ammazzava. Senza
guardarlo: 'Le piacerebbe,' dissi, 'abbandonare definitivamente
questa parte di mondo; provare in California o sulla Costa
occidentale? Vedrò se è possibile...' M'interruppe alquanto
sdegnato: 'Che differenza c'è...' Capii subito che aveva ragione.
Non c'era differenza; non cercava un riposo, lui; mi parve di
intuire vagamente che gli occorreva e, per così dire, stava
aspettando, qualcosa difficilmente definibile qualcosa come
un'occasione. Glie ne avevo fornite diverse, ma di quelle buone
soltanto a procurargli il pane. Eppure che si poteva fare di più?
Il caso mi parve disperato, e mi sovvenivano le parole di Brierly:
'Che si scavi una buca sei metri fonda e ci rimanga.' Meglio
questo, pensai, che codesto stare a fior di terra ad aspettar
l'impossibile. Eppure, non si poteva esser sicuri neanche di ciò.
Lì per lì, e prima che la sua barca si fosse staccata di tre remi
dalla banchina, decisi di andare subito. in serata. a consultare
Stein.
Questo Stein era un mercante ricco e stimato. La sua ditta (perché
era proprio una ditta, Stein e Company: esisteva anche una specie
di socio che, a sentire Stein 'si occupava delle Molucche') aveva
un'estesa rete di commerci interinsulari, e molte agenzie nei
luoghi più remoti per la raccolta dei prodotti. Non erano tuttavia
né la sua ricchezza, né la sua autorità quelle che mi spingevano
così urgentemente a chiedergli i suoi pareri. Avevo bisogno di
confidargli la mia apprensione perché era uno degli uomini più
degni di fiducia che io abbia mai conosciuto. Una bella aureola di
bontà semplice, per così dire instancabile, e intelligente gli
illuminava il viso lungo e glabro dalle profonde rughe verticali,
e pallido come il viso di una persona accostumata ad una vita
sedentaria - che, in realtà non era mai stata la sua. Aveva
capelli radi, spazzolati all'indietro sulla fronte massiccia e
spaziosa. Veniva fatto di pensare che a vent'anni doveva essere
stato molto simile a ora, che ne aveva sessanta. Era il viso di
uno studioso; soltanto le sopracciglia, quasi completamente
bianche, folte e a cespugli, e, di sotto a quelle, lo sguardo che
ne scaturiva risoluto e penetrante, contrastavano col suo aspetto,
direi, di scienziato. Era alto e dinoccolato; la schiena
leggermente curva, e il sorriso innocente lo facevano apparire
pronto a prestarvi benevola attenzione; le lunghe braccia con le
grandi mani pallide avevano radi gesti decisi per indicare o
dimostrare. Se mi indugio a parlar di lui è perché, dietro a
questo aspetto esteriore, e in accordo con una natura diritta e
indulgente, quest'uomo possedeva un'intrepidità di spirito e un
coraggio fisico che poteva passare per temerarietà se non fosse
stata una funzione naturale del suo corpo - come la buona
digestione, per esempio - e del tutto inconsapevole. Si dice
talvolta che la vita l'abbiamo nelle nostre mani. Codesto modo di
dire non sarebbe valso per lui: durante la prima parte della sua
esistenza in Oriente ci aveva giocato addirittura a palla, con la
sua vita. Tutto questo apparteneva ormai al passato, ma io
conoscevo la sua storia e l'origine della sua ricchezza. Era anche
un naturalista di un certo valore, o, più esattamente, un dotto
collezionista. L'entomologia era la sua particolare passione. La
sua collezione di Buprestidae e Longicornuae tutti scarabei -
orribili mostri in miniatura, dall'aspetto nemico anche
nell'immobilità della morte, e la sua vetrina di farfalle, belle e
frementi nelle loro ali senza vita sotto al vetro delle scatole,
avevano portato lontano la sua fama nel mondo. Il nome di questo
mercante avventuriero, consigliere, in passato, di un sultano
malese (e non lo chiamava altrimenti che 'il mio povero Mohammed
Bonso') era noto, in Europa, in virtù di poche staia di insetti
morti, a scienziati che non potevano farsi neanche l'idea, e certo
non si sarebbero curati di farsela, della sua vita e del suo
carattere. A me, che ero al corrente, parve persona adattissima a
ricevere le mie confidenze sulle difficoltà di Jim: e sulle mie
proprie...".
CAPITOLO 20.
"La sera sul tardi entrai nel suo studio, dopo aver attraversato
una sala da pranzo imponente, ma vuota, e scarsamente illuminata.
La casa era silenziosa. Mi precedeva un servo giavanese, anziano e
severo, con una specie di livrea formata da una giacca bianca e da
un sarong giallo; costui, dopo aver spalancato la porta, esclamò a
bassa voce: 'Oh padrone!' e, facendosi da parte, sparì in certa
sua misteriosa maniera, come un fantasma che avesse preso corpo
solo un attimo per quel particolare servizio. Stein si voltò
girando la poltrona, e sembrò che lo stesso movimento gli
sollevasse gli occhiali sulla fronte. Mi diede il benvenuto con la
sua voce pacata e gioviale. Soltanto un angolo dell'ampia camera,
l'angolo dove si trovava la sua scrivania, era fortemente
illuminato da una lampada da tavolino, con paralume; il resto del
vasto ambiente si fondeva con l'oscurità informe, come di una
caverna. Stretti scaffali pieni di scatole scure, uguali di forma
e di colore, coprivano le pareti tutt'intorno, non dal pavimento
al soffitto, ma in una scura zona di circa un metro e venti
d'altezza: catacombe di scarabei. Tavolette di legno vi pendevano
a intervalli irregolari. La luce, raggiungendo una di queste
tavolette, faceva scintillare misteriosa nella vasta penombra la
parola Coleoptera scrittavi a lettere d'oro. Le cassette di vetro
della collezione di farfalle erano allineate in tre lunghe file su
certi tavolini di gambe sottili. Una di queste cassette, tolta dal
suo posto, era posata sulla scrivania cosparsa di striscie di
carta rigate da una minuscola calligrafia.
'Così mi trova... così,' disse. La sua mano rimase sospesa sulla
cassetta in cui una farfalla, grandiosa nel suo isolamento,
stendeva le ali d'un color bronzo scuro, larghe un diciassette
centimetri o più, con squisite venature bianche, e una sontuosa
orlatura di puntini gialli. 'Esiste un solo esemplare così nella
SUA Londra: uno e basta. Alla mia cittadina natìa io questa mia
collezione lascerò. Qualcosa di me. Il meglio.'
Si chinò in avanti sulla poltrona osservando intensamente, col
mento sulla cassetta. Io gli stavo dietro in piedi. 'Meravigliosa,
mormorò, e sembrò aver dimenticato che io ero lì. Strana storia,
la sua. Nato in Baviera, a ventidue anni aveva preso parte attiva
al movimento rivoluzionario del 1848. Gravemente compromesso,
riuscì a mettersi in salvo, e da principio trovò un rifugio presso
un povero orologiaio repubblicano di Trieste. Da lì arrivò a
Tripoli con un blocco di orologi a buon mercato da smerciare:
esordio non proprio magnifico, ma che si risolse poi in una
fortuna per lui, perché là conobbe un esploratore olandese - uomo
piuttosto famoso, credo, ma di cui non ricordo il nome. Fu questo
naturalista a prenderselo con sé come una specie di aiutante, e a
portarselo in Oriente. Viaggiarono per l'Arcipelago insieme e
separati, facendo collezione d'insetti e d'uccelli, per oltre
quattr'anni. Poi il naturalista tornò in patria, e Stein, non
avendo una patria dove tornare, rimase laggiù con un vecchio
mercante che aveva conosciuto durante i suoi viaggi nell'interno
delle Celebes - se si può dire che le Celebes abbiano un interno.
Questo vecchio Scozzese, unico bianco che avesse allora permesso
di residenza nel paese, godeva le preferenze del più potente
monarca degli Stati del Wajo: che era una donna. Ho sentito spesso
raccontare da Stein che quello Scozzese, affetto da leggera
paralisi laterale, lo aveva presentato alla Corte indigena poco
prima che un nuovo colpo apoplettico se lo portasse via. Era un
uomo tanto fatto, dalla bianca barba patriarcale e di statura
imponente. Arrivò nella sala del Consiglio dove tutti i rajah,
pangerani e capi tribù erano raccolti intorno alla regina, una
donna grassa e grinzosa (molto spregiudicata nel parlare, diceva
Stein) distesa su un alto divano sotto un baldacchino.
Strascicando la gamba egli batteva col bastone sul pavimento:
afferrò il braccio di Stein e lo portò dritto dritto presso il
divano. 'Guarda, oh Regina, e voi rajah, questi è mio figlio,'
proclamò con voce stentorea. 'Ho commerciato con i vostri padri, e
quando io morrò lui commercerà con voi e coi vostri figli.'
Per effetto di questa semplice cerimonia, Stein ereditò la
situazione privilegiata dello Scozzese, insieme con tutta la sua
merce in blocco e a una casa fortificata sulle rive dell'unico
fiume navigabile del paese. Poco dopo, la vecchia regina, tanto
spregiudicata nel parlare, morì; e il paese fu turbato dalle lotte
tra i vari pretendenti al trono. Stein si unì al partito del
figlio minore, quello che trent'anni dopo non ricordava se non
chiamandolo 'il mio povero Mohammed Bonso.' Insieme divennero i
protagonisti di innumerevoli imprese; ebbero avventure
meravigliose, e una volta sostennero un assedio di un mese nella
casa dello Scozzese, con appena una ventina di seguaci contro un
intero esercito. Credo che di quella guerra gli indigeni seguitino
a parlare ancora oggi. E nel frattempo sembra che Stein non
tralasciasse mai di far tesoro di tutte le farfalle o scarabei che
gli capitavano sotto mano. Dopo circa otto anni di guerre, di
negoziati, di falsi armistizi, d'improvvise riprese d'ostilità e
di riconciliazioni, di tradimenti, e via di seguito, proprio
quando sembrava che la pace fosse definitivamente e stabilmente
conchiusa, il suo 'povero Mohammed Bonso' fu assassinato sul
cancello della residenza regale mentre scendeva da cavallo, in
stato di alta euforia, di ritorno da una riuscitissima caccia al
cervo. Per questo avvenimento Stein si ritrovò in una posizione
estremamente malsicura, ma lui sarebbe forse rimasto lì lo stesso,
se poco tempo dopo non avesse perduto anche la sorella di Mohammed
('la mia cara moglie, la principessa' soleva dire solennemente),
dalla quale aveva avuto una bambina: madre e figlia erano morte a
tre giorni di distanza, per non so quale febbre infettiva. Stein
abbandonò il paese, che questi gravi lutti gli avevano reso
insopportabile; e così terminò la prima parte, quella avventurosa,
della sua esistenza. Ciò che seguì fu così diverso, che, se non
fosse stata la realtà del dolore che era rimasto sempre vivo in
lui, quel suo strano passato gli sarebbe parso un sogno. Aveva un
po' di danaro; ricominciò la sua vita da capo, e nel corso degli
anni mise insieme una fortuna considerevole. Da principio viaggiò
molto da un'isola all'altra, ma col sopraggiungere a poco a poco
dell'età, da ultimo raramente gli accadeva di allontanarsi dalla
sua vasta casa a tre miglia dalla città, con una bella stesa di
giardino, e in mezzo a una corona di stalle, uffici, e casette di
bambù per i servi e i dipendenti che aveva in gran numero. Col suo
carrozzino scoperto si recava ogni mattina in città, dove aveva un
ufficio con impiegati bianchi e cinesi. Possedeva una piccola
flotta di schooner e d'imbarcazioni indigene, e commerciava su
larga scala prodotti delle isole. Del resto, viveva solitario, ma
non misantropo, con i suoi libri e la sua collezione,
classificando e sistemando esemplari, corrispondendo con
entomologi europei, preparando un catalogo descrittivo dei suoi
tesori. Tale era la storia di colui che ero venuto a consultare
sul caso di Jim, senza una precisa speranza. Mi sarebbe già
riuscito di sollievo ascoltare semplicemente ciò che mi avrebbe
detto. Ero molto in ansia, ma rispettai la concentrazione intensa,
quasi appassionata, con cui Stein osservava la farfalla, come se
nella lucentezza bronzea di quelle fragilissime ali dai candidi
disegni e dalle splendide macchie, egli vedesse altre cose:
l'immagine di qualche cosa altrettanto fragile e indistruttibile
quanto quei tessuti delicati e senza vita che mostravano una
sontuosità non alterata dalla morte.
'Meraviglioso!' ripeté, alzando gli occhi. 'Guardi! La bellezza...
ma questo è nulla... guardi la finitura, l'armonia. E' così
fragile! E così robusto! E così esatto! Questa è Natura -
equilibrio di forze colossali. Ogni stella così... ogni filo
d'erba lì, così... e il potente Kosmos in perfetto equilibrio
produce... questo. Questo miracolo; questo capolavoro di Natura...
la grande artista.'
'Non ho mai sentito un entomologo parlare così,' osservai
allegramente. 'Capolavoro! E l'uomo, allora?'
'L'uomo è stupefacente, ma non è un capolavoro,' disse, tenendo
gli occhi fissi sulla cassetta di vetro. 'Forse l'artista era un
po' fuori squadra. Eh? Che glie ne pare? Qualche volta sembra che
l'uomo sia capitato dove nessuno lo aspettava, dove non c'è posto
per lui; ché altrimenti come vorrebbe tutto per sé? Perché
correrebbe qua e là facendo tanto strepito intorno a se stesso,
chiacchierando delle stelle, calpestando i fili d'erba?...'
'Acchiappando farfalle,' interloquii.
Sorrise, si gettò all'indietro sulla poltrona e stese le gambe.
'Si accomodi,' fece. 'Questo raro esemplare l'ho preso proprio io
in una mattinata bellissima. Provai una profonda emozione. Lei non
immagina che significhi per un collezionista catturare un
esemplare così raro. Non può immaginarlo.'
Seduto comodamente nella mia poltrona a dondolo, sorrisi. I suoi
occhi sembravano guardare molto oltre la parete che stava
fissando; e narrò come, una sera, era arrivato un messo del suo
'povero Mohammed,' che lo chiamava alla 'residenza' - come diceva
Stein - distante un nove o dieci miglia, a prendere la mulattiera
che attraversava una piana coltivata, rotta qua e là da plaghe
boscose. La mattina presto partì dalla sua casa fortificata, dopo
aver baciato la sua piccola Emma, trasferendo il comando alla
'principessa' sua moglie. Raccontò come essa lo aveva accompagnato
fino al cancello, camminandogli a fianco con una mano sul collo
del cavallo; con una giacchetta bianca, e spilloni d'oro nei
capelli, e sulla spalla sinistra una bandoliera di cuoio marrone
con una rivoltella. 'Parlava come parlano le donne,' fece,
'dicendomi di far attenzione, di procurare di esser di ritorno
prima di notte, e chiamandomi brutto cattivo che andavo solo.
Eravamo in guerra, e il paese non era sicuro; i miei uomini
stavano adattando alle finestre della casa certe imposte a prova
di pallottola, e tenevano i fucili carichi, ma mi scongiurò di non
star in pena per lei. Poteva difendere la casa contro chiunque
fino al mio ritorno. Ridevo di contentezza. Mi piaceva vederla
così coraggiosa e giovane e forte. Anch'io ero giovane allora. Al
cancello mi afferrò una mano, mi diede una stretta e si ritirò.
Rimasi fermo sul cavallo, di fuori, finché non ebbi sentito
richiudersi le sbarre del cancello alle mie spalle. C'era un mio
grande nemico, un gran nobile - e anche un gran furfante - che
batteva i dintorni con una sua banda. Per quattro o cinque miglia
mi tenni al galoppo; aveva piovuto durante la notte, ma la nebbia
era salita, su su - e la faccia della terra, adesso, tutta linda,
mi sorrideva fresca e innocente, come una fanciullina. Ad un
tratto una sparatoria - una ventina di colpi, mi parve. Mi sentii
fischiare le pallottole all'orecchio, e il cappello mi salta sulla
nuca. Un'imboscata, capisce. Avevano brigato per farmi chiamare
dal mio povero Mohammed, e poi avevano preparato l'insidia.
Capisco tutto in un baleno, e penso: QUI BISOGNA FAR MENTE LOCALE.
Il mio cavallino sbuffa, salta, e si impenna, e io mi piego
lentamente in avanti con la testa sulla sua criniera. Si rimette
in cammino, e con la coda dell'occhio scorgo al disopra del suo
collo una nuvoletta di fumo davanti a un ciuffo di bambù sulla mia
sinistra. Penso: AHA! AMICI BELLI, AVETE AVUTO TROPPA FURIA A
SPARARE. ANCORA NON MI AVETE GELUNGEM. Oh no! afferro la mia
rivoltella con la destra... piano... piano. Dopo tutto non erano
che sette, quelle canaglie. Si alzano da terra e si mettono a
correre in avanti con i loro sarong tirati su, agitando le lance
sopra la testa e urlandosi l'un con l'altro di badare a non
lasciarsi scappare il cavallo, perché io ero spacciato. Li lasciai
avvicinare fino alla distanza di quella porta lì, e poi bum, bum,
bum - prendendo ogni volta anche la mira. Sparo l'ultimo colpo
alla schiena di uno, ma lo sbaglio. Era già troppo lontano. E
allora resto solo sul mio cavallo, la terra linda che mi sorride e
tre uomini stesi al suolo. Uno s'era accercinato come un cane, un
altro, a pancia all'aria, teneva un braccio sugli occhi come per
ripararsi dal sole, e il terzo tira su lento lento una gamba e poi
la stende di nuovo con un calcio. Lo osservo molto attentamente
dall'alto del mio cavallo, ma non succede altro - bleibt ganz
ruhig rimane fermo lì. E mentre gli cerco in viso un segno di
vita, osservo come un'ombra passargli sulla fronte. Era l'ombra di
questa farfalla. Guardi la forma dell'ala. Questa specie vola in
alto con un volo resistente. Alzai gli occhi e la vidi svolar via.
Penso... E' mai possibile? Poi la persi di vista. Sceso a terra,
avanzavo piano piano, guidando il cavallo per la briglia, e
stringendo la rivoltella mentre scrutavo in giro, su e giù, a
destra e a sinistra e dappertutto! Finalmente la vidi su un
mucchio di letame a tre metri di distanza. Cominciò a battermi
forte il cuore. Lascio andare il cavallo, tenendo sempre la
rivoltella in mano, e con l'altra mi tolgo di testa il cappello
floscio. Un passo. Attenzione. Un altro passo. Flop! Presa! Quando
mi alzai tremavo come una foglia dall'emozione. Ma quando le
apersi le belle ali e mi avvidi della rarità e della straordinaria
perfezione dell'esemplare che avevo trovato, mi girò addirittura
la testa e mi si fiaccarono talmente le gambe dall'agitazione che
dovetti mettermi a sedere per terra. Avevo desiderato molto di
possedere anch'io un esemplare di quella specie, quando lavoravo
col Professore. Avevo proprio fatto lunghi giri, e molti
sacrifici: me l'ero sognata la notte; ed ecco che a un tratto
l'avevo fra le dita - tutta per me! Dirò col poeta (pronunciava
BOETA):
So halt' ich's endlich denn in meinen Händen,
Und nenn'es in gewissem Sinne mein.'
Diede enfasi all'ultima parola con un improvviso abbassamento di
voce, e mi distolse lentamente lo sguardo dal viso. Cominciò a
caricare con cura e in silenzio una pipa di lunga cannuccia, poi,
soffermandosi col pollice sulla bocca del fornello, mi rivolse
ancora uno sguardo d'intesa.
'Sì, mio buon amico. Quel giorno non avevo più nulla da
desiderare: avevo dato un serio dispiacere al mio principale
nemico; ero giovane, forte; avevo un amico; avevo l'amore di una
donna (pronunciava TONNA) e una bambina, avevo: tanto dunque da
colmarmi il cuore - e adesso perfino ciò che avevo sognato nel
sonno, me lo trovavo tra le mani!'
Scriccò un fiammifero, che diede una fiamma viva; vidi rabbuiarsi
il suo viso placido e pensoso.
'Amico, moglie, bambina,' disse lentamente, guardando la piccola
fiammella. 'Pfu!' E con un soffio spense il fiammifero. Sospirò, e
di nuovo si volse verso la cassetta di vetro. Le ali fragili e
bellissime tremolarono appena come se il suo fiato avesse per un
momento richiamato in vita quel superbo oggetto dei suoi sogni.
'Il mio lavoro,' riprese a un tratto, indicando le strisciole di
carta sparpagliate, e col suo tono dolce e allegro, 'procede a
gran passi. Ho di descrivere questo raro esemplare finito!... Na!
Lei, che buone nuove mi porta?' 'A dir la verità, Stein,' risposi
con uno sforzo che mi stupì, 'sono venuto anch'io a descrivere un
esemplare...'
'Una farfalla?' domandò con calore incredulo e scherzoso.
'Nulla di così perfetto,' replicai, sentendomi improvvisamente
disarmato e pieno di ogni sorta di dubbi. 'Un uomo!'
'Ach so!' mormorò, volgendosi a me, e la sua fisonomia di
sorridente si fece seria. Poi, dopo aver mi osservato un po',
disse adagio adagio: 'Beh... anch'io sono uomo.'
Qui era tutto lui; l'uomo che sapeva riuscire incoraggiante con
tanta generosità da indurre una persona scrupolosa a esitare al
limite di una confidenza; e io esitai, ma per poco.
Mi ascoltò fino alla fine, seduto, con le gambe accavallate.
Qualche volta che la testa gli spariva completamente in una grande
eruzione di fumo, da quella nuvola usciva un sussurro di
comprensione. Quando ebbi finito, tolse la gamba di sopra
all'altra, posò la pipa, si protese serio serio verso di me,
appoggiando i gomiti sui braccioli della poltrona, e unendo le
punte delle dita.
'Capisco benissimo. E' un romantico.'
Mi aveva bell'e fatto la diagnosi del caso, e da principio mi
stupii molto che fosse così semplice; il nostro colloquio
somigliava preciso a un consulto medico: Stein, con quel suo
aspetto di dottore, seduto in poltrona davanti alla scrivania, io
seduto in un'altra poltrona di fronte a lui, un poco di lato in
ansiosa attesa del responso. Mi sembrò perfino naturale di
chiedere:
'E che rimedio mi consiglia?'
Levò un lungo indice.
'L'unico! C'è un solo modo per guarirci dall'essere noi stessi!'
L'indice piombò sulla scrivania con un colpo secco. Il caso, di
cui dianzi egli aveva saputo rivelarmi tutta la semplicità,
apparve se possibile ancora più semplice - e assolutamente
disperato. Seguì una pausa. 'Già,' dissi, 'a rigor di termini, il
problema non è guarire, ma esistere.'
Approvò col capo, un po' triste, mi parve. 'Ja! Ja! Insomma, con
le parole del vostro grande poeta: That is the question...'
seguitava ad affermare del capo, con comprensione... 'Esistere!
Ach! Esistere.'
Si alzò in piedi poggiando le punte delle dita sulla scrivania.
'Noi vogliamo in tanti modi diversi esistere,' riprese. 'Questa
magnifica farfalla trova un mucchietto di fimo, e vi si ferma su;
ma l'uomo non si vuol mai sul suo mucchio di fimo fermare. Vuole
esistere così, e dopo vuole invece esistere così...' Girò la palma
in alto e poi in basso... 'Vuol essere un santo, e vuol essere un
diavolo... e ogni volta che chiude gli occhi vede se stesso come
una rara meraviglia... così rara come non potrà mai essere... In
sogno...'
Abbassò il coperchio di vetro, la cui serratura automatica scattò
con un rumore secco, e, presa la cassetta a due mani, la riportò
religiosamente al suo posto, passando dal cerchio di piena luce
della lampada in un anello di luce più tenue... e alla fine
nell'ombra informe. Era un effetto strano... come se quei pochi
passi lo avessero portato fuori da questo mondo concreto e pieno
di perplessità. La sua alta figura, quasi vuotata dalla sua
sostanza, fluttuava senza rumore su oggetti invisibili, con
movimenti obliqui e indefiniti; la sua voce, da quella remota
lontananza, dove lo intravvedeva misteriosamente occupato in atti
immateriali, non era più così incisiva, ma sembrava snodarsi
voluminosa e grave-smorzata dalla distanza.
'E dal fatto che non si possono tenere gli occhi sempre chiusi
nasce il male - la pena del cuore - la pena del mondo. Le dico,
amico mio, che non è un vantaggio scoprire che non si possono
tradurre in realtà i nostri sogni unicamente perché non si è forti
abbastanza, né abbastanza intelligenti - Ja!... E frattanto si è
pur sempre gente in gamba! Wie? Was? Gott in Himmel! Come va
questa storia? Ah! ah! ah!...'
L'ombra vagolante tra le tombe delle farfalle rideva forte.
'Già! Molto buffa questa terribile cosa. Ogni uomo nascendo cade
in un sogno come si casca in mare. Se si arrabatta per tirarsi
fuori come chi non è pratico, annega... nicht wahr?... No! Le
dirò! Il segreto è di adattarsi all'elemento distruttivo, e con
sforzi di mani e di piedi nell'acqua costringere il profondo,
profondo mare a tenerci su. Così se mi domanda: come esistere?...'
La sua voce arrivava straordinariamente forte, quasi laggiù nella
penombra lo ispirasse uno spirito di saggezza. '... le rispondo:
Anche per questo c'è un solo modo!'
In un frettoloso stropiccìo di pantofole sul pavimento si delineò
di nuovo nel cerchio di luce più tenue, e a un tratto comparve nel
campo di luce piena della lampada, con la mano tesa in direzione
del mio petto come una pistola; i suoi occhi infossati sembravano
passarmi da parte a parte, ma dalle labbra tremanti non usciva più
una parola, e gli si spense nel volto l'austera esaltazione di
quella certezza che si era manifestata nella penombra. Lasciò
ricadere la mano puntata sul mio petto, e dopo un po',
avvicinandosi d'un passo, me la posò lieve su una spalla. Ci sono
cose, disse con una punta di tristezza, che forse non bisognerebbe
mai dire, ma lui viveva tanto solo che qualche volta si lasciava
andare... si lasciava andare... La luce aveva distrutto la
certezza che lo aveva esaltato nell'ombra remota. Sedette, e coi
gomiti sulla scrivania, si stropicciò la fronte. 'Eppure è vero...
è vero. Nell'elemento distruttivo immersi...' Parlava in tono
sommesso, senza guardarmi, col viso tra le palme. 'Ecco il
segreto. Seguire il sogno, sempre seguire il sogno... e così...
ewig... usque ad finem...' La voce sommessa della sua convinzione
sembrava aprire davanti a me una distesa vasta e malsicura come di
una landa a stesa d'orizzonte nel crepuscolo dell'alba... o era
forse il calare della notte? Chi poteva dire? Non si osava
definirla: ma era una luce di ingannevole fascino, che diffondeva
l'impalpabile poesia della sua penombra su baratri - tombe. La sua
vita era cominciata con aspirazioni al sacrificio, con entusiasmi
per ogni idea generosa; era andato molto lontano, per varie
strade, su strani sentieri; in ogni nuova impresa si era buttato
senza esitazione, e quindi senza vergogna e senza rimpianti. Fin
qui aveva ragione lui. E questa era senza dubbio la via buona.
Eppure, nonostante tutto, la grande pianura dove gli uomini vagano
fra tombe e baratri rimaneva molto desolata sotto l'impalpabile
poesia della sua luce crepuscolare, prigione dell'ombra nel
centro, e circondata da un alone luminoso come se si trovasse al
mezzo di un abisso pieno di fiamme. Finalmente ruppi il silenzio
per esprimere l'opinione che nessuno poteva essere più romantico
di lui.
Scosse il capo lentamente e poi mi guardò con occhi pazienti e
interrogativi. 'E' una vergogna,' disse. 'Eccoci qui a
chiacchierare come due ragazzi invece di metterci di buona lena a
cercare un rimedio pratico - un rimedio - per il male... per il
grave male,' ripeté, con un sorriso arguto e indulgente. E
tuttavia, la nostra conversazione non volse affatto al positivo.
Evitammo di pronunciare il nome di Jim come per lasciare fuori
discussione la sua persona di sangue e di carne, quasi si
trattasse soltanto d'uno spirito in preda all'errore, un'ombra
senza pace e senza nome. 'Na!' disse Stein, alzandosi. 'Stanotte
lei dormirà qui, e domattina faremo qualcosa di pratico...
pratico...' Accese un candeliere a due bracci e mi fece strada.
Attraversammo stanze buie e vuote, guidati dal chiarore della
candela che portava Stein. Le luci slittavano lungo i pavimenti a
cera, correvano qua e là sulla superficie lucida di un tavolino,
lambivano lo spigolo d'un mobile o si accendevano in diretti
riflessi negli specchi lontani, mentre si vedevano passare nella
profonda cavità del cristallo le forme di due uomini e il
palpitare di due fiammelle. Stein procedeva lento, un passo avanti
a me, con deferente cortesia; aveva in viso la profonda quiete di
chi sta in ascolto; le lunghe ciocche bionde sparse di fili
bianchi cadevano rade e in disordine sul collo un po' piegato.
'E' un romantico... un romantico,' ripeté. 'E questo è un gran
male... un gran male... ma anche un gran bene,' soggiunse.
'Davvero?' domandai.
'Gewiss,' disse, e si fermò, reggendo alzato il candelabro, ma
senza guardarmi. 'Evidente! Che altro mai lo porterebbe,
attraverso una pena interiore, a conoscere se stesso? Che altro,
per lei e per me, lo fa... ESISTERE?'
Era difficile, in quel momento, credere all'esistenza di Jim
partito ragazzo da una parrocchia di campagna, avvolto dalla
moltitudine degli uomini come da una nuvola di polvere, ammutolito
dallo strepitoso contrasto della vita e della morte in un mondo
tutto materiale: eppure la sua realtà indistruttibile mi si
presentò davanti con una forza convincente e perentoria! La scorsi
vivida, come se, durante il passaggio; attraverso le alte stanze
silenziose fra i labili raggi di luce e le improvvise immagini di
figure umane che avanzavano furtive con vacillanti fiammelle a
profondità insondabili e translucide, ci fossimo avvicinati alla
Verità assoluta; che, come la stessa Bellezza, fluttua elusiva,
oscura, semisommersa, sulle acque silenziose e ferme del mistero.
'Romantico, può darsi,' ammisi con un riso leggero, che risuonò
con forza così imprevista da farmi abbassar subito la voce: 'ma
anche lei di certo.' Con la testa piegata sul petto e reggendo in
alto il candeliere, Stein riprese a camminare. 'Beh... anch'io
esisto,' disse.
Mi precedette. Seguivo con gli occhi ogni suo movimento; e non
vedevo pl in lui il capo di una ditta, I'ospite gradito dei
ricevimenti pomeridiani, il corrispondente di dotte società,
l'anfitrione dei naturalisti di passaggio: vedevo soltanto la
realtà del suo destino, che egli aveva saputo seguire con passo
sicuro, quella sua vita partita da un'umile origine, ricca di
slanci generosi, per l'amicizia, l'amore, la guerra - per tutti
gli elementi esaltati del romanticismo. Sulla porta della mia
stanza si voltò. 'Sì,' dissi, come continuando una discussione,
'anche lei che, tra l'altro, sognava candidamente di una certa
farfalla; però quando, in una bella mattinata, il suo sogno le
apparve davanti, vivo e tangibile, lei non si è mica perduto
quella magnifica occasione. No? Mentre lui...' Stein alzò una
mano. 'E lo sa lei quante occasioni mi son perduto io; quanti
sogni mi son lasciato scappare, che mi erano venuti davanti, vivi
e tangibili?' Scosse la testa in tono di rimpianto. 'Ho idea che
qualcuno di quei sogni sarebbe riuscito molto bello... se lo
avessi saputo tradurre in realtà. Lo sa quanti? Forse non lo so
nemmeno io.' 'Fossero belli o no quelli di Jim,' dissi, 'uno egli
sa con sicurezza che gli è sfuggito.' 'Tutti sappiamo di uno o due
così,' ribatté Stein; 'e questo è il guaio... il grosso guaio...'
Mi strinse la mano lì sulla soglia, dando un'occhiata alla mia
camera di sotto al braccio alzato. 'Dorma bene. Domani bisogna che
facciamo qualcosa di pratico... di pratico...'
Benché la sua camera fosse più avanti lo vidi rifare la strada
percorsa venendo. Tornava alle sue farfalle".
CAPITOLO 21.
"Non credo che nessuno di voi abbia mai sentito parlare del
Patusan", riprese Marlow, dopo un silenzio colmato dalla rituale
accensione di un sigaro. "Non fa niente: esistono tanti corpi
celesti, in quel comizio affollato che ci si svolge ogni notte
sulla testa, di cui la gente non ha mai sentito parlare, perché
sono fuori dalla nostra sfera d'azione e non hanno importanza per
nessuno al mondo, eccetto che per gli astronomi, i quali sono
pagati per far dotti discorsi sulla loro composizione, sul peso,
sull'orbita, sui loro capricci, sulle anomalie della loro luce;
una specie di pettegolezzo scientifico, insomma. Così si può dire
del Patusan. Vi si accennava con aria d'intesa nei circoli
governativi di Batavia, specialmente per quel che riguarda le sue
irregolarità e anomalie, e pochi, pochissimi tra la gente di
commercio lo conoscevano neanche di nome. Nessuno, comunque, c'era
mai stato, e nessuno - ho idea - desiderava andarci di persona,
proprio come nessun astronomo, credo, senza opporre obbiezioni, si
lascerebbe portare in un lontano corpo celeste dove, separato dai
suoi emolumenti terrestri, rimarrebbe a bocca aperta alla vista di
cieli inusuali. Comunque, né i corpi celesti né gli astronomi
hanno nulla a che vedere col Patusan, dove andò a finire Jim.
Volevo solo farvi intendere che se Stein si fosse invece adoperato
per spedirlo in una stella di quinta grandezza non avrebbe
determinato una più radicale trasformazione. Lasciatesi dietro le
sue colpe terrene, e quella certa fama che s'era fatta, Jim si
trovò in una serie di situazioni interamente nuove, su cui
esercitare le facoltà della sua fantasia. In tutto e per tutto
nuove, e notevoli. E dal canto suo, in modo notevole ne profittò.
Stein era l'uomo che la sapeva più lunga di qualunque altro, sul
Patusan. Più di quanto se ne sapesse negli ambienti governativi,
direi. Non c'è dubbio che c'era andato, sia ai tempi delle sue
caccie alle farfalle, sia più tardi, quando, seguendo la sua mania
inguaribile, cercò di condire con un pizzico di romanticismo le
troppo sostanziose vivande della sua cucina commerciale. Erano
pochissimi i luoghi dell'Arcipelago che non avesse visitati nel
loro stato di natura, prima che vi avessero portato la luce (e
perfino la luce elettrica) per l'incremento della moralità e...
e... beh, anche dei materiali profitti. Fu durante la prima
colazione, la mattina seguente alla nostra conversazione a
proposito di Jim: e Stein accennò a quel luogo, quando gli ebbi
ripetuta la frase del povero Brierly: 'Che si scavi una fossa sei
metri sotto terra e ci rimanga.' Mi guardò con attento interesse,
come fossi stato un raro coleottero. 'Sarebbe una soluzione,'
osservò, sorseggiando il suo caffè. 'Una forma di sepoltura,'
spiegai. 'Non è una cosa molto piacevole da fare, certo, ma
sarebbe la soluzione migliore, considerando quello che è Jim.'
'Già; è giovane,' fece Stein con aria assorta. 'La più giovane
creatura umana che sia oggi in vita,' affermai. 'Schön. C'è il
Patusan,' riprese nello stesso tono. '... E la donna ormai è
morta,' soggiunse. Io non capivo.
Non sono a giorno, naturalmente, di questa storia; posso soltanto
intuire che già una volta il Patusan ha da aver servito da tomba a
qualche peccato, trasgressione o sfortuna. E' assurdo sospettare
di Stein. La sola donna al mondo, per lui, era quella ragazza
malese che chiamava 'mia moglie la principessa,' o, più raramente,
in momenti di espansione: 'la madre della mia Emma.' Chi era la
donna che aveva ricordato a proposito del Patusan? Non saprei
dirlo; ma dalle sue allusioni compresi che si trattava di una
ragazza fiammingo-malese, colta e bellissima, con una tragica, o
forse anche soltanto pietosa storia, di cui il più doloroso
capitolo fu senza dubbio quello del suo matrimonio con un
Portoghese della Malacca impiegato in una ditta commerciale nelle
colonie olandesi. A quanto potei capire dalle parole di Stein,
quest'uomo era persona malfida sotto vari punti di vista, però
sempre, poco più poco meno, loschi ed indefinibili. Soltanto per
un riguardo verso la moglie Stein lo aveva messo a capo
dell'agenzia Stein e Company a Patusan; ma dal punto di vista
commerciale era stato un disastro, almeno per la ditta, e ora che
la donna era morta, Stein era disposto a ritentare la prova
mandando laggiù un altro agente. Il Portoghese, che si chiamava
Cornelius, si considerava un uomo di gran valore, sebbene molto
misconosciuto, e degno pertanto, per i suoi talenti, di un
trattamento molto più alto. Questo l'individuo che Jim avrebbe
dovuto sostituire. 'Non credo però che se n'andrà di lì,' osservò
Stein, 'ma questo non mi riguarda. Soltanto per la donna io...
Siccome però credo che abbia lasciato una figlia, se vuol rimanere
gli per metterò di tenersi la vecchia casa.'
Il Patusan è la regione remota di uno stato governato da indigeni,
e la sua capitale porta lo stesso nome. Sul fiume, in un punto a
circa quaranta miglia dal mare, dove si scoprono le prime case,
emergono sopra la zona delle foreste i cocuzzoli di due colline
scoscese molto vicine l'una all'altra, e separate da una specie di
profondo spacco; come il solco di una potente sciabolata. In
realtà, la valle tra le due alture non è che uno stretto burrone:
viste dall'abitato sembrano piuttosto una collina unica a cono
irregolare diviso in due, e con le due metà leggermente
divergenti. Al terzo giorno di plenilunio, la luna, vista dallo
spiazzo davanti alla casa di Jim (aveva una bellissima casa in
stile indigeno, quando lo andai a trovare io) sorgeva esattamente
da dietro le due colline, dando a tutta prima, con la sua luce
diffusa, un intenso rilievo alla loro massa scura; poi il disco
quasi perfetto, tutto acceso di luce rossastra, appariva,
scivolava salendo tra i due bordi della spaccatura, finché
compariva a galla sopra le cime, in un dolce trionfo di
resurrezione sulla sua tomba aperta. 'Un effetto meraviglioso,'
disse Jim vicino a me. 'Val la pena di vederlo, no?'
E me lo domandava con una nota di compiacimento personale che mi
fece sorridere; come se avesse collaborato a mettere insieme
questo spettacolo unico. Aveva messo insieme tante cose a Patusan!
Cose che potevano sembrare fuori dalla sua sfera d'influenza
quanto i movimenti della luna e delle stelle.
Incredibile! Proprio questa era la nota distintiva dell'attività a
cui Stein ed io lo avevamo spinto senza saperlo, con l'unico
pensiero di aiutarlo a sbrigarsela; a sbrigarsi di se stesso,
beninteso. Questo era stato il nostro primo scopo, benché, lo
confesso, per me ci avesse concorso anche un altro motivo
determinante. Ero sul punto di tornare in patria per un po' di
tempo; e può darsi che desiderassi, più di quanto non me ne
rendessi conto io stesso, di sistemarlo - sistemarlo, capite prima
di partire. Io stavo per tornare in patria, e da lì lui mi era
arrivato, con i suoi poveri guai e i suoi oscuri diritti, come un
uomo ansante sotto un peso, nella nebbia. Non posso dire di averlo
mai capito bene - nemmeno adesso che l'ho veduto per l'ultima
volta; ma mi sembrava che, meno lo capivo, più mi sentivo legato a
lui in nome di quel dubbio che è parte inseparabile di ogni nostra
conoscenza. Non capivo molto più nemmeno di me stesso. E poi,
ripeto, stavo per tornare in patria- quella patria abbastanza
lontana perché tutti i suoi focolari mi sembrassero un solo
focolare, davanti al quale il più umile di noi ha il diritto di
mettersi a sedere. A migliaia andiamo vagando sulla faccia della
terra, illustri ed oscuri, in cerca, di là dai mari, di fama,
danaro e anche soltanto di una crosta di pane; ma mi sembra che
per ognuno di noi tornare in patria sia come un andare a render
conto. Torniamo per presentarci ai nostri superiori, ai nostri
congiunti, ai nostri amici - per obbedienza o per affetto; ma
anche coloro che non hanno legami né di obbedienza né di affetto,
gli assolutamente liberi, soli, senza responsabilità e senza
vincoli - coloro per i quali la patria non significa né un viso
caro, né una voce nota - anche questi hanno da ritrovare lo
spirito che abita nella loro terra, sotto a quel cielo, in
quell'aria, in quelle vallate, e su quelle alture, in quei campi,
in quelle acque e in quegli alberi- amico muto, giudice, e
ispiratore. Dite quel che volete, ma per goderne le gioie, per
respirarne la pace, per affrontarne la verità, di quello spirito,
bisogna tornare con la coscienza netta. Tutto ciò può sembrare
mero sentimentalismo; e veramente pochissimi di noi possiedono la
volontà o la facoltà di guardare con coscienza sotto la scorza
degli affetti più familiari. Esistono le fanciulle che amiamo, gli
uomini che ammiriamo, le tenerezze, le amicizie, le occasioni, i
piaceri! Ma il fatto sta che bisogna ricevere questo premio con
mani pulite, se no vi si cambia in foglie morte o spine. I
solitari, i senza focolare, i senza richiami d'affetti, coloro che
non tornano a una casa, ma a un paese, credo che siano proprio
loro a incontrarne l'incorporeo, eterno ed immutabile spirito; a
comprenderne meglio la severità, il potere di redenzione e la
grazia del suo secolare diritto alla nostra fedeltà e obbedienza.
Sì! pochi di noi lo capiscono, ma lo sentiamo tutti però; e dico
tutti senza eccezione, perché quelli che non lo sentono non
contano. Ogni filo d'erba ha il suo punto della terra da cui trae
vita e forza; e così l'uomo è radicato alla patria dalla quale
trae vita e fede. Non so quanto ne capisse Jim; ma so che sentiva,
sentiva confuso ma potente il bisogno di simile verità o illusione
- non m'importa come la vogliate chiamare: c'è tanto poca
differenza, e la differenza conta tanto poco. Fatto sta che
proprio in virtù di questo suo sentimento Jim contava qualche
cosa. Non sarebbe più tornato in patria ormai. Lui no. Mai. Se
fosse stato capace di fantasie pittoresche avrebbe rabbrividito al
pensiero, e avrebbe fatto rabbrividire anche voi. Ma non era di
questa tempra, benché, a modo suo, sapesse riuscire abbastanza
espressivo. All'idea di tornare in patria si sarebbe irrigidito in
una immobilità disperata, mento sul petto e labbra in fuori, con
quei suoi ingenui occhi azzurri che luccicavano torvi sotto alle
sopracciglia aggrottate, come alla vista di qualcosa
d'insopportabile, di disgustoso. C'era la sua parte di
immaginazione in quel suo cranio tosto sul quale i capelli folti e
ricci calzavano come un berretto. Quanto a me, non ho
immaginazione (andrei più a colpo sicuro nel giudicarlo, oggi, se
ne avessi) e non vi voglio dar da intendere che mi figurassi di
vedere lo spirito della patria sorgere sui bianchi strapiombi di
Dover per chiedere a me - che tornavo, per così dire, senza un
osso rotto - che ne avevo fatto di quel mio molto giovane
fratello. Non potrei cascare in un simile equivoco. Sapevo
benissimo che Jim era di quelli su cui nessuno avrebbe fatto
domande. Avevo veduto uomini migliori di lui svanire, eliminati,
scomparire del tutto, senza provocare una voce di curiosità o di
rimpianto. Lo spirito della patria, secondo un costume che si
addice ai grandi capi, è indifferente alla sorte di innumerevoli
vite. Guai ai dispersi! Esistiamo soltanto per adesione reciproca.
Lui si era in certo modo sperduto; non aveva aderito abbastanza;
ma ne era consapevole in modo così intenso da muovere a pietà;
come avviene che la maggiore intensità di vita rende la morte di
un uomo più commovente della morte di un albero. Era capitato a me
di trovarmi proprio lì, e capitò a me di commuovermi; ecco tutto.
Mi stava a cuore sapere come sarebbe andata a finire. Mi avrebbe
fatto male, per esempio, se mi avessero detto che si era dato al
bere. La terra è così piccola che temevo dì esser fermato un bel
giorno da un vagabondo lercio, dagli occhi cisposi, dal viso
gonfio, con le scarpe di tela scalcagnate, brandelli al vento sui
gomiti, il quale, in nome della nostra vecchia amicizia, mi
chiedesse in prestito cinque dollari. La conosciamo tutti la
spaventosa improntitudine di questi spaventapasseri che ci vengono
incontro da un passato decoroso, con la loro voce di raspa,
amorfa, e lo sguardo sfacciato, obliquo, - incontri più duri per
un uomo il quale creda alla solidarietà umana che per un prete la
vista di un reprobo sul suo letto di morte. Quello, a dirvi la
verità, era l'unico pericolo che riuscissi a immaginare per lui e
per me; ma temevo la mia scarsità d'immaginazione. Poteva accadere
di peggio, in un qualsiasi modo che la mia fantasia non era in
grado di prevedere. Non arrivavo a dimenticarmi che Jim era dotato
di una certa immaginazione; e chi è dotato d'immaginazione va
sempre a finire più lontano degli altri su qualunque strada; come
se possedessero una cima più lunga per il non agevole ancoraggio
della vita. Proprio così. E si danno anche al bere. Forse gli
faccio torto con questa mia supposizione. Che ne posso sapere, io?
Perfino Stein aveva dovuto limitarsi a chiamarlo un romantico e
basta. Io sapevo soltanto che era uno di noi. E che c'entrava,
lui, ad essere romantico? Mi diffondo a parlare dei miei
sentimenti istintivi e delle mie ponderate riflessioni perché di
lui rimane ben poco da dire. Esisteva per me, e dopo tutto è
soltanto attraverso me che esiste per voi. Me lo son preso per
mano e l'ho fatto uscire davanti a voi. Erano ingiuste le mie
banali preoccupazioni? Non saprei dirlo... nemmeno adesso. Forse
potete giudicarne meglio voi, se, come dice il proverbio, sono gli
spettatori a seguire meglio la partita. Comunque, le mie
preoccupazioni risultarono gratuite. Non andò a finir male
affatto; anzi, ne uscì brillantemente, ne uscì dritto come un fuso
e in ottima forma; dimostrando di esser capace tanto di reggere
alla distanza che di partire in velocità. Dovrei rallegrarmene,
perché è una vittoria alla quale ho dato mano: eppure non mi sento
contento come mi sarei aspettato. Mi domando se gli abbia giovato
tirarsi fuori così, di slancio, da quella nebbia che lo rendeva,
nella sua modestia, assai interessante, a contorni fluidi - un
disperso, con la desolata nostalgia per il suo umile posto nei
ranghi. E poi non è detta l'ultima parola... probabilmente non
esiste ultima parola. Troppo corta è la nostra vita, per bastare a
condurre a termine quel discorso che, attraverso i nostri
balbettamenti, è pur sempre la nostra unica e stabile aspirazione.
Ho lasciato ogni speranza di arrivare a sentire l"' ultima parola"
che, detta, scuoterebbe il cielo e la terra. Non c'è mai tempo
abbastanza per arrivare all'ultima parola l'ultima parola del
nostro amore, del nostro desiderio, della nostra fede, rimorso,
sottomissione, rivolta. Credo che il cielo e la terra non la
intendano di lasciarsi scuotere - almeno non da noi che sappiamo
tante verità su questa e su quello. Le mie ultime parole su Jim
saranno poche. Affermo che aveva raggiunto una sua grandezza; ma
la cosa s'immiserisce a dirla, e più a sentirla dire. Francamente
non delle mie parole diffido, ma dei vostri cervelli. Potrei
essere eloquente, se non sospettassi che voialtri abbiate ridotto
alla fame le vostre immaginazioni per rimpinzarvi la pancia. Non
intendo offendere nessuno: non avere illusioni è cosa rispettabile
- sicura - proficua - e triste. Dovrete pur aver conosciuto anche
voi, una volta, l'intensità della vita, lo sfavillìo che
scaturisce dall'urto delle inezie, meraviglioso come lo sfavillìo
prodotto da un colpo su una pietra dura - e ahimè! altrettanto
effimero".
CAPITOLO 22.
"La conquista dell'amore, dell'onore, della fiducia degli uomini -
l'orgoglio che ne nasce, la potenza che ne risulta, sarebbero
materia di racconto eroico; se la nostra mente non fosse colpita
per lo più dal puro aspetto esteriore del successo. Ora, i
successi di Jim non erano affatto appariscenti. Trenta miglia di
foreste li nascondevano alla vista di un mondo indifferente, e il
rumore delle schiume bianche lungo la costa soffocava la voce
della fama. La corrente della civiltà, quasi divisa in due corsi
da un promontorio un cento miglia a nord di Patusan, si dirama
verso est e sud-est, trascurando e lasciando circoscritte quelle
pianure, quelle valli, quei vecchi alberi e quella antica umanità
come un insignificante isolotto in erosione tra i due rami di un
fiume potente e divoratore. Il nome del paese ricorre abbastanza
spesso nei resoconti dei vecchi viaggi. I mercanti del
diciassettesimo secolo vi si recavano in cerca di pepe, giacché la
passione per il pepe sembrava ardere come una fiamma d'amore nel
petto degli avventurieri olandesi e inglesi del tempo di Giacomo
Dove non sarebbero andati costoro pur di procurarsi del pepe! Per
un sacchetto di pepe si sarebbero scannati a vicenda senza
pensarci su, e si sarebbero giuocata l'anima, della quale in
genere avevano tanta cura; quella bizzarra ostinata bramosia li
portava a sfidare la morte in mille varie forme: mari sconosciuti,
orribili e strane malattie; ferite, prigionia, fame, pestilenza e
disperazione. Li faceva grandi! Perbacco! li rendeva eroici; e ne
faceva delle figure romantiche in quella loro sete di commerci,
con la morte lì sul capo che esigeva inflessibile il suo tributo
di giovani e vecchi. Sembra impossibile credere che soltanto
l'avidità arrivasse a dotare gli uomini di tanta pertinacia di
propositi, e tanta persistenza cieca nello sforzo e nel
sacrificio. E veramente coloro che mettevano così allo sbaraglio
persona e vita rischiavano tutto il loro avere per un molto scarso
guadagno. Andavano a lasciare le loro bianche ossa sui remoti
lidi, per far affluire l'oro nelle borse dei vivi rimasti a casa.
Ai nostri occhi di successori messi a meno dure prove, appaiono
gloriosi, non come pionieri del commercio, ma come strumenti di un
destino segnato, in via verso l'ignoto per ubbidire a una voce
interiore, a un impulso del sangue, a un miraggio del futuro.
Erano prodigiosi; e bisogna riconoscere che erano preparati al
prodigioso. Lo ritrovavano con compiacenza nelle loro sofferenze,
nell'aspetto dei mari, nei costumi di nazioni straniere, nella
gloria di Capi magnifici.
Nel Patusan avevano trovato pepe a bizzeffe, ed erano rimasti
colpiti dalla magnificenza e dalla saggezza del Sultano; ma, non
si sa come, dopo un secolo di scambi saltuari, quella regione
parve restare a poco a poco esclusa dal commercio. Forse il pepe
era esaurito. Comunque, oggi nessuno sembra più occuparsene; è
spenta la sua gloria, il Sultano è un giovane deficiente che ha la
mano sinistra con due pollici e una rendita incerta e scarsa che
egli estorce a un popolo in miseria e che gli vien poi rubata dai
suoi molti zii.
Tutto questo, naturalmente, l'ho saputo da Stein. Mi diede lui il
nome di costoro, con un breve riassunto della vita e del carattere
di ognuno. Era pieno di dati sugli Stati indigeni, come un
rapporto ufficiale, ma infinitamente più spassoso. Aveva l'obbligo
di sapere. Trafficava con un'infinità di paesi, in qualcuno dei
quali - come per esempio al Patusan - la sua ditta era l'unica a
possedere un'agenzia con licenza speciale delle autorità olandesi.
Il Governo si fidava della sua discrezione; i rischi però, tutti a
suo carico: era inteso. Gli uomini che lavoravano da Stein si
regolavano di conseguenza, ma, evidentemente, lui sapeva fare in
modo che ci trovassero il loro tornaconto. Fu pienamente sincero
con me quella mattina, durante la prima colazione. Per quanto ne
sapeva lui (le ultime notizie risalivano a tredici mesi prima:
data precisa) laggiù era cosa normale il massimo rischio della
vita e dei possedimenti. Vi erano al Patusan varie forze
contrastanti; una delle quali era rappresentata dal peggiore tra
gli zii del Sultano che aveva governo sulla zona del fiume: il
Rajah Allang, che a forza di estorsioni e ruberie spremeva fino
all'osso i Malesi nativi del paese; i quali, completamente privi
di ogni difesa, non avevano nemmeno la risorsa di emigrare -
'giacché,' osservava Stein, 'come e dove potevano andarsene?'
Senza dubbio non riuscivano più neanche a desiderarlo. Il loro
mondo (che è circoscritto da alte montagne insormontabili) è stato
affidato alle mani di chi è di alta nascita, e quel Rajah lì lo
conoscevano bene: apparteneva a casa reale. Ebbi il piacere più
tardi di conoscere codesto gentiluomo. Era un vecchietto sudicio,
consunto, dagli occhi cattivi e la bocca flaccida; che ingoiava
una pillola d'oppio ogni due ore, e, in spregio alla più
elementare decenza, portava i capelli scoperti e cadenti in
ciocche sottili come spaghi intorno al viso sporco e risecchito.
Per dare udienza si arrampicava su una specie di stretto
palcoscenico eretto in una sala che sembrava un granaio in rovina,
col pavimento di bambù marcio, che, tra una fessura e l'altra,
lasciava scorgere, un tre o quattro metri al disotto, mucchi di
rifiuti e d'immondizie d'ogni genere ammonticchiati sotto casa. In
tal modo e luogo ci ricevette quando, accompagnato da Jim, andai a
fargli la visita di etichetta. C'erano una quarantina di persone
dentro la stanza, e forse il triplo nel grande cortile di sotto.
Sentivamo dietro le nostre spalle un continuo movimento di flusso
e riflusso; spinte e mormorii. Qualche raro giovanotto vestito di
sete sgargianti ci fissava da lontano con occhi vivi; la
maggioranza, schiavi e umili dipendenti, erano mezzo nudi, avvolti
in sarong a brandelli, sporchi di cenere e di pillacchere. Non
avevo mai veduto Jim così serio, così padrone di sé, così
impenetrabile e imponente. In mezzo a quegli uomini di colore, la
sua alta figura vestita di bianco, le ciocche dei suoi capelli
biondo lucido, sembravano raccogliere tutta la luce del sole che
penetrava a stento attraverso le fessure delle persiane chiuse, in
quella sala semibuia, dalle pareti di stuoia e dal tetto di
paglia. Sembrava una creatura non solo di un'altra razza, ma di
un'altra sostanza. Se non lo avessero veduto arrivare in una canoa
avrebbero potuto credere che fosse disceso dalle nuvole. Ma era
giunto in un barchetto quasi in pezzi, seduto (fermo immobile con
le ginocchia unite, per la paura di farlo scuffiare) - seduto su
una scatola di latta - che gli avevo prestato io - tenendo
amorosamente sulle ginocchia una rivoltella da marina, - che gli
avevo dato come regalo d'addio, e che, grazie all'intervento della
Provvidenza, o per qualche assurda fissazione dello stesso Jim,
che spesso ne aveva, o forse per una semplice sagacia istintiva,
egli s'era deciso a tenere scarica. Così Jim aveva risalito il
fiume di Patusan. Niente avrebbe potuto essere più prosaico e più
malsicuro, più a casaccio, più strampalato e più solitario. Strana
fatalità che persisteva a dare a tutte le sue azioni aspetto di
fuga, di diserzione impulsiva e istintiva - di salto nel buio.
E' proprio codesto senso di casualità in tutte queste cose quello
che più colpisce. Né Stein né io avevamo un'idea precisa di ciò
che ci fosse dall'altra parte quando, per usare una metafora, lo
afferrammo per lanciarlo pari pari oltre il muro. Lì per lì io
desideravo soltanto di farlo sparire; Stein, sempre in carattere,
aveva invece un motivo sentimentale: l'idea di ripagare (in
natura, immagino) quel suo vecchio debito morale che non aveva mai
dimenticato. In realtà, tutta la vita egli si era mostrato
particolarmente cordiale con chiunque venisse dalle isole
britanniche. Il suo antico benefattore, veramente, era scozzese -
fino al punto di chiamarsi Alessandro Mac Neil - e Jim proveniva
da un bel po' a sud della Tweed; ma alla distanza di sei o
settemila miglia la Gran Bretagna, pur senza mai diminuire di
statura, appare anche ai suoi figli un po' di scorcio, sicché
certi dettagli restano senza importanza. Stein era dunque
scusabile, e certe sue intenzioni appena accennate mi parvero così
generose che lo pregai molto vivamente di tenerle segrete per un
po' di tempo. Sentivo che non bisognava lasciar influire su Jim
considerazioni di vantaggio personale; che bisognava evitarne
anche il più lontano rischio. Qui eravamo di fronte a un altro
genere di realtà: a lui occorreva un rifugio e noi glie ne
offrivamo uno, magari pericoloso: e niente altro.
Su tutti gli altri punti fui nettamente sincero con lui, e perfino
esagerai i pericoli dell'impresa (così almeno mi era parso allora.
In realtà non li avevo valutati abbastanza). Mancò poco che il suo
primo giorno a Patusan non fosse anche il suo ultimo - anzi lo
sarebbe stato senz'altro se Jim, meno temerario o meno fermo nel
suo proposito, si fosse deciso a caricare la rivoltella. Ricordo,
mentre gli comunicavo il nostro magnifico progetto di un suo
ritiro in quell'eremo, la sua rassegnazione ancora testarda, ma
stanca, come andò trasformandosi via via in sorpresa, interesse,
stupore e entusiasmo infantile. Questa era l'occasione che aveva
sognata. Non capiva come aveva fatto a meritarsi che io... Potesse
scoppiare se riusciva a spiegarsi a che doveva... Ed era Stein,
Stein il mercante che... ma naturalmente a me egli doveva... Lo
interruppi. Balbettava e la sua gratitudine chi sa perché mi
metteva a disagio. Gli dissi che, se verso qualcuno doveva
sentirsi in debito per l'offerta, questi era un vecchio Scozzese,
del quale non aveva mai sentito parlare, morto da molti anni, e di
cui poco si sapeva ormai, se non che possedeva una voce stentorea
e una specie di rozza onestà. Non c'era proprio nessuno che
meritasse i suoi ringraziamenti. Stein non faceva che passare a un
giovane l'aiuto ricevuto in gioventù, e io non avevo fatto altro
che suggerirgli il nome di Jim. A tali parole arrossì, e,
cincischiando un pezzetto di carta tra le dita, disse timidamente
che io avevo avuto sempre fiducia in lui.
Ammisi che questo era vero, soggiungendo dopo una pausa che si
provasse a fare altrettanto. 'Crede che non lo faccia?' domandò
impacciato, e aggiunse balbettando che però prima avrebbe dovuto
dar prova di meritarselo; poi, rischiaratosi in volto, protestò a
gran voce che non mi avrebbe dato motivo di pentirmi della mia
fiducia, la quale... la quale...
'Non equivochiamo,' precisai. 'Non è in suo potere di farmi
rimpiangere nulla.' Certo ne sarebbero mancati i motivi: ma, nel
caso, sarebbe affar mio: di me solo; e d'altra parte desideravo
fargli chiaramente intendere che il buon esito di questo progetto,
di questo... questo... esperimento, dipendeva unicamente da lui,
che ne rispondeva in modo pieno ed esclusivo. 'Ecco! Ecco!'
balbettò, 'proprio quello che io...'. Lo pregai di nuovo di non
far lo stupido, e allora sembrò più perplesso che mai. Era sulla
buona strada per rendersi la vita intollerabile... 'Le pare?'
domandò, turbato; ma subito dopo soggiunse, con fiducia: 'Eppure,
stavo facendo progressi, no?' Era impossibile prendersela con uno
così; non seppi trattenere un sorriso, e gli dissi che anticamente
le persone che compivano simili progressi finivano coll'andare a
far gli eremiti nel deserto. 'Alla forca gli eremiti!' commentò
Jim con simpatico impulso. Ma il deserto non gli dispiaceva,
naturalmente... 'Meno male,' dissi. Proprio in un deserto stava
per andare... Potevo tuttavia promettergli che l'avrebbe trovato
piuttosto movimentato. 'Sì, sì,' fece con entusiasmo. Era tuttavia
un chiudersi definitivamente la porta alle spalle... 'Davvero?'
interruppe in uno strano accesso di malinconia che parve
avvolgerlo dalla testa ai piedi come l'ombra di una nuvola
passeggera. In fondo era straordinariamente espressivo.
Straordinariamente! 'Davvero?' ripeté amaro. 'Non si può dire che
io abbia fatto troppe storie. E sono anche capace di tenere il mio
punto... Solo che, diavolo! lei mi deve indicare la porta...'.
'Benissimo. Si accomodi,' ribadii. Ero in grado di dargli la più
netta assicurazione che quella porta gli sarebbe stata sbattuta
dietro con tutto lo slancio. Il suo destino, qualunque fosse,
sarebbe rimasto ignorato, perché il paese, sebbene in pieno
decadimento, non pareva ancora maturo per una presa di possesso
europea. Una volta arrivato laggiù, per il mondo era come se lui
non fosse mai esistito. Non avrebbe posseduto che le piante dei
piedi per stare ritto, e anche per questo gli sarebbe toccato
cercar prima il terreno su cui posarle. 'Mai esistito... quel che
ci vuole, perdiana!' mormorò fra sé. Gli occhi, fissi sulle mie
labbra, gli ardevano. Se aveva capito a fondo i miei suggerimenti,
conclusi, avrebbe fatto bene a saltare sul primo gharry che gli
capitasse e andare da Stein a ricevere le ultime istruzioni. Si
precipitò fuori della stanza prima ancora che avessi finito di
parlare".
CAPITOLO 23.
"Non tornò che la mattina dopo. Era stato trattenuto a cena e a
dormire. Non era mai esistito un uomo straordinario come il signor
Stein. Jim aveva in tasca una lettera per Cornelius ("quello che
sta per far fagotto", spiegò, e per un momento si spense la sua
euforia) e tirò fuori di slancio un anello d'argento, di quelli
che usano gli indigeni, reso molto sottile dall'uso e con lievi
tracce d'incisioni.
Questa era la presentazione per un vecchio chiamato Doramin uno
dei personaggi più importanti di laggiù - un pezzo grosso che era
stato amico del signor Stein nel paese dove aveva avuto tutte
quelle avventure. Il signor Stein lo chiamava il suo 'compagno
d'armi'... 'Bello: COMPAGNO D'ARMI, no? E l'inglese? come lo parla
bene il signor Stein! Dice di averlo imparato a Celebes, pensi un
po'! Buffissimo, no? Veramente lo parla con un accento... una
sfumatura...' l'avevo notato? Glie lo aveva dato Doramin
quell'anello. Si erano scambiati un regalo, quando si lasciarono
l'ultima volta. Una specie di patto d'eterna amicizia. Una cosa
bella, no? Avevano dovuto prendere un fugone per salvarsi la pelle
quando quel Mohammed... Mohammed... coso... era stato ucciso. La
conoscevo, no, quella storia?... Fu un gran peccato, no?...
Chiacchierava così, dimenticandosi il piatto che aveva davanti,
col coltello e la forchetta in mano (mi aveva trovato a far
colazione), un po' rosso in viso, e con gli occhi assai più scuri
del solito: che in lui era segno di esaltazione. L'anello
sostituiva le credenziali ('E' una cosa come se ne leggono nei
libri,' gettò lì con ammirazione) - e Doramin avrebbe fatto di
tutto per aiutarlo. Il signor Stein aveva salvato la vita a
quell'individuo, una volta; per puro caso, aveva aggiunto il
signor Stein, ma lui, Jim, aveva la sua opinione in proposito. Il
signor Stein era tipo da crearselo un caso del genere. Non fa
niente. Caso o volontà, veniva giusto giusto a proposito. Voglia
Iddio, piuttosto, che quel bravo vecchierello non abbia tirato le
cuoia nel frattempo. Il signor Stein non avrebbe saputo dirlo. Non
aveva sue notizie da più di un anno; e laggiù c'erano state
sparatorie dell'altro mondo tra una parte e l'altra, e il fiume
era sbarrato. Bella sorpresa, questa, ma niente paura; lui avrebbe
trovato una fessura da infiltrarcisi.
Mi colpì, quasi mi spaventò, quel suo chiacchiericcio esaltato.
Era loquace come un ragazzo alla vigilia di una lunga vacanza in
vista di gioconde avventure; un simile stato d'animo in un adulto
e in simile frangente aveva in sé del fenomenale, del pazzesco,
del pericoloso, del malsicuro. Ero sul punto di invitarlo a
prendere le cose sul serio, quando lasciò cadere coltello e
forchetta (aveva cominciato a mangiare, o meglio a ingoiar cibo,
per così dire, inconsciamente), e si mise a cercare tutt'intorno
al piatto. L'anello! L'anello! Dove diavolo... Ah! Eccolo... Lo
strinse nella sua grande mano, ficcandoselo in una tasca dopo
l'altra. Perdiana! Non bisognava perderlo, per carità. Restò
meditabondo, guardandosi tutto assorto il pugno chiuso. Ecco! Se
lo sarebbe appeso al collo quel gingillo. E si diede subito da
fare tirando fuori uno spago (che sembrava un pezzetto di stringa
di cotone). Ora sì! Ora funziona! Vedremo ora se... Per la prima
volta mi alzò un poco gli occhi in viso, e questo gli rese un
certo equilibrio. Forse non mi rendevo conto, disse con serietà
ingenua, dell'importanza di quel pegno per lui. Voleva dire un
amico; ed è una bella cosa trovare un amico. Ne sapeva qualcosa,
lui. Mi fece un cenno d'intesa col capo, ma prima ch'io potessi
fare un gesto di protesta chinò la testa sulla mano, e rimase un
po' in silenzio, giocherellando con le briciole sulla tovaglia,
assente... "Sbattersi la porta alle spalle... proprio ben detto",
esclamò, e, balzando in piedi, cominciò a misurare la stanza a
grandi passi, e mi fece ricordare, con la quadratura delle spalle,
ii portamento del capo, il passo rapido e sconnesso, quella sera
che aveva camminato così, confessando, spiegando - come volete ma,
in ultima analisi, vivo - vivo davanti a me, chiuso nella sua
nuvoletta personale, con tutti quegli involontari cavilli per
cercare una consolazione nella fonte stessa del dolore. Era sempre
lo stesso umore; lo stesso, ma diverso, come un compagno volubile
che, dopo averci guidato oggi sulla via giusta, col medesimo
sguardo, il medesimo gesto e il medesimo impulso domani ci porta
irrimediabilmente fuori strada. Si muoveva con passo sicuro; i
suoi occhi mobili, rabbuiati, sembravano frugare per la stanza in
cerca di qualche cosa. Un passo, ogni tanto, faceva più rumore
degli altri - derivava probabilmente dalle sue scarpe- dando la
strana impressione che zoppicasse. Si era ficcata una mano in
fondo alla tasca dei calzoni, e l'altra, tutto a un tratto, se la
agitò sopra alla testa. 'Sbatta pure l'uscio!' gridò. 'Non
aspettavo altro. Farò vedere io, farò... io... sono pronto a ogni
cimento... Era il mio sogno... Perdiana! Uscir di qui. Perdiana!
E' la fortuna finalmente... Aspetti un poco, e... vedrà se io...'.
Scosse il capo con un gesto spavaldo: confesso che per la prima e
l'ultima volta da quando lo conoscevo mi accadde di accorgermi a
un tratto di non poterne proprio più di lui. A che pro' codeste
spacconate? Camminava per la stanza agitando il braccio in un modo
ridicolo, e tastandosi a tratti l'anello sotto gli abiti. Che
senso poteva avere una simile esaltazione in un uomo assunto come
agente commerciale in un luogo, oltre tutto, dove il commercio non
esiste? A che scopo questa sfida all'universo? Non era uno stato
d'animo da accingersi a una impresa qualsiasi; uno stato d'animo
che non si addiceva non solo a lui, dissi, ma a nessuno. Si fermò,
davanti a me. 'Ah, così?' domandò, tutto spento, e con un sorriso
in cui mi parve di scoprire a un tratto una punta d'insolenza. Ma
io sono di vent'anni più vecchio di lui. La gioventù è sempre
insolente: è il suo diritto - la sua legge; ha da affermarsi; e
ogni affermazione, in questo mondo di dubbi, è una sfida,
un'insolenza. Arrivò fino all'angolo opposto e, tornando indietro,
si mise, a dirla sotto metafora, a dilaniarmi. Parlavo così perché
io - perfino io, che ero stato di una infinita bontà con lui -
perfino io ricordavo... ricordavo... a sua vergogna... quello...
quello... che era successo. E gli altri allora?... il... mondo.
Che c'era di strano se desiderava uscirne, se intendeva uscirne,
se intendeva restarne fuori... perdio! E io parlavo di stato
d'animo inadatto?
'Non sono né io ne il mondo a ricordare,' gridai. 'E' lei... lei!'
Non batté ciglio, e continuò con calore: 'Dimenticarsi di tutto,
di tutti... di tutti...' abbassò la voce. 'Fuorché di lei,'
soggiunse.
'Sì... anche di me... se questo può aiutarla,' ribattei abbassando
la voce a mia volta. Dopo di che rimanemmo silenziosi e abbattuti
per un po', come esausti. Quindi Jim riprese a parlare, pacato,
dicendomi che il signor Stein gli aveva detto di aspettare un mese
circa, per accertarsi che gli fosse possibile rimanere, prima di
cominciare a costruirsi una casa ed evitare una 'vana spesa.'
Adopera certe espressioni buffe, quello Stein. 'Vana spesa!' Buona
davvero! Rimanere? Ma certo! Ci si sarebbe radicato. Bastava
arrivare fin là - ecco tutto; ci sarebbe rimasto; garantito! Per
sempre. Rimanere era piuttosto facile.
'Non sia troppo avventato,' dissi, turbato dal suo tono
pericoloso. 'Se vivrà abbastanza, finirà che avrà voglia di
tornare.'
"Tornare dove?" domandò assente, con gli occhi fissi sul quadrante
di un orologio alla parete.
Tacqui per un momento. 'Dunque, per sempre?' dissi. 'Per sempre,'
ripeté con aria assorta senza guardarmi; poi si lasciò andare
improvvisamente a un'irrequietezza frenetica. 'Perdiana! Le due, e
si salpa alle quattro!'
Era vero. Un brigantino di Stein partiva per l'occidente nel
pomeriggio, a lui era stato detto di imbarcarsi, ma la nave non
aveva avuto ordine di rimandar la partenza. Forse Stein se n'era
dimenticato. Jim corse a prendere la sua roba mentre io andavo a
bordo della mia nave, dove promise di passarmi a salutare nel
raggiungere la rada esterna. Infatti comparve a bordo in gran
fretta, con una valigetta di pelle in mano. Era insufficiente per
quel viaggio: gli regalai un mio vecchio baule di zinco
impermeabile all'acqua, o almeno capace di preservar dall'umidità.
Effettuò il travaso da un collo all'altro rovesciando senz'altro
il contenuto della valigia come si vuota un sacco di grano.
Intravidi tre libri precipitare col resto; due più piccoli con le
copertine scure, e uno grosso legato in verde e oro - uno
Shakespeare completo in un'edizione da mezza corona. 'Lo legge
lei?' gli chiesi. 'Sì. Ottima roba per tirar su il morale,'
rispose in fretta. Fui colpito da questa risposta, ma non c'era
tempo per una discussione scespiriana. Sul tavolino della cabina
c'era una pesante rivoltella e due scatolette di cartucce. 'Li
prenda, la prego,' dissi. 'Possono servirle a rimanere laggiù.'
Capii, appena dette, che queste parole potevan acquistare un
significato macabro. 'Possono servirle per penetrare nel paese,'
corressi, pieno di rimorsi. Ma Jim non si lasciava turbare da
significati nascosti; mi ringraziò con effusione, e scappò via,
gridandomi 'Arrivederci,' senza voltarsi. Udii la sua voce dalla
murata della nave incitare i suoi barcaioli a dar di remo, e,
affacciatomi al portello di poppa, vidi la barca francare la
volta. Jim seduto, piegato in avanti, spronava i suoi uomini con
la voce e col gesto; e siccome aveva sempre la rivoltella in mano
- puntata, sembrava, in direzione delle loro teste - non
dimenticherò mai le facce spaurite dei quattro Giavanesi né lo
slancio frenetico dei loro remi, che mi sottrassero alla vista
quello spettacolo. Poi, voltandomi, la prima cosa che notai furono
le due scatole di cartucce sul tavolo della cabina. S'era
dimenticato di prenderle.
Ordinai subito che si armasse la mia saettìa; ma i rematori di
Jim, vogando sotto l'impressione che la loro vita fosse appesa a
un filo finché avessero a bordo quel pazzo, arrancavano a ritmo di
regata; e io non ero ancora a mezzo cammino tra i due bastimenti,
che lo vidi arrampicarsi sul bastingaggio; mentre issavano a bordo
il suo bagaglio. Il brigantino aveva già sciolto tutte le vele: la
maestra era a punto, e già l'argano dell'àncora cominciava a
stridere quando misi piede a bordo; il capitano, un piccolo
meticcio di una quarantina d'anni, vispo e atticciato, vestito di
flanella blu, con occhi vivaci, il viso tondo color limone, e due
baffettini neri e sottili che gli scendevano dai due angoli delle
labbra grosse e scure, mi venne incontro tutto gestroso.
Nonostante il suo aspetto soddisfatto e gaio, risultò poi di
carattere pessimista. In risposta a una mia osservazione (mentre
Jim era sceso un momento), disse: 'Ah, già. Patusan.' Avrebbe
condotto quel signore fino alla foce del fiume, ma non lo avrebbe
"mai asceso". Il suo inglese disinvolto sembrava attinto al
dizionario di un pazzo. Se il signor Stein gli avesse chiesto di
'ascendere,' gli avrebbe 'riverenzialmente' (credo volesse dire
rispettosamente, ma lo sa il diavolo) - 'riverenzialmente fatto
obbietti per la sicurezza delle sostanze.' Se il signor Stein
avesse insistito, gli avrebbe presentato 'la rassegnazione delle
dimissioni.' L'ultimo viaggio da quelle parti lo aveva fatto
dodici mesi prima, e benché il signor Cornelius avesse 'propiziato
molti offertori' al signor Rajah Allang e alle 'principali
popolazioni' a patti tali da rendere il commercio 'un'insidia e
cenere in bocca,' tuttavia la sua nave era stata bersaglio di armi
da fuoco, dai boschi lungo tutto il corso del fiume, per opera di
'partiti irresponsivi;' il che, obbligando il suo equipaggio 'per
l'esposizione delle membra, a rimaner silenzioso in nascondiglio,'
il brigantino si era quasi insabbiato alla foce, dove 'sarebbe
stato distruggibile al di là delle forze dell'uomo.' Il disgusto e
l'ira che lo invadevano al ricordo, e l'orgoglio della propria
loquela, alla quale prestava un attentissimo orecchio, lottavano
per il possesso del suo largo e semplice viso. Mi guardava
cipiglioso e insieme sorridente, osservando con soddisfazione
l'effetto immancabile della sua fraseologia. Oscuri fremiti
sfioravano veloci la superficie calma del mare, e il brigantino,
con la vela di parrocchetto a riva e la randa della maestra a
mezzanave, sembrava perplesso tra le réfole. Il capitano mi disse
anche, digrignando i denti, che il Rajah era una 'iena ridicolosa'
(non so immaginare come avesse trovato la parola iena); mentre un
altro individuo era di gran tratto più falso delle 'armi di un
coccodrillo.' Con un occhio fisso a prua sulla manovra
dell'equipaggio, diede libero sfogo alla propria loquacità,
paragonando quel paese a una "gabbia di bestie feroci invoracite
da una lunga impenitenza". Credo intendesse dire impunità. Non
aveva intenzione, esclamò, di 'esibirsi per esser assalito
appositamente a una ruberia.' La lunga cantilena ritmica degli
uomini che salpavano l'àncora si tacque; e il capitano abbassò la
voce. 'Ne ho molto troppo abbastanza del Patusan,' concluse
energicamente.
Seppi in seguito che laggiù si era portato così male da meritarsi
di esser legato per il collo con un capestro di canapa a un palo
piantato in mezzo a una buca da immondizie davanti alla residenza
del Rajah. Passò gran parte del giorno e un'intera notte in quella
scomoda posizione, ma c'era serio motivo per credere che si
trattasse di una specie di scherzo. Dovette rimasticarsi un po'
quell'orribile ricordo, perché poi affrontò con aria litigiosa il
marinaio che si stava avviando a poppa verso la barra del timone.
Quando si rivolse di nuovo a me fu in tono riflessivo, pacato.
Avrebbe condotto quel signore fino alla foce del fiume a Batu-
Kring (la città di Patusan essendo 'collocata interiormente,'
osservò, 'a trenta miglia'). Ma ai suoi occhi - soggiunse con una
espressione di noia e di stanchezza che andava sostituendosi alla
sua loquacità di prima - era già 'una similitudine di un
cadavere.' 'Come? Che dice?' esclamai. Assunse un aspetto di
ferocia impressionante, e imitò alla perfezione l'atto di
pugnalare qualcuno alle spalle. 'Già, come il corpo di uno che è
deportato,' spiegò con l'aria insopportabilmente vanesia delle
persone del suo genere quando si mettono in mente di fare sfoggio
d'intelligenza. Alle sue spalle scorsi Jim, che sorridendomi in
silenzio mi fermò con la mano alzata l'esclamazione che mi saliva
alle labbra.
Allora, mentre il meticcio, gonfio d'importanza, gridava i
comandi, e mentre i pennoni oscillavano cigolando e la pesante
randa piegava palpitando verso di noi, Jim ed io, in certo modo
soli di sottovento alla vela maestra, ci stringemmo la mano
scambiandoci in fretta le parole di commiato. Il mio cuore si era
liberato di quel vago risentimento che era stato finora in me,
insieme all'interesse per il suo destino. L'assurdo vaniloquio del
meticcio era riuscito a dar corpo ai pericoli che Jim avrebbe
incontrato sul suo cammino più di quanto non fosse riuscito a
Stein con le sue descrizioni precise. In quel momento quella
specie di ritegno mondano che era stato sempre nei nostri colloqui
svanì del tutto. Credo di averlo chiamato 'caro ragazzo' e lui unì
le parole 'vecchio mio' a qualche smozzicata espressione di
gratitudine, come se i suoi rischi, bilanciati con i miei anni, ci
avessero parificati di età e di sentimento. Vi fu un attimo di
vera e profonda intimità, inaspettata e passeggera come un colpo
d'occhio a qualche verità eterna e redentrice. S'ingegnò di
rendermi la tranquillità come se fosse stato lui il più maturo di
noi. 'Va bene, va bene,' disse rapidamente e con sentimento. 'Le
prometto di esser prudente. Sì; non correrò rischi inutili.
Neanche uno. Ma certo. Intendo di starci, laggiù. Non abbia paura;
perdiana! mi pare che nulla mi potrà intaccare. Ma come! la
fortuna comincia con la parola Partenza. Non vorrei mai perdere
una così splendida occasione!...' Un'occasione splendida! Beh,
risultò magnifica davvero, ma le occasioni sono quali le fanno gli
uomini, e come potevo io sapere? Come aveva detto Jim, perfino
io... perfino io ero contro di lui... io che ricordavo la sua...
la sua disgrazia. Era vero. E la miglior cosa che potesse fare era
di partire.
La mia saettìa rimase indietro sulla scìa del brigantino, e lo
vidi a poppa stagliato nella luce del tramonto, sollevare il
berretto alto sul capo. Udii un grido indistinto: 'Avrà notizie di
me.' Di me o da me, non so bene, ma credo fosse 'di me.' I miei
occhi erano troppo abbacinati dal barbaglio del mare che
scintillava sotto i suoi piedi perché potessi vederlo chiaro; è
mio destino di non vederlo mai chiaro; ma vi assicuro che nessuno
poteva apparire meno di lui 'in similitudine di cadavere,' come si
era espresso quel corbaccio di meticcio di cui vedevo la faccia di
canaglietta, forma e colore di zucca matura, affacciarsi di sotto
al gomito di Jim. Anche lui alzò il braccio, ma nel gesto di una
pugnalata dall'alto in basso. Absit omen!".
CAPITOLO 24.
"La costa del Patusan (la vidi circa due anni dopo) è dritta e
scura, in faccia all'oceano nebbioso. Tracce rosse scendono come
cataratte di ruggine sotto il fogliame verde scuro dei cespugli e
dei rampicanti che vestono la rupe poco elevata. Una bassura
paludosa si stende intorno alla foce del fiume, e mostra un
panorama frastagliato di picchi azzurri di là dalle vaste foreste.
Al largo, una catena di isole spicca, nella nebbia eterna
illuminata dal sole, con le sue forme buie e sgretolate come i
resti di un muro scalzato dal mare.
C'è un villaggio di pescatori sulla foce di uno dei rami
dell'estuario: Batu-Kring. Il fiume, che da tanto tempo era
rimasto chiuso al traffico, era stato riaperto, e il piccolo
schooner di Stein, su cui ero imbarcato, risalì la corrente con
l'aiuto di tre maree successive senza esser preso a fucilate da
'partiti irresponsivi.' Questo pericolo, del resto, doveva già
appartenere alla storia antica, secondo quanto diceva il vecchio
capo del villaggio di pescatori, il quale venne a bordo a fare in
certo modo da pilota. Mi parlò con tranquilla fiducia. Ero il
secondo uomo bianco che avesse mai veduto: e l'argomento
principale dei suoi discorsi fu il primo uomo bianco che avesse
mai veduto. Lo chiamava Tuan Jim, e me ne parlò con un tono in cui
risaltava una strana mistura di familiarità e di reverenza. Lì,
nel villaggio, erano sotto la speciale protezione di quel Signore,
il che mostra che Jim non serbava rancori. Quando mi preannunciò
che io avrei avuto sue notizie, aveva detto la verità: queste che
ricevevo erano notizie sue. Cominciava già la leggenda: di una
marea alzatasi due ore prima del solito per agevolargli il viaggio
su per il fiume. E proprio lui, il vecchio ciarliero, lui in
persona aveva tenuto il timone della canoa, quella volta: e a quel
fenomeno era rimasto a bocca aperta. Inoltre la luce di
quell'episodio si riversava tutta sulla sua famiglia. Ai remi
stavano suo figlio e suo genero: ma quelli, due giovanotti senza
esperienza, non si fecero accorti che la canoa agguantava in modo
insolito, finché non aveva attirato lui la loro attenzione su tal
fatto strabiliante.
L'arrivo di Jim in quel villaggio di pescatori era stato una
benedizione, ma anche per loro, come per molti di noi, la
benedizione giunse preannunciata da terrori. Tante generazioni si
erano susseguite da quando l'ultimo bianco era approdato sul
fiume, che se n'era persa perfino la tradizione. La comparsa di
quell'essere che, sceso tra loro, pretese con volontà inflessibile
di essere portato a Patusan, era una cosa da scombussolare la
gente; la sua insistenza dava apprensione; la sua generosità era
peggio che sospetta. Era una pretesa inaudita, la sua. Senza
precedenti. Che ne avrebbe detto il Rajah? E a loro, che avrebbe
fatto? Passarono la maggior parte della notte a dibattere il caso;
ma il furore di quell'uomo ignoto sembrò tale e così immediato
rischio, che finalmente si rassegnarono ad apprestargli uno
straccio di piroga. A vederla partire, le donne urlarono
d'angoscia: una vecchia strega scagliò una intrepida maledizione
sullo straniero.
Jim stava seduto, come vi ho detto, sul suo bauletto di zinco,
tenendosi teneramente poggiata sulle ginocchia la sua rivoltella
scarica. Sedeva con cautela - una fatica del diavolo, questa! e
così penetrò nel paese che egli era destinato a riempire della
fama delle sue virtù, dai picchi azzurri dell'interno fino al
candido nastro di schiume che segue la costa. Alla prima curva
perdette di vista il mare, col lavorio delle sue onde nell'eterno
travaglio di sollevarsi, riabbassarsi, scomparire, risollevarsi -
precisa immagine dell'umano travaglio - e fu di fronte alle
immense foreste, profondamente radicate alla terra, tese alla luce
del sole, eterne, nella loro tradizione di potenza e d'ombra come
la vita stessa. Gli sedeva al fianco, velata, l'occasione, come
una sposa orientale in attesa che la sciolga dai veli la mano del
suo padrone. Anche lui era l'erede di una tradizione di potenza e
d'ombra! A me confessò peraltro, che mai in vita sua si era
sentito stanco e depresso come in quella canoa. Il solo movimento
che osava permettersi era quello di stender la mano, quasi di
soppiatto, verso un mezzo guscio di noce di cocco che gli
galleggiava fra i piedi, per aggottare un po' d'acqua con gesti
accuratamente trattenuti. Seppe quanto può essere duro il
coperchio di un bauletto di zinco a starci seduti su. Aveva una
salute eroica; eppure varie volte, durante quel viaggio, ebbe dei
giramenti di capo, e da una volta all'altra, come in un
dormiveglia, si domandava che dimensioni poteva aver raggiunto la
vescica che il sole gli andava formando sulla schiena. Per
distrarsi si mise a guardare davanti a sé, cercando di stabilire
se quelle cose melmose che vedeva stese al margine dell'acqua
fossero un tronco d'albero o un alligatore. Ma si stufò presto.
Non c'era sugo. Sempre alligatori. Uno si lasciò cadere
nell'acqua, che per poco non rovescio la canoa. E anche
quest'emozione passò subito. Poi, durante una tratta che non
finiva mai, fu molto grato a un gruppo turbolento e irriverente di
scimmie che scesero fino sulla riva con un baccano del diavolo e
un bailamme d'insulti al suo passaggio. Così si avvicinava egli
alla più genuina grandezza che uomo abbia mai raggiunto. Agognava,
soprattutto, al tramonto; e intanto i tre pagaiatori stavano
preparandosi a mettere in esecuzione il loro piano di consegnarlo
al Rajah.
'Dovevo essere istupidito di fatica, o forse ero rimasto un po'
addirittura assopito,' disse. Ad un tratto si accorse che la canoa
stava per toccare la riva. Immediatamente si rese conto che si
erano lasciati indietro la foresta; vide le prime case un po' più
in su, uno steccato alla sua sinistra, e i tre barcaioli saltare
tutti insieme in un punto di terra bassa e darsela a gambe.
Istintivamente saltò giù anche lui. Dapprincipio pensò di essere
stato abbandonato per qualche misteriosa ragione, ma poi udì grida
esaltate, vide spalancare un cancello, e una frotta di gente
riversarsi fuori, verso di lui. Nel medesimo tempo una barca piena
d'armati apparve sul fiume e si pose a fianco della canoa vuota,
tagliandogli la ritirata.
'Preso così alla sprovvista non potevo serbare il mio sangue
freddo - capisce? Se quella rivoltella fosse stata carica, avrei
ammazzato qualcuno - forse due, tre uomini, e sarebbe stata la mia
rovina. Ma era scarica...' 'E perché?' 'Beh, non potevo mica
combattere contro tutto un paese; e non a sarei venuto se avessi
avuto paura per la mia pelle,' fece, con un'occhiata in cui
ritrovai una sfumatura della sua vecchia, cupa cocciutaggine. Mi
trattenni dal fargli notare che gli indigeni non potevano sapere
se la rivoltella era carica o scarica. Meglio lasciargli le sue
idee... 'Comunque, era scarica,' rispose bonario, 'e mi fermai,
domandando cosa succedeva. Ammutolirono stupiti. Vidi qualcuno di
quei ladri portarsi via la mia cassetta. Quel vecchio gambalunga
di Kassim, un furfante, che le farò conoscere domani, venne fuori
a raccontarmi con un sacco di storie che il Rajah voleva vedermi.
Dissi: VA BENE. Anch'io volevo vedere il Rajah; così non ho avuto
che da varcare il cancello e... e... eccomi qua.' Rise; poi con
enfasi improvvisa: 'E sa il più bello?' domandò. 'Glie lo dico io.
E' che ero sicuro, se mi avessero levato di mezzo, che a
rimetterci sarebbero stati loro.'
Questo mi disse davanti alla sua casa la sera che sapete - dopo
aver contemplato insieme la luna salire di sopra al crepaccio fra
i due colli, come uno spirito asceso dalla tomba; col suo chiarore
soffuso e pallido e freddo come il fantasma di un sole morto. C'è
un sapore spettrale nella luce della luna; tutta la frigidità di
un'anima senza corpo e un poco del suo inspiegabile mistero. In
confronto della nostra luce solare che - si dica quel che si vuole
- è l'unica cosa che possediamo per vivere, è come l'eco per il
suono: fallace e sviante, ironico o triste che ne sia il tono.
Toglie consistenza alle forme materiali - che, dopo tutto, sono il
nostro regno - e presta una realtà soltanto alle ombre: sinistra.
Le ombre apparivano molto concrete intorno a noi; ma Jim al mio
fianco restava alto e solido, come se nulla ai miei occhi -
nemmeno la forza occulta della luna - potesse privarlo della sua
realtà. Forse veramente nulla poteva toccarlo, dacché aveva
sopravvissuto all'assalto di forze tenebrose. Tutto era pace e
silenzio; perfino sul fiume i raggi della luna sonnecchiavano come
su uno stagno. Era il momento dell'alta marea, un momento di
immobilità che accentuava il totale isolamento di quest'angolo
perduto della terra. Le case affollate lungo la vasta ansa immersa
in un lago di luce senza né increspature né barbagli, nella loro
discesa in fila verso l'acqua, con un sovrapporsi di forme vaghe,
grigie, argentee, miste a masse nere d'ombra, sembravano una
mandria spettrale di labili creature che si spingessero avanti per
bere a un fiume anch'esso spettrale e senza vita. Qua e là un
rosso chiarore occhieggiava tra le pareti di bambù, caldo, come
una scintilla di vita, simbolo di affetti umani, di buon rifugio,
di riposo.
Mi confessò di aver spesso osservato quei punti di luce sparire
uno dopo l'altro, e che gli piaceva vedere la gente
addormentarglisi sotto gli occhi, fiduciosa nella sicurezza del
domani. 'Che pace, qui, eh?' domandò. Non era eloquente, ma nelle
parole che seguirono c'era un significato profondo. 'Guardi queste
case: non ce n'è una in cui si diffidi di me. Perdiana! Glie lo
avevo detto che avrei resistito. Domandi a chi vuole: uomo, donna
o bambino...' S'interruppe. 'Beh, io, comunque, sono un
galantuomo.'
Gli risposi subito che era ora che se ne fosse accorto! E che io
ne ero sempre stato sicuro. Scosse il capo: 'Davvero?' Mi strinse
leggermente il braccio sopra al gomito. 'Ebbene, allora... Lei
aveva ragione.'
C'era un senso di esultanza e d'orgoglio, c'era quasi un sacro
panico in quell'esclamazione a bassa voce. 'Perdiana!' esclamò,
'pensi cosa significa questo per me.' Mi strinse di nuovo il
braccio. 'E mi ha chiesto se pensavo a scappar via! Santo Dio! Io
via di qua! Specialmente adesso, dopo quello che mi ha detto del
signor Stein... Andarmene! Ma se era quello che temevo di più!
Sarebbe stato... sarebbe stato peggio della morte. Sì... parola
mia. Non rida. Ho bisogno di sentire... ogni giorno, ogni volta
che apro gli occhi... che la gente si fida di me... che nessuno ha
il diritto... capisce? Andarmene! Dove? A che scopo? In cerca di
che?'
Gli avevo detto (anzi era stato questo il movente principale della
visita) che Stein aveva l'intenzione di fargli dono immediato
della casa e dello stock di merce, con qualche lieve condizione,
tanto per rendere la transazione del tutto regolare e valida. Da
principio cominciò a sbuffare e a impennarsi. 'Al diavolo la sua
delicatezza!' gridai. 'Stein non c'entra niente. Le dà soltanto
quello che lei si è creato da sé. E in ogni modo risparmi le sue
proteste per Mac Neil - quando lo incontrerà all'altro mondo. E
speriamo non sia tanto presto...' Dovette cedere ai miei
argomenti, perché tutte le sue conquiste, fiducia, fama, amicizia,
amore - tutte queste cose che gli avevano dato un senso di
padronanza, lo avevano anche ridotto in schiavitù. Guardava con
occhio di padrone la serata, il fiume, le case, la vita imperitura
delle foreste, la vita della vecchia umanità, i segreti della
terra, l'orgoglio del suo cuore; ma eran quelli a possederlo e a
impadronirsi di lui in pieno, fino al suo pensiero più intimo, al
più lieve moto del suo sangue, fino al suo ultimo respiro.
C'era da andarne orgogliosi. Anch'io ero orgoglioso di lui, pur
non sentendomi sicuro come Jim della favolosa bontà dell'affare.
Era meraviglioso. Ma non al suo coraggio pensavo io. Strano! Gli
davo pochissimo peso: come se fosse una cosa troppo convenzionale
per avere una consistenza effettiva. No. Mi colpiva di più la
rivelazione di altre sue doti. Aveva spiegato grande adattabilità
a situazioni insolite, agilità d'intelletto in quel certo campo
del pensiero. E la sua prontezza! Straordinaria. E tutto questo
gli era venuto come il buon fiuto a un bravo cane da caccia. Non
era eloquente, ma c'era una certa dignità nella sua naturale
reticenza, c'era una profonda serietà nel suo balbettare. Aveva
conservato il vecchio vizio di arrossire di caparbia. Ogni tanto,
però, gli sfuggiva una parola, una frase, che mostrava quanto a
fondo, e con quanta solennità considerava quel compito che gli
aveva procurato la certezza della sua riabilitazione. Ecco perché
sembrava amare quella terra e quella gente con una specie di
feroce egoismo con una sdegnosa tenerezza".
CAPITOLO 25.
"'Qui sono stato prigioniero tre giorni,' mi sussurrò (il giorno
della nostra visita al Rajah), mentre attraversavamo lentamente il
cortile di Tunku Allang, tra una folla di servi sbalorditi. 'Che
schifo, eh? E non mi davano niente da mangiare se non facevo
baccano; e anche allora mi passavano appena un piattino di riso e
un'ombra di pesce fritto... Maledetti! Perdiana! Ne ho patita di
fame, in questo cortile fetido, a far su e giù, con qualcuno di
questi vagabondi che mi ficcava il muso fin sotto al naso. Avevo
consegnato alla prima richiesta quella sua famosa rivoltella, ben
contento di liberarmi di quell'arnese infernale. Facevo una figura
da imbecille a girar con una canna da fuoco scarica in mano.' In
quel momento giungemmo alla real presenza, e Jim si fece
rigidamente solenne e complimentoso col suo ex-nemico. Oh! era
magnifico! Mi vien da ridere quando ci penso. Quel vecchio
mascalzone di Tunku Allang non riusciva a dissimulare la sua gran
paura (non era un eroe, nonostante tutte le storie che andava
raccontando intorno alla sua bollente gioventù), mentre sfoggiava
una patetica fiducia nel modo di comportarsi verso il suo ex-
prigioniero. Vedete? Anche quelli che più lo odiavano avevano
fiducia in lui. Jim - per quel che potevo capire dalla piega del
colloquio - approfittava dell'occasione per fargli una predica.
Certi poveracci del villaggio erano stati fermati e rapinati
mentre si recavano da Doramin con un po' di gomma e di cera
d'apiario da scambiare con riso. 'E' Doramin il ladro,' scoppiò a
dire il Rajah. La fragile carcassa era in preda a un tremito
furibondo. Si contorceva tutto sulla stuoia, gesticolando con le
mani e coi piedi, agitando gli spaghi scompigliati della sua
zazzera: incarnazione della rabbia impotente. Tutt'in giro occhi
sgranati e bocche aperte intorno a noi. Jim cominciò a parlare.
Risolutamente, freddamente e a lungo sostenne che a nessuno si
deve impedire di procurarsi onestamente il cibo per sé e per i
figli. L'altro stava seduto come un sarto al suo tavolino, con le
palme sulle ginocchia, a testa bassa, e fissando Jim attraverso i
capelli grigi che gli cadevano fin sugli occhi. Alle ultime parole
di Jim seguì un gran silenzio. Pareva che nessuno fiatasse più;
nessuno diceva una parola; finalmente il vecchio Rajah, dopo un
sospiro leggero, alzando gli occhi, con una scossa del capo, disse
in fretta: 'Hai sentito, popolo mio? Basta con questi scherzetti.'
Questa ordinanza cadde in un profondo silenzio. Un uomo piuttosto
grosso, evidentemente investito di autorità, occhi intelligenti,
viso ossuto, scurissimo, modi gioviali e alla mano (seppi poi che
era il boia) ci offrì due tazze di caffè su un vassoio d'ottone
tolto dalle mani d'un suo sottoposto. 'Non è necessario che lei
beva,' disse Jim in fretta e tra i denti. Non afferrai subito il
significato delle sue parole e mi limitai a guardarlo. Ma egli
bevve un lungo sorso, poi restò correttamente seduto, tenendo il
piattino nella mano sinistra. Lì per lì rimasi seccatissimo. 'Che
diavolo!' mormorai, sorridendogli amabilmente, 'perché mi ha
esposto a un rischio così sciocco?' Bevvi, naturalmente, non c'era
altro da fare, senza che Jim battesse ciglio; e dopo, quasi
subito, ci congedammo. Mentre stavamo attraversando il cortile
diretti alla nostra barca, sotto la scorta dell'allegro e
intelligente carnefice, Jim mi dichiarò di essere molto
mortificato. In fondo, le probabilità di rischio erano minime. Lui
al veleno non ci aveva neanche pensato: una lontanissima
eventualità. Mi assicurò di essere considerato infinitamente più
utile che pericoloso, e quindi... 'Ma il Rajah ha una paura matta
di lei. Lo si vede a colpo d'occhio,' ribattei, lo confesso, con
una certa acredine, sempre in attesa dei primi sintomi di una
possibile colica tremenda. Ero di pessimo umore. 'Se voglio
riuscire a qualche risultato, qui, e conservar la mia posizione,'
disse Jim prendendo posto vicino a me nella barca, 'devo correre
dei rischi: questo lo corro almeno due volte al mese. Molta gente
si affida a me - perché io lo affronti per il loro bene. Paura di
me? Appunto. Probabilmente ha paura di me perché io non ho paura
del suo caffè.' Poi, indicandomi un punto sul lato settentrionale
dello steccato dove c'erano diversi pali con la punta spezzata:
'Ecco, di qui sono saltato il terzo giorno della mia venuta a
Patusan. Non ci hanno ancora rimesso i pali nuovi. Un bel salto,
no?' Poco dopo passammo davanti allo sbocco di un ruscello
melmoso. 'Qui ho fatto il secondo salto. Presi un po' di rincorsa
e spiccai il balzo di volata, ma non ce la feci. Credevo di
lasciarci la pelle. Ci ho perso le scarpe nel tramestio per
tirarmi fuori. E dopo ho ripensato sempre che bel costrutto ci
sarebbe stato a pigliarmi nella schiena un colpo di quelle
maledette lancie lunghe, mentre ero così invischiato nel fango.
Ricordo lo schifo a sguazzare in quella melma. Una vera nausea -
dico - proprio come se mi fossi messo sotto i denti una cosa
marcia.'
Ecco com'era andata - e l'Occasione correva al suo fianco,
saltando con lui gli steccati rotti, sguazzando con lui nella
melma... sempre velata. La sorpresa al momento del suo arrivo fu
l'unica cosa, capite, che lo salvò dall'essere immediatamente
spacciato con un colpo di kris e buttato nel fiume. Lo avevano fra
le mani, ma era come voler stringere un'apparizione, un fantasma,
uno spirito maligno. Che poteva significare? Che se ne doveva
fare? Non era troppo tardi per conciliarselo? Non era meglio
ucciderlo senza indugio? Ma dopo, che cosa sarebbe successo? Quel
povero vecchio Allang ci aveva quasi perso il cervello, per
l'orgasmo e per la difficoltà di prendere una risoluzione. Varie
volte, interrompendo i lavori del Consiglio, i partecipanti si
erano precipitati alla rinfusa verso la porta e di lì sulla
veranda. Uno di essi - a quel che si racconta fece perfino un
salto dall'altezza di un quattro metri e mezzo e si ruppe una
gamba. Il regio governatore di Patusan aveva delle strane
fissazioni; come quella d'introdurre nel corso di ardue
discussioni, certe sue rapsodie millantatorie, nelle quali veniva
a mano a mano esaltandosi, finché, brandendo il suo kris, finiva
col saltar giù dalla piattaforma dove stava appollaiato. Ma, a
parte tali interruzioni, le dispute sul destino di Jim seguitarono
notte e giorno.
Intanto lui vagava per il cortile, e qualcuno lo scansava, altri
lo fissavano con sguardi accesi, e tutti lo osservavano; e lui lì,
si può dire alla mercè del primo cialtrone che capitasse con un
trinciante. Per dormire aveva preso possesso di una piccola
tettoia mezzo crollata; ma gli effluvi d'immondizie e di roba in
putrefazione gli davano allo stomaco; l'appetito invece pare che
non l'avesse perduto perché - mi disse - per tutto quel tempo
aveva avuto sempre fame. Ogni tanto 'qualche asino in gran
faccenda,' in deputazione dalla sala del Consiglio, gli si
avvicinava di corsa e in tono mellifluo gli infliggeva
stupefacenti interrogatori. 'Era vero che gli Olandesi sarebbero
venuti a prendersi il paese? Gradirebbe l'uomo bianco ridiscendere
il fiume? Con quali intenzioni era egli venuto in un paese così
poverello? Il Rajah desiderava sapere se l'uomo bianco sapeva
riparare un orologio.' Gli portarono davvero una sveglia di nichel
fabbricata nella Nuova Inghilterra; e lui, pur di vincere il
tormento della noia, si era dato a tutt'uomo a tentar di rimettere
in efficienza la suoneria. E proprio mentre, sotto la sua tettoia,
era così occupato alla bisogna, pare che gli si affacciasse alla
mente la precisa percezione dell'estremo pericolo in cui versava.
Lasciò cadere l'orologio - dice - 'come una patata bollente,' e
uscì in fretta, senza la minima idea di quel che avrebbe voluto, o
meglio potuto, fare. Sapeva soltanto che in quelle condizioni non
ci poteva durare. Passava senza scopo davanti a una specie di
piccolo fatiscente granaio su palafitte, allorché gli caddero gli
occhi sui pali spezzati dello steccato; e allora - dice - di
colpo, quasi senza un vero procedimento mentale, senza slancio
emotivo, si decise alla fuga come se da un mese ne avesse maturato
il piano. Si allontanò come se niente fosse per avvantaggiarsi di
una buona rincorsa, quando, voltandosi, si vide al fianco un
dignitario scortato da due portatori di lancie, che si preparava a
rivolgergli una delle solite domande. Gli spiccò la corsa 'proprio
sotto il naso,' volò oltre l'ostacolo 'come un uccello,' e cadde
dall'altra parte con un tonfo che gli sconquassò le ossa e parve
spaccargli il cranio. Si rialzò immediatamente. Non pensò a nulla
lì per lì: non ricordava altro - disse - che un grande urlo; le
prime case di Patusan gli stavano di fronte a quattrocento metri
di distanza; vide il ruscello, e quasi automaticamente accelerò la
corsa. La terra sembrava volargli indietro sotto i piedi. Prese lo
slancio dall'estremo punto di terra asciutta, si sentì volare per
aria, e si trovò senza il minimo urto ficcato in piedi in un banco
di poltiglia molliccia e vischiosa. Soltanto quando provò a
muovere le gambe e si accorse che non ce la faceva, allora, a
dirla con le sue parole, 'tornò in sé.' Cominciò a pensare a
'quelle maledette lancie lunghe.' In realtà, considerando che la
gente da dentro lo steccato doveva correre al cancello, poi
scendere all'imbarcadero, mettersi in barca e fare il giro di un
promontorio, Jim aveva più vantaggio di quanto immaginasse.
Inoltre, essendo bassa marea, il ruscello era senz'acqua - non si
poteva dire asciutto - e all'atto pratico non c'era altro rischio
per il momento che quello, forse, di un tiro di lunghissima
tratta. La terra ferma si trovava a due metri scarsi davanti a
lui, più in alto. 'Ho creduto tuttavia che lì ci sarei morto,'
disse. Allungò le mani nel tentativo disperato di afferrarsi a
qualche cosa e riuscì soltanto a tirarsi contro il petto, quasi
fino al mento, un gran mucchio di melma fredda e lucida,
ripugnante. Gli parve di seppellirsi vivo da sé, e allora si mise
a sbatacchiar le braccia come un pazzo, gettando il fango qua e là
a pugni. Glie ne arrivò sul capo, sul viso, negli occhi, in bocca.
Mi disse che si era ricordato a un tratto del cortile, come si
ricorda un luogo dove si è stati un tempo molto felici. Agognava -
disse proprio così - ad esser lì di nuovo, a riparare quella
sveglia. Riparare la sveglia - era la sua idea fissa. Faceva
sforzi, terribili sforzi tra singhiozzi e ànsiti; sforzi che
sembrava gli dovessero far scoppiare gli occhi dalle orbite,
lasciandolo lì, cieco; sforzi che culminarono in un energico
tentativo supremo, nel buio, di spaccare in due la terra, di
liberarsene le membra - e allora sentì che stava arrampicandosi
piano piano per la proda. Arrivato alla terra ferma, vi giacque a
lungo disteso, e rivide la luce, il cielo. Allora, come una felice
trovata, gli sorse l'idea di mettersi a dormire. Lui ama dire che
dormì davvero; che dormì - forse un minuto, forse venti secondi,
forse un secondo solo, ma ricorda benissimo il sobbalzo convulso e
violento del risveglio. Restò un po' steso così immobile, poi si
alzò lercio di melma dalla testa ai piedi, e rimase lì a
considerare che era il solo della sua razza per un raggio di
centinaia di miglia; solo, senza speranza di aiuto, né di
comprensione, né di pietà da nessuno, come un animale braccato. Le
prime case erano adesso a non più di venti metri da lui; e furono
gli strilli disperati di una donna a riscuoterlo, che, spaventata,
cercava di trascinarsi via un bambino. Riprese a correre in avanti
con i soli calzini ai piedi, così imbrattato di quel bitume da non
aver più sembianza umana. Attraversò in lunghezza più di metà
della colonia. Le donne, più agili, fuggivano a destra e a
sinistra, gli uomini, più lenti, lasciavan cadere tutto quello che
avevano in mano, e restavan lì, pietrificati, a bocca aperta. Era
il terrore volante. Dice di aver veduto dei bimbetti, che nella
furia di scappare cascavano pancia a terra e scalciavano. Svoltò
tra due case, su per un'erta, scavalcò alla disperata uno
sbarramento di tronchi d'albero (non passava settimana senza
qualche battaglia a Patusan, in quell'epoca) e poi giù, a
precipizio, irruppe attraverso un recinto in un campo di
granturco, dove un ragazzo spaventato gli scagliò un bastone;
raggiunse un sentiero a caso, e andò dritto a finire in mezzo a un
gruppetto di uomini sbalorditi. Gli bastò appena il fiato di
boccheggiare: 'Doramin! Doramin!' Ricorda di esser stato mezzo
portato, mezzo spinto in cima all'erta in un vasto recinto con
palme e alberi da frutta, e condotto di corsa davanti a un pezzo
d'uomo massiccio seduto su una poltrona in mezzo a una folla in
preda a grandissima agitazione ed orgasmo. Si frugò fango e stoffa
per tirar fuori l'anello, e, trovatosi a un tratto a pancia
all'aria si domandò chi lo aveva buttato a terra. Lo avevano
semplicemente mollato capite? - non si reggeva più in piedi. Dal
fondo del declivio si sentiva sparacchiare a casaccio, e disopra
ai tetti della colonia si levò un sordo brontolio di
sbigottimento. Ma lui era in salvo. Gli uomini di Doramin stavano
barricando il cancello e versandogli acqua in gola; la vecchia
moglie di Doramin, tutta affaccendata e premurosa, con voce
stridula, impartiva ordini alle sue serve. 'Quella vecchia,' disse
dolcemente, 'si faceva in quattro per me come se fossi suo figlio.
Mi misero in un letto immenso - il suo letto di gala - e lei
correva dentro e fuori dalla camera asciugandosi gli occhi e
battendomi cordialmente sulla schiena. Dovevo fare pietà. Rimasi
lì come un pezzo di legno per non so quanto tempo.'
Mostrava una gran simpatia per la vecchia moglie di Doramin. Lei,
dal canto suo, l'aveva preso a benvolere come una madre: con quel
suo viso largo, tondo, morbido, color noce, tutto grinze sottili e
labbra grosse di un rosso lucido (masticava betel continuamente),
e occhi semichiusi, benevoli con gran batter di palpebre. Era
sempre in moto, sempre a dare ordini e lavate di capo a una
schiera di femmine dal viso limpido color marrone e grandi occhi
seri; sue figlie o sue serve, o sue schiave. Sapete come va in
quelle famiglie: in genere è impossibile cogliere certe
differenze. Era magrolina, e anche il suo ampio mantello, chiuso
davanti con fibbie di pietre preziose, dava non so come un senso
di miseria. I piedi nudi e bruni teneva infilati in pantofole
cinesi di paglia. L'ho vista coi miei occhi sfaccendare di qua e
di là con quel suo bosco fitto di capelli, lunghi e grigi, giù per
le spalle. Parlava a proverbi arguti e casalinghi, nasceva di
nobile stirpe, era eccentrica e arbitraria. Nel pomeriggio sedeva
in una poltrona enorme, di fronte al marito, senza mai staccar gli
occhi da una larga apertura nella parete, donde si scorgeva una
vasta zona della città e del fiume.
Invariabilmente lei sedeva a gambe ripiegate; il vecchio Doramin
invece, rigido, imponente come una montagna sopra la pianura. Lui
apparteneva alla classe nakhoda ossia dei mercanti, ma la sua
autorità e la sua dignità di portamento facevano piuttosto colpo.
Era il capo del secondo potere in Patusan. Gli emigranti di
Celebes (circa sessanta famiglie che, coi sottoposti e il resto,
erano in grado di mettere insieme un paio di centinaia di uomini
'portatori di kris') lo avevano eletto molti anni prima loro capo.
Gli uomini di quella razza lì sono intelligenti, intraprendenti,
vendicativi, e di un coraggio più risoluto degli altri Malesi;
insofferenti di servaggio. Formavano il partito d'opposizione
contro il Rajah. Naturalmente, i litigi sorgevano sempre per via
dei commerci, causa prima delle lotte di parte, dei sommovimenti
che riempivano tutto a un tratto di fumo, di fiamme, di sparatorie
e di grida questo o quel punto del paese. Villaggi bruciati,
uomini trascinati dentro il recinto del Rajah, per pagar con la
vita o la tortura il delitto di aver fatto commercio con altri e
non con lui. Un giorno o due prima dell'arrivo di Jim erano stati
buttati in mare dall'alto della costa, da un gruppo di lancieri
del Rajah, vari capi famiglia proprio di quel villaggio di
pescatori che passò più tardi sotto la sua speciale protezione; e
c'erano stati buttati perché sospetti di aver fatto raccolta di
nidi commestibili di uccelli per un mercante di Celebes. Il Rajah
Allan pretendeva essere l'unico mercante del paese; ogni
violazione di questo monopolio era punita con la morte; ma la sua
idea del commercio non era in fondo molto lontana dalla comune
forma del furto. La sua crudeltà e rapacità non era limitata che
dalla sua vigliaccheria; e paura ne aveva, della forza organizzata
degli uomini di Celebes, se non che - fino alla venuta di Jim -
non tanta che bastasse a frenarlo. Colpiva quella gente per mano
dei suoi sudditi e pensava in buona fede di essere nel suo
diritto. A complicare le cose contribuiva la presenza di un
forestiero errante, un mezzosangue arabo, il quale, per ragioni,
credo, puramente religiose, aveva incitato le tribù dell'interno
(gli uomini della macchia, li chiamava Jim) a sollevarsi, e si era
stabilito in un campo trincerato sul culmine di una delle due
colline gemelle. Stava lì, levato sulla città di Patusan come un
falco su un cortile di fattoria, e intanto devastava l'aperta
campagna. Interi villaggi, abbandonati, marcivano sulle loro
palafitte annerite in riva ai limpidi fiumi, mentre cadevano a
pezzi nelle acque l'erba delle pareti, le foglie dei tetti, con
uno strano effetto di disfacimento naturale, come una vegetazione
colpita da morbo fino alle radici. I due partiti di Patusan non
sapevano quale esattamente di loro quel partigiano avesse maggior
desiderio di saccheggiare. Il Rajah propendeva a complottare con
lui. Qualcuno della colonia Bugi, stufo di quella vita senza mai
sicurezza, aveva una mezza voglia di chiamarsi l'arabo in casa. I
più giovani, scherzando, consigliavano di 'unirsi allo Sceriffo
Alì e ai suoi selvatici seguaci per buttar fuori dal paese il
Rajah Allang.' Doramin durava fatica a tenerli. Invecchiava, e,
benché la sua autorità non fosse affatto diminuita, tuttavia la
situazione cominciava a soverchiarlo. Tale era lo stato delle cose
quando Jim, fuggendo dalla palizzata del Rajah, mostrò l'anello e
venne accolto, per così dire, nel cuore stesso della comunità".
CAPITOLO 26.
"Doramin era uno degli uomini più notevoli che io abbia mai
veduto, della sua razza. La sua era una corporatura enorme, per un
Malese, ma non sembrava soltanto grasso: appariva imponente,
monumentale. Quel corpo immobile, ravvolto in ricche stoffe, sete
colorate, ricami d'oro; quel testone cinto d'un gran fazzoletto
rosso e oro; quel faccione rotondo, rugoso, solcato, con le sue
due profonde pieghe semicircolari che, partendo dai due lati delle
narici larghe e feroci, chiudevano come in una parentesi la bocca
dalle labbra carnose; quella gola da boro; quell'ampia fronte
corrugata, affacciata sugli occhi orgogliosi e fermi - formavano
un tutto che, visto una volta, non si dimenticava più. Il suo
impassibile stato di riposo (una volta seduto non muoveva un dito)
era come una mostra di dignità. Nessuno lo sentì mai alzar la
voce, che restava un mormorio basso e potente, un tantino velato,
come dalla lontananza. Quando camminava, due giovanotti bassi e
tarchiati, nudi fino alla cintola, in sarong bianchi e con
zuccotti scuri piantati sulla nuca, lo reggevano per i gomiti: lo
aiutavano a sedersi, e rimanevano dietro la sua poltrona finché
non desiderava rialzarsi; nel qual caso volgeva lentamente il
capo, quasi con difficoltà, prima a destra e poi a sinistra: e
allora quei due lo afferravano sotto le ascelle e lo tiravano su.
Con tutto ciò, egli non aveva niente in sé del paralitico; anzi,
tutti i suoi movimenti ben ponderati apparivano come espressioni
di una potente risolutezza. Era convinzione di tutti, in giro, che
consultasse sua moglie sulle pubbliche faccende; ma nessuno, ch'io
sappia, li aveva mai sentiti scambiarsi una parola. Quando si
sedevano in tutta la loro maestà vicino alla finestra spalancata,
intorno regnava il silenzio. Vedevano, sotto di loro, nella luce
digradante, la vasta spianata della campagna boscosa, il cupo mare
assopito in una ondulazione verde carico che si perdeva lontano
fino alla catena delle montagne porpora e viola; la lucida
sinuosità del fiume, come un'immensa lettera S d'argento battuto;
il nastro bruno delle case che segnava la curva delle due sponde,
dominate dalle due colline gemelle, cime emergenti sulle vette
degli alberi più vicini. Che profondo contrasto tra i due! Lei,
leggera, delicata, sottile, svelta, un po' strega, e con un'ombra
di preoccupazione materna anche durante il riposo; lui, di fronte,
enorme e massiccio come una statua rozzamente scolpita nel sasso,
con un misto di magnanimo e di barbarico nella sua immobilità. Il
figlio di questi due vecchi era un giovane di rara distinzione.
Lo avevano avuto tardi. Forse non era poi così giovane come
sembrava. Ventiquattro o venticinque anni non sono tanto pochi per
un uomo che a diciott'anni è già padre di famiglia. Entrando nella
grande sala di belle stuoie alle pareti e sul pavimento, sotto
l'alto soffitto di tela bianca dove la coppia sedeva solenne in
mezzo alla sua deferentissima corte, andava dritto verso Doramin a
baciargli la mano - che quegli gli abbandonava con maestà; poi
attraversava la stanza e si fermava in piedi vicino alla poltrona
della madre. Potrei forse dire che quei due lo adoravano, anche se
non ho mai colto in loro una aperta occhiata a quel figliolo. Vero
è che quelle erano cerimonie ufficiali e la sala, per lo più,
affollatissima. La solenne formalità delle accoglienze e dei
congedi; il profondo rispetto espresso dai gesti, dalle fisonomie,
dai sussurri sommessi è semplicemente inenarrabile. 'Valeva la
pena di vederli, no?' mi diceva Jim, nell'attraversare il fiume
per tornarcene a casa. 'Sono come personaggi di un libro, non è
vero?' disse con aria trionfale. 'E Dain Waris - il loro figlio -
è, a parte lei, il miglior amico che ho mai avuto. Quello che il
signor Stein chiamerebbe un buon COMPAGNO D'ARMI! Ho avuto
fortuna, perdiana! Ho avuto fortuna ad arrivare coll'ultimo fiato
in mezzo a quella gente.' Chinò il capo, assorto: poi,
riscuotendosi, soggiunse:
'Naturalmente non ci ho dormito su, ma...' S'interruppe di nuovo.
'M'è venuto così, tutt'a un tratto,' mormoro, 'di vedere quel che
avevo da fare...'
Senza dubbio gli era venuto così, tutt'a un tratto; e gli era
venuto attraverso la guerra, naturalmente, giacché questa forza
sopravvenutagli come per un miracolo era la forza di portare la
pace. Soltanto in questo senso la potestà è talvolta un bene. Non
è da credere che egli avesse trovato subito la sua via. Quando
arrivò, la comunità Bugi era in una condizione molto critica.
'Avevano tutti paura,' mi disse, 'e ognuno aveva paura per sé; e
intanto io lo vedevo chiaro come l'aria che avrebbero dovuto
subito muoversi, se non volevano restar schiacciati l'uno dopo
l'altro tra il Rajah da una parte e quel vagabondo di sceriffo
dall'altra.' Ma averlo capito non voleva dir niente. Bisognava
escogitare un piano. Compresa l'idea si trattò di farla entrare in
testa a gente refrattaria e corazzata di paura e di egoismo. Ci
arrivò alla fine, ma non era ancora niente. Doveva escogitare i
mezzi. Li trovò: fece un piano audace e non era ancora che a metà.
Gli restava da infondere la sua stessa fede a una quantità di
gente che aveva assurdi e coperti motivi di tenersi indietro,
doveva conciliare stolte gelosie e battere in breccia le più
insensate diffidenze. Senza il peso d'autorità di Doramin e il
focoso entusiasmo del figlio, avrebbe fatto fiasco. Dain Waris,
quel giovane così distinto, fu il primo ad accordargli fede; la
loro fu una di quelle strane, profonde e rare amicizie fra un uomo
di colore e un bianco, in cui sembra che sia proprio la differenza
di razza ad avvicinare due esseri umani in virtù di qualche arcano
elemento di simpatia. Di Dain Waris, la sua gente diceva con
orgoglio che combatteva come un bianco. Era vero; con quel tipo di
coraggio che si potrebbe chiamare coraggio allo scoperto,
possedeva anche un cervello europeo. Se n'incontrano a volte, di
fatti così, e ci si sorprende allora di scoprire in loro,
inaspettatamente, un giro di pensieri familiari, una visione
mentale non ottenebrata, tenacia di propositi, un principio di
altruismo. Piccolo di statura, però mirabilmente proporzionato,
Dain Waris aveva un portamento dignitoso e schivo, un tratto
educato e disinvolto, un temperamento come una chiara fiamma. Il
suo viso scuro, con quei due grandi occhi neri, era espressivo
nell'azione, e, nel riposo, cogitabondo. Di carattere silenzioso;
il suo sguardo fermo, il suo sorriso ironico e la sua cortese
sicurezza di modi sembravano dar segno di grandi riserve di
intelligenza e di forza. Tali creature scoprono agli occhi degli
occidentali, che volentieri restano alla superficie delle cose, le
arcane possibilità di razze e di paesi su cui sta il mistero di
evi immemorabili. Non solo egli aveva fede in Jim, ma, ne sono
fermamente convinto, lo capiva. Parlo di lui perché ne ero rimasto
preso. La sua - vorrei chiamarla - caustica placidità e, al tempo
stesso, la sua intelligente comprensione dei disegni di Jim, mi
attraevano. Mi pareva di essere arrivato a scoprire le origini di
quell'amicizia. Se Jim aveva preso il comando, l'altro aveva
conquistato il proprio capo. In realtà, Jim, il capo, era
prigioniero in tutti i sensi. Il paese, la gente, l'amicizia,
l'amore erano come tante severe guardie del corpo; e ogni giorno
aggiungeva un anello alla catena di quella strana libertà. Me ne
convincevo sempre più, via via che, di giorno in giorno, venivo a
conoscere altri fatti della sua storia.
La sua storia! Non l'ho sentita, la sua storia; L'ho sentita in
marcia, all'accampamento (Jim mi faceva battere tutta la campagna
a caccia di selvaggina introvabile); ne ho sentita una buona parte
sulla vetta di una delle due cime gemelle, dopo aver fatto
l'ultima trentina di metri a quattro zampe, rampicando. La nostra
scorta (dei volontari cioè che ci seguivano da un villaggio
all'altro) si era accampata su un piccolo ripiano a mezza costa; e
nel silenzio della sera, senza un alito, ci arrivava da lì giù
l'odore del fumo di legna con l'acuta squisitezza di un profumo di
marca. Anche le voci arrivavano meravigliosamente chiare,
distinte, immateriali. Jim si era messo a sedere su un tronco
d'albero abbattuto, e, tirata fuori la pipa, cominciò a fumare.
Una nuova messe d'erba e di cespugli stava germogliando: sotto un
groviglio di stecchi spinosi si scoprivano ancora le tracce di uno
sterro. 'Tutto è partito di qui,' fece, dopo una lunga pausa di
silenzio assorto. Sull'altra collina, un duecento metri sopra
l'ombra di un burrone, vidi una fila di pali alti, anneriti,
guasti qua e là come rovine: i resti del campo inespugnabile dello
sceriffo Alì.
Però lo avevano espugnato. Lui: con questa trovata: aveva fatto
portare la vecchia artiglieria di Doramin lì in vetta alla
collina: due rugginosi obici di ferro da sette libbre, una
quantità di cannoncini di bronzo - di quelli che servono da
moneta. Oggi servono, sì, per trasformarli in moneta: ma se
bravamente caricati fino alla bocca, possono anche mandare un buon
colpo a una certa distanza. Il problema era di portarli fin lassù.
Mi mostrò dove aveva assicurato le funi, spiegò come aveva
improvvisato un rozzo argano con un tronco scavato che girava su
un palo appuntito, mi indicò col fornello della pipa il profilo
dello sterro. Gli ultimi trenta metri di ascesa erano stati i più
duri. Si era preso, in cuor suo, la responsabilità della riuscita.
Aveva indotto il partito della guerra a lavorare sodo tutta la
notte. Ardevano grandi fuochi accesi a intervalli lungo tutta la
salita, 'ma quassù,' spiegò, 'la squadra di trazione doveva
sbrigarsela al buio.' Dall'alto vedeva gli uomini muoversi lungo
il pendìo della collina come formiche affaccendate. Lui stesso,
quella notte, non aveva fatto altro che salire e scendere, come
uno scoiattolo, dirigendo, incoraggiando, tutto tenendo d'occhio
lungo la fila degli uomini. Il vecchio Doramin si era fatto
portare su per la collina in poltrona. Lo deposero sul ripiano a
mezza costa, e sedette là, nella luce di uno dei grandi fuochi,
'straordinario vecchio - un vero capo come nell'antichità,' fece
Jim, 'con i suoi occhietti feroci - e un paio di enormi pistole a
pietra focaia sulle ginocchia. Oggetti magnifici, di ebano,
montati in argento, con bellissime piastre e un calibro da vecchio
trombone. Un regalo di Stein, pare - in cambio, sa, di
quell'anello. Avevano appartenuto al buon vecchio O'Neil. Dio sa,
a lui, come gli erano capitate. Stava lì seduto, senza muovere un
dito, con una fiammata di sarmenti dietro la schiena, e, intorno,
un mucchio di gente che correva qua e là, urlando e tirando: la
figura più solenne e imponente che si possa immaginare. Poca
possibilità di scampo ci sarebbe stata per lui se lo sceriffo Alì
avesse sguinzagliato la sua banda di demoni, e fatto polpette dei
miei uomini - no? Comunque, se andava male, lassù dov'era venuto,
ci moriva. Di certo. Perdiana! Mi empiva d'entusiasmo a vederlo lì
- come una roccia. Ma lo sceriffo deve averci presi per matti;
perché non si diede neanche la pena di venir a ficcare il naso nei
fatti nostri. Nessuno pensava che facessimo sul serio. Macché!
Credo che perfino quelli che tiravano e spingevano e sudavano
all'opera non credessero possibile la cosa. Proprio in parola-
direi di no...'
Stava dritto in piedi stringendo in mano la pipa accesa, col
sorriso sulle labbra e un fuoco vivo negli occhi infantili. Io
sedevo su un tronco d'albero ai suoi piedi e sotto a noi si
stendeva il paese, grande distesa di foreste, buia sotto al sole,
ondosa come il mare; la chiarità dei fiumi sinuosi, le macchie
grigie dei villaggi, e - qua e là - una radura, come un isolotto
di luce in mezzo alle onde scure di quel mare di cime d'alberi.
Una cupa malinconia incombeva su quel paesaggio vasto e monotono;
la luce vi cadeva come in un abisso. La terra si divorava i raggi
del sole; soltanto in lontananza, lungo la costa, il vuoto oceano,
liscio e lucido in un velo di nebbia sembrava alzarsi nel cielo
come un muro d'acciaio.
E io ero lì, con lui alto nel sole sulla cima di quella sua
collina storica. Dominava la foresta, la malinconia secolare, la
vecchia umanità. Era come una figura messa su un piedestallo, a
rappresentare nella sua giovinezza persistente la forza, e forse
le virtù, di razze che non invecchiano, che sono sfuggite al buio.
Perché mi sia sempre dovuto apparire come un simbolo, io non so;
ma è forse questa la ragione del mio interesse per la sua sorte.
Non so se era bello verso di lui il ricordarmi dell'incidente che
aveva dato un nuovo orientamento alla sua vita ma proprio in
quell'attimo preciso mi tornò nitidissimo alla memoria. E fu come
un'ombra nella luce".
CAPITOLO 27.
"Già, la leggenda gli prestava virtù soprannaturali. Sì, diceva la
gente, c'erano state tutte quelle corde disposte con accorgimento,
e quello strano marchingegno che girava con lo sforzo riunito di
molti uomini, sicché ogni cannone era salito facendosi strada
lentamente, attraverso i cespugli, come un cinghiale che si
grùfola la via nell'intrico del sottobosco, ma... i più saggi
scuotevano il capo. Lì sotto c'era senza dubbio qualche magìa;
perché che è mai la forza delle corde e delle braccia umane? C'è
nelle cose un'anima ribellante che bisogna vincere con potenti
esorcismi ed incantesimi. Così il vecchio Sura - un
rispettabilissimo capo famiglia di Patusan col quale feci una
placida chiacchierata una sera. Sura, però, era altresì mago di
professione, soprintendente alle semine e mietiture del riso per
un raggio di molte miglia, con la funzione appunto di soggiogare
l'anima proterva delle cose. Pare che questa sua mansione gli
riuscisse piuttosto ardua, e forse l'anima delle cose è veramente
più proterva dell'anima umana. La gente semplice dei villaggi
lontani credeva e diceva (come la cosa più naturale del mondo) che
Jim avesse portato sulla schiena i cannoni in cima alla collina -
a due alla volta.
Questo faceva battere per la rabbia i piedi a Jim, che esclamava
seccatissimo, con un risolino esasperato: 'Che si può fare con
degli sciocchi simili? Sono capaci di star su metà della notte a
raccontarsi le loro maledette fandonie; e più grande è la bugia,
più sembra gradita.' Si intravvedeva la sottile influenza
dell'ambiente in questa sua irritazione. Faceva parte dei suoi
legami. Buffo come si scaldava a negare. 'Ma mio caro,' dissi alla
fine, 'non penserà mica che ci creda io...' Mi guardò tutto
sorpreso. 'Eh no - no che non lo penso,' fece; e scoppiò in una
risata omerica. 'Beh, comunque i cannoni arrivarono su, e
spararono tutti insieme all'alba. Perdiana! Lei doveva vedere che
volata di scheggie!' esclamò. Al suo fianco Dain Waris, ascoltando
con un sorriso tranquillo, abbassò le palpebre e strisciò un poco
i piedi. La buona riuscita di quell'idea di portar su i cannoni
pareva aver procurato alla gente di Jim un gran senso di fiducia;
sicché egli si decise di affidare la batteria a due Bugi anziani,
che avevano visto al tempo loro più di una battaglia, per andare a
raggiungere Dain Waris e il gruppo d'assalto nascosto nel burrone.
Nelle ore piccole avevano cominciato ad arrampicarsi, e quando
furono a due terzi della salita si distesero nell'erba umida ad
aspettar la levata del sole, che era il segnale convenuto. Mi
disse con che impaziente e angosciata emozione aveva seguìto il
rapido avvicinarsi dell'alba; come, accalorato qual era dal lavoro
e dalla scalata, gli era penetrato nelle ossa fino al midollo il
freddo della rugiada; e la sua gran paura di mettersi a tremare
come una foglia e a sentirsi addosso i brividi al momento
dell'avanzata. 'Fu la mezz'ora più lenta della mia vita,'
dichiarò. A poco a poco la palizzata cominciò a spiccare contro il
cielo sopra di lui, silenziosa. Gli uomini sparpagliati sull'erba
erano accovacciati tra i sassi scuri e i cespugli roridi. Dain
Waris era steso bocconi al suo fianco. 'Ci guardammo,' fece Jim,
dolcemente posando una mano sulla spalla del suo amico. 'Mi
sorrise, allegro come una pasqua, ma io non osai aprir bocca per
paura di un attacco di brividi. Parola mia, che è proprio così!
Lei deve pensare che si colava di sudore quando ci stendemmo
sull'erba - e perciò può immaginare...' Mi dichiarò, e gli credo,
di non aver avuto dubbi sul risultato dell'impresa. L'unica sua
preoccupazione era quella di riuscire a reprimere quei brividi.
Del successo non si dava pensiero. Era sicuro di raggiungere la
vetta di quella collina e di rimanerci, a tutti i costi. Indietro,
lui non ci sarebbe tornato. Quella gente si era messa nelle mani
di lui; implicitamente. Di lui. Di lui solo! Una sua semplice
parola...
Ricordo come, a questo punto, s'interruppe con gli occhi fissi nei
miei. 'Per quanto mi risulta non hanno mai avuto l'occasione di
pentirsene - fino a oggi,' fece. 'Mai.' E sperava con tutta
l'anima che neanche in seguito... Intanto - disgraziatamente!
avevano preso l'abitudine di ricorrere a lui in tutto e per tutto.
Non se ne poteva avere una idea!... Ma sì!... Anche l'altro giorno
un vecchio imbecille che non aveva mai veduto in vita sua, era
venuto da un villaggio lontano miglia e miglia per sapere se
doveva divorziare dalla moglie. Proprio così! Parola d'onore. Ecco
che genere di cose... Non si sarebbe mai creduto. Vero? Quel
vecchio si mise a sedere lì per terra sulla veranda masticando
noce di betel, sospirando e sputando da tutte le parti per più di
un'ora, malinconico come un impiegato delle pompe funebri, finché
se ne venne fuori con quel suo maledetto quesito. E non è tanto
buffo quanto sembra, questo genere di cose. Che gli si poteva
rispondere? - Buona moglie? - Sì, buona moglie... ma vecchia... -
Cominciò una lunga storia dell'accidente, a proposito di certe
pignatte di rame. Vivevano insieme da quindici anni - vent'anni -
chi se ne ricorda? Tanto, tanto tempo. Buona moglie. L'aveva
picchiata, qualche po' - non molto - solo un po', quando lei era
giovane. Per forza - per onor di firma. Tutt'a un tratto, ora che
era vecchia, va a prestare tre pignatte di rame alla moglie del
figlio di sua sorella, e comincia a insolentire lui ogni giorno e
si fa anche sentire dagli altri. I suoi nemici lo schernivano.
Mette su una faccia da funerale. Le pignatte, perdute per sempre.
Per sempre. E lui, avvilito morto. 'Impossibile capirci un'acca,
in una storia simile; gli dissi di tornarsene a casa, promettendo
che sarei andato io a sistemargli la faccenda. Lei fa presto a
ridere, ma è stata una seccatura dell'altro mondo! Una giornata di
cammino attraverso la foresta, un'altra persa a persuadere un
branco di stupidi contadini per arrivar a capo della questione.
C'era da scatenare una serie di liti a sangue. Il primo venuto di
quegli imbecilli del diavolo prendeva le parti di una famiglia o
dell'altra, e meta del villaggio era pronta a buttarsi sull'altra
metà con tutto quel che capitasse sotto mano. Parola d'onore!
Senza scherzi!... Invece di badare ai loro maledetti raccolti.'
Naturalmente gli aveva fatto restituire quelle pignatte del
diavolo - e messo tutti in pace. Senza nessuna fatica,
naturalmente. Lui poteva far finire qualunque litigio solo
piegando un mignolo. Il difficile era di arrivare alla verità,
nelle cose. Non era sicuro, a tutt'oggi, di essere stato giusto
con tutti. E questo lo preoccupava. E le chiacchiere! Perdiana!
Senza capo né coda. Meglio andare tutti i giorni all'assalto di
una vecchia palizzata alta sei metri! Molto meglio! Un gioco da
bambini in confronto. E poi più spiccio. Beh, sì; tutto sommato,
in fondo, una faccenda ridicola- quell'imbecille pareva tanto
vecchio da potergli essere nonno. Ma da un altro punto di vista
non era uno scherzo; perché la sua parola poteva essere sempre
decisiva - da quando aveva sbaragliato lo sceriffo Alì. Una
terribile responsabilità, ripeté. 'No, davvero... a parte gli
scherzi, si fosse trattato di tre vite umane invece che di quelle
tre sporche pignatte di rame, sarebbe stato lo stesso...'
Così m'illustrava l'effetto morale della sua vittoria di guerra.
Un effetto davvero immenso, che l'aveva portato dal combattimento
alla pace, e attraverso la morte l'aveva immerso nella vita più
intima di quel popolo; e tuttavia la tetraggine di quella terra in
pieno sole conservava il suo carattere di arcano, secolare
assopimento. La sua fresca voce giovanile (è straordinario quanto
scarsi erano in lui i segni di usura) si levava leggera e passava
sopra la faccia impassibile delle foreste, come il rombo dei
grossi cannoni in quel freddo mattino rugiadoso, quando egli non
aveva altra preoccupazione al mondo che impedirsi di rabbrividire.
Appena coi primi raggi obliqui il sole sfiorò le cime immobili
degli alberi, la vetta di una delle colline rimase avvolta con
grandi boati in bianche nuvole di fumo, e sull'altra scoppiò un
fragore incredibile di urli, grida di guerra, imprecazioni di
rabbia, di sorpresa, di sgomento. Jim e Dain Waris furono i primi
a metter la mano sugli stecconi della palizzata. La leggenda
popolare narrò subito di Jim, che col semplice tocco d'un dito
aveva rovesciato il cancello. Egli era, naturalmente, ansioso di
confutare questa diceria. La intera palizzata - si affannava a
spiegare a tutti - non era che una modesta faccenda (lo sceriffo
Alì si affidava soprattutto al vantaggio della posizione); e
comunque, i pali già in pezzi per le cannonate stavano in piedi
per miracolo. Ci aveva dato una spallata storditamente, ed era
finito dentro a gambe all'aria. Perdiana! Se non c'era Dain Waris,
un certo vagabondo butterato e tatuato, con la sua lancia lo
avrebbe inchiodato a un tronco d'albero come uno degli scarabei di
Stein. Il terzo a entrare fu - pare - Tamb'Itam, il servo di Jim.
Era costui un Malese del nord, uno straniero capitato per caso a
Patusan, e trattenuto per forza dal Rajah Allang come pagaiatore
di una delle sue imbarcazioni di gala. Se l'era svignata alla
prima occasione, e, trovato un rifugio precario (e pochissimo da
mangiare) fra i coloni Bugi, si era posto al servizio di Jim. Era
di carnagione scurissima, aveva il viso schiacciato, gli occhi
prominenti e iniettati di bile. C'era una punta di esagerazione,
quasi di fanatismo, nel suo attaccamento al 'Signore bianco.' Era
inseparabile da Jim, come un'ombra malinconica. Nelle grandi
occasioni, camminava alle calcagna del suo padrone e, kris alla
mano, teneva a distanza la gente bassa con le sue occhiate torve e
truculente. Jim lo aveva fatto suo maggiordomo, e tutta Patusan lo
rispettava e lo corteggiava come persona molto influente. Alla
presa della palizzata si era molto distinto per la ferocia
melodica del suo modo di combattere. La squadra d'assalto era
piombata dentro così fulminea - disse Jim - che, anche in mezzo al
panico della guarnigione, ci furono 'cinque minuti caldi di corpo
a corpo di là dalla palizzata; ma poi un asinaccio diede fuoco ai
ripari di rami e d'erba secca, e dovemmo tutti tagliar la corda
per salvare la pelle.'
Pare che la rotta sia stata completa. Doramin, immobile nella sua
poltrona a mezza costa, col fumo dei cannoni che si stendeva
lentamente sulla sua testa enorme, ricevette la notizia con un
profondo brontolio. Quando seppe che il figlio era salvo e si era
gettato all'inseguimento, lui, senza una parola, fece un immenso
sforzo per alzarsi; i suoi servi si precipitarono in suo aiuto, ed
egli, rispettosamente sorretto, si avviò, strascicando i piedi,
verso un po' d'ombra dove si stese e si mise a dormire, coperto da
capo a piedi d'una tela bianca. A Patusan c'era un intenso
fermento. Jim mi disse che dalla collina, volgendo le spalle alla
palizzata che era tutta un braciere, alla sua cenere nera e ai
suoi cadaveri semicarbonizzati, vide a più riprese gli spiazzi fra
le case, sulle due sponde del fiume, riempirsi a folate di una
marea tumultuosa di gente, e rivuotarsi in un attimo. Alle sue
orecchie arrivava attenuato, da laggiù sotto, il terribile
strepito dei gong e dei tamburi, le grida selvagge della folla lo
raggiungevano in volate di muggiti smorzati dalla distanza. Una
quantità di bandierine mettevano come un palpito d'ali d'uccelli
bianchi, rossi, gialli tra gli orli bruni dei tetti. 'Dev'essere
stata una grande gioia per lei,' mormorai, in uno slancio di
simpatetica emozione.
'Oh, sì... Una cosa immensa! Immensa!' esclamò forte, spalancando
le braccia. Quel movimento improvviso mi spaventò come se lo
avessi veduto denudare i segreti del suo cuore davanti al sole,
alle cupe foreste, al mare d'acciaio. Sotto di noi, la città
posava in pigre curve sulle rive del fiume, che sembrava assopito.
'Immensa!' ripeté una terza volta tra i denti, solo per sé.
Immensa! Immensa indubbiamente; il successo venuto a suggellar le
sue parole, il territorio conquistato da posarvi i suoi piedi,
la cieca fiducia degli uomini, la fede in se stesso strappata al
fuoco, la solitudine della vittoria. Tutto questo ve l'ho detto -
si rimpicciolisce a raccontarlo. Non posso, con le sole parole,
comunicarvi il senso del suo isolamento assoluto e totale. So,
naturalmente, che della sua razza, laggiù, era, in tutta
l'estensione del termine, solo; ma insospettate doti di carattere
lo avevano portato a così stretto contatto con l'ambiente che il
suo isolamento sembrava effetto della sua potenza soltanto. La sua
solitudine lo accresceva di statura. Non c'era nulla sott'occhi
con cui poterlo commisurare, come se fosse stato uno di quegli
uomini eccezionali che si devono ragguagliare soltanto alla misura
della loro fama; e la sua fama, ricordatelo, era la più grande
cosa del paese, in un àmbito di molti giorni di viaggio. Si doveva
remare, metter vela, o aprirsi un lungo e faticoso cammino nella
giungla per giungere oltre la portata di quella voce. Una voce che
non era come lo strombettare di quella dea spregevole che tutti
conosciamo - né roboante - né sfacciata. Prendeva il suo tono dal
silenzio triste di un paese senza passato, dove la sua parola era
l'unica ferma verità di ogni transitoria giornata. Partecipava un
po' del carattere di quel silenzio attraverso il quale essa vi
guidava a profondità inesplorate, sempre viva al vostro fianco,
penetrante, e di lunga portata - sussurro di meraviglia e di
mistero sulle labbra degli uomini".
CAPITOLO 28.
"Lo sconfitto sceriffo fuggì a gambe levate dal paese; e quando i
poveri contadini perseguitati cominciarono a far capolino fuor
dalla giungla per tornare finalmente alle loro casupole
imputridite, fu Jim ad eleggere i capi del paese, dopo essersi
consigliato con Dain Waris. Così egli diventò virtualmente il
sovrano: Quanto al vecchio Tunku Allang, la sua paura lì per lì
non conobbe limiti. Si racconta che, alla notizia dell'assalto
vittorioso della collina, si buttasse bocconi sul pavimento di
bambù nella sala delle udienze, e vi restasse così tutta la notte
e tutto il giorno dopo, immobile, con gemiti soffocati tanto
paurosi, che nessuno osava avvicinarsi a quel prostrato a meno di
una lunghezza di lancia. Già si vedeva, cacciato da Patusan con
ignominia, andar ramingo e solo, spoglio, senza oppio, senza le
sue donne e senza scorta, facile preda del primo che volesse
ammazzarlo. Dopo lo sceriffo Alì, adesso era il suo turno: chi
poteva resistere all'assalto di un diavolo simile? In realtà
dovette la vita, a quel po' di prestigio che conservava ancora al
momento della mia visita, all'idea che, della giustizia pura, Jim
si era fatta. I Bugi erano prontissimi a regolare i conti col
passato, e il vecchio Doramin, nella sua impassibilità, nutriva la
speranza di vedere un giorno suo figlio sovrano del Patusan.
Durante una delle nostre interviste mi lasciò di proposito
intravvedere la sua segreta ambizione. Non si poteva immaginare
cosa a suo modo più elegante della dignitosa prudenza delle sue
allusioni. Cominciò col dire che lui la sua forza, in gioventù,
non se l'era risparmiata, ma adesso era vecchio e stanco. Con la
sua mole imponente e certi sguardi sagaci dei suoi occhietti
orgogliosi, richiamava irresistibilmente al pensiero la furberia
d'un vecchio elefante; il lento respiro del suo vasto petto era
continuo, potente e regolare come il buleggiume di un mare in
bonaccia. Asserì d'avere anche lui una fiducia illimitata nella
saggezza di Tuan Jim. Ah - poter avere appena una promessa;
bastava una parola!... Le pause di calmo respiro, il rombo
sommesso della sua voce ricordavano gli ultimi brontolii in coda
al temporale.
Tentai di lasciar cadere l'argomento. Non era facile, perché Jim
era ormai indiscutibilmente una potenza; e nella sua nuova
situazione pareva non esserci nulla ch'egli non avesse facoltà di
concedere o negare. Ma questa, dirò, era un'inezia appetto
all'idea che mi balenò, mentre facevo finta di ascoltare il
vecchio: che Jim pareva ormai arrivare al possesso del proprio
destino. Doramin era in ansia per l'avvenire del paese, e restai
colpito dal giro che diede all'argomento: 'Il paese rimane dove
Dio l'ha messo, ma i bianchi,' disse, 'loro vengono qui e dopo
poco tempo se ne vanno. Vanno via. Quelli che restano, qui, non
possono prevedere se e quando faranno ritorno. Se ne vanno al loro
paese, tra la gente loro, e così farà anche quel bianco'... Non so
che cosa m'indusse a compromettermi fino al punto di ribattere con
un vigoroso: 'No, no.' Misurai tutta la portata della mia
indiscrezione, quando Doramin, alzandomi in faccia tutto il suo
viso, inalterato in quella sua espressione, fissata da profonde
rughe scabre come un'enorme maschera brunastra, prima disse
cogitabondo che questa era una veramente buona notizia, e poi
volle sapere perché.
Quella streghetta dall'aria materna di sua moglie, seduta
dall'altro mio lato, col capo coperto e i piedi raccolti sotto di
sé, teneva lo sguardo fisso oltre l'apertura delle persiane.
Vedevo soltanto un riccioletto grigio ribelle, uno zigomo alto, un
leggero movimento masticatorio del mento aguzzo. Senza distogliere
gli occhi dal vasto panorama delle foreste che si stendeva fino
alle colline, mi domandò con voce piena di carità come mai uno
così giovane aveva abbandonato la sua casa per venire fin quaggiù,
in mezzo a tanti pericoli. Non aveva una famiglia, nessun parente
là nel suo paese? Non aveva una vecchia madre che ne avrebbe
sempre ricordato il viso?...
A questo ero del tutto impreparato. Riuscii appena a borbottare
non so che scuotendo il capo. Ma dopo - me ne rendo conto - devo
aver fatto una meschina figura nel tentativo di tirarmi fuori da
questo impiccio. Da quel momento, però, il vecchio nakhoda divenne
taciturno. Non era molto soddisfatto, ho paura; era chiaro che
dovevo avergli dato materia di riflessione. E' piuttosto strano
che, la sera di quello stesso giorno (l'ultimo che dovevo passare
a Patusan), mi trovassi di nuovo di fronte alla stessa domanda, a
quel perché senza risposta sul destino di Jim. E questo mi porta
alla storia del suo amore.
Voi penserete magari che sia una storia che sareste capaci di
immaginare da soli. Ne abbiamo sentite tante, e la maggior parte
di noi non le crede affatto vere storie d'amore. Quasi sempre le
consideriamo storie d'incontri fortuiti; tutt'al più episodi di
passione, o forse soltanto trascorsi di giovinezza, tentazioni;
votati a una definitiva dimenticanza, anche se comportano una
certa tenerezza, una realtà nostalgica di rimpianto. Questo punto
di vista, spessissimo esatto, lo è forse anche in questo caso...
Eppure non so: raccontare questa storia non è affatto così facile
come se ci si potesse mettere dal solito punto di vista.
Apparentemente, è una storia come tante altre: ma io ci vedo,
nello sfondo, la figura malinconica di una donna, l'ombra di una
spietata saggezza sepolta in una tomba solitaria, uno sguardo
triste e desolato, a labbra suggellate. La tomba stessa, che
scopersi per caso durante una passeggiata mattutina, era un
mucchio di terra scura piuttosto informe con, alla base, una linda
bordura di pezzi di corallo bianco confitti nel terreno, cinto
d'una staccionata circolare fatta di arboscelli spaccati per il
lungo con la corteccia e tutto. Una ghirlanda di foglie e di fiori
correva per tutto il cerchio in cima ai picchetti - e i fiori
erano freschi.
Così, sia o no quell'ombra frutto della mia immaginazione, posso
comunque segnalarvi il fatto rilevante di una tomba non
dimenticata. Quando poi vi diro che Jim con le sue mani aveva
costruito quel rustico recinto, coglierete subito l'elemento
differenziante, il lato individuale della storia. Codesta adozione
della memoria e dell'affetto di un'altra creatura umana era tipica
della serietà della sua natura. Aveva una sua coscienza; ed era
una coscienza romantica. In tutta la sua vita la moglie
dell'innominabile Cornelius non aveva avuto altra compagna,
confidente o amica fuori che sua figlia. Come mai la poveretta
avesse avuto l'idea di sposare quell'orribile Malaccoportoghese -
dopo essersi separata dal padre della sua bambina - e se tale
separazione fosse avvenuta per la morte, che a volte sa mostrarsi
anche pietosa, o per le meno pietose convenzioni sociali, questo
resta per me un mistero. Da quel poco che Stein (che sapeva tante
storie) si era lasciato sfuggire con me, mi sono convinto che non
si trattava di una donna comune. Suo padre era un bianco; alto
funzionario; un uomo di brillanti qualità: uno di quelli che, per
non essere abbastanza stupidi da covarsi il successo, finiscono la
carriera nell'ombra. Immagino che anche a lei mancasse quella
provvidenziale stupidità - e la sua carriera finì nell'ombra a
Patusan. Il nostro comune destino... perché dov'è quell'uomo
intendo il vero uomo dotato di sentimento - che non abbia il vago
ricordo di esser stato abbandonato, nella pienezza del possesso,
da qualche cosa o da qualcuno più prezioso della vita?... il
nostro comune destino infierisce sulla donna con particolare
ferocia. Non castiga come un padrone, ma infligge una lenta
tortura, come per sfogare un dispetto segreto, implacabile. Si
crederebbe che, costretto a regnare sul mondo, cerchi di rivalersi
proprio su quegli esseri che sono i più prossimi a superare le
pastoie delle umane cautele; perché soltanto le donne riescono
talvolta a mettere nel loro amore un elemento tangibile appena,
quanto basti a sbigottirci: una punta di ultra-terreno. Mi domando
talvolta... come apparirà ad esse il mondo? avrà la stessa forma e
sostanza che noi gli conosciamo, nella stessa aria che noi
respiriamo? Qualche volta immagino che ci debba essere una regione
di illogiche sublimità mosse dallo slancio di quelle loro anime
avventurose, illuminate dalla gloria di tutti i rischi, di tutte
le rinuncie. Temo peraltro che esistano poche vere donne al mondo,
benché naturalmente mi renda conto che l'umanità consiste di
moltitudini, e che i sensi - dal punto di vista numerico - si
equivalgono. Ma sono sicuro che la madre aveva in sé tanto di
donna quanto pareva averne la figlia. Non posso far a meno di
immaginarmele tutt'e due; prima l'una donna giovane e l'altra
bambina, poi l'una vecchia e l'altra ragazza la terribile
monotonia del tempo nel suo rapido passare, la barriera della
foresta, la solitudine e il tumulto intorno a quelle due vite
solitarie, e il carico di tristezza che portava ogni parola
pronunciata. Si saranno scambiate le loro confidenze, non tanto
sui fatti, suppongo, quanto sui sentimenti più intimi: paure
rimpianti - e senza dubbio avvertimenti; che la più giovane non
comprese del tutto finché non fu morta l'anziana - e apparve Jim.
Quel giorno sono sicuro che molto comprese - non tutto - e,
specialmente, direi, la paura. Jim la chiamava con un nome che
voleva dire prezioso, nel senso di una pietra preziosa: gioiello.
Grazioso, vero? Lui era capace di tutto. Era all'altezza della
propria fortuna, come - dopo tutto - era stato all'altezza della
propria disgrazia. Gioiello, la chiamava; e lo diceva come avrebbe
potuto dire 'Giannina,' sapete, con un accento coniugale,
casalingo, sereno. Sentii quel nome per la prima volta dieci
minuti dopo essere entrato nel suo cortile, quando, dopo avermi
quasi slogato un braccio nel darmi la mano, si slanciò su per la
scala, e si mise come un ragazzo a fare un allegro fracasso
davanti all'uscio, sotto alle sue pesanti grondaie. 'Gioiello!
Oho! Gioiello! Presto! E' arrivato un amico!...' e a un tratto,
guardandomi di sottecchi nella penombra della veranda, mormoro con
voce profonda: 'Sa... questa... Niente sciocchezze... niente
maledette storie... non le so dire quanto devo a quella ragazza...
e così... capisce... io... è proprio come se...' L'ansioso
incalzare dei suoi balbettamenti fu interrotto di colpo
dall'improvviso passaggio di una forma bianca dentro la casa, una
leggera esclamazione, un visino infantile ma energico dai tratti
delicati e uno sguardo attento e profondo che si mossero dal buio
dell'interno, .come un uccello dal fondo di un nido. Rimasi
colpito dal nome, si capisce; ma dovette passar un bel tratto di
tempo per farmelo ricollegare con una stravagante diceria che
avevo sentito durante il viaggio, in un angolo della costa a 230
miglia a sud del fiume Patusan. Lo schooner di Stein, dove ero
imbarcato, sostò là, per caricare un po' di roba, e io, scendendo
a terra, ebbi la grande sorpresa di trovare che quell'angolo di
miseria poteva gloriarsi di avere un vice-segretario di residenza
di terza classe; un tipo grosso, grasso, bisunto, strizzalocchio
meticcio lucido-labbruto. Lo trovai sdraiato a pancia all'aria in
un divano di vimini, indecorosamente sbottonato, con una grande
foglia di chissà che pianta appoggiata sul capo fumigante, e
un'altra in mano che adoprava, pigro, a modo di ventaglio...
Diretto a Patusan? Ah, sì. Società Commerciale Stein. Conosceva.
Con autorizzazione? Non era affar suo. Le cose andavano un po'
meno peggio laggiù, osservò con indifferenza, e soggiunse con voce
strascicata: 'C'è arrivato una specie di vagabondo bianco,
dicono... Eh? Come? Un amico suo? Davvero?... Allora era vero che
c'era laggiù uno di questi VORDAMTE. Che gli era mai saltato in
mente? Aveva trovato la strada, il briccone! Eh? Mi pareva
impossibile. Patusan... laggiù tagliano la gola non è affar mio.'
S'interruppe con un gemito. 'Pfui! Onnipotente! Che caldo! Che
caldo! Beh, allora, poteva esserci del vero anche in quell'altra
storia, dopo tutto, e...' Chiuse uno dei suoi orribili occhi
vitrei (la palpebra continuò a tremolare) mentre con l'altro mi
ammiccava sinistro. 'Senta un po',' fece con aria di mistero, 'se
- capisce? - se realmente ha messo le mani su qualcosa che valga -
non uno dei soliti pezzetti di vetro verde - capisce? - io sono
funzionario governativo - dica a quel furfante - Eh? Come? Amico
suo?...' Continuava a star stravaccato tranquillamente sulla
poltrona... 'Me l'ha detto lei; appunto; e sono contento di
metterla sull'avviso. Anche a lei, suppongo, piacerebbe di cavarne
fuori qualcosa. Non m'interrompa. Lei gli dica soltanto che ho
saputo la storia, ma al mio governo io non ho fatto rapporto. Non
ancora. Capito? Perché fare un rapporto? Eh? Gli dica di venire da
me se lo lasciano uscire vivo da quel paese. Farà bene a
salvaguardarsi le spalle. Eh? Prometto di non fargli domande.
Discrezione - capito? E penseremo anche a lei. Una piccola
commissione per il disturbo. Non m'interrompa. Sono un funzionario
governativo e non farò rapporti. Gli affari sono affari. Capito?
Conosco della brava gente pronta a comprar qualunque cosa che
valga la pena e che può dargli più quattrini di quanti quel
farabutto ne abbia mai veduti in vita sua. Conosco i miei polli.'
Mi fissava con tanto d'occhi - ora tutti e due aperti - mentre gli
stavo davanti in piedi sbalordito, e mi domandavo se era matto o
ubriaco. Sudava sbuffava, lamentandosi tra i denti e grattandosi
con una tranquillità così ributtante che non riuscii a sopportarne
la vista, né ebbi la forza di domandargli schiarimenti. Il giorno
dopo, parlando a caso con la gente della piccola Corte indigena,
venni a sapere che lungo la costa si andava diffondendo la storia
di un misterioso bianco che a Patusan era venuto in possesso di
una gemma straordinaria - uno smeraldo di enormi dimensioni, e
assolutamente senza prezzo. Lo smeraldo sembra far colpo sulla
immaginazione orientale più di qualsiasi altra pietra preziosa. Il
bianco se l'era procurato, mi dissero, un po' con l'uso della sua
forza meravigliosa, un po' con l'astuzia, dal monarca di un paese
lontano, di dove era fuggito immediatamente, giungendo a Patusan
in condizioni pietose, ma sempre in grado di ispirar terrore al
popolo con la sua estrema ferocia, che nulla sembra poter
ammansare. I più tra i miei informatori erano d'opinione che la
pietra desse il malocchio - come la famosa gemma del Sultano di
Succadana che aveva portato anticamente in quella contrada
infinite guerre e calamità. Forse era il medesimo gioiello - non
si sa mai. In realtà la storia di uno smeraldo di dimensioni
favolose risale ai tempi dell'arrivo dei primi bianchi
nell'Arcipelago; ed è credenza così persistente che ancora un
quarant'anni fa fu condotta un'inchiesta ufficiale in proposito da
parte del Governo olandese. Un simile gioiello - mi spiegò un
vecchio dal quale mi era stato riferito questo straordinario mito
Jimmiano - una specie di scriba del poverissimo piccolo Rajah
locale - un gioiello simile, disse, alzando verso di me i suoi
poveri occhi mezzo acciecati (stava seduto per terra nella capanna
in segno di rispetto), si conserva meglio nascondendolo addosso a
una donna. Però non tutte le donne sono adatte. Devono essere
giovani - e trasse un profondo sospiro - e insensibili alle
seduzioni dell'amore. Scosse il capo incredulo. Eppure una donna
simile sembra che ci sia.
Davvero. Gli avevano parlato di una ragazza alta che l'uomo bianco
trattava con molto rispetto e attenzioni, e che non usciva mai di
casa senza scorta. La gente diceva che il bianco si faceva vedere
in sua compagnia quasi ogni giorno: passeggiavano insieme in
faccia a tutti, e lui se la portava in giro col braccio sotto al
suo, stretta stretta al fianco così, in un modo proprio strambo.
Questo poteva anche non esser vero - lo concedeva - perché
veramente era un comportamento fin troppo bizzarro. Ma che
portasse lei nascosto in petto il gioiello dell'uomo bianco non si
poteva mettere in dubbio".
CAPITOLO 29.
"Così si interpretavano le maritali passeggiate di Jim alla sera.
Più di una volta avevo fatto il terzo incomodo in queste
passeggiate, sempre consapevole della sgradita presenza di
Cornelius che, covando in cuore una punta di paterno sdegno, ci
pedinava furtivo con la bocca contratta, come sempre sul punto di
digrignare i denti. Avete mai notato come, a trecento miglia
dall'ultimo palo telegrafico e dall'approdo dei postali, le
meschine bugie utilitarie della nostra civiltà avvizziscano e
muoiano, sostituite da puri giuochi di fantasia, che hanno la
leggerezza e spesso il fascino e qualche volta la profonda verità
intima di un'opera d'arte? Il romanticismo aveva eletto Jim al
proprio servizio - e la parte romantica era l'unica autentica di
quella storia, che per il resto era tutta una fandonia. Non lo
nascondeva, lui, il suo gioiello. In realtà, ne era immensamente
orgoglioso.
Mi accorgo ora che, tutto sommato, quella ragazza io l'avevo vista
ben poco. Quello che ricordo meglio è il pallore unito, olivastro,
della sua carnagione, i vivi riflessi metallici dei suoi capelli
neri, che fluivano abbondanti di sotto a un berretto scarlatto
tenuto molto indietro sulla testa ben modellata. Sciolta e sicura
nei movimenti, arrossiva talvolta d'un rosso intenso. Mentre Jim e
io si discorreva, ella andava e veniva dandoci qualche occhiata
fuggitiva e lasciandosi dietro, sul suo passaggio, un ricordo di
grazia e di fascino e un netto sottinteso di attenta vigilanza. I
suoi modi denotavano una strana combinazione di timidezza e di
audacia. Ogni suo bel sorriso, come disperso dal ricordo d'un
incombente pericolo, era seguìto subito da uno sguardo d'ansia
taciturna e repressa. A volte sedeva con noi, e, con le nocche
della sua mano piccolina infossate nella morbida guancia,
ascoltava la nostra conversazione; i suoi grandi occhi chiari si
fissavano sulle nostre labbra, come se ogni nostra parola fosse
pronunciata in forma visibile. Sua madre le aveva insegnato a
leggere e a scrivere; aveva imparato un bel po' di inglese con
Jim, e lo parlava che era uno spasso con la stessa intonazione e
le stesse abbreviazioni fanciullesche di lui. La sua tenerezza si
librava su di lui come un palpito d'ali. Viveva così pienamente
nella contemplazione di lui, che aveva perfino acquistato un po'
del suo aspetto esteriore, qualcosa che lo ricordava nei
movimenti, nel modo di stendere un braccio, di girare il capo, di
volgere lo sguardo. Il suo vigile affetto aveva un'intensità tale
da renderlo quasi percettibile ai sensi; sembrava esistere
concretamente nella sostanza dello spazio, avvolgendolo come di
una fragranza particolare, effondersi nel sole come una nota
tremula, sommessa e appassionata. Credo che prenderete anche me
per un romantico: ma non è vero. Vi riferisco la pura impressione
di un frammento di giovinezza; di uno strano travagliato romanzo
che mi è capitato sottocchi. Notai con interesse il lavorìo della
sua - diciamo - fortuna. Era amato d'un amore geloso; ma perché
poi lei dovesse essere gelosa, e di che, non sapevo. La terra, la
gente, le foreste erano ora complici in accordo vigile per
tenerselo d'occhio con un'aria di segregazione, di mistero, di
possesso esclusivo. Per lui non c'era, per così dire, via
d'appello; era prigioniero della libertà stessa della propria
potenza, e lei, pur essendo pronta a mettergli il capo sotto i
piedi, a sgabello, si custodiva inesorabilmente la sua conquista -
come se temesse di non potersela conservare. Lo stesso Tamb'Itam,
marciando alle calcagna del suo Signore bianco, durante le nostre
uscite, testa indietro, truculento e tuttarmi come un giannizzero,
con kris, accetta e lancia (oltre al fucile che Jim gli dava da
portare); lo stesso Tamb'Itam si permetteva di darsi delle arie di
custode incorruttibile come un carceriere arcigno e devoto pronto
a dare la vita per il proprio prigioniero. La sera, quando eravamo
alzati fino a tardi, la sua sagoma silenziosa, indistinta, passava
e ripassava sotto la veranda, a passi felpati, e talvolta, alzando
la testa, lo coglievo a sua insaputa dritto in piedi, impalato
nell'ombra. Di regola scompariva dopo un po' senza rumore; ma
quando ci si alzava, di balzo ci era vicino come se fosse uscito
di sottoterra, pronto a qualunque ordine di Jim. Neanche la
ragazza, credo, si addormentava mai finché non ci eravamo dati la
buonanotte. Più di una volta, dalla finestra della mia camera, la
vidi uscire con Jim piano piano, appoggiarsi alla rozza balaustra
- due figure bianche strette l'una all'altra, lui col braccio
cingendole la vita, lei col capo reclinato sulla spalla di lui. Mi
giungeva il loro sussurro sommesso, penetrante, tenero, nota calma
e triste nel silenzio della notte, come un monologo interno, su
due voci. Più tardi, rigirandomi sul letto sotto la zanzariera,
avrei giurato di sentire leggeri scricchiolii, un tenue respiro,
uno schiarirsi cauto della gola, e voleva dire che Tamb'Itam era
ancora lì, di ronda. Benché avesse (per la munificenza del Signore
bianco) una casa di sua proprietà dentro la cinta, e avesse 'preso
una moglie' e ricevuto recentemente la benedizione di un bambino,
tuttavia sono convinto che, almeno durante il mio soggiorno,
dormiva sulla veranda ogni notte. Era molto difficile far parlare
quell'armigero arcigno e fedele. Neanche Jim riusciva a tirargli
fuori più che risposte secche e a strappi, quasi in tono di
protesta: come volesse dar da intendere che il parlare non era
affar suo. Il discorso più lungo formulato di sua iniziativa glie
lo sentii fare una mattina, quando, stendendo a un tratto la mano
verso il cortile, indicò Cornelius e disse: 'Ecco qua il
Nazzareno.' Non credo che parlasse con me, per quanto gli stessi a
fianco; il suo discorso sembrava piuttosto diretto a risvegliare
l'attenzione e lo sdegno dell'universo intero. Certi borbottamenti
allusivi che seguirono, a proposito di cani e odor d'arrosto, mi
parvero singolarmente appropriati. L'ampio quadrato del cortile
era tutto una vampa torrida di sole, e, avvolto in quella luce
intensa, Cornelius veniva avanti lento lento, bene in vista, e
tuttavia con un'aria ineffabilmente furtiva, di oscuro e coperto
segreto, sgattaiolando. Faceva pensare a quanto ci può essere di
più stomachevole. Il suo passo lento, laborioso, ricordava il
movimento dello scarafaggio schifoso: dava lo stesso ribrezzo
vedergli muovere sole le gambe, e fermo tutto il resto del corpo.
Camminava, senza dubbio, dritto per la sua direzione, eppure, con
quella spalla in avanti, pareva andare obliquo. Lo si vedeva
spesso aggirarsi lento tra le tettoie come fiutando una pista;
passare davanti alla veranda dando una sbirciata furtiva all'insù;
sparire adagio dietro l'angolo di una capanna. Che costui potesse
circolare liberamente là dentro, accusava una assurda negligenza
da parte di Jim, oppure un supremo disprezzo, perché Cornelius
aveva avuto una parte assai dubbia (a dir poco) in un certo
episodio che a Jim avrebbe potuto riuscire fatale. All'atto
pratico quell'episodio era tornato a sua maggior gloria. Ma tutto
riusciva ormai a sua gloria; ed era questa l'ironia della sua
buona fortuna attuale: che per essere stato una volta troppo
attaccato alla propria vita, ora la sua vita sembrava protetta da
un sortilegio.
Dovete sapere che aveva lasciato la casa di Doramin poco dopo il
suo arrivo - un po' troppo presto, in realtà, per la sua
sicurezza, e, naturalmente, molto prima della guerra. A questo lo
aveva spinto il senso del dovere: doveva attendere agli affari di
Stein, no? - mi disse. A tal fine, con assoluto disprezzo del
pericolo, aveva attraversato il fiume andando a stare da
Cornelius. Come avesse fatto costui a campare in tempi così
agitati, io non lo so. Quale agente di Stein, dopo tutto, doveva
aver usufruito in certo senso della protezione di Doramin; certo è
che, in un modo o nell'altro, era riuscito a cavarsela attraverso
a tutte quelle gravi complicazioni, e non dubito che la sua
condotta, qualunque linea sia stato costretto a seguire, debba
aver portato il segno di quell'abiezione che era come lo stampo di
quell'uomo abietto di dentro e di fuori, come altri è d'aspetto
riconoscibilmente generoso, distinto o venerando. A questo suo
elemento costitutivo si informava ogni suo atto, passione o moto
dell'animo; si arrabbiava abietto, sorrideva abietto, s'attristava
abietto; parimenti abiette in lui cortesia e villania. Non c'è
dubbio che l'amore, in lui, sarebbe stato il più abietto dei
sentimenti: ma come immaginare l'amore in un insetto schifoso?
Perché anche la sua schifezza era abietta, talché una persona non
più che disgustosa sarebbe apparsa nobile al confronto. Costui non
è figura né di sfondo né di primo piano in questa storia: lo si
vede soltanto ai margini aggirarsi enigmatico e sporco, a
corromperne l'ingenuità e la fragranza di giovinezza.
La sua condizione, in ogni caso, non poteva essere che
estremamente bassa; ma può darsi benissimo che lui ne traesse
qualche vantaggio. Jim mi disse di esser stato accolto da
principio con un'abietta ostentazione dei più amichevoli
sentimenti. 'Sembrava che quell'individuo non riuscisse a
contenere la propria gioia,' fece Jim con aria disgustata.
'Correva da me ogni mattina a stringermi tutt'e due le mani - il
maledetto! - ma non sapevo mai se poi sarei andato a colazione. Se
arrivavo a mangiare tre volte in due giorni mi consideravo
fortunato; eppure mi faceva firmare un buono di dieci dollari alla
settimana. Diceva d'esser sicuro che il signor Stein non intendeva
che mi mantenesse per niente. Beh... mi manteneva quasi con
niente. Ne incolpava lo stato di disordine del paese, e fingeva di
strapparsi i capelli, chiedendomi perdono venti volte al giorno,
tanto che dovetti alla fine supplicarlo di non angustiarsi così.
Mi dava la nausea. Metà del tetto era crollato e tutta la casa
aveva un aspetto squallido, con dei ciuffetti d'erba secca che
spuntavano fuori qua e là, e penzolanti da ogni parete gli orli
sfilaccicati delle stuoie. Fece del suo meglio per far risultare
che il signor Stein gli doveva dei soldi sugli affari degli ultimi
tre anni, ma i suoi libri mastri erano tutti strappati e qualcuno
mancava addirittura. Cercò di accennare che la colpa era della
buonanima di sua moglie. Mascalzone schifoso! Alla fine dovetti
proibirgli perfino di nominarla, sua moglie, per non far piangere
Gioiello. Non arrivai a scoprire dove era andata a finire tutta la
merce; nel magazzino vuoto c'erano rimasti soltanto i topi che
avevan trovato la cuccagna in mezzo a quella baraonda di carta
color marrone e di sacchi vecchi. Da tutte le parti mi
assicuravano che aveva un mucchio di quattrini sepolti chissà mai
dove; ma naturalmente da lui non c'era da cavar fuori nulla.
Passai in quella casa del diavolo i giorni più disgraziati della
mia vita. Cercai di far il mio dovere verso Stein, ma avevo anche
altro da pensare. Quando mi rifugiai in casa di Doramin, il
vecchio Tunku Allang si spaventò e mi restituì la mia roba: tutto
per vie oblique e con un'infinità di misteri, attraverso un Cinese
che ha qui un negozietto; ma appena lasciai il quartiere dei Bugi
per andar a stare da Cornelius si cominciò a dire apertamente che
il Rajah aveva deciso di farmi ammazzare al più presto. Un bel
fatto, no? E non vedevo che cosa avrebbe potuto impedirglielo, se
veramente ne avesse avuto l'idea. Il peggio era che dovevo
necessariamente riconoscere di non far niente di utile né per
Stein né per me stesso. Oh! furono davvero un inferno quelle sei
lunghe settimane...'".
CAPITOLO 30.
"Mi disse, seguitando, di non sapere che cosa lo avesse trattenuto
lì - ma non ci vorrà molto a intuirlo. Provava una profonda pietà
per quella ragazza inerme, alla mercé di quello 'straccio di
mascalzone vigliacco.' Pare che Cornelius le facesse una vita
d'inferno, anche se non arrivava a metterle, ma sol per mancanza
di coraggio, le mani addosso. Pretendeva perfino che lo chiamasse
babbo - 'e con rispetto anche - con rispetto,' urlava, agitandole
davanti alla faccia un pugno giallo, rinsecchito. 'Sono un uomo
rispettabile, io, e tu che cosa sei? Avanti! che cosa sei? Credi
che io la intenda di tirar su la figlia d'un altro e non farmi
rispettare? Ringrazia Iddio ch'io ti permetta di chiamarmi così!
Avanti! - di': Sì, babbo... ah no?... Aspetta un po'!' E allora si
metteva a ingiuriare la morta finché la ragazza non se ne scappava
con le mani nei capelli. La rincorreva, precipitandosi dentro e
fuori e intorno alla casa, e in mezzo alle tettoie; finché non la
rincantucciava in qualche angolo, dove lei cadeva in ginocchio
tappandosi le orecchie, e allora, da lontano, per delle mezze ore
seguitava a scaricarle contro una sfilza di sudicie ingiurie. 'Tua
madre era un demonio - un demonio di falsità. E anche tu sei un
demonio!' urlava come sparata finale, raccogliendo un po' di terra
secca o una manciata di fango (fango ce n'era quanto se ne voleva,
intorno alla casa) e glie la buttava nei capelli. Qualche volta,
però, lei gli teneva testa, accesa di rabbia, guardandolo fisso in
silenzio, a faccia dura e contratta, lasciando cadere una parola
ogni tanto, ma così tagliente che lo facevan saltare convulso.
Scene spaventose, mi disse Jim. Cose davvero inaudite, lì in mezzo
al deserto. Un tale stato di raffinata cattiveria, pensate un po'
che tormento doveva essere pensare che non sarebbe finito mai. Il
rispettabile Cornelius (Inci' Nelyus, lo chiamavano i Malesi, con
una smorfia che voleva dir molte cose) era un uomo profondamente
scontento. Non so che cose si fosse aspettato in conseguenza del
suo matrimonio: ma, evidentemente, il privilegio di poter rubare a
man salva, e incamerare per molti anni e come meglio gli talentava
le merci della Società Commerciale di Stein (Stein soleva
reintegrargli puntualmente il deposito tutte le volte che poteva
mandare i suoi capitani a portargli la roba) non gli pareva
sufficiente compenso al sacrificio del suo rispettabile nome. Jim
avrebbe toccato il cielo con le dita a poter dare un tal sacco di
legnate a Cornelius da ridurlo a un filo dalla morte; ma d'altra
parte quelle scene erano così penose, così ributtanti, che il suo
impulso era piuttosto di allontanarsi, dove non si sentissero più
quelle voci, in modo da risparmiare la sensibilità della ragazza.
Quelle scenate la lasciavano tutta agitata e taciturna a
dilaniarsi il petto, e col viso impietrito dalla disperazione.
Allora Jim, così senza parere, le si avvicinava con aria sgomenta:
'Su... andiamo... davvero... a che serve... provi a mangiare
qualcosa,' o qualche altra parola di simpatia. Cornelius sgusciava
da una porta all'altra attraversando la veranda per poi tornare
sui propri passi, muto come un pesce, e sogguardando malevolo,
sospettoso, di sottecchi: 'Glie la faccio finire io...' le disse
Jim una volta. 'Mi dica una sola parola.' E sapete che rispose
lei? Disse - Jim me lo riferì con aria solenne - che se non fosse
stata sicura che Cornelius era tanto infelice anche lui, avrebbe
trovato il coraggio di ammazzarlo con le proprie mani. 'Pensi un
po'! Quella povera diavola di ragazza, quasi una bambina,
trascinata a parlare in questo modo!', esclamò con orrore.
Sembrava impossibile salvarla, non dalle grinfie di quel brutto
furfante, ma anche da se stessa! Non che gli facesse soltanto
compassione, mi assicurò; era più che pietà; era come se avesse un
peso sulla coscienza finché fosse durata quella vita. Abbandonare
la casa sarebbe parsa una vile diserzione. Aveva capito alla fine
che non c'era nulla da aspettarsi da una più lunga permanenza: né
rendiconti, né denaro, né verità di nessun genere; eppure restava,
esasperando Cornelius fino all'orlo non dico della pazzia, ma
quasi del coraggio. Intanto sentiva ogni sorta di pericoli
accumularglisi oscuramente intorno. Doramin gli aveva mandato due
volte un suo uomo di fiducia a dirgli che davvero non avrebbe
potuto far niente per la sua sicurezza se non ripassava il fiume
per tornare tra i Bugi, come prima. Gente di ogni condizione
veniva a trovarlo, spesso nel cuore della notte, per rivelargli
complotti di gente che voleva assassinarlo. Lo volevano
avvelenare. Lo volevano pugnalare, nello stabilimento dei bagni.
Si stavano prendendo accordi per fargli sparare addosso da una
barca sul fiume. Ognuno di questi informatori si professava suo
grande amico.
Ce n'era abbastanza - mi disse - per togliere la pace per sempre a
un disgraziato. Una cosa del genere era estremamente plausibile -
anzi probabilissima - e quegli avvertimenti, anche se bugiardi,
gli davano la sensazione di complotti di morte che gli si andavano
tramando intorno da tutte le parti, nel buio. Nulla di più
indovinato per scuotere i più solidi nervi. Finalmente, una notte,
Cornelius in persona, con grande sfoggio di orgasmo e di mistero,
gli rivelo con voce untuosa e solenne un progettino, come
qualmente per cento dollari - o anche per ottanta: diciamo ottanta
- lui, Cornelius, avrebbe procurato un uomo di fiducia per portare
di soppiatto Jim, sano e salvo, fino alla foce del fiume. Non
c'era altro da fare, ormai - se Jim faceva il minimo conto della
sua vita. Che sono ottanta dollari? Un'inezia. Una somma
insignificante. E intanto lui, Cornelius, sarebbe rimasto lì, a
sfidare senz'altro la morte pur di dare questa prova di
attaccamento al giovane amico del signor Stein. Era difficile - mi
disse Jim - di reggere alla vista delle sue abiette smancerie; si
tirava i capelli, si batteva il petto, si dondolava con le mani
compresse sul ventre, e finse perfino di spargere una lagrima. 'Il
tuo sangue ricada sul tuo capo!' squittì finalmente, e scappò via.
Sarebbe interessante sapere fino a che punto Cornelius era sincero
in questa commedia. Jim mi confessò di non aver chiuso occhio dopo
che quell'individuo se ne fu andato. Rimase supino sopra la stuoia
sottile sul piancito di bambù, a contare le travi nude del
soffitto, e ad ascoltare il fruscìo nelle sconnessure della paglia
di copertura. Una stella brillò a un tratto attraverso un buco del
tetto. Il cervello gli turbinava; eppure proprio in quella notte
maturò il suo piano per dare addosso allo sceriffo Alì. Era stato
il suo pensiero fisso nei rari momenti liberi dalle vane indagini
intorno agli affari di Stein, ma la soluzione - dice gli balenò in
mente allora tutto a un tratto. Vide, per così dire, i cannoni
piazzati sulla vetta della collina. Rimase lì disteso, ma tutto
accalorato ed eccitato: di dormire, neanche a dirlo, non se ne
parlava più. Balzò in piedi, e scalzo se ne uscì in veranda senza
far rumore. S'imbatté nella ragazza, ferma contro il muro, come di
vedetta. Nello stato in cui si trovava, non si sorprese di
trovarla alzata, e nemmeno che gli domandasse in ansia, sottovoce,
dove poteva essere Cornelius. Rispose semplicemente che non lo
sapeva. L'altra ebbe un gemito sommesso, frugando con gli occhi
nel campong. Tutto era tranquillissimo. Jim, ossessionato e
invasato dalla sua idea, non poté astenersi dal comunicarla subito
alla ragazza. Questa ascoltò, batté le mani senza far rumore,
espresse la propria ammirazione a voce bassa, ma senza cessare di
tenersi visibilmente all'erta. Pare che Jim ne avesse fatto la sua
confidente fin dal primo giorno: - che lei, dal canto suo, fosse
al caso di fornirgli, e gli fornisse in realtà, utili ragguagli
sulle cose di Patusan non c'è dubbio. Jim mi assicurò più di una
volta di non aver mai avuto da dolersi dei suoi consigli.
Comunque, era lì lì per accingersi a spiegarle dettagliatamente il
suo piano, quando la ragazza gli diede una stretta al braccio, e
svanì dal suo fianco. Allora apparve Cornelius, chissà da dove, il
quale, scorgendo Jim, fece uno scarto di lato, come se gli
avessero sparato addosso, e si tenne poi fermo immobile nel buio.
Alla fine avanzò guardingo, come un gatto sospettoso. 'Sono venuti
dei pescatori - con del pesce,' disse con voce incerta. 'A vendere
il pesce - capisci'... Dovevano essere le due del mattino: proprio
l'ora più adatta per portare il pesce in giro nelle case!
Jim lasciò passare la frase senza farci mente locale: neanche per
un attimo. Altri pensieri gli occupavano il cervello, e poi non
aveva visto niente. Si accontentò di lasciar cadere un 'Oh!'
distratto; bevve un sorso d'acqua da una brocca che era lì, e
lasciando Cornelius in preda a un'emozione inesplicabile (che gli
fece afferrare a due braccia la ringhiera tutta tarlata dalla
veranda come se gli cedessero le gambe) rientrò e si distese sulla
sua stuoia a riflettere. Dopo un po' udì dei passi furtivi: poi
più. Una voce in tremito sussurrò attraverso la parete: 'Dormi?'
'No! Che c'è?' rispose Jim allegramente; poi un movimento brusco
di fuori, e poi silenzio, come se chi aveva mormorato quelle
parole avesse preso spavento. Estremamente seccato, Jim uscì fuori
d'impeto, e Cornelius, con un grido soffocato, fuggì per tutta la
veranda fino ai gradini d'accesso, dove restò attaccato alla
balaustra rotta. Molto sorpreso, Jim gli domandò da lontano che
diavolo gli era preso. 'Hai riflettuto a quello che ti ho detto?'
domandò Cornelius, spiccicando le parole a fatica, come in preda a
un attacco di febbre fredda. 'No!' gridò Jim, fuori di sé. 'Non ci
ho riflettuto, e non ci rifletterò mai. Voglio vivere qui, a
Patusan.' 'Tu ci m-m-morrai, qui,' ribatté Cornelius, sempre
scosso forte dal tremito, con una voce da moribondo. Tutta questa
scena era così assurda e irritante che Jim non sapeva bene se
divertirsi o arrabbiarsi. 'Non prima di vederti messo a posto a
dovere, ci puoi contare,' gridò a sua volta, esasperato, e sul
punto di ridere. Mezzo sul serio (eccitato com'era dai propri
pensieri, capite) continuò a urlare: 'Nulla mi può far nulla, a
me! Quand'anche tu buttassi all'aria il mondo ". In certo modo,
quel Cornelius in ombra laggiù in fondo sembrava l'odiosa
incarnazione di tutte le noie e le difficoltà che aveva incontrato
sul suo cammino. Si lasciò andare - aveva i nervi tesi da parecchi
giorni - e lo investì coi più lusinghieri epiteti: imbroglione,
bugiardo, brutto mascalzone; insomma, fece un baccano d'inferno.
Ammise poi di aver passato tutti i limiti della creanza - ché era
proprio fuori di sé - sfidando Patusan intera a costringerlo a
scappar per paura, e dichiarando che ce l'aveva lui la musica da
farli ballar tutti; e così via, in tono minaccioso e fanfarone. Un
comportamento assolutamente ridicolo e burbanzoso, mi disse.
Sentiva le orecchie bruciargli solo a ripensarci. Doveva aver
perso la tramontana, in certo modo... La ragazza, seduta con noi,
mi fece un rapido gesto d'assenso con la sua testina, aggrottando
un poco le sopracciglia, e disse: 'Io ho sentito tutto,' con
solennità infantile. Jim rise e arrossì. Ciò che lo fece smettere,
disse, fu il silenzio, il profondo silenzio, come di morte, della
figura indistinta che stava laggiù in fondo, e sembrava pendere,
tutta svuotata, piegata in due, sulla balaustra, in una macabra
immobilità. Tornato in sé, tacque subito e si meravigliò molto di
se stesso. Osservò l'altro per un po'. Non un gesto, non un suono.
'Proprio come se colui fosse morto mentre facevo tutto quel
putiferio,' disse. Si vergognava tanto che rientrò in fretta,
senza aggiungere verbo, e si gettò di nuovo sulla stuoia. La
sparata sembra gli avesse fatto bene, però, perché dormì per tutto
il resto della notte come un bambino. Erano settimane che non
dormiva così. 'Ma io non dormii ,' disse la ragazza col gomito
sulla tavola, e la guancia sulla mano. 'Io montai la guardia.'
Girò un poco lo sguardo e mi fissò coi suoi grandi occhi
scintillanti".
CAPITOLO 31.
"Potete immaginare con quanto interesse tenni dietro a questo
discorso. Il significato di questi particolari si rivelò
ventiquattr'ore dopo. La mattina, Cornelius non fece alcuna
allusione agli avvenimenti della notte. 'Immagino che tornerai
nella mia povera casa,' borbottò con aria arcigna, obliquando su
Jim che si preparava a salire in canoa per recarsi al campong di
Doramin. Il giovanotto si limitò ad annuire col capo, senza
guardarlo. 'Ti ci diverti, tu, è chiaro,' borbottò l'altro in tono
acido. Jim passò la giornata col vecchio nakhoda, a propugnare la
necessità di un'azione vigorosa, davanti agli uomini più eminenti
della comunità Bugi, che erano stati convocati a gran parlamento.
Ricordava con piacere di essere stato molto eloquente e
persuasivo. 'Son riuscito a rinforzare la loro spina dorsale,
positivo,' mi disse. L'ultima spedizione dello sceriffo Alì aveva
raggiunto la periferia della colonia, e alcune donne del borgo
erano state portate dentro la sua palizzata. Il giorno prima gli
emissari dello sceriffo s'erano fatti vedere sulla piazza del
mercato a pavoneggiarsi altezzosi nei loro mantelli bianchi, a
vantar l'amicizia del Rajah per il loro padrone. Uno si era fatto
avanti, all'ombra di un albero, e, appoggiato alla lunga canna del
fucile, aveva esortato il popolo alla preghiera e al pentimento,
consigliando ad ammazzare tutti i forestieri che s'erano
intrufolati nel paese, fra i quali, disse, certi infedeli -
peggio! figli di Satana, camuffati da Mussulmani. Si raccontava
che parecchi di parte del Rajah avessero gridato la loro
approvazione. Il popolino era atterrito. Jim, soddisfattissìmo
dell'opera svolta in quel giorno, ripassò il fiume prima del
tramonto.
Essendo riuscito a ottenere dai Bugi un impegno inderogabile per
l'azione, ed avendo preso su di sé tutta la responsabilità del
successo, si sentiva così felice, che nella sua leggerezza di
cuore fece di tutto per mostrarsi cortese verso Cornelius. Ma
questi, di rimando, gli rispose con una giovialità pazzesca,
sicché a lui non bastò l'animo, mi disse Jim, di sopportare quel
suo squittire e rider falso, quei suoi contorcircimenti e
quell'ammiccare, e afferrarsi a un tratto il mento e restar lì,
curvo sulla tavola con lo sguardo fisso dell'invasato. La ragazza
non si fece vedere, e Jim si ritirò presto. Al momento in cui si
alzò per congedarsi, Cornelius balzò su, rovesciò la sedia e
scomparve come per raccattar qualcosa che aveva lasciato cadere.
La sua buonanotte arrivò roca di sotto al tavolino. Jim stupì di
vederlo riemergere a bocca aperta e con occhi vuoti, spalancati,
di spavento. Si teneva afferrato al margine del tavolino. 'Che
succede? Ti senti male?' domandò Jim. 'Sì, sì, sì. Un mal di
pancia tremendo,' fece l'altro; e secondo Jim doveva essere
proprio vero. In tal caso, data l'azione che andava premeditando,
era il segno, seppure abietto, di una incompleta intossicazione di
cinismo della quale converrà dargli atto.
Comunque, turbò i sonni di Jim un sogno di cieli bronzei, tonanti
con voce terribile: 'Svegliati! Svegliati!' così alto che,
nonostante la sua disperata volontà di continuar a dormire,
dovette pur svegliarsi. Lo colpì il bagliore di un incendio rosso,
tutto scoppi, a mezz'aria. Spire di un fumo denso e nero
avvolgevano la testa di un'apparizione, un essere sovrumano, tutto
vestito di bianco, con un viso severo, teso e ansioso. Dopo un
attimo di perplessità, riconobbe la ragazza. Teneva levata a
braccio teso una torcia, alta sul capo, e ripeteva con insistenza
monotona d'incitamento: 'Alzati! Alzati!'
A un tratto Jim balzò in piedi, e subito lei gli mise in mano una
rivoltella, la rivoltella di Jim, che stava appesa a un chiodo, e,
stavolta, carica. La afferrò in silenzio, stupefatto, battendo gli
occhi abbacinati. Si domandò che cosa ella potesse volere.
La ragazza gli chiese presto in un soffio: 'Puoi affrontare
quattro uomini con questa?' Jim rideva nel raccontarmi questo
episodio, al pensiero della cortese prontezza della propria
risposta: e pare che sul momento gli premesse molto di farla
rilevare: 'Certamente... si capisce... certamente... agli ordini!'
Non era ben sveglio, ma aveva la sensazione di condursi in modo
gentilissimo, in così straordinaria contingenza, dimostrandosi di
tanto incondizionata e immediata devozione. Ella uscì dalla
stanza, e lui la seguì; passando per il corridoio disturbarono una
vecchia megera che, quando le capitava, faceva un po' di cucina,
ma era così decrepita da non riuscir quasi più a capire il
linguaggio umano. Costei si alzò e li seguì arrancando e
borbottando qualcosa tra le gengive. Sulla veranda un'amaca di
tela di sacco, che era di Cornelius, a una gomitata di Jim oscillò
un poco: era vuota.
Il fondaco di Patusan, come tutti i depositi della Società
Commerciale Stein, consisteva in origine di quattro edifici. Due
erano ormai ridotti a un mucchio di stecchi, frammenti di bambù e
paglia marcia, su cui si levavano quattro pilastri d'angolo, di
legno duro, tristi e sbilenchi; si reggeva ancora in piedi il
magazzino principale, di fronte alla casa del rappresentante. Era
una capanna oblunga, di fango e argilla; a un'estremità aveva una
larga porta di tavole robuste non ancora sgangherata, e in una
delle pareti laterali un'apertura quadra, una specie di finestra,
con tre sbarre di legno. Prima di scendere i pochi gradini
d'accesso, la ragazza volse il capo e disse presto presto:
'Volevan saltarti addosso nel sonno.' Jim mi confessò di aver
provato un senso di delusione. Sempre la solita storia. Non ne
poteva più di attentati alla sua vita. Ne aveva fin sopra i
capelli di falsi allarmi. Era stufo. Mi assicurò che si era
arrabbiato contro la ragazza che l'aveva ingannato. L'aveva
seguita perché persuaso che fosse lei ad aver bisogno di aiuto, e
ora per il dispetto quasi quasi si sentiva una mezza voglia di
voltare i tacchi e tornarsene a dormire. 'Lo sa?' mi disse a
commento e con aria solenne. 'Credo proprio di non esser stato del
tutto in me per intere settimane in quell'epoca.' 'Ma sì. Era
perfettamente in sé ,' non potei trattenermi dal contraddirlo.
La ragazza proseguì a passo svelto, e Jim la seguì nel cortile.
Tutte le staccionate erano cadute da un pezzo; i bufali dei vicini
ogni mattina entravano liberamente nel recinto aperto traendo dal
profondo lunghi sbuffi senza scomporsi; era già la vera e propria
invasione della giungla. Jim e la ragazza si fermarono nell'erba
folta. La luce che li avvolgeva creava intorno una più densa
oscurità; soltanto sopra al loro capo brillava uno scintillìo
opulento di stelle. Mi disse che era una bella notte - fresca
fresca con un fiato di brezza dal fiume. A Jim non sfuggì, pare,
questa amorosa bellezza. Ricordatevi che è una storia d'amore
quella che vi sto raccontando adesso. Una notte soave che sembrava
alitare su di loro una leggera carezza. La fiamma della torcia
ruscellava a volta a volta con un fruscìo come di bandiera, e per
un certo tempo non si sentì altro. 'Sono nel magazzino in attesa,'
mormorò la ragazza. 'Aspettano il segnale.' 'Da chi?' domandò Jim.
L'altra scosse la torcia, che dopo aver spanto una pioggia di
scintille fiammeggiò più alta. 'Ma tu dormivi tanto agitato!'
riprese la fanciulla sottovoce. 'Io ho vegliato anche sul tuo
sonno.' 'Tu!' esclamò il giovane, allungando il collo per
guardarsi intorno. 'Credi che sia la prima notte che monto la
guardia?' disse l'altra dopo una pausa di cupa indignazione.
Jim dice che gli parve di ricevere un colpo in pieno petto. Rimase
senza fiato. Pensò di essersi condotto come una brutta bestia, e
si sentì pieno di rimorsi, commosso, felice, esultante. Questa,
permettete che ve lo ricordi ancora, è una storia d'amore: lo si
riconosce dalla sua imbecillità; non un'imbecillità odiosa, ma
l'esaltata imbecillità di ogni suo episodio, come questa sosta a
torcia accesa, quasi che fossero venuti lì proprio apposta per
farsi le loro confessioni, a maggior edificazione degli assassini
in agguato. Se gli emissari dello sceriffo Alì avessero posseduto
- come osservò Jim - un briciolo di fegato, questo era per loro il
momento di saltar fuori. Gli batteva il cuore - non di paura - ma
perché gli era sembrato di sentir frusciare l'erba; e fece un
subito scarto fuori dalla zona di luce. Un'ombra nera vista e non
vista svanì di corsa. Jim chiamò con voce sonora: 'Cornelius! oh!
Cornelius!' Seguì un profondo silenzio; parve che la sua voce non
avesse avuto più di dieci passi di portata. Di nuovo la ragazza fu
al suo fianco. 'Fuggi!' disse. La vecchia si avvicinava; la sua
figura sbilenca entrò a balzelli paralitici sul margine della
luce; la udirono borbottare, ed emettere un lieve sospiro
doloroso. 'Fuggi!' ripeté la fanciulla, eccitata. 'Ora che sono
spaventati... questa luce... le voci. Hanno capito che tu sei
sveglio adesso - sanno che tu sei grande, forte, e hai
coraggio...' 'Ma se io sono tutto questo,' cominciò a dire; ma la
ragazza lo interruppe. 'Sì - stanotte! Ma domani notte? E
dopodomani? E le notti appresso?... tante, tante notti? Posso star
sempre di guardia, io?' Le tagliò il fiato un singhiozzo che lo
commosse oltre ogni possibilità di parola.
Mi disse di non essersi mai sentito così piccolo, così niente e
anche il coraggio, a che serviva? pensò. Era così scosso che anche
la fuga gli sembrò inutile; benché la ragazza, con insistenza
febbrile seguitasse a mormorargli: 'Va' da Doramin, va' da
Doramin.' Egli si rese conto che da quella solitudine in cui si
centuplicavano tutti i pericoli, non gli restava altro scampo che
in lei. 'Pensai oscuramente,' mi disse, 'che se la lasciavo era la
fine di tutto.' Però siccome non potevano restare all'infinito
fermi lì in mezzo al cortile, decise di andare a dar un'occhiata
nel magazzino. Lasciò, senza neanche protestare, ch'ella lo
seguisse, come fossero stati indissolubilmente uniti. 'Ho coraggio
eh, io?' borbotto fra i denti. La ragazza lo afferrò per un
braccio. 'Aspetta finché non sentirai la mia voce,' disse, e con
la torcia in mano sparì leggera dietro l'angolo. Egli rimase solo
nel buio, col viso verso la porta; non un suono, non un respiro di
là dentro. Da chi sa dove alle sue spalle, la vecchia megera dette
un lugubre lamento. Udì un richiamo acuto, quasi un grido della
ragazza. 'Adesso! Spingi!' Diede una spinta violenta e la porta si
spalancò con un cigolìo e un tonfo, e agli occhi stupefatti di Jim
apparve un basso interno di prigione, rischiarato da una miseria
di luce incerta. Un turbine di fumo andava a morire, calando, su
una gerla vuota in mezzo al pavimento; nella corrente d'aria un
mucchietto di cenci e di paglia parve volersi sollevare, ma fu
appena smosso. La fanciulla aveva ficcato la fiaccola attraverso
le sbarre della finestra. Jim vide il braccio rotondo di lei,
steso e rigido, tener la fiaccola con la saldezza di un torciere
di ferro. Non c'era che un cono di vecchie stuoie sdruscite in un
angolo, alto fin quasi al soffitto, e nient'altro.
Jim mi spiegò che ne era rimasto amaramente deluso. La sua
resistenza era stata provata da tanti avvertimenti; per settimane
e settimane era stato circondato da tante minacce di pericolo, che
sentiva il bisogno d'affrontare finalmente un po' di realtà,
concreta e tangibile. 'Avrebbe schiarito l'aria almeno per un paio
d'ore, non so se rendo l'idea,' mi disse. 'Perdiana! Erano giorni
e giorni che vivevo con una pietra sullo stomaco.' Finalmente
aveva creduto di afferrare qualche cosa, e invece... niente! Né
una traccia, né un segno: nessuno. Aveva sollevato l'arma mentre
la porta si spalancava, ma aveva lasciato ricadere il braccio.
'Spara! Difenditi,' gridò la ragazza di fuori con accento
disperato. Essa, lì, al buio, col braccio infilato fino alla
spalla nello stretto passaggio, non poteva vedere quel che
succedeva, e non osava ormai ritirare la torcia e rifare il giro.
'Non c'è nessuno!' urlò Jim furioso: ma la risata di dispetto e di
esasperazione che stava per scoppiargli istintiva gli si strozzò
in gola. Proprio nell'atto di voltarsi aveva avvertito di tra il
mucchio delle stuoie uno sguardo che si incrociava col suo. Vide
muoversi il bianco di quegli occhi: 'Vieni fuori!' gridò
furibondo, ancora in dubbio: e una faccia abbronzata, una testa
senza corpo, si delineò fra le immondizie: una testa stranamente
spiccata dal busto, che lo fissava torvo. Poi, di colpo, tutto il
mucchio si agitò, e con un sordo grugnito l'uomo si levò di balzo
contro Jim. Di sulla sua schiena le stuoie parvero saltare e volar
via: teneva alto il braccio destro col gomito piegato, mentre una
lama opaca di kris gli spuntava dal pugno, un po' più su del capo.
La fascia stretta intorno ai fianchi sembrava d'un bianco
abbagliante contro la pelle di bronzo del suo corpo nudo, lucido
come fosse bagnato.
Jim notò tutto questo, mi disse, con un senso ineffabile di
sollievo, una esultanza di vendetta. Trattenne il colpo, disse, di
proposito. Lo trattenne per un attimo: il tempo che l'altro mise a
far tre passi avanti - un tempo incalcolabile. Lo trattenne per il
piacere di dire a se stesso: E' bell'e morto! Era assolutamente
sicuro e certo. Lo lasciò avvicinare, che tanto era lo stesso.
Tanto era bell'e morto. Notò le sue narici dilatate, gli occhi
sbarrati, l'intensa avida immobilità del viso, e poi sparò.
L'esplosione, in quello spazio ristretto, fu assordante. Jim
indietreggiò di un passo. Vide l'uomo sollevar la testa di scatto,
lanciar le braccia avanti, e lasciar cadere il kris. Dopo si
accorse di averlo colpito alla bocca, un poco dal sotto in su,
sicché la pallottola gli era uscita dalla nuca, in alto. Portato
dall'impeto del suo slancio, l'uomo seguitò a venire in avanti,
col viso a un tratto sfigurato, le mani aperte davanti a sé in
atto di arrancare, come un cieco, e cadde picchiando orrendamente
con la fronte a pochi centimetri dai piedi nudi di Jim. Mi disse
poi che di tutto questo non si era perduto il minimo particolare.
Si ritrovò calmo, pacificato, senza rancore, senza disagio, come
se la morte di quell'uomo avesse riequilibrato ogni cosa. Il luogo
si andava riempiendo del fumo fuligginoso della torcia, di cui la
fiamma immobile ardeva unita e sanguigna. Avanzò risoluto,
scavalcando il cadavere, e puntò la rivoltella contro un'altra
figura nuda che si delineava appena all'estremità opposta della
stanza. Mentre stava per far partire il colpo, l'uomo scagliò
lontano da sé una lancia corta e pesante e si lasciò cadere sui
calcagni con aria di sottomissione, la schiena contro la parete e
le mani giunte fra le gambe. 'Vuoi salva la vita?' fece Jim.
L'altro non fiatò. 'Quanti altri siete?' domandò ancora Jim.
'Altri due, Tuan,' rispose l'uomo con molta dolcezza, fissando con
grandi occhi affascinati la bocca della rivoltella. Sùbito, due
altri uomini uscirono carponi di sotto le stuoie, sollevando ben
visibilmente le mani vuote".
CAPITOLO 32.
"Jim si mise in posizione di vantaggio e li spinse attraverso la
porta in gruppo, come pecore: durante tutto questo tempo la
piccola mano aveva tenuto verticale la torcia, stretta senza un
tremito. I tre uomini gli ubbidirono zitti zitti procedendo come
automi. Li fece mettere in riga. 'Datevi il braccio!' ordinò.
Quelli eseguirono. 'Il primo che lascia il braccio o volta la
testa è un uomo morto,' disse. 'Marsch!' Si mossero insieme,
rigidi: seguiti da Jim; al suo fianco la ragazza in una veste
bianca lunga fino a terra e coi capelli neri sciolti fino alla
vita, portava la fiaccola. Eretta e snella sembrava scivolar via
senza toccar terra; senz'altro rumore che il fruscìo di seta
dell'erba alta che stormiva. 'Alt!' gridò Jim.
Dalla proda ripida del fiume saliva una grande frescura; la luce
cadeva sul filo dell'acqua liscia e buia che ribolliva senza
increspature; a destra e a sinistra le sagome parallele delle case
si stendevano seguendo la netta allineatura dei tetti. 'Portate i
miei saluti allo sceriffo Alì - che poi vengo io,' fece Jim.
Nessuna delle tre teste si mosse. 'In acqua!' tuonò. Tre tonfi
come un tonfo solo, un grande schizzo d'acqua, e le tre teste
nere, emerse e risommerse in movimenti convulsi, scomparvero; ma
per un bel pezzo continuò un gran soffiare e sputacchiare, sempre
più lontano, perché s'ingegnavano a nuotare sott'acqua, temendo
molto una salva d'addio. Jim si volse alla ragazza, testimone
attenta e silenziosa, e gli parve a un tratto che il cuore gli si
fosse fatto troppo grande nel petto, e gli chiudesse la gola
mozzandogli il respiro. Forse per questo si tenne in silenzio a
lungo: e la ragazza, scambiato uno sguardo con lui, lanciò la
torcia accesa nel fiume con un ampio gesto del braccio. La luce
rossa della fiamma, fatto un lungo volo nel buio, sprofondò con
uno stridore maligno, e la dolce calma luce delle stelle discese
su loro incontrastata.
Non mi riferì ciò che disse quando finalmente riprese voce. Non
credo che possa essere stato molto eloquente. Il mondo era
immobile, la notte alitava su di loro; una di quelle notti che
sembrano create per aprirsi alla tenerezza; in quei momenti in cui
le nostre anime, quasi disciolte dal loro buio involucro, ardono
con una sensibilità squisita che rende certi silenzi più lucidi
delle parole. Della ragazza, mi disse: 'Ebbe un momento di crisi.
L'eccitazione... capisce. La reazione. Doveva essere stanca
morta... e tutta questa specie di cose. E... accidenti... mi
voleva bene, capisce.. Anch'io... non lo sapevo, naturalmente...
non mi era mai passato per la testa...'
Qui si alzò e cominciò a far su e giù piuttosto agitato. 'Io... io
l'amo con tutta l'anima. Più che io non possa dire. Naturalmente
queste cose non si possono mai dire. Si considerano le proprie
azioni con altri occhi quando si viene a capire, quando vi fanno
capire che la vostra vita è necessaria intende? assolutamente
necessaria - a un'altra persona. Io sono costretto a capire
questo. Meraviglioso. Ma cerchi un po' lei di farsi un concetto di
quel che era stata la sua vita. Roba da matti! Spaventoso! No? E
io che la trovo qui, così... come se, uscendo per far quattro
passi ci s'imbattesse a un tratto in qualcuno che affoga in un
sito deserto, di notte. Perbacco! Non c'è tempo da perdere. Beh, è
anche una responsabilità... Ma credo di essere all'altezza.'
Devo dirvi che la ragazza da un po' di tempo ci aveva lasciati
soli. Si batté il petto. 'Sì! Mi rendo conto di questo, ma sono
convinto di essere all'altezza di tutta la mia fortuna!' Aveva la
virtù di trovare un particolare senso in tutto quello che gli
accadeva. E la sua storia d'amore l'aveva presa per questo verso.
Un punto di vista idillico, un poco solenne, e anche autentico,
perché la sua convinzione aveva tutta la incrollabile serietà
della giovinezza. Qualche tempo dopo, in un altro colloquio, mi
disse: 'Sono qui da due anni appena, eppure, parola mia, non so
concepire come si possa vivere altrove. Il solo pensiero del mondo
fuorivia mi fa spavento; perché si capisce,' soggiunse, seguendo a
occhi bassi i movimenti della propria scarpa molto seriamente
impegnata a spiaccicare a regola d'arte un pezzetto di fango secco
(passeggiavamo lungo la sponda del fiume) '... che non ho mica
dimenticato la ragione che mi ha condotto qui. Non ancora!'
Mi astenni dal guardarlo, ma direi di aver sentito un breve
sospiro; facemmo qualche passo in silenzio. 'Sull'anima mia e in
coscienza,' riprese, 'se si può dimenticare una cosa simile,
allora credo di avere il diritto anch'io di sradicarmela dalla
mente. Domandi a chi vuole, qui...' La sua voce mutò. 'Non è
strano,' soggiunse in tono dolce, quasi supplichevole, 'che tutta
questa gente, tutta questa gente che per me si butterebbe nel
fuoco, non possa mai far tanto di capire? Mai! Se lei non credesse
in me, io non potrei chiamarli a testimonianza. Sembra ingiusto.
Sono stupido, vero? Che potrei desiderare di più? Se lei domanda a
chiunque di loro chi è coraggioso - chi è fedele chi è giusto -
chi è quello a cui affiderebbero la loro vita direbbero, Tuan Jim.
Eppure non potranno mai sapere la verità, la verità vera...'
Questo mi disse l'ultimo giorno che passai con lui. Mi guardai
bene dall'insistere sul tema; sentii che avrebbe potuto seguitare
a parlare ancora, ma non si sarebbe avvicinato di un'oncia alla
radice della questione. Il sole, che con la sua luce concentrata
riduce la terra a un briciolo di fango inquieto, era calato dietro
la foresta, e la luce diffusa da un cielo opalino sembrava versare
su un mondo senza ombre e senza lucentezza l'illusione di una
calma e pensosa grandezza. Non so perché, ascoltando lui, mi sia
accaduto di notare con tanta precisione il graduale oscurarsi del
fiume dell'aria: il lavorìo lento e inoppugnabile della notte che
si stende in silenzio su tutte le forme visibili, cancellando i
contorni, seppellendo le parvenze sempre più a fondo, come per la
caduta costante di un'impalpabile sostanza nera.
'Perdiana!' cominciò a un tratto, 'ci sono dei giorni che uno è
davvero troppo assurdo; ma so che a lei posso dire tutto. Dico
sempre di non pensarci più a quella maledetta faccenda... e sempre
l'ho in fondo al cervello... Dimenticare!... Dio mi punisca se io
so... Però mi riesce di pensarci con calma. Dopo tutto, che cosa
provava? Nulla. Immagino che lei non la pensi così...' Feci un
accenno di protesta.
'Non fa niente,' disse. 'Sono soddisfatto... quasi. Mi basta
guardare in viso il primo che incontro qui per riacquistare la
fiducia in me stesso. Non si può portarli a capire, questa gente,
quel che succede in me. E con questo? Andiamo, che non me la sono
cavata tanto male.'
'Non tanto male,' feci.
'Eppure, tutto sommato, lei a bordo della sua nave non mi ci
vorrebbe: no?'
'Vada al diavolo!' esclamai. 'La smetta...'.
'Aha! Lo vede?' ribatté, con aria, per così dire, di placido
trionfo. 'Soltanto,' soggiunse, 'provi a dirlo a chi vuole,
quaggiù: la prenderanno per matto, bugiardo o peggio. E io resisto
qui. Ho pur fatto qualche cosa per loro, ma questo è quanto hanno
fatto loro per me.'
'Mio caro ragazzo,' esclamai, 'per loro lei sarà sempre un mistero
insolubile.' E qui restammo un po' in silenzio.
'Un mistero,' ripeté, prima di alzare gli occhi. 'E allora resto
qui per sempre.'
Dopo il tramonto del sole, il buio sembrò venirci addosso, portato
da ogni alito di brezza. Nel mezzo di un sentiero costeggiato da
siepi vidi la figura di Tamb'Itam immobile, allampanato, vigile,
che pareva reggersi su una gamba sola; e oltre una zona di
penombra, scorsi una cosa bianca muoversi avanti e indietro, di là
dai sostegni del tetto. Appena Jim con Tamb'Itam alle calcagna se
ne fu partito per la sua ronda serale io, rimasto solo, mi avviavo
verso casa, quando, inaspettatamente, mi vidi tagliare la strada
dalla ragazza che evidentemente aspettava quest'occasione.
E' un po' difficile dirvi che cosa esattamente volesse estorcermi.
Senza dubbio qualche cosa di semplice - la più semplice
impossibilità del mondo; come, per esempio, l'esatta descrizione
della forma di una nuvola. Un'assicurazione, una dichiarazione,
una promessa, una spiegazione - non so come chiamarla; una cosa
senza nome. Faceva buio sotto l'ala del tetto, e non potevo veder
altro che le mobili linee della sua veste, il pallido ovale della
sua faccia piccolina, il lampo bianco dei suoi denti, e, rivolte a
me, le grandi orbite scure dei suoi occhi, dove sembrava annidarsi
una leggera agitazione, quale possiamo immaginar di scorgere
spingendo lo sguardo in un pozzo di smisurata profondità. Che c'è
laggiù che si muove? Ci si domanda. E' un mostro cieco, o soltanto
una luce perduta dell'universo? Mi venne in mente - non ridete -
che a parte tutte le differenze, era più indecifrabile lei nella
sua ignoranza infantile, che la sfinge coi suoi enigmi infantili
proposti al passeggero. Era stata portata a Patusan prima di
aprire gli occhi. Era cresciuta lì; senza vedere mai nulla, sapere
nulla, farsi un concetto di nulla. Mi domando se aveva neanche
l'idea che esistesse qualche altra cosa. Non riesco a figurarmi
quali immagini si fosse fatta del mondo lontano: tutto quel che
conosceva dei suoi abitanti era una donna tradita e un pagliaccio
sinistro. Anche il suo innamorato veniva da quel mondo, con un
dono di seduzioni invincibili; ma che sarebbe stato di lei, se
fosse tornato in quelle regioni inconoscibili che sembravano
reclamare sempre a sé i propri figli? Sua madre l'aveva avvertita
di questo, piangendo, prima di morire...
Mi aveva afferrato forte per un braccio, e appena mi ero fermato
aveva subito ritirata la mano. Era audace e ritrosa. Non aveva
paura di nulla, ma era trattenuta da una profonda titubanza e da
un estremo disagio - una creatura coraggiosa brancolante nel buio.
Io appartenevo a quell'Inconoscibile che avrebbe potuto reclamare
Jim, da un momento all'altro, per sé. Ero, per così dire, nei
segreti della sua natura e delle sue intenzioni... partecipe di un
mistero pieno di minaccia... forse, armato del suo stesso potere!
Doveva pensare - credo - che io con una parola avrei potuto
strapparglielo proprio di fra le braccia, il suo Jim. Sono alla
lettera persuaso che, durante le mie lunghe conversazioni con lui,
la poveretta doveva aver passato agonie d'apprensione; e
un'angoscia così autentica e intollerabile da portarla fino a
preparare la mia morte se avesse avuto una ferocia naturale pari
allo sconvolgimento della sua fantasia. E' soltanto una mia
impressione; di più non posso offrirvi; tutto questo mi si rivelò
per gradi, e via via che la cosa mi si faceva più chiara ero preso
di crescente stupore incredulo. Mi obbligò a crederle, ma non c'è
parola che sulle mie labbra possa dare l'effetto di quel suo
mormorìo serrato e veemente, di quei toni caldi, appassionati, di
quelle improvvise pause affannate e del gesto d'implorazione di
quelle braccia bianche sollevate d'impeto. Le braccia le
ricaddero, la figura evanescente oscillò come un albero sottile al
vento, il pallido ovale del viso le si abbassò triste; era
impossibile distinguerne i tratti, o sondarne l'ombra degli occhi;
due ampie maniche si levarono nel buio come l'aprirsi di due ali,
ed ella restò così, in silenzio, col capo tra le mani ".
CAPITOLO 33.
"Ero infinitamente commosso; la sua giovinezza, la sua ingenuità,
la sua graziosa bellezza che aveva il semplice fascino e il vigore
delicato di un fiore selvatico, il suo accorato supplicare, quella
sua vita indifesa, suscitavano in me una tenerezza profonda quanto
la sua paura assurda e naturale. Aveva paura dell'ignoto come noi
tutti, ma la sua ingenuità le figurava l'ignoto di vastità
infinita. L'Inconoscibile, per lei, era costituito da me,
personalmente e in rappresentanza di tutti voi, di tutti quelli ai
quali in realtà non importava niente di Jim e che non avevano
alcun bisogno di lui. Sarei stato più che pronto a garantire
i'indifferenza di questo mondo affollatissimo, se non mi avesse
trattenuto il pensiero che anche Jim apparteneva a quel misterioso
ignoto creato dai timori di lei, e che, per quante garanzie
potessi dare, non potevo garantire per lui. Questo mi tenne
incerto. Un suo sospiro di desolata tristezza mi dissigillò le
labbra. Cominciai col ribadire che per lo meno io ero lungi da
ogni intenzione di portar via Jim.
'E allora perché ero venuto?' - disse la ragazza; e subito riprese
la sua immobilità come una statua di marmo nel buio. Cercai di
spiegare in poche parole: motivi di amicizia, affari; se una cosa
desideravo era, se mai, che Jim rimanesse... 'Sempre ci lasciano,'
mormorò. Questo soffio di triste saggezza venuto da una tomba che
la sua pietà inghirlandava di fiori sembrò trasvolare come un
sospiro leggero... Nulla, risposi, avrebbe potuto separare Jim da
lei.
E ne sono fermamente convinto oggi come ne ero fermamente convinto
allora; era l'unica conclusione possibile allo stato delle cose.
Né concorsero a persuadermi le parole ch'ella mi sussurrò come
parlando tra sé: 'Me lo ha giurato.' 'Perché, lei glie lo ha
chiesto?' domandai.
Mi si avvicinò di un passo. 'No. Mai.' Gli aveva chiesto soltanto
di andarsene: quella notte sulla riva del fiume dopo che Jim ebbe
ucciso quel sicario - dopo che lei aveva gettato la torcia
nell'acqua perché lui la guardava in quel modo. C'era troppa luce,
e il pericolo era passato... per un poco... per un poco. Jim disse
che non l'avrebbe lasciata alle mani di Cornelius. Lei aveva
insistito. Voleva che la lasciasse. Lui replicò che non poteva...
che era impossibile: e tremava dicendo così. Lo aveva sentito
tremare... Non occorre molta fantasia per immaginarsi la scena,
fin quasi a udirne il sussurro. Aveva anche paura per lui. Credo
che allora non vedesse in lui che la vittima designata, e credesse
di accorgersi dei pericoli meglio di lui. Sebbene con la sola sua
presenza Jim le avesse preso il cuore, le avesse riempito di sé
tutti i pensieri, si fosse impadronito di tutto il suo affetto,
tuttavia la ragazza sottovalutava le probabilità di riuscita di
lui. E' evidente che in quell'epoca tutti erano portati a
sottovalutare queste probabilità. A rigor di termini, non ne
aveva. So che questo era anche il punto di vista di Cornelius. Me
lo confessò lui per attenuare la gravità dell'azione sospetta che
aveva svolto nel complotto dello sceriffo Alì per toglier di mezzo
l'infedele. Perfino lo stesso sceriffo Alì, come ormai sembra
certo, aveva un'opinione piuttosto modesta sull'uomo bianco. Jim
doveva essere assassinato soprattutto per motivi di religione,
credo. Come semplice atto di fede, altamente meritorio, ma, per
altri rispetti, di scarsa importanza. Su quest'ultima parte,
Cornelius era d'accordo. 'Eccellenza,' osservò, sempre abietto,
l'unica volta che riuscì a parlarmi da solo a solo. 'Eccellenza,
come facevo a indovinare? Chi era lui? Come poteva persuadere la
gente ad accordargli fiducia? Cosa intendeva il signor Stein
mandando un ragazzo come quello a far la voce grossa con un
vecchio impiegato come me? Ero pronto a salvarlo per ottanta
dollari. Ottanta dollari appena. Perché non se n'è andato
quell'imbecille? Dovevo farmi pugnalare per i begli occhi di un
estraneo?' Si rivoltolava, moralmente, nel fango davanti a me, col
corpo piegato in due, in atto servile e agitando le mani intorno
alle ginocchia, come se volesse abbracciarmi le gambe. 'Cosa sono
ottanta dollari? Una somma insignificante da dare a un vecchio
inerme, rovinato per sempre da quella defunta del diavolo.' Qui si
mise a piangere. Ma sto anticipando i tempi. Quella notte non mi
incontrai con Cornelius se non dopo aver terminato il colloquio
con la ragazza.
Era stato un tratto generoso da parte di lei esortare Jim a
lasciarla; anzi a lasciare il paese. Sua prima preoccupazione era
il pericolo che correva lui, sebbene cercasse anche, nel medesimo
tempo, e magari inconsciamente, di salvare se stessa; ma pensate
agli avvertimenti, alla lezione che aveva potuto trarre da ogni
minuto di quella vita finita da poco e in cui si accentravano
tutti i suoi ricordi. Gli cadde ai piedi - così mi disse lei - là
vicino al fiume, nella luce discreta delle stelle che dava solo
risalto a grandi masse d'ombre silenziose, spazi vuoti,
indefiniti, e che col riflesso del loro debole tremolio sul largo
corso d'acqua, creavano l'illusione d'una vastità marina. L'aveva
rialzata da terra. L'aveva rialzata e lei non aveva più voluto
lottare. No. Più. Braccia forti, voce dolce, spalla robusta su cui
appoggiare la sua povera testolina solitaria: il bisogno... il
bisogno infinito di tutto questo per il cuore dolente, lo spirito
smarrito, gli stimoli della gioventù, la necessità del momento!
Che volete farci? Si capisce- a meno di esser incapaci di capire
qualsiasi cosa sotto il sole. E perciò le piacque di essere tirata
su e tenuta stretta. 'Sa... perdiana! è una cosa seria... niente
sciocchezze!' mi aveva sussurrato Jim in fretta sulla soglia di
casa sua, serio e turbato. Non m'intendo molto di sciocchezze, ma
certo non era una cosa a cuor leggero il loro idillio; si erano
incontrati all'ombra del crollo di una vita, come un cavaliere
antico e una donzella s'incontravano a scambiarsi i loro
giuramenti tra le rovine popolate di fantasime. Per la loro
vicenda bastava la luce delle stelle, una luce lieve e lontana che
non riusciva a dar forma alle ombre, né a scoprire alla vista
l'altra sponda del fiume. Anch'io guardai il fiume quella notte, e
dallo stesso punto: scorreva silenzioso e più nero dello Stige:
partii il giorno dopo, ma difficilmente dimenticherò a quale
pericolo voleva sfuggire la ragazza quando supplicava Jim di
andarsene finché era in tempo. Me lo disse lei, qual'era questo
pericolo, allorché si fu calmata; e nel suo impeto tutto
passionale era ormai lontana da un semplice eccitamento: con una
voce che parve lieve, nel buio, come la sua figura bianca quasi
evanescente, mi disse: 'Non volevo morire piangendo'. Credetti di
non aver capito bene.
'Lei non voleva morire piangendo?' ripetei. 'Come mia madre,'
soggiunse pronta. Il profilo della sua sagoma candida restò
assolutamente immobile. 'Mia madre pianse amaro prima di morire,'
spiegò. Una calma indicibile sembrava essere intorno a noi, salita
quasi impercettibilmente, come di notte la insidiosa piena di un
fiume, a cancellar i termini delle sensazioni familiari. Come se
mi fosse mancato il piede nel bel mezzo di un guado, mi sentii
addosso un terrore improvviso - il terrore di una profondità
sconosciuta. La fanciulla continuò a raccontare che durante gli
ultimi momenti di sua madre, trovandosi sola con lei, dovette
allontanarsi dal giaciglio per mettersi con la schiena contro la
porta e tenerla chiusa, ché Cornelius voleva venir dentro, e
seguitava a picchiare con tutt'e due i pugni, interrompendosi solo
per urlare con voce rauca: 'Aprimi! Aprimi! Aprimi!' In un angolo
lontano, su poche stuoie, la moribonda, già senza parola, e
incapace di sollevare un braccio, volgeva il capo di qua e di là,
e con un debole gesto della mano sembrava ordinare: No! No! mentre
la figlia non le toglieva gli occhi di dosso, puntando a tutta
forza le spalle contro la porta. 'Le caddero due lagrime giù dagli
occhi - e poi morì,' concluse la ragazza con un'imperturbabile
monotonia, che più di tutto il resto - più dell'immobilità
statuaria della persona, più delle stesse parole - riusciva a
turbar profondamente con la rievocazione di quella scena di orrore
passivo, ineluttabile. Quella voce aveva il potere di strapparmi
fuori dal mio concetto della vita, dal riparo che ognuno di noi si
costruisce per infilarcisi dentro nei momenti di pericolo, come
una tartaruga nel suo guscio. Per un istante ebbi davanti agli
occhi la visione di un mondo in aspetto di vasto e desolato
disordine, mentre in realtà, grazie ai nostri sforzi instancabili,
esso rappresenta il più luminoso sistema di piccoli espedienti
pratici che mente umana possa concepire. Ma fu un attimo; tornai
subito nel mio guscio. BISOGNA tornarci - non è vero? - sebbene a
me sembrasse anche di aver perduto tutte le mie parole nel caos di
cupi pensieri che avevo contemplato per uno o due secondi di là
dalla frontiera. Ma mi tornarono ben presto anche le parole,
perché anch'esse appartengono al concetto di luce e d'ordine che è
il nostro rifugio di protezione. Me le trovai a disposizione prima
ancora di sentirla mormorare dolcemente: 'Mi ha giurato di non
lasciarmi mai, quando eravamo lì, soli! Me lo ha giurato!...' 'Ed
è possibile che lei... lei! non gli creda?' domandai, con tono di
sincero rimprovero, ché veramente mi sentivo urtato. Perché non
poteva credergli? A che scopo tutta quella smania d'inquietudine,
quell'attaccarsi a tutte le paure, come se l'inquietudine e la
paura fossero la salvaguardia del suo amore? Era mostruoso.
Avrebbe dovuto farsi, di quell'onesto affetto, un rifugio di pace
inespugnabile. Ma forse mancava dell'esperienza... o forse della
capacità necessaria. Ci aveva sorpresi la notte; si era fatto buio
presto intorno a noi, sicché la ragazza era insensibilmente
svanita come la forma impalpabile di uno spirito inquieto e
dispettoso. E a un tratto la sentii di nuovo mormorare calma:
'Altri uomini bianchi hanno fatto gli stessi giuramenti.' Era come
il commento interiore a un pensiero pieno di tristezza e di
terrore. E soggiunse, ancora più piano, se possibile: 'Anche mio
padre.' S'interruppe per trarre un impercettibile sospiro. 'Anche
il padre di mia madre...' Queste cose sapeva! Subito dissi: 'Ah!
ma lui non è così!' Su questo punto sembrava non voler discutere;
ma dopo un poco mi tornò all'orecchio il calmo strano mormorio che
passava come in sogno nell'aria: 'In che è diverso? E' migliore,
lui? E'...' 'Credo di sì,' interruppi. 'Sulla mia parola d'onore.'
Abbassammo la voce, in tono di mistero. In mezzo alle capanne, tra
gli operai di Jim (in gran parte schiavi liberati dalla palizzata
dello sceriffo), qualcuno attaccò un canto acuto e strascicato.
Oltre il fiume un grande fuoco (in casa di Doramin, credo) formava
una palla di luce isolata nella notte. 'E' più leale?' mormorò
lei. 'Sì,' risposi.
'Più leale di tutti gli altri uomini?', ripeté, scandendo la
frase. 'Nessuno qui,' feci, 'si sognerebbe di dubitare della
parola di lui... nessuno oserebbe... tranne lei.'
Qui mi parve di vederle fare un gesto. 'Più coraggio,' proseguì
con altra voce. 'Non sarà mai la paura, è sicuro, a farlo
allontanare da lei,' replicai un po' inquieto. Il canto
s'interruppe su una nota acuta, a cui seguirono varie voci in
lontananza. Anche quella di Jim. Mi stupì il silenzio di lei. 'Che
le ha detto? Le ha detto qualche cosa?' domandai. Nessuna
risposta. 'Che le ha detto?' insistei.
'E come faccio a dirglielo? Che ne posso sapere, io? Che ne
capisco?' esclamò alla fine. Colsi appena un movimento. Credo che
stesse torcendosi le mani. 'C'è qualche cosa che lui non potrà mai
dimenticare.'
'Tanto meglio per lei,' ribattei cupamente.
'Che cos'è? Che cos'è?' Dette una straordinaria forza di
invocazione al tono supplichevole della sua voce. 'Dice che ha
avuto paura. Come posso crederlo? Sono matta, io, da crederlo?
Siete tutti pieni di ricordi di laggiù, voialtri. Ci tornate
tutti, laggiù, a ritrovarli. Che cos'è? Me lo dica lei! Che è
questa cosa? E' una cosa viva?... è una cosa morta? Una cosa che
odio, perché è senza pietà. Ha forse una faccia e una voce...
questa sciagura? La vedrà lui? la sentirà? Forse nel sonno, quando
non può vedermi... e allora si alzerà e se n'andrà. Ah! non gli
perdonerò mai. Mia madre aveva perdonato... ma io no, mai! Ci sarà
un segno... un richiamo?...'
Era un fatto straordinario. Dubitava perfino del sonno
dell'amato... e credeva che io le potessi spiegare il perché! Così
un povero mortale, sotto il fascino di un fantasma, potrebbe
cercar di strappare a un altro spettro il tremendo segreto
dell'attrazione dell'al di là su un'anima incorporea, vagante tra
le passioni di questa terra. La terra stessa, su cui poggiavo,
sembrava dissolversi sotto i miei piedi. Eppure, era così
semplice: ma se gli spiriti evocati dalle nostre paure e dalla
nostra inquietudine hanno mai dovuto garantire l'uno per l'altro
la loro costanza di fronte a quei maghi derelitti che siamo noi,
io in quel momento, io solo tra i rivestiti di carne, fui
costretto a rabbrividire per il gelo disperato di un simile
compito. Un segno, un richiamo! Si esprimeva in termini così
efficaci, la sua ignoranza! Poche parole! Come le avesse imparate
e come facesse a formularle, non riesco a immaginarmelo. Le donne
traggono ispirazione dalla stretta di momenti che a noi appaiono
soltanto spaventosi, assurdi, o futili. La semplice scoperta che
aveva una voce bastava a far tremare il cuore. Se una pietra
calpestata avesse gridato di dolore non sarebbe stata una cosa più
grande né più pietosa. Quei pochi sussurri nel buio mi scopersero
alla mente la tragedia delle loro due vite ottenebrate. Era
impossibile farle capire. Mi irritai tra di me di essere un buono
a nulla. E anche Jim... povero diavolo! Chi poteva aver bisogno di
lui? ricordarlo? Aveva quel che voleva: ché ormai tutti si erano
forse dimenticati della sua stessa esistenza. Avevano entrambi
soggiogato i loro destini. Erano nella tragedia.
Ella stava immobile al mio fianco evidentemente in attesa, e ora
sarebbe stato mio compito parlare in favore di quel mio fratello
richiamato dal regno delle ombre in oblio. Ero profondamente
scosso per la mia responsabilità e per la sua pena. Avrei pagato
qualunque cosa per riuscire a calmare la sua anima così fragile e
che si dibatteva nella sua ineluttabile ignoranza, come un
uccellino contro le sorde sbarre della gabbia. Niente di più
facile che dire: Non temere! Niente di più difficile. Chi sa come
si farà a uccidere la paura? Come si fa a colpire al cuore uno
spettro con una fucilata, a tagliargli la testa di spettro con un
fendente, ad afferrarlo per la sua gola di spettro? E' un'impresa
a cui ci si butta nei sogni, e che si è ben contenti quando se ne
esce fuori con i capelli madidi e tutte le membra in tremore.
Quella pallottola non è ancora stata fusa, quella lama non ancora
forgiata, e ancora non è nato quell'uomo; perfino le parole alate
della verità cadono ai nostri piedi come pezzi di piombo. Occorre
per uno scontro così disperato una freccia incantata e avvelenata,
intinta in una menzogna tanto sottile come non ce n'è sulla terra.
Un'impresa di sogno, signori miei!
Cominciai il mio esorcismo con un peso al cuore, e anche una
specie di rabbia sorda. Giungeva da oltre il cortile la voce di
Jim, levatasi a un tratto severa, a rimproverare qualcuno che
doveva avere commesso qualche sciocca mancanza. Nulla cominciai
con parole sommesse, ma nette - non ci poteva esser nulla in quel
mondo sconosciuto, che lei immaginava tanto impaziente di rubarle
la sua felicità: nulla c'era né vivo né morto, non un viso, né una
voce, né una forza capaci di strapparle dal fianco il suo Jim.
Ripresi fiato, e lei mormorò dolcemente: 'Me l'ha detto.' '"Le ha
detto la verità,' replicai. 'Nulla,' sospirò; e a un tratto mi si
rivolse con voce quasi impercettibile. 'Perché è venuto tra noi da
laggiù, lei? Jim parla troppo spesso di lei. Lei mi fa paura.
Lei... ha bisogno di Jim?' Una specie di ferocia segreta si era
infiltrata nel nostro mormorio concitato. 'Io, qui, non ci tornerò
mai più,' dissi con amarezza. 'E non ho bisogno di Jim. Nessuno ha
bisogno di lui.' 'Nessuno,' ripeté non convinta. 'Nessuno,'
affermai, in preda a una strana emozione. 'Lei lo crede forte,
saggio, coraggioso, grande... perché non crederlo anche sincero?
Io partirò domani - e così, tutto finito; lei non sarà mai più
turbata da nessuna voce di laggiù. Quel mondo che lei non conosce
è troppo grande per accorgersi della mancanza di Jim. Capisce?
Troppo grande. Lei ha nelle sue mani il cuore di Jim. Deve
rendersi conto di questo. Deve saperlo.' 'Sì, lo so,' fece in un
soffio, duro e fermo, come potrebbe essere quello di una statua.
Sentii di non esser riuscito a niente. Ma a che cosa volevo
riuscire? Oggi non lo so più bene. Ero allora animato da una
inesplicabile ardenza, come davanti a un compito grande e
necessario - era l'influsso del momento sul mio stato mentale ed
emotivo. Nella vita di tutti noi ci sono momenti simili a tali
influssi, per così dire, dal di fuori; irresistibili,
incomprensibili - quasi creati da misteriose congiunzioni di
pianeti. Quella ragazza possedeva, come avevo detto a lei, il
cuore di Jim. Possedeva quello e tutto il resto - qualora fosse
riuscita a crederci. Io le avevo detto semplicemente che nessuno
al mondo avrebbe mai avuto bisogno del cuore, del cervello, della
mano di lui. E' la condizione comune: eppure, detta d'un singolo,
sembrava una cosa orrenda. Mi ascoltò senza aprir bocca; il suo
silenzio era adesso come la reazione di una insuperabile
incredulità. Che glie ne doveva importare, a lei, del mondo al di
là di quelle foreste? - domandai. Dalla varia moltitudine che
popolava la vastità di quel mondo ignoto, potevo affermarle che
non sarebbe mai venuto, vita durante, né un richiamo né un segno
per Jim. Mai. Ero lanciato: Mai! Mai! Ricordo con meraviglia la
mia spietata insistenza. Avevo l'illusione di aver finalmente
afferrato lo spettro per la gola. Veramente, la realtà di quel
colloquio mi ha lasciato in tutti i suoi particolari lo stupore di
un sogno. Che aveva da temere? Sapeva che egli era forte, sincero,
savio, coraggioso: tutto questo era. Certo. Era di più. Era
grande... invincibile... e il mondo non aveva bisogno di lui, lo
aveva dimenticato, non lo riconoscerebbe nemmeno.
M'interruppi; il silenzio su Patusan era profondo; e il lieve
rumore di una pagaia contro il fianco di una canoa in un punto in
mezzo al fiume sembrava riprenderlo all'infinito. 'Perché?'
mormorò. Provai quella specie di rabbia che si prova durante una
lotta accanita. Lo spettro tentava di scivolar via dalla mia
stretta. 'Perché?' ripeté più forte; 'me lo dica!' E siccome
indugiavo perplesso, batté un piede per terra come un bambino
capriccioso. 'Perché? Parli.' 'Vuole saperlo?' domandai furibondo.
'Sì!' esclamò. 'Perché non vale abbastanza,' ribattei con
brutalità. Nel breve silenzio che seguì vidi il fuoco sull'altra
sponda crescere tutto a un tratto d'intensità, dilatando il suo
cerchio di luce come un occhio per stupore, e subito contrarsi in
una rossa punta di spillo. Mi accorsi di quanto la ragazza mi era
vicina soltanto quando sentii la stretta delle sue dita sul mio
avambraccio. Mise nella sua voce trattenuta un'infinità di rovente
disprezzo, di amarezza e di disperazione.
'E' proprio quello che ha detto lui... Lei mente.'
Le ultime due parole me le gridò nel suo dialetto indigeno. 'Mi
ascolti!' supplicai; ebbe un tremito di singulto, e mi lasciò il
braccio. 'Nessuno, nessuno vale abbastanza,' cominciai col più
grande impeto. Udivo il suo faticoso ansimare rotto da singhiozzi
e paurosamente concitato. Abbassai il capo. A che pro? Sentivo
avvicinarsi dei passi; scivolai via senza aggiungere parola...".
CAPITOLO 34.
Marlow allungò le gambe, balzò in piedi, e barcollò un poco, come
se avesse atterrato dopo un salto attraverso lo spazio. Appoggiò
la schiena contro la balaustra, di fronte alla scomposta fila
delle poltrone di vimini. Il suo movimento parve riscuotere dal
loro torpore i corpi che vi stavano adagiati. Un paio si
drizzarono a sedere, trasalendo; qua e là ardeva ancora qualche
sigaro; Marlow li guardò a uno a uno con gli occhi di chi torna
dall'infinita lontananza di un sogno. Uno si schiarì la gola; una
voce calma parve incitare, ma senza interesse: "E poi?"
"E poi niente", rispose Marlow, riscosso appena. 'Glie lo aveva
detto,' ecco tutto. E lei non gli aveva creduto - e niente altro.
Quanto a me, non so se è giusto, conveniente, da persona a modo,
che io me ne rallegri o me ne rammarichi. Per parte mia, non
saprei che ne pensassi allora - e in realtà non lo so neanche
adesso, ed è probabile che non lo saprò mai. Ma quel povero
diavolo che pensava? La verità deve trionfare - sapete? Magna est
veritas et... Sì, quando ce la fa. C'è una legge senza dubbio -
come c'è una legge che regola la sorte ai dadi. Non è la
Giustizia, serva degli uomini, ma sono l'accidente, il caso, e la
Fortuna - alleata del Tempo paziente - a reggere quella bilancia
equilibrata e scrupolosa. Tutti e due le avevamo detto la stessa
identica cosa. Ma avevamo detto tutti e due la verità?- o uno solo
- o nessuno?..."
Marlow s'interruppe, incrociò le braccia sul petto, e poi, con
altro tono:
"Lei disse che noi eravamo bugiardi. Poveretta. Beh... lasciamo la
decisione al caso, che ha per alleato il Tempo, il quale non si
può accelerare, e per nemica la Morte, che non si può ritardare.
Avevo battuto in ritirata - un po' avvilito, lo confesso. Avevo
tentato di lottare con la paura in persona - e ero stato messo a
terra io, naturalmente. Ero riuscito soltanto ad aggiungere
all'angoscia della ragazza il sospetto di qualche segreta
combutta, di una cospirazione complicata e misteriosa per tenerla
allo scuro per sempre. E tutto questo così, senza sforzo,
naturalmente, ineluttabilmente, per opera di lui, di lei stessa!
Era come se mi fosse stato rivelato il meccanismo dell'implacabile
destino di cui siamo le vittime - e gli strumenti. Era spaventoso
pensare a quella ragazza che avevo lasciato lì, nella sua
immobilità; i passi di Jim avevano un suono di fatalità mentre,
senza vedermi, si avvicinava con le sue pesanti scarpe allacciate.
'Come! Al buio?' disse a voce alta, sorpreso. 'Che state facendo
al buio - voi due?' Subito dopo dovette scoprire lei. 'Ciao,
ragazza!' esclamò allegramente. 'Ciao, ragazzo!' rispose l'altra
di rimando, con mirabile forza d'animo.
Era il loro saluto abituale, e quel tanto di spacconeria che lei
metteva nella sua voce piuttosto acuta, ma dolce, faceva un
effetto molto buffo, grazioso e infantile; e piaceva tanto a Jim.
Questa fu l'ultima volta che li udii scambiarsi quel saluto
familiare, e mi gelò il cuore. Era la solita voce acuta e dolce,
la solita graziosa sforzatura, la solita spacconeria; ma tutto
sembrò troppo presto spento, e il giocondo richiamo suonò
piuttosto come un gemito. Era maledettamente triste. 'Che ne hai
fatto di Marlow?' chiedeva Jim; e poi: 'E' sceso - sì? Strano che
non l'ho veduto... E' lì, lei, Marlow?'
Non risposi. Non volevo intervenire... non ancora per lo meno.
Proprio non potevo. Mentre mi chiamava io badavo a svignarmela
attraverso un cancelletto che metteva a un terreno aperto sboscato
di fresco. No; non avevo ancora il coraggio di trovarmi faccia a
faccia con loro. Camminavo a passo svelto, testa bassa, lungo una
traccia di sentiero. Il terreno era in leggera salita, i pochi
alberi grandi erano stati abbattuti, il sottobosco tagliato e
l'erba bruciata. Jim aveva in progetto di tentare una piantagione
di caffè. La grande collina, erta la doppia vetta, nera come il
carbone contro il giallino della luna nascente, sembrava gettar la
sua ombra sullo scasso preparato per l'esperimento. Jim intendeva
farne tanti altri, di esperimenti; avevo ammirato la sua energia,
il suo spirito d'iniziativa, la sua sagacia. Niente al mondo
sembrava meno reale, adesso, dei suoi piani, della sua energia e
del suo entusiasmo; alzando gli occhi, vidi uno spicchio di luna
scintillare attraverso i cespugli dietro lo spacco della collina.
Per un momento si sarebbe detto che quel disco liscio, cadendo in
terra dal suo luogo nel cielo, si fosse sprofondato nel
precipizio; la sua ascensione, un rimbalzo a rilento; si liberò da
un intrico di ramoscelli; il ramo nudo e contorto di un albero le
attraversò la facciona d'un taglio nero. Irradiava lo spazio a
fasci paralleli come di fondo a una caverna, e in questa
malinconica luce da eclissi i ceppi degli alberi tagliati
mettevano macchie d'uno scuro intenso, e le loro ombre compatte mi
raggiungevano da ogni lato: ai miei piedi la mia ombra mobile, e
quella della tomba solitaria perpetuamente inghirlandata di fiori,
che mi attraversava il sentiero. Nella luce attenuata della luna
le corolle della ghirlanda assumevano forme non presenti alla
memoria e colori non definibili all'occhio, come di fiori non
raccolti da mani umane, cresciuti non sulla terra, e destinati
soltanto ai morti. Il loro profumo acuto aleggiando nell'aria
calda, la rendeva densa e greve come i fumi dell'incenso. Le
pietre di corallo bianco spiccavano intorno alla zona d'ombra come
un rosario di crani rinsecchiti; così profondo era il silenzio
intorno, che quando mi fermai parvero spenti ogni suono e ogni
movimento del mondo.
Era una gran pace, come se la terra fosse stata tutta una tomba, e
per un poco rimasi là, col pensiero fisso alle creature vive che,
sepolte in luoghi remoti, fuori anche dalla conoscenza
dell'umanità, sono condannate dal destino a condividerne le
tragiche o grottesche miserie. E anche, chi sa? le sue lotte
generose. Il cuore umano è tanto vasto da contenere tutto il
mondo; tanto valente da sopportarne il peso; ma chi avrebbe, poi,
il coraggio di liberarsene?
Dovevo essermi lasciato prendere dall'umore sentimentale, forse;
so soltanto che mi indugiai lì tanto quanto bastò a che quel senso
di solitudine assoluta si impadronisse di me, e così a fondo da
farmi credere che tutto ciò che dianzi avevo veduto e udito,
compresa la stessa parlata umana, fosse trasmigrato fuori dalla
nostra esistenza, affidato ancora solo per un poco alla mia
memoria, come se fossi stato l'ultimo abitante della terra. Era
una illusione strana e malinconica, sviluppatasi nel subcosciente
come tutte le nostre illusioni, le quali mi sta in mente altro non
siano se non visioni di una verità remota e irraggiungibile,
appena intravista. Quello era senza dubbio uno dei luoghi persi,
dimenticati, sconosciuti della terra; me l'ero studiato fin sotto
la sua superficie oscura; era chiaro che domani, quando l'avessi
lasciato per sempre, sarebbe scivolato fuori dell'esistenza, per
vivere soltanto nella mia memoria finché non fossi finito in
dimenticanza anch'io. Pure adesso mi produce quella sensazione:
alla quale si deve forse se mi sono indotto a raccontarvi questa
storia, a tentar di trasmettervi la sua, per così dire, autentica
consistenza, la sua realtà - la verità sbocciata da una momentanea
illusione.
Venne ad interromperla Cornelius. Uscì fuori, come un verme,
dall'erba alta che cresceva in un avvallamento del terreno. Doveva
esser lì vicino quel marciume della sua casa, che io non avevo mai
vista, non essendomi allontanato mai tanto in quei paraggi. Mi
corse incontro sul sentiero; gli vedevo spiccare contro il terreno
buio i piedi calzati di scarpe bianco sporco; si drizzò e cominciò
ad adularmi piagnucolando sotto il suo copricapo a tubo di stufa.
La sua piccola carcassa rinsecchita era tutta sepolta, ingoiata da
un abito di panno nero. Era vestito da festa, da cerimonia, e
questo mi ricordò che era domenica: la quarta che passavo a
Patusan. Durante tutta la mia permanenza mi ero vagamente accorto
del suo desiderio di confidarsi con me, appena fosse riuscito ad
avermi tutto per lui. Mi ciondolava intorno con un'espressione
avida e avvilita in tutta la sua faccetta acida e gialla; ma lo
tratteneva sia la timidezza quanto la mia naturale riluttanza a
trattare con un individuo così antipatico. Ci sarebbe arrivato,
comunque, se fosse stato meno pronto a sgattaiolare non appena gli
si mettevano gli occhi addosso. Sgattaiolava sotto lo sguardo
severo di Jim, sotto il mio, che pur mi sforzavo di conservare
indifferente; perfino sotto le occhiate dall'alto in basso,
arcigne, di Tamb'Itam. Sgattaiolava via in continuazione; ogni
volta che si vedeva guardato, muovendo obliquo, la testa inclinata
sulla spalla, o con un ghigno di malfidanza, o con un aspetto
desolato, pietoso, chiuso; ma sotto nessun atteggiamento riusciva
a nascondere l'innata, irrimediabile abiezione del suo carattere,
più di quanto un abito di sapiente confezione non riesca a
dissimulare una mostruosa difformità del corpo.
Non so se per lo scoraggiamento della completa sconfitta di meno
di un'ora fa, nel mio scontro con lo spettro della paura, io mi
lasciai accalappiare da lui senz'ombra di resistenza. Ero
destinato a fare il ricettacolo delle confidenze, e a trovarmi
alle prese con domande per le quali non c'è risposta. Era una
seccatura; ma il disprezzo, la ripugnanza gratuita per l'aspetto
di quell'individuo facilitava la cosa e aiutava a sopportarla. Non
aveva importanza. Nulla aveva importanza, dacché m'ero persuaso
che Jim, il solo che mi premesse, aveva finalmente dominato ii
proprio destino. Mi aveva detto di essere soddisfatto... quasi. E'
andar più oltre di quanto non osino i più di noi. Io - che ho il
diritto di considerarmi abbastanza a posto - non oserei. E nessuno
di voi, qui, non è vero?..."
Marlow s'interruppe, quasi attendesse una risposta. Nessuno fiatò.
"Benissimo", riprese. "Che non lo sappia anima viva. La verità può
esserci estorta solamente da qualche piccola catastrofe tremenda e
dolorosa. Ma lui è dei nostri, e ha potuto dire di essere
soddisfatto - quasi. Pensate un po'! Quasi soddisfatto. C'era da
invidiargli la sua catastrofe. Quasi soddisfatto. Dopo questo,
niente conta più niente. Non conta chi avesse sospettato di lui,
chi si fosse fidato di lui, chi gli volesse bene, chi gli volesse
male... tanto più se a volergli male era Cornelius.
Eppure, dopo tutto, anche questo era una specie di riconoscimento.
Si può giudicare un uomo dai suoi nemici quanto dai suoi amici, e
questo nemico di Jim era tale, che nessun uomo per bene si
vergognerebbe di averlo contro, anche senza prenderlo troppo sul
serio. Questo era il punto di vista di Jim, che condividevo; ma
Jim lo disprezzava per considerazioni d'indole generale. 'Mio caro
Marlow,' fece; 'sento che se io vado dritto, niente mi può
toccare. Io vado dritto. Ora lei è stato qui abbastanza per
essersi reso conto di come stanno le cose: e, francamente, non le
pare che sono del tutto al sicuro? Non dipende che da me, e,
perdiana! io ho un bel po' di fiducia in me stesso. Il peggio che
potrebbe farmi costui è di uccidermi, direi. Ma non credo affatto
che lo farebbe. Non gli basta l'animo, sa... nemmeno se il fucile
glie lo dessi io, carico; e poi mi mettessi col viso al muro.
Ecco: è fatto così... E anche se lo facesse... se ne avesse il
coraggio? Beh... e allora? Non sono scappato qui per salvarmi la
vita... non è vero? Sono venuto per mettermi le spalle al muro, e
ci sto...'
'Finché sarà soddisfatto... del tutto,' interruppi.
Stavamo seduti in quel momento sotto al carabottino di poppa della
sua barca; venti pagaie balenavano come una sola, dieci per parte,
battendo l'acqua con unico tonfo; dietro di noi Tamb'Itam
affondava senza rumore il suo remo a destra o a sinistra, per
mantenere la lunga canoa sul filo della corrente. Jim chinò il
capo, e lì sembro spegnersi davvero la nostra ultima
conversazione. Mi accompagnava fino alla foce del fiume. Lo
schooner era partito il giorno prima, arrancando sul riflusso, e
io avevo prolungato di una notte il mio soggiorno. Ora veniva ad
accompagnarmi.
Jim s'era preso un po' a male che io gli avessi anche soltanto
nominato Cornelius. In fondo, non avevo poi detto gran che. Troppo
insignificante, quello lì, per essere pericoloso, benché fosse
pieno di odio da scoppiare. Mi dava di 'eccellenza' ogni due
frasi, venendomi piagnucoloso a fianco a fianco in tutto il tratto
dalla tomba della sua 'defunta moglie' fino al cancello del
recinto di Jim. Giurava di essere il più infelice degli uomini,
una vittima, schiacciata come un verme; e che io lo guardassi,
supplicò. Io non ci pensai neanche e non voltai il capo; ma vedevo
con la coda dell'occhio la sua ombra ossequiosa strisciare vicino
alla mia, mentre la luna, sospesa sulla nostra destra, sembrava
godersi lo spettacolo in santa pace. Cercò di spiegarmi - come vi
ho detto - la parte che aveva avuto negli avvenimenti di quella
notte memorabile. Si trattava di fare il doppio giuoco. Come
poteva sapere chi avrebbe preso il sopravvento? 'Lo avrei salvato,
eccellenza! Lo avrei salvato per ottanta dollari,' protestò in
tono dulcoroso, tenendosi di un passo dietro a me. 'Si è salvato
da sé,' ribattei; 'e le ha perdonato.' Udii una risatina, ed
essendomi voltato di scatto lo credetti sul punto di darsela a
gambe. 'Che ci ha da ridere?' domandai, fermandomi. 'Non ci creda,
sa, eccellenza!' strillò, perdendo evidentemente il controllo sui
propri sentimenti. 'Lui, salvarsi! Non sa nulla, eccellenza! -
nulla di nulla. Chi è? Che ci fa qui? Che vuole quel... pezzo di
ladrone? Che vuole qui? Dar la polvere negli occhi a tutti; anche
a lei, eccellenza; ma a me no, sa: non ce la fa. E' un grande
imbecille, eccellenza.' Risi con ripugnanza, e, girando sui
tacchi, ripresi la strada. Si mise a trotterellare al mio fianco,
mormorando con insistenza: 'Non vale più di un bambino, qui... di
un bambinetto... un bambinetto.' Va da sé che non l'ascoltai
nemmeno; e vedendo che il tempo stringeva, perché ci stavamo
avvicinando alla palizzata di bambù che spiccava sul terreno scuro
della radura, venne al punto. Cominciò con un abietto lacrimare.
Le gran disgrazie gli avevano toccato il cervello. Sperava che
avrei avuto la bontà di scordarmi tutto quel che mi diceva,
indotto soltanto dai suoi guai. Non mica per niente; ma Sua
Eccellenza non poteva immaginar che significhi esser rovinato,
distrutto, calpestato. Dopo questo preambolo, si accostò
all'argomento che lo toccava più da vicino; ma in modo così
fumicoso, tortuoso e abietto, che stentai a capire dove volesse
andare a parare. Voleva ch'io mi adoprassi in suo favore presso
Jim. Pareva che ci fosse di mezzo una questione di danaro. Sentii
a più riprese le parole 'Una modesta provvigione... un adeguato
presente.' Pareva reclamasse un compenso di qualche cosa, e arrivò
al punto di proclamare con un certo calore che non valeva la pena
di vivere per vedersi derubato di tutto. Non fiatai naturalmente,
ma neanche mi turai le orecchie. Il nocciolo della faccenda, che
via via mi si chiarì, era questo: che si considerava in diritto di
ricevere del danaro in cambio della ragazza. Se l'era tirata su.
La figlia d'un altro. Gran pena e disturbo - un vecchio ormai
adeguato presente. Se Sua Eccellenza volesse mettere una
parolina... Mi fermai per guardarmelo un po' bene, ma lui, temendo
che lo considerassi, suppongo, troppo esigente, si affrettò subito
a fare una concessione: in cambio di un 'adeguato presente,'
subito e per una volta tanto, si dichiarò pronto a riassumersi
l'onere della ragazza 'senz'altro compenso, al momento del
rimpatrio di quel signore.' La sua faccetta gialla, avvizzita come
un limone strizzato, era tutta tesa di avara ingordigia.
Piagnucolava carezzevole: 'E poi più niente da pensare... naturale
tutela... una somma di danaro...'
Io stavo lì, pieno di stupore. Evidentemente per questo genere di
cose ci aveva una vocazione. Scoprii ad un tratto sotto al suo
fare scivoloso una sorta di certezza, come se nella certezza
avesse sguazzato per tutta la vita. Dovette credere che io stessi
considerando spassionatamente la sua proposta, perché si fece
dolce come il miele. 'Tutti i signori lasciano una provvigione al
momento del rimpatrio,' cominciò con tono insinuante. Sbattei il
cancelletto. 'Nel caso presente, signor Cornelius,' dissi, 'quel
momento non verrà mai.' Gli ci volle qualche secondo per assorbire
la notizia. 'Cosa?' strillò. 'E che,' ribattei, dall'altra parte
del cancello, ' non l'ha sentito dire anche da lui, proprio dalla
sua bocca? Non tornerà mai in patria.' 'Oh! questo è troppo!'
gridò. Non mi chiamava più 'eccellenza.' Rimase un po' in
silenzio, e poi, senza più ombra di umiltà, cominciò a voce bassa:
'Non tornerà mai... eh? Lui... lui... lui viene, sa il diavolo da
dove viene... viene qui... sa il diavolo perché... per calpestarmi
fino alla mia morte... ah... calpestarmi,' (batté piano i piedi
per terra, uno dopo l'altro) 'calpestarmi così... sa il diavolo
perché... fino alla mia morte...' La sua voce si spense del tutto;
fu preso da un colpo di tossetta; si avvicinò alla staccionata per
dirmi, in tono miserevole e confidenziale, che non si sarebbe
lasciato mettere sotto i piedi. 'Pazienza... pazienza,' borbottò,
battendosi il petto. Avevo smesso di farmi beffe di lui, ma fu lui
a colpirmi con una improvvisa risata convulsa: 'Ah! ah! ah! La
vedremo! La vedremo! Come? Rubare a me? Portarmi via tutto! Tutto!
Tutto!' La testa gli ricadde su una spalla, le mani gli pendevano
davanti intrecciate. Si poteva credere che quella ragazza gli
fosse più cara del suo respiro e che gli si fosse spezzata anima e
cuore per la più crudele delle spoliazioni. A un tratto rialzo la
testa e sbottò in una invettiva oltraggiosa: 'Come sua madre - è
come quella bugiarda di sua madre. Tale quale. Anche di faccia. Di
faccia. Demonio!' Appoggiò la fronte alla staccionata, e in quella
posizione sputò minacce e orribili bestemmie in portoghese con
sorde interiezioni, miste a miserevoli gemiti e lamenti, emessi
con certi scossoni di spalle che facevan pensare a un terribile
insulto di vomito. Uno spettacolo inenarrabilmente basso e
grottesco, e me ne allontanai in fretta. Cercò di gridarmi dietro
qualcosa. Un insulto per Jim, credo... non troppo forte, però,
perché eravamo vicini alla casa. Ben chiaro mi arrivò soltanto:
'Non più che un bambinetto... un bambinetto...'".
CAPITOLO 35.
"Ma la mattina dopo, alla prima curva del fiume che mi nascose le
case di Patusan, tutto questo mi cadde in blocco dagli occhi,
colore, disegno e senso, come un quadro fissato dalla fantasia
sulla tela, e al quale, dopo averlo a lungo contemplato, si
voltano le spalle per sempre. Rimane però nella memoria immobile,
col suo colore, fermato nella sua vita in una luce immutabile.
Ambizioni, paure, odio, speranze, mi sono presenti nel ricordo
proprio come le vidi allora - intense e direi sospese per sempre
nella loro espressione. Avevo voltato le spalle al quadro, e
tornavo nel mondo degli avvenimenti mobili, degli uomini mutevoli,
dove la luce vibra, la vita scorre in limpida corrente, non
importa se sul fango o sui sassi. Non intendevo tuffarmici dentro,
avrei avuto abbastanza da fare per tener fuori la testa. Quanto a
quello che mi lasciavo alle spalle, non so immaginarmelo mutato in
nessun modo. L'immenso e magnanimo Doramin e quella materna
streghetta di sua moglie a contemplare insieme le campagne
nutrendo in segreto le loro ambizioni per il figliolo; Tunku
Allang, rinsecchito e sempre in gran perplessità: Dain Waris,
intelligente e coraggioso, con la sua fede in Jim, il suo sguardo
fermo e la sua cordialità ironica; la ragazza in una adorazione
piena di orgasmo e di sospetto; Tamb'Itam, arcigno e fedele;
Cornelius, con la fronte appoggiata alla staccionata sotto la luna
- li sento immancabili. Come sotto una bacchetta magica. Ma la
figura intorno alla quale si raggruppano tutti costoro - quella
sola vive, ma non così precisa. Nessuna bacchetta magica può
fermarla ai miei occhi. E' dei nostri.
Jim, come vi ho detto, mi accompagnò nella prima tappa di ritorno
verso il mondo al quale aveva rinunciato, e il nostro cammino
pareva a volte condurci proprio nel cuore della foresta vergine. I
tratti liberi del fiume scintillavano sotto al sole a picco; tra
gli alti muri di vegetazione la caldura sonnecchiava sull'acqua e
la barca, spinta vigorosamente, si tagliava la via attraverso
un'aria che pareva essersi messa a riparo, densa e calda,
nell'àmbito di smisurati alberi.
L'ombra della separazione imminente aveva già posto uno spazio
immenso fra noi e dovevamo fare uno sforzo per parlare, come se
avessimo dovuto forzar le nostre voci troppo basse per vincere una
distanza sempre più vasta e crescente. La barca volava
addirittura; uno vicino all'altro, soffocavamo in quell'atmosfera
stagnante e arroventata; l'odore di fango, di palude, l'odore
primigenio della terra feconda sembrava pungerci la faccia; finché
a un tratto, a una curva, fu come se una grande mano da una
perduta lontananza avesse sollevato una tenda pesante. La luce
stessa ne sembrò ravvivata, si allargò il cielo sulle nostre
teste, un mormorio remoto ci giunse alle orecchie, ci avviluppò
una frescura che ci riempì i polmoni, ci accelerò sangue, pensieri
e nostalgie - e, dritto di fronte a noi, le foreste si
appiattirono contro l'orlo azzurro cupo del mare.
Tirai un profondo respiro, risollevato dalla vastità
dell'orizzonte aperto, nella mutata atmosfera che sembrò vibrare
di un travaglio di vita, dell'energia di un mondo impeccabile. Mi
si apriva questo cielo e questo mare. Aveva ragione la ragazza:
veniva di là un segno, un richiamo - qualche cosa a cui rispondevo
con ogni mia fibra. Lasciai spaziare i miei occhi, come chi,
liberato da una catena, si sgranchisce le membra, corre, salta, si
abbandona all'ebbrezza istintiva della libertà. 'Splendido!'
esclamai; poi guardai il peccatore che mi stava a fianco. Sedeva
con la testa affondata sul petto, e disse 'Sì,' senza alzar gli
occhi, quasi temesse di vedere scritto in grande, sul cielo
limpido oltre la foce, il rimprovero della sua coscienza
romantica.
Ricordo i minimi particolari di quel pomeriggio. Approdammo su un
piccolo tratto di spiaggia bianca, chiusa da una bassa scogliera
boscosa in vetta, rivestita di rampicanti proprio fino alla base.
Sotto a noi, la piana del mare, di un inteso e sereno azzurro,
sembrava salire quasi insensibilmente fino al filo dell'orizzonte,
teso all'altezza dei nostri occhi. Grandi ondate scintillanti
scorrevano leggere sulla solcata superficie carica, rapide come
piume incalzate dalla brezza. Si stendeva, di fronte all'estuario
aperto, una catena di isole, rotte e massiccie, orlate da una zona
d'acqua vitrea che ne disegnava puntualmente i contorni. Alto
nella luce falba del sole, un uccello solitario, tutto nero, si
teneva sospeso nel cielo, calando e risollevandosi sempre allo
stesso punto con un lieve palpito d'ali. Un gruppo di capanne di
stuoia, squallide e sporche di nerofumo, si levava sulla propria
immagine rovesciata, sopra una quantità di alti pali contorti
color d'ebano. Se ne staccò una minuscola canoa nera, con due
minuscoli uomini, tutti neri, che facevano sforzi sovrumani a dar
di remo nell'acqua pallida; e la canoa sembrava slittare a fatica
su uno specchio. Quel gruppo di squallide capanne formava quel
villaggio di pescatori che godeva la particolare protezione del
Signore bianco, e i due uomini che arrancavano erano il vecchio
capo e suo genero. Approdarono, e ci vennero incontro sulla rena
bianca, magri, color marrone carico, come pesci affumicati, con
macchie cinerine sul nudo delle spalle e del petto. Portavano
legati intorno alla testa fazzoletti sudici, ma attorti con cura,
e il vecchio cominciò subito a esporre una sua lagnanza, volubile,
tendendo il suo braccio magro, sbirciando Jim dal basso con i suoi
vecchi occhi cisposi e fiduciosi. La gente del Rajah non li
lasciava in pace; c'era stata una storia per una certa quantità di
uova di tartaruga che i suoi avevano raccolto su quelle isolette -
e appoggiandosi a braccio teso sulla pagaia, indicò il mare con
una mano magra color marrone. Jim ascoltò un poco senza alzare gli
occhi, e alla fine, con dolcezza, gli disse di aspettare. Gli
avrebbe dato retta più tardi. I due si ritirarono obbedienti un
po' distanti, seduti sui talloni e con le pagaie posate davanti a
loro sulla rena: lo seintillìo argenteo dei loro occhi seguiva
pazientemente i nostri movimenti; e l'immensa apertura di mare,
l'immobilità della costa che si stendeva a nord e a sud a perdita
d'occhio, formavano una Presenza colossale che osservava quei
quattro nani, isolati su una striscia di sabbia scintillante.
'Il guaio è,' osservò Jim immusonito, 'che per generazioni i
pescatori di questo villaggio, poveracci, sono stati considerati
schiavi personali del Rajah... e quel vecchio citrullo non si vuol
mettere in testa che...'
L'interruppi. 'Che lei ha cambiato ogni cosa,' interloquii.
'Già. Ho cambiato ogni cosa,' ripeté con voce sorda.
'Ha avuto la sua Occasione,' ripresi.
'Io?' replicò. 'Beh, sì. Forse. Sì, ho ripreso fiducia in me
stesso - una buona fama - eppure a volte preferirei... No! Mi
contento di quello che ho. Non posso pretendere altro.' Levò a un
tratto il braccio verso il mare. 'Comunque, non di là.' Batté il
piede sulla sabbia. 'Qui è il mio confine, perché di meno non mi
contento.'
Continuammo a passeggiare sulla spiaggia. 'Sì, ho cambiato ogni
cosa,' riprese, con un'occhiata di traverso ai due pescatori
pazientemente accoccolati per terra, 'ma cerchi un po' di
figurarsi che accadrebbe se io me ne andassi. Perdiana! Se
l'immagina? Si scatena l'inferno. No! domani andrò a tutto mio
rischio a prendere il caffè da quello stupido vecchio di Tunku
Allang, e farò un sacco di storie per quelle uova di tartaruga.
No. Non posso dire: basta. Mai. Devo andare avanti, avanti sempre,
tenendo sempre presente il mio scopo, per sentire con sicurezza
che niente può toccarmi. Devo appoggiarmi alla loro fiducia in me
per sentirmi sicuro e per... per...' Si guardò intorno per cercar
la parola giusta, parve cercarla sul mare... 'per sentirmi in
contatto con...' A un tratto abbassò la voce che divenne un
sussurro: '...con coloro che, forse, non vedrò mai più. Con - con
- lei, per esempio.'
A queste parole mi sentii profondamente umiliato. 'Per amor di
Dio,' dissi, 'non mi metta così in alto, mio caro; pensi soltanto
a sé.' Sentivo gratitudine, affetto, per quel povero disperso che
mi aveva scoperto con un'occhiata e tirato fuori da una insulsa
moltitudine, che era il mio mondo: e non c'era poi da menarne gran
vanti, in fin dei conti. Distolsi il viso che mi scottava; sotto
il sole basso, di una luce già smorta, e scarlatto come un tizzo
tolto dal fuoco, la distesa del mare offriva la sua sconfinata
immobilità alla imminente discesa del globo infocato. Due volte
stette per parlare, ma si frenò; finalmente, quand'ebbe trovato la
formula:
'Terrò fede,' disse, con voce tranquilla. 'Terrò fede,' ripeté
senza guardarmi, ma lasciando per la prima volta vagar lo sguardo
sulle acque, che da azzurre si erano tinte dl un rosso cupo sotto
le fiamme del tramonto. Ah! era romantico, romantico. Ricordai le
parole di Stein... 'Nell'elemento distruttivo immersi!;.. Seguire
il sogno, sempre seguire il sogno.. e così... sempre... usque ad
finem.' Era romantico, ma non meno sincero per questo. Chi può
dire quali forme, quali visioni, che facce, quali pedoni vedeva
lui nel fulgore del ponente. Una lancia, staccatasi dallo
schooner, avanzava lenta, col ritmo regolare dei due remi verso la
sabbia della nostra riva per venirmi a prendere. 'E poi c'è
Gioiello,' soggiunse in quel gran silenzio della terra, del cielo
e del mare: i quali mi avevano così profondamente occupato i più
reconditi pensieri che la sua voce mi fece trasalire. 'Già,'
mormorai. 'Non ho bisogno di dirle quello che essa è per me,'
disse. 'Lo ha ben visto. Col tempo finirà col capire...' 'Lo
spero,' interruppi. 'Anche Gioiello si fida di me,' disse con aria
pensosa; poi cambiò tono. 'Chissà quando ci rivedremo?' disse.
'Mai... a meno che lei non venga via,' risposi, evitando il suo
sguardo. Non sembrò sorpreso; rimase un momento immobile.
'E allora addio,' disse dopo una pausa. 'Meglio così, forse.'
Ci stringemmo la mano, e mi avviai alla lancia che aspettava con
la poppa sulla spiaggia. Lo schooner, con la maestra issata e un
fiocco controvento, faceva gran riverenze al mare di porpora; le
vele avevano una tinta rosa. 'Tornerà subito in patria?' domandò
Jim, mentre io già scavalcavo il bordo. 'Fra un anno circa, se
sarò vivo,' risposi. La chiglia grattò sul fondo, la barca prese
il mare, i remi bagnati si tuffarono una volta, due volte.
Sull'orlo dell'acqua, Jim alzò la voce: 'Dica a quelli laggiù...'
cominciò. Feci cenno agli uomini di alzare i remi, e aspettai,
profondamente sorpreso. Dire a chi? Il sole, già immerso per metà,
gli stava di fronte; vedevo il suo riflesso rosso negli occhi di
Jim che mi seguiva con uno sguardo vuoto... 'No - niente,' disse,
e con un lieve gesto della mano accennò alla barca di
allontanarsi. Io non mi volsi più verso terra finché non mi fui
arrampicato a bordo dello schooner.
Frattanto il sole era tramontato. Il crepuscolo si stendeva da
levante, e la costa, tutta opaca, allungava all'infinito un muro
di oscurità che sembrava il baluardo della notte, mentre da
ponente l'orizzonte era tutto un riflesso d'oro e di scarlatto, e
vi stava sopra una grande nuvola isolata, spenta e immobile,
spandendo un'ombra color lavagna sull'acqua sottostante; vidi Jim
sulla spiaggia che osservava lo schooner puggiare e mettersi alla
via.
I due pescatori seminudi, appena andato via io, si erano alzati in
piedi; senza dubbio avevano ripreso a versare i crucci della loro
vita meschina di oppressi nelle orecchie del Signore bianco, il
quale senza dubbio li ascoltava come in causa propria: non era
forse questa una parte della sua fortuna - la fortuna 'cominciata
dalla parola Partenza' - la fortuna di cui mi aveva detto di
sentirsi all'altezza? Una fortuna, direi, anche per loro; di cui
anche loro, sono certo, erano all'altezza, in virtù della loro
insistenza. Persi di vista i loro corpi di pelle scura che si
fusero nello sfondo di oscurità molto prima di quello del loro
protettore. Era bianco dalla testa ai piedi, e seguitò ad essere
bene in vista, con il bastione della notte alle spalle, il mare ai
piedi, e al suo fianco l'Occasione - sempre velata. Che dite? Era
sempre velata? Non so. Per me, quella figura bianca
nell'immobilità silenziosa della costa e del mare mi sembrava nel
cuore di un enigma smisurato. Sul suo capo il crepuscolo si
ritirava rapidamente dal cielo, la striscia di sabbia gli si era
già sommersa sotto ai piedi, lui stesso non sembrava più alto di
un bambino... poi un punto soltanto, un minuscolo punto bianco,
che sembrò prendersi tutta la luce rimasta in un mondo
ottenebrato... E a un tratto, non lo vidi più...".
CAPITOLO 36.
Con queste parole Marlow aveva terminato il suo racconto, e i suoi
ascoltatori si erano subito sparpagliati mentre egli era rimasto
con lo sguardo assente, assorto. Gli uomini uscirono dalla veranda
soli o a coppie senza indugiarsi, senza perdersi in osservazioni,
come se l'ultima immagine di quella storia incompiuta e la sua
stessa incompiutezza, e il tono stesso dello storico, avessero
eliminato ogni discussione, ogni possibile commento. Ognuno di
loro sembrava portarsi via con sé come un segreto la propria
opinione su quella storia; ma ce n'era uno che un giorno doveva
apprenderne l'ultima parola. Gli giunse in casa, più di due anni
dopo, dentro un grosso pacco con l'indirizzo tracciato dalla
scrittura dritta e angolosa di Marlow.
Il privilegiato aprì il pacco, ci guardò dentro, e, posatolo, si
avvicinò alla finestra. Il suo appartamento era all'ultimo piano
di un edificio altissimo, donde si poteva spingersi lontano con lo
sguardo oltre i vetri limpidi della finestra, come a guardare
dalla lanterna di un faro. Gli spioventi dei tetti spiccavano
separati da interstizi d'ombra che si susseguivano come onde buie
e senza schiuma; e dal profondo della città, sotto i suoi piedi,
saliva un confuso e continuo brusìo. I campanili delle chiese,
numerosi e sparpagliati a caso, si levavano come fari su un
labirinto di secche senza canali; il battere della pioggia si
mescolava al calar del crepuscolo nella sera invernale, e il
rintoccar del grande orologio che da una torre batteva le ore,
passò ronzando con tonfi di suono voluminosi e austeri, con, al
centro, una vibrazione più acuta. L'uomo chiuse le tende pesanti.
La lampada del tavolino, col suo paralume, sonnecchiava come uno
stagno riparato dai venti; non risuonava il suo passo sul tappeto,
i suoi giorni di vagabondaggio erano finiti. Non più orizzonti
sconfinati come speranze; non più crepuscoli nelle foreste solenni
come templi, nell'ardente ricerca del Paese Inesplorato, di là
dalla collina, oltre il fiume, al di là dell'onda. Battevano le
ore. Non più! Non più!... ma il pacco aperto sotto la lampada gli
riportava con suoni e visioni il sapore stesso del passato - una
moltitudine di visi sfocati, un tumulto di voci lontane, che si
spegnevano sulle sponde di mari remoti sotto a un sole
inconsolatamente appassionato. Sospirò, e si sedette per leggere.
Dapprima vide tre plichi separati: un bel po' di pagine fitte e
tenute insieme da uno spillo; un foglio unico, quadrato, di carta
grigiastra con poche parole scritte in una calligrafia che non
aveva mai veduta; e una lettera d'accompagno di Marlow; di tra i
fogli della quale un'altra ne cadde, ingiallita dal tempo e tutta
spiegazzata. La raccolse, e, messala da parte, prese il messaggio
di Marlow, diede subito una rapida scorsa alle righe iniziali, ma
poi, frenandosi, si mise a leggere in tutta calma, come uno che si
avvicini attento e a lenti passi a un paese inesplorato, che ha
appena allora intravisto.
"... non credo che tu abbia dimenticato, diceva la lettera. Tu
solo hai dimostrato per lui un interesse che è sopravvissuto al
racconto della sua storia, benché - me lo ricordo bene - neanche
tu volevi ammettere che egli fosse arrivato a dominare il suo
destino. Tu prevedevi per lui la tragedia di trovarsi un giorno
stanco e disgustato degli onori acquistati, del compito impostosi,
dell'amore nato dalla pietà e dalla giovinezza. Dicesti di
conoscere troppo bene 'questo genere di cose,' le loro
soddisfazioni illusorie, la inevitabile delusione. Dicesti anche -
ricordo - che 'dare la propria vita per loro,' (e loro voleva dire
tutta l'umanità di colore: bruni, gialli o neri) 'era come buttar
l'anima ai cani.' Sostenevi che 'una cosa così' è sopportabile e
duratura solo se sorretta da una convinzione della verità di
alcune idee razzialmente nostre, in nome delle quali si stabilisce
l'ordine e la moralità di un progresso etico. 'Abbiamo bisogno di
questa forza alle spalle...' avevi detto. 'Abbiamo bisogno di
credere nella sua necessità e nella sua giustizia per fare un
degno e cosciente sacrificio della nostra vita. Senza di che il
sacrificio non è che smemoratezza, la via all'offerta non è
migliore della via alla perdizione.' In altre parole, per te, o
combattere nei propri ranghi, o perdersi la vita per niente. Può
darsi! Tu dovresti saperlo - sia detto senza malizia - tu che ti
sei gettato da solo in un qualche frangente, tirandotene fuori con
abilità, senza bruciacchiarti le ali. La questione è, comunque,
che, di tutta l'umanità, Jim era l'unico a non dover rispondere
che a se stesso; bisognerà vedere se alla fine non abbia
professato una fede più alta che le leggi dell'ordine e del
progresso.
Non affermo nulla. Potrai forse giudicare, a lettera finita. C'è
molto di vero - dopo tutto - nel modo di dire: 'come dentro una
nuvola.' E' impossibile farsene un'idea chiara specialmente quando
dobbiamo limitarci a vederlo un'ultima volta attraverso gli occhi
degli altri. Non ho nessuna difficoltà a riferirti quanto io so
dell'ultimo episodio che, come soleva dire Jim, 'era venuto a
lui.' Ci si domanda se non fu quella forse l'Occasione estrema, la
prova ultima e decisiva che ho sempre sospettato egli stesse
aspettando per formulare finalmente il suo messaggio
all'impeccabile mondo. Tu ricorderai che sul punto di lasciarci
l'ultima volta egli mi domandò se sarei tornato subito in patria,
e mi gridò a un tratto: 'Dica a quelli laggiù!...' E dopo aver
atteso - con curiosità, lo confesso, e anche con speranza - non lo
sentii aggiungere che un: 'No... niente.' E fu tutto, allora - e
non ci sarà mai niente di più; e neanche un messaggio, se non quel
tanto che ciascuno di noi potrà ricavare interpretando per proprio
conto il linguaggio dei fatti, che sono spesso più enigmatici dei
più scaltriti giri di parola. Fece, è vero, ancora un tentativo
per liberarsi; ma vano anche questo, come vedrai se dai
un'occhiata al foglio di carta grigiastra qui accluso. Aveva
tentato di scrivere; avrai notato la calligrafia molto comune. E'
intestata: 'La Fortezza, Patusan.' Immagino che abbia attuato il
suo progetto di trasformare la sua casa in un fortilizio
difensivo. Il progetto era ottimo: un profondo fossato, un
terrapieno sormontato da una palizzata, e agli angoli cannoni
montati su piattaforme per dominare tutti i fronti del quadrato.
Doramin si era indotto a cedergli i cannoni; e sicché ogni suo
uomo avrebbe saputo dove trovare uno scampo e ogni fido partigiano
dove accorrere in caso di pericolo improvviso. Tutto questo
dimostrava la sua giudiziosa previdenza, la sua fede nel futuro.
Quelli che chiamava 'i miei propri uomini,' - i prigionieri dello
Sceriffo liberati - dovevano formare un quartiere a parte a
Patusan, con le loro capanne e quelle quattro dita di terreno
sotto le mura della fortezza. Dentro, lui, da solo: un esercito
invincibile. 'La Fortezza, Patusan.' Nessuna data, come vedi. Che
significa un numero o un nome per un giorno tra tanti giorni? E'
anche impossibile dire a chi volesse indirizzarsi quando prese la
penna in mano: Stein - me - il mondo in blocco... O non fu che il
grido vano, sbigottito, di un uomo solitario di fronte al suo
destino? 'E' successo un fatto tremendo,' scrisse, prima di
lasciar cadere la penna una prima volta: guarda quella macchia che
sembra la punta di una freccia, sotto quelle parole. Dopo un po'
ci si era provato di nuovo, scarabocchiando con mano pesante, di
piombo, un'altra riga: 'Ora devo subito...' La penna gli aveva
fatto uno scarto, e questa volta ci rinunciò. E niente più: si era
trovato di fronte a un immenso abisso a perdita d'occhio e di
voce. Posso capirlo: era stato sopraffatto dall'inesplicabile;
sopraffatto dalla sua stessa personalità... il dono di quel
destino che aveva fatto di tutto per dominare.
Ti mando anche una vecchia - vecchissima - lettera, trovata
riposta con cura nei suoi incartamenti. E' di suo padre, e dalla
data vedrai che la dovette ricevere pochi giorni prima di
imbarcarsi sul Patna. Dunque dev'essere l'ultima che ha ricevuto
da casa. L'aveva custodita come un tesoro tutti questi anni. Il
buon vecchio pastore prediligeva il figlio marinaio. Ho letto
qualche frase qua e là. E tutta affetto, e basta. Dice al suo
'caro Giacomo' che l'ultima sua lunga lettera era molto 'proba e
dilettevole.' Gli raccomanda di non 'giudicare il prossimo in
fretta e con severità.' Sono quattro pagine di morale alla mano, e
notizie di famiglia. Tom aveva 'preso gli Ordini.' Il marito di
Carrie aveva avuto 'rovesci finanziari.' Il buon vecchio prosegue
esortandolo a fidare sia nella Provvidenza sia nell'ordine
stabilito dell'universo, che ha certo i suoi piccoli pericoli come
le sue piccole ricompense. Par quasi di vederlo, brizzolato e
sereno, nel rifugio inviolabile del suo studio foderato di libri,
scolorito e comodo, dove per quarant'anni si era sempre girato e
rigirato coscienziosamente intorno alle sue ristrette idee sulla
fede e la virtù, sulla condotta nella vita e sulla sola maniera
pulita di morire; dove aveva scritto tante prediche, dove si era
tante volte seduto a ragionare col suo ragazzo da lì all'altro
capo del mondo. Ma che è la distanza? La virtù una in tutto il
mondo, e una la fede, una la buona condotta di vita, unico il modo
di morire pulitamente. Spera che il suo 'caro Giacomo' non
dimentichi mai che 'colui che una volta apre le porte alla
tentazione, arrischia in quell'attimo la totale depravazione, e la
perdizione eterna.' Quindi risolversi fermissimamente a non mai,
per nessun motivo al mondo, far cosa che si reputi malvagia. Ci
sono anche notizie di un cane assai diletto; e quel poney 'che
calvacate tutti voialtri ragazzi,' era diventato cieco di
vecchiaia e si era dovuto ucciderlo. Il bravo vecchio invoca la
benedizione del cielo; la mamma e le ragazze allora in casa
mandano i loro saluti affettuosi... No, non c'è gran che in quella
lettera gialla e sciupata, sfuggita dopo tanti anni all'affettuosa
custodia. Non aveva mai avuto risposta, ma chi può dire quali
colloqui egli avrà allacciato con tutte quelle immagini placide e
scolorite di uomini e donne che popolavano quel tranquillo angolo
del mondo, libero dal pericolo e dalla lotta quanto una tomba, e
abituato a respirare in pieno equilibrio un'aria di indisturbata
rettitudine. Sembra incredibile che fosse questo il suo mondo, di
lui al quale erano 'venute' tante cose. A loro, lì, non 'veniva'
mai nulla; mai non erano presi alla sprovvista, mai chiamati a
cimento col destino, Eccoli tutti qui, evocati dal mite
chiacchiericcio paterno, tutti questi fratelli e sorelle, ossa
delle sue ossa e carne della sua carne, che guardano con occhi
chiari, inconsapevoli, mentre a me pare di vedere lui, tornato
finalmente, non più un semplice punto bianco nel cuore di un
immenso mistero, ma dritto di tutta la sua statura, negletto in
mezzo alle loro immagini imperturbate, con aria severa e
romantica, ma sempre muto, oscuro - dentro una nuvola.
La storia degli ultimi avvenimenti la troverai nelle poche pagine
accluse. Devi ammettere che è più romantica dei più strampalati
sogni della sua adolescenza; eppure secondo me c'è dentro una
specie di logica profonda e spaventosa, come se la nostra
immaginazione avesse il potere da sola di scatenarci addosso la
violenza di un destino soverchiatore. L'imprudenza dei nostri
pensieri ricade sul nostro capo; chi scherza con la spada di spada
perirà. Quest'avventura stupefacente, di cui il lato più
stupefacente è che è autentica, ci si presenta come una
conseguenza ineluttabile. Qualcosa del genere doveva accadere. Ce
lo ripetiamo dentro di noi, mentre ci meravigliamo che una cosa
sìmile sia potuta accadere nell'anno di grazia ultimo scorso. Ma è
successo - e non c'è da star a discuterne la logica.
Te la riferisco come se ne fossi stato testimonio oculare, su
informazioni frammentarie; io però ho messo insieme i vari
frammenti, e mi par che ce ne sia abbastanza per cavarne fuori un
quadro intelligibile. Chissà come l'avrebbe raccontata lui. Si è
confidato tanto spesso con me, che mi sembra debba entrare qui da
un momento all'altro a contarmela tutta a modo suo, con la sua
voce indifferente e pure piena di sentimento, con i suoi modi
sbrigativi; un po' perplesso, un po' seccato, un po' offeso, ma
ogni tanto capace di rivelarti con una parola o una frase uno di
quei lampi della sua vera personalità che non servivano affatto ad
orientarti. E' difficile credere che non tornerà più. Non sentire
mai più la sua voce, né vedere il suo viso liscio, d'un color rosa
abbronzato, con un orlo bianco sulla fronte, e gli occhi giovanili
che nei momenti di eccitazione diventavano di un cupo insondabile
azzurro fondo".
CAPITOLO 37.
"Origine di tutto è la notevole impresa di un tale Brown, che si
rubò pari pari uno shooner spagnolo da una piccola baia vicino a
Zamboanga. Finché non ebbi scoperto quell'individuo, le mie
informazioni restarono incomplete; ma mi capitò sottomano nel modo
più inaspettato poche ore prima che rendesse l'anima proterva.
Fortunatamente in voglia e in grado di parlare, nonostante gli
attacchi d'asma che gli tagliavano ogni tanto il respiro, il suo
corpo martoriato si torceva di maligna esultanza al solo pensiero
di Jim. Esultava all'idea di aver 'dato la paga a quel vanesio,
alla fine.' Era raggiante di quella sua azione. Dovetti sopportare
lo sguardo affocato dei suoi occhi feroci coronati di rughe, per
venir a sapere quel che m'importava: e così lo sopportai,
riflettendo quanto siano vicine alla pazzia certe forme di
cattiveria, originate da un potente egoismo, attizzate dalla
protervia, che frantumano l'anima, e danno al corpo un illusorio
vigore. Il racconto rivela anche una insospettata profondità di
astuzia in quel disgraziato di Cornelius, il cui odio abietto ed
intenso, come una sottile ispirazione, lo mise sulla dritta via
della vendetta.
'Mi accorsi a colpo d'occhio con che razza di imbecille l'avevo da
fare,' ansimò il moribondo Brown. 'Un uomo quello lì? Accidenti!
Una canna vuota, era. Non poteva dir subito: - Giù le mani dal mio
bottino! -, che Dio lo stramaledica? Questo sarebbe stato agire da
uomo! Dio gli imputridisca quella sua anima di lusso! Mi aveva in
mano laggiù - ma non ce la faceva con me: ci voleva un punto più
del diavolo. Macché! Un tanghero come quello lasciarmi perdere
come se non meritassi neanche un calcio!...' Brown ansimava
disperatamente per riprender fiato... 'Mascalzoni!... lasciarmi
perdere... E così alla fine glie l'ho fatta vedere io, a lui...'
Gli mancò di nuovo il respiro. 'Questo malanno mi ammazzerà di
certo, ma adesso muoio contento... Lei... lei... non so il suo
nome - le regalerei un biglietto da cinque sterline se... se lo
avessi... per questa notizia - quanto è vero che mi chiamo
Brown...' Ebbe un orrendo ghigno... 'Il gentiluomo Brown.'
Disse tutte queste cose ansando forte, fissandomi con quei suoi
occhi gialli fuori da quella faccia lunga, scura, devastata; agitò
il braccio sinistro; con quella barba pepe e sale tutta arruffata
che gli arrivava quasi alla cintura; e quella coperta sudicia e
ruvida che gli copriva le gambe. L'avevo scoperto a Bangkok per
mezzo di quel maneggione di Schomberg, l'albergatore, che mi aveva
suggerito in confidenza dove scovarlo. Pare che una specie di
vagabondo sfaticato e ubriacone- un bianco insabbiato fra gli
indigeni, che viveva con una donna siamese - avesse ascritto a suo
grande onore di dar ricovero nei suoi ultimi giorni al famoso
Gentiluomo Brown. Mentre costui parlava con me in quello squallido
tugurio, tenendo, si può dire, la vita coi denti minuto per
minuto, la donna siamese, grosse gambe nude e faccia stupida e
volgare, sedeva in un angolo buio masticando betel con stolidità
bestiale. Di quando in quando si alzava per cacciare fuori dalla
porta un pollastro, e tutta la capanna tremava sotto i suoi passi.
Un brutto bambino giallo, nudo e con la pancia rigonfia come un
piccolo budda stava ai piedi del giaciglio, col dito in bocca,
immerso in una profonda e calma contemplazione del moribondo.
Questi parlava febbrilmente, con una ferocia piena di gioia e di
folle e implacabile disprezzo verso il povero Jim; ma a volte, a
metà di una parola, una mano invisibile lo afferrava alla gola e
lui restava con gli occhi imbambolati, col petto ansante e
un'espressione di timore e d'angoscia. Si vedevano le sue labbra
volgari farsi violacee dietro ai baffi cascanti e ispidi. Pareva
temere che io, stanco di aspettar la fine del suo accesso, me ne
andassi, lasciandolo a metà del suo dire, senza poter sfogare
tutta la sua esultanza. Nulla di più lontano dai miei pensieri;
temevo anzi che la morte, sospesa su di lui, gli piombasse addosso
a un tratto, sventando il mio desiderio di sapere. Morì durante la
notte, credo, ma ormai non aveva altro da dirmi.
La storia la conoscevo già, si capisce; lui non fece che chiarirmi
un punto oscuro, benché il nero profondo del suo atto non si possa
diradare in nessun modo.
E di Brown, per il momento, basta.
Otto mesi prima, arrivando a Samarang, andai come al solito a
trovare Stein. Dal lato della casa che dava sul giardino, di sulla
veranda mi accolse con un timido saluto un Malese, che mi
ricordavo di aver visto a Patusan nella casa di Jim, fra altri
Bugi che venivano la sera a fare interminabili rievocazioni dei
loro ricordi di guerra o a discutere affari di Stato. Jim me lo
aveva segnalato una volta come un modesto e rispettabile mercante,
proprietario di una imbarcazione indigena di lungo cabotaggio, e
che si era mostrato 'uno dei migliori all'assalto della
palizzata.' Non rimasi troppo sorpreso nel vederlo, perché mi
parve naturale che un mercante di Patusan, avventuratosi fino a
Samarang, prendesse la via di casa Stein. Risposi al suo saluto e
passai oltre. Ma sulla porta di Stein m'imbattei in un altro
Malese che riconobbi per Tamb'Itam.
Gli domandai subito che cosa faceva lì; pensai che Jim ci fosse
venuto in visita. Confesso che al pensiero mi sentii contento e
ravvivato. Sembrava che Tamb'Itam non sapesse che dire. 'C'è Tuan
Jim?' domandai con impazienza. 'No,' mormoro confuso, abbassando
un momento il capo; poi con improvviso vigore: 'Non ha voluto
combattere. Non ha voluto combattere,' ripeté. Siccome pareva non
sapesse dir altro, lo spinsi da parte ed entrai.
Stein, alto e curvo, era solo, in piedi, in mezzo alla stanza, fra
le file delle cassette di farfalle. 'Ach! E' lei, amico mio? disse
accorato, scrutandomi attraverso gli occhiali. Una sdruscita
giacca a sacco di alpaga gli cadeva aperta fino alle ginocchia.
Aveva in testa un panama, e le guance pallide solcate da rughe
profonde. 'Che c'è di nuovo?' domandai con inquietudine. 'C'è
Tamb'Itam di fuori...' 'Venga a vedere la ragazza. Venga a vedere
la ragazza. E' qui,' fece, con una falsa mostra di energia. Cercai
di trattenerlo, ma con dolce ostinazione si rifiutò di rispondere
alle mie domande ansiose. 'E' qui, è qui,' ripeté tutto
agitazione. 'Sono venuti due giorni fa. Un estraneo, e un vecchio
come me... sehen Sie - non può far molto... Venga di qua... I
cuori dei giovani sono implacabili...' Vedevo che era in grande
angoscia... 'La forza della vita, in loro; la spietata forza della
vita...' borbottava, conducendomi in giro per la casa; lo seguii,
perso in congetture piene di desolazione e di collera. Sulla porta
del salotto mi sbarrò la strada. 'Lui la amava assai ,' fece
interrogativamente, e io mi limitai ad annuire col capo,
sentendomi così amaramente deluso che non mi fidavo a parlare.
'Molto spaventoso,' mormorò. 'Quella non può capirmi. Sono
soltanto un vecchio sconosciuto. Forse lei... la conosce. Le
parli. Non possiamo lasciarla così. Le dica di perdonargli. E'
stato molto spaventoso.' 'Certo,' feci, esasperato di essere
all'oscuro di tutto. 'Ma lei, Stein, lei gli ha perdonato?' Mi
guardò in un modo curioso. 'Sentirà,' disse, e, aprendo la porta,
mi cacciò - addirittura - nel salotto.
Tu conosci la grande casa di Stein, e le due immense sale da
ricevimento, disabitate e inabitabili, pulite, piene di solitudine
e di un brillìo di cose che paiono non essere state mai sfiorate
da uno sguardo umano? Sono fredde nelle giornate più torride, e vi
si entra come in una caverna sotterranea dal pavimento
accuratamente scopato. Ne attraversai una, e nell'altra vidi la
ragazza seduta all'estremità di un tavolone di mogano, su cui
appoggiava la testa, col viso nascosto tra le braccia. Il
pavimento a cera ne rifletteva vagamente l'immagine come una
lastra d'acqua gelata. Gli stoini di giunco erano calati; forti
raffiche di vento entravano attraverso la strana penombra
verdastra degli alberi di fuori, agitando i lunghi tendaggi delle
finestre e delle porte. La sua figura bianca sembrava plasmata
nella neve; i cristalli penduli del lampadario tintinnavano sul
suo capo come ghiaccioli trasparenti. Sentendomi avvicinare alzò
gli occhi e mi fissò in volto. Ero raggelato come se quelle vaste
sale fossero state la fredda dimora della disperazione.
Mi riconobbe subito e appena mi fui fermato a guardarla di sopra
in giù: 'Mi ha lasciata,' disse calma; 'ci lasciate sempre... per
i vostri disegni.' Non batteva ciglio. Pareva che tutto il calore
di vita si fosse raccolto in qualche punto inaccessibile del suo
petto. 'Sarebbe stato facile morire con lui,' continuò, e fece un
leggero, stanco gesto come di chi si arrende all'imperscrutabile.
'Non ha voluto! Era come cieco: ed ero io che gli stavo parlando;
ero io che gli stavo davanti agli occhi; ero io quella che lui
guardò per tutto il tempo! Ah! siete cattivi, traditori; senza
verità, senza compassione. Che cosa vi fa così malvagi? Oppure
siete tutti pazzi.'
Le presi la mano, che rimase inerte, e ricadde quando la lasciai,
fin quasi a sfiorare il pavimento. Quell'indifferenza, più
tremenda di un pianto, di un urlo, di una rampogna, sembrava
sfidare il tempo e la consolazione. Si sentiva che non si sarebbe
mai esaurita, e che mai una parola avrebbe raggiunto la sede di
quel dolore torpido e fermo.
Stein mi aveva detto 'Sentirà...' E sentii, infatti. Tutto. Seguii
con stupore, con orrore, la voce della sua stanchezza
irrimediabile. Non arrivavo ad afferrare il vero senso di quello
che mi andava raccontando con un rancore che mi riempiva di pietà
per lei... e anche per lui. Rimasi inchiodato là anche dopo che
ella ebbe finito. Appoggiata sui gomiti, teneva i suoi occhi duri
fissi nel vuoto; e passava il vento a raffiche, e i cristalli
continuavano a tintinnare nella penombra verdastra. Seguitò a
mormorare tra sé: 'Eppure mi stava guardando! Vedeva il mio viso,
sentiva la mia voce, e la mia pena! Quando mi sedevo ai suoi
piedi, con la guancia sul suo ginocchio e la sua mano sul capo, la
maledizione della cattiveria e della pazzia era già in lui, e
aspettava il giorno. E il giorno è venuto!... e prima del
tramontar del sole non mi vide più... s'era fatto cieco e sordo e
spietato, come siete tutti. Non piangerò per lui. Mai, mai. Non
una lagrima. No. Mai. E' scappato via da me peggio che se fossi la
morte. E' scappato come se fosse inseguito dalla maledizione di
qualche cosa che aveva udita o veduta nel sonno...'
I suoi occhi fermi sembravano inseguire l'immagine di un uomo
strappato alle sue braccia dalla forza di un sogno. Non rispose
neanche d'un cenno al mio inchino silenzioso. Fu per me una
liberazione andar via.
La rividi nello stesso pomeriggio. Lasciata lei, ero andato in
cerca di Stein, e non lo trovai in casa; e uscii in giardino,
tormentato da pensieri tristi; in quel famoso giardino di Stein
dove si trovano tutte le piante e tutti gli alberi dei bassopiani
tropicali. Seguii un corso d'acqua incanalato, e sedetti a lungo
su una banchina ombreggiata vicino a uno stagno ornamentale, dove
qualche anatra con le ali mozzate si tuffava e starnazzava
rumorosa. I rami degli alberi di casuarina alle mie spalle
ondeggiavano appena, costantemente, e mi ricordavano il fruscìo
degli abeti, al mio paese.
Questo suono malinconico e inquieto era l'accompagnamento adatto
alle mie riflessioni. La ragazza aveva detto che lui le era stato
strappato da un sogno, e non c'era niente da ribattere non pareva
potesse esservi perdono per una così mala azione. Eppure non è
l'umanità stessa a mettersi ciecamente in cammino, incalzata da
sogni di grandezza e di potenza sui sentieri tenebrosi di una
eccessiva crudeltà o di un'eccessiva dedizione? E che è la ricerca
della verità... dopo tutto?
Quando mi alzai per tornare a casa intravidi la giacca lisa di
Stein attraverso una breccia tra il fogliame, e presto, a una
svolta del sentiero, incontrai lui con la ragazza. La piccola mano
di lei poggiava sul suo avambraccio, e, sotto la falda larga e
piatta del suo panama, Stein si curvava su di lei, canuto,
paterno, con deferenza pietosa e cavalleresca. Io mi feci da
parte, ma loro si fermarono di fronte a me. Il vecchio aveva
chinato lo sguardo a terra, ai suoi piedi; la ragazza, dritta e
sottile al suo braccio, fissava un punto oltre le mie spalle,
cupa, con i suoi occhi grandi, chiari, immoti. 'Schrecklich,'
mormorò Stein. 'Terribile, terribile. Che si può fare?' Sembrava
supplicarmi ma la gioventù di lei, i lunghi giorni sospesi sul suo
capo mi supplicavano molto di più; e a un tratto, proprio mentre
mi rendevo conto che non c'era nulla da dire, mi trovai a perorare
la causa di Jim per pietà di lei. 'Deve perdonargli,' conclusi, e
la mia voce suonava soffocata alle mie stesse orecchie, persa in
una immensità sorda e senza risposta. 'Tutti abbiamo bisogno di
perdono,' soggiunsi dopo una pausa di silenzio.
'Che torti ho io?' domandò ella a fior di labbra.
'Di non aver mai avuto fede in lui,' risposi. 'Era come gli
altri,' disse lentamente.
'Non come gli altri,' protestai, ma ella continuò con voce
monotona, senza calore...
'Era un traditore.' E subito intervenne Stein. 'No! No! No! Mia
povera bambina!...'
Le diede qualche colpetto sulla mano abbandonata inerte sulla sua
manica. 'No! No! Non traditore! Fedele! Fedele! Fedele!' Cercò di
penetrare quel suo viso di sasso. 'Lei non capisce... Ach! Perché
non capisce?... Terribile,' disse a me. 'Un giorno DOVRA' capire.'
'Glie lo spiegherà lei?' gli chiesi, guardandolo fisso. Ripresero
a camminare.
Li seguii con lo sguardo. La sua gonna strusciava sul sentiero, i
suoi capelli neri cadevano sciolti. Camminava dritta e leggera a
fianco di quell'alto uomo dalla giacca lunga e sformata che gli
scendeva in pieghe perpendicolari dalle spalle curve, e che
procedeva a passi lenti. Scomparvero dietro quel boschetto (forse
te lo ricordi) dove crescono sedici qualità diverse di bambù tutte
riconoscibili all'occhio dello studioso. Per parte mia, io ero
affascinato dalla grazia squisita e dalla bellezza di quel
boschetto di flauti incoronati da foglie puntute e da sommoli di
piume, dalla leggerezza, dal vigore, dal fascino, chiaro come una
voce, di quella vita lussureggiante e risoluta. Ricordo che rimasi
a guardarlo a lungo, come uno che si indugi nel campo sonoro di un
mormorìo consolatore. Il cielo era color di perla. Era una di
quelle giornate coperte così rare ai tropici, in cui le memorie si
affollano dentro, memorie di altre sponde, di altri visi.
Tornai in città nel medesimo pomeriggio, portando con me Tamb'Itam
e l'altro Malese, che aveva fornito l'imbarcazione per la fuga al
momento del disastro, nel primo sbigottimento di paura e di pena.
Il colpo sembrava aver mutato il carattere a tutti. Aveva
impietrito la passione della ragazza, e reso quasi loquace
l'aggrondato e taciturno Tamb'Itam. Anche il suo tono arcigno era
ridotto a perplessa umiltà, come se avesse assistito al fallimento
di un gran mito in un momento supremo. Il mercante Bugi, un uomo
timido e titubante, fu molto preciso per quel poco che ebbe da
dire. Tutti e due erano sopraffatti evidentemente da un senso di
meraviglia profonda e inesprimibile, dal tocco di un mistero
imperscrutabile".
Qui, con la firma di Marlow, terminava la lettera. Il privilegiato
destinatario rattizzò la sua lampada, e, solitario tra il
mareggiare dei tetti della città, come il guardiano di un faro
alto sul mare, si avvio alla lettura del racconto.
CAPITOLO 38.
"Tutto ebbe inizio, come ti ho detto, da quel Brown", cominciava
la prima frase del racconto di Marlow. "Tu che hai bazzicato per
il Pacifico occidentale devi averne sentito qualche cosa. Era il
furfante più tipico della costa australiana, non perché si facesse
vedere spesso in quei paraggi, ma perché era sempre in ballo in
tutte le storie sui fuori legge che si ammanniscono ai viaggiatori
in arrivo dalla madre patria; e la più blanda delle imprese che di
lui si raccontavano da Capo York a Eden Bay sarebbe stata più che
sufficiente a far impiccare un uomo, se fosse stata raccontata
altrove. Non mancava mai il particolare che egli fosse figlio di
un baronetto. Sia un po' come sia, è certo che aveva disertato da
una nave inglese nei primi tempi della caccia all'oro, e in pochi
anni fece parlare largamente di sé come del terrore di questo o di
quel gruppo di isole della Polinesia. Rapiva indigeni, spogliava
qualche solitario mercante bianco fino del pigiama che aveva
addosso, e, dopo aver saccheggiato quel povero diavolo, era capace
di sfidarlo come niente a un duello alla doppietta sulla spiaggia;
cosa neanche tanto sleale, di questi tempi, se l'altro non fosse
stato già mezzo morto dalla paura. Brown era un pirata in ritardo,
uno sciagurato al pari dei più celebri prototipi; ma ciò che lo
distingueva dalla confraternita dei furfanti suoi contemporanei,
come Bully Hayes o il mellifluo Pease, o quel mascalzone
profumato, quell'elegantone dagli scopettoni alla Dundreary
conosciuto col nome di Dick il Lercio, era il carattere arrogante
dei suoi misfatti e il suo disprezzo veemente per l'umanità in
genere e per le sue vittime in ispecie. Gli altri non erano che
dei bruti volgari e avidi, ma lui sembrava mosso da più complesse
intenzioni. Rubava a un uomo quasi soltanto per dimostrargli la
sua scarsa stima, e metteva nell'uccidere o nel mutilare qualche
pacifico e innocuo sconosciuto una intensità di vendetta così
selvaggia da terrorizzare il più temerario dei filibustieri. Nei
giorni del suo massimo splendore possedeva un tre-alberi armato,
con una ciurma mista di Kanaka e di balenieri evasi, e si vantava,
non so con quanta verità, di esser finanziato di sottomano dalla
più stimata ditta di mercanti di copra. In seguito scappò - dicono
- con la moglie di un missionario, la quale aveva sposato in un
momento di esaltazione quel poveraccio mite, dai piedi piatti, e,
trapiantata subito nella Melanesia vi aveva in certo modo perso la
bussola. Fu una storia triste. Era malata al tempo che Brown se la
portò via, e gli morì a bordo. Si racconta - come la cosa più
straordinaria che sul suo cadavere egli si abbandonasse a uno
scoppio di dolore cupo e violento. Poco dopo lo abbandonava anche
la sua buona fortuna. Perse la nave su certi scogli al largo di
Malaita, e scomparve per qualche tempo come se fosse andato a
fondo anche lui. Se ne sentì riparlare per la prima volta a Nuka-
Hiva dove comprò dalla Francia un vecchio schooner fuori servizio.
Quale impresa meritoria potesse avere in vista quando fece
quell'acquisto non saprei dire, ma è evidente che fra Alti
Commissari, consoli, navi da guerra e controlli internazionali, i
mari del Sud stavano diventando troppo caldi per un galantuomo del
suo stampo. E' chiaro che doveva aver spostato verso occidente il
suo teatro d'operazioni, perché un anno dopo egli ha una parte
d'incredibile audacia, se non proprio di gran profitto, in una
faccenda tragicomica nella Baia di Manilla, di cui sono
protagonisti un governatore reo di peculato e un tesoriere
latitante; da allora sembra si sia attaccato alle Filippine col
suo schooner marcito, sempre alle prese con l'avversa fortuna,
finché, un giorno, seguendo la sua via segnata, entrò a vele
spiegate nella storia di Jim, complice cieco delle Potenze Oscure.
A sentir lui, quando fu catturato da un cutter spagnuolo di
perlustrazione, non aveva fatto altro che un tentativo di passare
ai ribelli qualche fucile. In tal caso non so che ci facesse al
largo della costa meridionale di Mindanao. E' mia convinzione,
invece, che stesse taglieggiando i villaggi indigeni lungo la
costa. Fatto sta che il cutter, imbarcata una pattuglia sullo
schooner, lo obbligò a navigare di conserva verso Zamboanga.
Strada facendo, per una ragione o per l'altra, le due navi
dovettero dar fondo davanti a uno di quei nuovi possedimenti
spagnoli - che in definitiva non servirono mai a nulla - dove non
esisteva a riva che un solo funzionario civile in carica, ma c'era
lì nella calanca, all'àncora, un bello e robusto schooner da
piccolo cabotaggio; e quel barco, migliore del suo sotto ogni
punto di vista, Brown decise di rubarselo.
Gli andava, allora, a rotta di collo - come mi disse lui stesso.
L'aver bistrattato il mondo per venti anni con disprezzo feroce e
aggressivo non gli aveva procurato altro, dal punto di vista dei
vantaggi materiali, che una borsetta di dollari d'argento nascosta
così bene nella sua cabina che 'il diavolo stesso non l'avrebbe
potuta fiutare.' E nient'altro - assolutamente nient'altro. Era
stanco della sua esistenza, e non aveva paura della morte. Ma
quest'uomo, che si sarebbe giocata la vita per un capriccio con
amara e sarcastica baldanza, aveva una paura gialla della
prigione: una specie di assurdo terrore, sudafreddo, scuotinervi,
sanguinacqua, al solo immaginare l'eventualità d'esser messo in
gattabuia: quella sorta di terrore che proverebbe un pauroso dei
morti all'idea di poter essere abbracciato da uno spettro. Così è
che il funzionario civile salito a bordo per svolgere un'indagine
preliminare sulla cattura, in questa investigazione faticosa ci
spese tutto il giorno, e non scese a terra che a buio, avvolto nel
mantello e molto badando a non far tintinnare la borsa di dollari
di Brown. Dopo, essendo uomo di parola, provvide, fin dalla sera
seguente, a rispedire il cutter governativo in perlustrazione
urgentissima. Siccome il comandante del cutter non aveva uomini da
poter lasciare di guardia, si accontentò di portar via tutte le
vele di Brown fino all'ultima striscia di tela, e si prodigò a
rimorchiarne le due scialuppe sul secco della spiaggia a un paio
di miglia più in là.
Ma fra l'equipaggio di Brown c'era un isolano delle Salomone,
rapito in gioventù e devotissimo a Brown, il quale era il meglio
pezzo della banda. Costui si portò a nuoto fino alla nave
spagnuola - un cinquecento metri - l'estremità di una corda fatta
con tutti i pezzi di cima da manovra corrente annodati insieme per
la bisogna. Il mare era come l'olio, e nella calanca faceva buio
'come dentro la pancia di una vacca,' secondo l'espressione di
Brown. L'isolano delle Salomone si arrampicò sui bastingaggi, con
l'estremità della fune fra i denti. L'equipaggio della nave
costiera - tutti Tagal - era a terra a far bisboccia nel villaggio
indigeno. I due guardiani di bordo si svegliarono di soprassalto e
videro il diavolo. Aveva occhi scintillanti e saltò sul ponte come
un lampo. Caddero in ginocchio, paralizzati di paura; e fattisi il
segno della croce cominciarono a masticar preghiere. Con un
coltello che trovò nella cambusa, l'isolano, senza interrompere le
loro orazioni li pugnalò uno dopo l'altro; con lo stesso coltello
si mise a segare pazientemente la cima d'ormeggio finché non si
spezzò tutta in un colpo sotto la lama, schizzando nell'acqua.
Allora, nel silenzio della calanca, il Salomonese lanciò un cauto
grido, e la banda di Brown, che intanto se n'era stata con gli
occhi fitti e le orecchie dritte in attesa, cominciò a tirare pian
piano dall'altra estremità della fune. In meno di cinque minuti i
due schooner si toccarono dì murata con un leggero urto e uno
scricchiolìo del fasciame.
Senza perdere un attimo la gente di Brown trasbordò, portando con
sé le armi e una larga provvista di munizioni. Erano sedici in
tutto: due marinai scappati da un piroscafo inglese, uno
spilungone disertore da una nave da guerra Yankee, un paio di
Scandinavi biondi e innocenti, una specie di mulatto, un placido
Cinese che faceva il cuoco - e il resto, indefinibile minutaglia
dei mari del Sud. Nessuno di loro disse niente; Brown li piegava
al suo volere, e adesso Brown, indifferente all'idea della forca,
scappava dallo spettro di una prigione spagnuola. Egli non diede
loro neppur l'agio di trasbordare sufficienti provviste; il tempo
era calmo, l'aria carica di guazza, e quando salparono gli ormeggi
e si misero alla vela con una leggera brezza di terra non ebbero
un palpito le vele umide: il vecchio schooner sembrò staccarsi lui
dolcemente dalla nave rubata e scivolare via in silenzio, insieme
alla massa nera della costa, nella notte.
Se la cavarono in pieno. Brown mi riferì i particolari del loro
passaggio per gli Stretti di Macassar. E' una storia di una
disperazione ossessionante. Erano scarsi di cibo e d'acqua;
abbordarono parecchie imbarcazioni indigene e presero un po' di
roba da tutte. Con una nave rubata Brown non osava certo di
entrare nei porti. Non aveva soldi da comprar nulla, non aveva
documenti da mostrare, e neanche bugie plausibili per cavarsi
d'impaccio. Un brigantino arabo, battente bandiera olandese,
sorpreso una notte all'àncora al largo di Poulo Laut cedette un po
di riso sporco, un grappolo di banane, e una bariletta d'acqua;
tre giorni di burrasca con nebbia e vento da nord-est
scaraventarono lo schooner attraverso al mare di Giava. Ondate
gialle, fangose, inzupparono quella serqua di furfanti affamati.
Avvistarono i postali che facevano rotta fissa; incrociarono navi
inglesi, ben rifornite nei fianchi di ferro arrugginito,
all'àncora nei bassi fondi ad aspettare il cambiamento del tempo o
il flusso della marea; un giorno una cannoniera inglese, bianca e
linda, con due alberi sottili, tagliò loro la rotta da lontano; e
un'altra volta una corvetta olandese, nera e carica di vele,
comparve minacciosa da poppa, lentissima e fumigante nella nebbia.
Sgattaiolarono in mezzo a tutti, non visti e non curati, banda di
ultra-fuorilegge macilenti, facce gialle, divorati dalla fame e
incalzati dalla paura. Era progetto di Brown di puntare verso il
Madagascar, dove si aspettava, non senza fondata ragione, di
vendere lo schooner a Tamatave, senza interrogatori, o forse di
ottenere dei documenti di navigazione più o meno falsificati. Ma
prima di affrontare la lunga traversata dell'Oceano Indiano
cibarie occorrevano, e acqua, anche
Forse aveva sentito parlare di Patusan - o forse gli capitò magari
di trovare scritto in piccolo sulla carta quel nome probabilmente
di un villaggio alquanto grande, su un fiume, a una certa distanza
dalla foce, in uno Stato indigeno, del tutto ìndifeso, fuori dalle
vie battute del mare e dai cavi sottomarini. Aveva fatto già cose
del genere - in cerca di guadagno; ma quella d'ora era un'assoluta
necessità, una questione di vita o di morte - o meglio di libertà.
Libertà! Era certo di trovarvi provviste - bovini - riso - patate
dolci. Quell'equipaggio morto di fame si leccava le dita. Forse si
sarebbe potuto rimediare anche un carico di merce per il barco e,
chissà? - anche qualche po' di buona moneta sonante! Qualche volta
quei capi e maggiorenti di villaggi ci si arriva a portarli a
generose offerte. Mi disse che, a costo di arrostirli, a bocca
asciutta non ci sarebbe restato. Gli credo. Anche i suoi uomini
gli credettero. Non scoppiarono in applausi rumorosi perché erano
un branco piuttosto taciturno, ma arrotarono i denti come lupi.
In quanto al tempo la fortuna lo servì bene. Pochi giorni di
bonaccia avrebbero scatenato orrori innominabili a bordo di quello
schooner, ma con l'aiuto del vento di terra e di mare, in meno di
una settimana, dopo aver passato gli Stretti della Sonda, diedero
fondo alla foce, a Batu Kring, a meno di un tiro di schioppo dal
villaggio di pescatori.
Quattordici di loro si ammassarono nella scialuppa dello schooner
(che era grande, tanto che aveva già servito da barca da carico) e
si avviarono su per il fiume, avendo lasciato due di guardia a
bordo, con viveri sufficienti a tener a bada la fame per dieci
giorni. La marea e il vento erano in favore, e nelle prime ore di
un pomeriggio la grande scialuppa bianca, con una vela malandata,
e buon vento di mare in poppa, arrivò a Patusan, col suo
equipaggio di quattordici scelti spauracchi che spingevano avanti
certi loro sguardi vogliosi e affamati, le dita ai grilletti dei
loro vecchi fucili. Brown aveva calcolato su una terrificante
sorpresa al suo apparire. Giunsero con l'estrema spinta della
marea; la palizzata del Rajah non diede segno di vita; le prime
case dai due lati del fiume sembravano deserte. Qualche canoa in
piena fuga si vedeva in fondo al tratto diritto del fiume. Brown
rimase stupefatto della grandezza del villaggio. Regnava un
profondo silenzio. Tra le case il vento cadde; misero due remi, e
seguitarono a risalire il fiume, con l'idea di accamparsi al
centro della città prima che gli abitanti potessero pensare a una
resistenza.
Sembra però che il capo del villaggio a Batu Kring avesse pensato
a mandare in tempo un messaggio d'allarme. Quando la scialuppa
arrivò all'altezza della moschea (costruita da Doramin: un
edificio con comignoli e pinnacoli di corallo lavorato) lo spiazzo
di fronte era tutto pieno di gente. Risuonò un grido, seguito dal
fragore dei gong lungo tutto il fiume. Da un punto elevato
partirono due colpi di cannoncino da sei libbre, e i bronzei
proietti raggiunsero il tratto dritto e libero del fiume,
sollevando getti d'acqua scintillanti nel sole. Davanti alla
moschea una massa d'uomini cominciò urlando una sparatoria che
frustava per traverso la corrente del fiume; dalle due rive la
barca fu presa in mezzo a un fuoco di fucileria irregolare e
continuo, e gli uomini di Brown risposero con un fuoco nutrito e
selvaggio: intanto avevano ritirato i remi in barca.
Il flusso dell'alta marea si ritrae velocemente, in quel fiume, e
la barca in mezzo alla corrente, quasi nascosta dal fumo, cominciò
a retrocedere di poppa. Anche lungo le due rive il fumo si
addensava, stendendosi sotto ai tetti in una striscia orizzontale,
come a volte si vedono certi strappi di nuvole allungarsi
tagliando il pendìo di una montagna. Un tumulto di grida di
guerra, il clamore vibratorio dei gong, il ronfare profondo dei
tamburi, gli urli di rabbia, gli scoppi di fucileria facevano un
chiasso infernale, e Brown, in mezzo a questo bailamme, stupefatto
ma fermo, al timone, si rodeva l'anima, in preda a una crescente
ondata di odio e di rabbia contro quella gente che osava
difendersi. Gli rimasero feriti due dei suoi uomini; poi si vide
tagliare la ritirata a valle della città da alcune barche uscite
dalla palizzata di Tunku Allang. Erano sei, cariche d'uomini.
Mentre era minacciato così, scorse l'imbocco del ruscello (quello
stesso che Jim aveva saltato a bassa marea). In quel momento era
pieno fino all'orlo: vi diresse la scialuppa, sbarcarono, e, a
farla breve, si stabilirono su una piccola altura, a novecento
metri circa dalla palizzata, che venivano così, in fatto, a
dominare da quel punto. La collinetta era spoglia sui fianchi, ma
sulla vetta aveva qualche albero. Si diedero a buttarli giù per
farsene un parapetto di difesa, e avanti buio si trovavano
trincerati abbastanza bene; mentre le barche del Rajah, giù nel
fiume, si tenevano neutrali chissà perché. Tramontato il sole, i
bagliori di molti fuochi di stoppie illuminarono le rive del
fiume, e tra la doppia fila di case sulla sponda più elevata,
diedero un nero rilievo ai tetti, ai gruppi di palme sottili, ai
densi agglomerati di alberi da frutto. Brown ordinò di bruciare
tutta l'erba intorno al fortino; un anello di fiamme radenti sotto
al fumo che saliva lento serpeggiò rapido lungo il pendìo
dell'altura; qua e là un cespuglio secco prendeva fuoco con un
muggito forte e maligno. Il fuoco formò un campo libero di tiro ai
fucili della piccola pattuglia, e morì rosseggiando all'orlo della
foresta e lungo la riva fangosa del ruscello. Una striscia di
giungla lussureggiante nel fosso profondo tra la collinetta e la
palizzata del Rajah fermò il fuoco da quella parte con grandi
schianti e botti dei fusti di bambù che scoppiavano. Il cielo
buio, vellutato, brulicava di stelle. Il terreno annerito fumava
tranquillo, con qualche ultimo guizzo e pennacchietto qua e là,
finché, levatasi una brezzolina leggera, soffiò via ogni cosa.
Brown si aspettava un assalto appena la marea fosse risalita di
quel tanto da permettere alle barche da guerra, che gli avevano
tagliato la ritirata, di penetrare nel ruscello. Era comunque
sicuro che ci sarebbe stato un tentativo di portargli via la
scialuppa, che, ferma ai piedi della collinetta, formava un
ammasso alto nel buio sul debole appoggio di un piano di fango
umido. Ma le barche sul fiume non si mossero per nulla. Al disopra
della palizzata e degli edifici del Rajah, Brown vedeva i loro
lumi: sembravano ancorate in mezzo alla corrente. Luci vaganti si
muovevano nel tratto diritto del fiume, in continuo movimento da
una sponda all'altra. Delle luci occhieggiavano immobili sui
lunghi muri delle case lungo la riva, fino all'ansa del fiume,
altre più in là; altre ancora nel retroterra. Il bagliore di
grandi fuochi scopriva edifici, tetti, pilastri neri a perdita
d'occhio. Era un villaggio che non finiva più. I quattordici
invasori pronti a tutto, lunghi distesi dietro agli alberi
abbattuti, alzarono il mento per osservare il tumulto della città,
che sembrava estendersi per miglia e miglia lungo il fiume, e
brulicare di migliaia d'uomini furibondi. Non si scambiavano
parola. Ogni tanto arrivava un grido o uno sparo isolato molto da
lontano, chissà dove. Ma intorno alla loro trincea tutto era
immobile, buio, silenzioso. Sembravano dimenticati lì, come se
l'orgasmo che teneva sveglia quella popolazione non avesse nessun
rapporto con loro, come se fossero già morti".
CAPITOLO 39.
"Tutti gli avvenimenti di quella notte hanno una grande
importanza, giacché portarono a una situazione rimasta poi
inalterata fino al ritorno di Jim. Costui da più di una settimana
si trovava nell'interno, ed era stato Dain Waris a organizzare la
prima difesa. Quel giovane coraggioso e intelligente ('che sapeva
combattere alla maniera dei bianchi') avrebbe voluto sistemar la
faccenda lì per lì, ma non gli dettero retta: non aveva il
prestigio razziale di Jim, né la reputazione di un potere
invincibile, soprannaturale. Non era l'incarnazione visibile,
tangibile, della immancabile verità e della immancabile vittoria.
Amato, stimato ed ammirato quanto si vuole, restava pur sempre UNO
DI LORO mentre Jim era UNO DI NOI. Inoltre, l'uomo bianco, torre
di potenza di per se stesso, era invulnerabile, mentre Dain Waris
poteva essere ucciso. Furono questi pensieri impliciti a guidare
l'opinione dei capi della città; i quali stabilirono per
deliberare sul caso d'emergenza di raccogliersi nella fortezza di
Jim, quasi per trarre forza e saggezza, in assenza dell'uomo
bianco, dal luogo della sua dimora. Il loro umore era spietato.
Soprattutto i Bugi si sentivano esasperati. Il fuoco dei pirati di
Brown era stato così ben aggiustato o fortunato, che c'era una
mezza dozzina di caduti fra i difensori. I feriti, stesi sulla
veranda, venivano curati dalle loro donne. Le donne e i bambini
della città bassa erano stati raccolti nel forte al primo allarme.
Lì il comando lo aveva Gioiello, molto pratica ed energica,
obbedita dalla 'gente propria di Jim,' venuta a far da guarnigione
al forte, dopo aver abbandonato in blocco la piccola colonia sotto
la palizzata. I rifugiati le si affollavano intorno; e durante
l'intera vicenda, fino alla sua disastrosissima fine, la fanciulla
mostrò uno straordinario spirito combattivo. Da lei era corso Dain
Waris subito al primo sentore del pericolo; perché devi sapere che
Jim era il solo in Patusan a possedere una provvista di polvere da
sparo. Stein, col quale egli si era tenuto a stretto contatto per
lettera, s'era fatto rilasciare dal Governo olandese la speciale
autorizzazione di esportarne a Patusan cinquecento barili. Il
magazzino delle polveri era una capannuccia di pali grezzi
interamente coperta di terra; la chiave, in assenza di Jim, la
teneva la ragazza. Durante il Consiglio, che si riunì alle undici
di sera nella stanza da pranzo di Jim, essa sostenne l'opinione di
Dain Waris per un'azione immediata e a fondo. Dritta in piedi - mi
han detto vicino alla sedia vuota di Jim, al capo estremo del
lungo tavolo, tenne un discorso di foga così battagliera che lì
per lì strappò mormorii di approvazione da quel concilio di capi.
Il vecchio Doramin, che da oltre un anno non rimetteva il naso
fuori dal suo cancello, s'era fatto portare a gran fatica.
Naturalmente era lui il personaggio più importante. L'umore del
Consiglio era di non dar quartiere, e la parola del vecchio
avrebbe potuto essere decisiva; ma, secondo me, lui che conosceva
bene l'impetuoso ardimento del figlio, quella parola non osò
pronunciarla. Prevalsero i suggerimenti dilatori. Un certo Haji
Saman dimostrò con un lungo discorso che 'quegli uomini tirannici
e feroci erano esposti a una morte sicura in ogni caso: se
restavan fermi sulla loro collina, sarebbero morti di fame; se
avessero cercato di raggiungere la barca, sarebbero stati uccisi
da tiratori imboscati di là dal ruscello; se avessero spezzato
l'assedio fuggendo nella foresta, vi sarebbero periti a uno a
uno.' Sostenne che usando opportuni stratagemmi si potevano
annientare i forestieri senza correre il rischio di una battaglia;
e le sue parole furono di gran peso, specialmente per i Patusanesi
del borgo, ì quali erano molto turbati dal fatto che era mancata
l'azione delle barche del Rajah al momento decisivo. A
rappresentare il Rajah era venuto il diplomatico Kassim. Parlava
poco, ascoltava sorridendo, molto cordiale e impenetrabile.
Durante la seduta, messaggeri arrivavano, si può dire, ogni due o
tre minuti, col resoconto delle mosse degli invasori. Si
spargevano rapidamente le voci più esagerate ed assurde: alla foce
del fiume c'era una grande nave con grossi cannoni e molti altri
uomini... alcuni bianchi, altri di pelle nera e d'aspetto
sanguinario. Si erano mossi con molte barche per venire a
sterminare ogni essere vivente. La sensazione di un'oscura
imminenza teneva il popolo in agitazione. A un dato momento si
sparse il panico tra le donne in cortile; strilli, gran pigia
pigia; bambini che piangevano... Haji Saman uscì a calmarle. Poi
una sentinella sparò contro qualcosa che aveva visto muovere sul
fiume, e per poco non ammazzò uno del villaggio che aveva caricato
in una canoa le sue donne, i suoi utensili migliori e una dozzina
di polli, e veniva a portar ogni cosa nel forte. Questo portò
nuova confusione. Intanto dentro alla casa di Jim seguitavano a
concionare alla presenza della ragazza. Doramin seduto, pesante,
colla faccia feroce, guardava gli oratori uno dopo l'altro e
traeva lunghe soffiate come un toro. Non parlò che all'ultimo,
quando Kassim ebbe dichiarato che il Rajah avrebbe ritirato le sue
barche, essendo gli uomini necessari per la difesa alla palizzata
del suo padrone. Dain Waris, in presenza del padre, non volle
prendere la parola, benché la ragazza lo supplicasse in nome di
Jim di parlare. Nella sua ansia di veder cacciare subito gli
intrusi, ella offrì 'la gente propria di Jim.' Ma il giovane
scosse il capo dopo avere una o due volte scambiato un'occhiata
con Doramin. Finalmente, quando il Consiglio si sciolse, era stato
deciso di far occupare in forza le case più vicine al ruscello per
avere il controllo sulla barca del nemico, senza però toccare la
barca medesima, affinché i banditi della collina si sentissero
invogliati a imbarcarsi, nel qual caso una ben aggiustata
fucileria avrebbe senza dubbio fatto strage dei più. Per tagliare
la via di scampo agli eventuali superstiti e impedire ad altri di
venire in rincalzo, Dain Waris ebbe ordine da Doramin di condurre
un gruppo di Bugi armati lungo il fiume fino a un quindici miglia
a valle di Patusan, e lì mettere il campo sulla riva bloccando il
fiume con le canoe. Non credo neanche per ombra che Doramin
temesse l'arrivo di rinforzi. Secondo me la sua condotta fu
determinata soltanto dal suo desiderio di tenere il figlio lontano
dal pericolo. Per impedire un irruzione dentro il borgo fu decisa
la costruzione di una palizzata da iniziarsi all'alba, in capo
alla strada, sulla riva sinistra. Il vecchio nakhoda dichiarò di
volerne assumere il comando di persona. Ebbe luogo immediatamente
una distribuzione di polvere, pallottole, e capsule a percussione,
sotto la sorveglianza della ragazza. Furono spediti a Jim parecchi
messaggeri in direzioni varie, non sapendosi dove precisamente si
trovasse. Queste staffette partirono all'alba, ma ormai Kassim era
riuscito a mettersi in comunicazione con l'assediato Brown.
Quel matricolato diplomatico e confidente del Rajah,
nell'abbandonare il forte per tornare dal suo padrone, imbattutosi
in Cornelius che se la sgattaiolava zitto zitto tra la gente del
cortile, se lo portò in barca con sé. Kassim aveva un progettino
tutto di sua invenzione, e pensò di portarsi Cornelius come
interprete. Così accadde che la mattina Brown, mentre rifletteva
sulla propria disperata situazione, udì di tra la fitta
vegetazione del fosso paludoso una voce amichevole, tremolante,
chioccia, che gridando in inglese chiedeva con la garanzia
dell'incolumità personale il permesso di salire, per
un'importantissima missione. Brown toccò il cielo con le dita. Se
qualcuno gli rivolgeva la parola voleva dire che non gli si dava
più la caccia come a una bestia feroce. Quelle parole amichevoli
lo sollevarono subito dalla terribile tensione di quella
spasmodica vigilanza di ciechi che si aspettano il colpo di grazia
senza veder da che parte può arrivare. Finse una grande titubanza.
La voce si dichiarò 'un uomo bianco. Un povero vecchio rovinato
che viveva lì da anni.' Una nebbia umida e fredda copriva il
pendìo della collina, e dopo qualche altro scambio di parole Brown
gridò: 'Vieni su, avanti! ma da solo, bada!' In via di fatto - mi
disse, storcendosi di rabbia al ricordo della sua impotenza - in
fondo era poi lo stesso. Non ci vedevano un metro più in là del
loro naso, e la loro situazione era tale che nessun tradimento
avrebbe potuto peggiorarla. Dopo un po' videro Cornelius, col suo
vestito di tutti i giorni, fatto d'una camicia e di un paio di
pantaloni strappati e sudici, a piedi nudi, con in testa un
cappello di fibra dalla tesa tutta smozzicata, che si avvicinava
di sbieco alla trincea, esitando e fermandosi in ascolto, quasi
guatando. 'Vieni su! Non c'è pericolo,' urlo Brown, mentre i suoi
uomini eran lì a occhi sbarrati. Tutte le loro speranze di vita
convergevano su quello straccio meschino e miserabile di nuovo
venuto, il quale, nel più profondo silenzio, scavalcava goffamente
un tronco d'albero abbattuto, e, rabbrividendo, col suo viso
acido, diffidente, sogguardava quel gruppo di banditi barbuti,
ansiosi, insonni, che gli facevano corona.
Una mezz'oretta di conversazione amichevole con Cornelius bastò
per aprire gli occhi a Brown sulla situazione interna di Patusan,
e a fargli drizzare le orecchie. Possibilità ce n'erano-
moltissime; prima però di prendere in esame le proposte di
Cornelius volle che sulla collina fossero mandati viveri a
garanzia di buona fede. Cornelius se ne andò pian piano e a
ciondoloni, giù per la costa, dalla parte della dimora del Rajah,
e dopo un breve intervallo qualcuno degli uomini di Tunku Allang
venne su a portare un po' di riso, 'chilli,' e pesce secco. Poco,
ma infinitamente meglio che niente. Più tardi Cornelius ritornò,
in compagnia di Kassim, che se ne venne avanti con una cera
gioviale e pienamente fiduciosa, in sandali, e avvolto dal collo
alle caviglie in un lenzuolo bianco. Strinse con discrezione la
mano a Brown, e i tre uomini si appartarono per conferire. Quelli
di Brown, ripreso animo, si davano gran manate sulla schiena, con
occhiate d'intesa al loro capitano, mentre si eran dati a
tutt'uomo a preparare il rancio.
Kassim non poteva soffrire né Doramin ne i suoi Bugi, e meno
ancora il nuovo ordine di cose. Si era messo in mente che questi
bianchi, insieme ai seguaci del Rajah, avrebbero potuto attaccare
e sbaragliare i Bugi prima del ritorno di Jim. Poi, ne inferiva,
sarebbe seguita immediatamente una defezione generale e il regno
dell'uomo bianco paladino della povera gente sarebbe crollato.
Dopo, si poteva regolare la faccenda coi nuovi alleati, che non
avevano amici. Kassim era pienamente in grado di rilevare certe
differenze di caratteri, e ne sapeva abbastanza sui bianchi per
capire che questi nuovi venuti erano dei reietti, uomini senza
patria. Brown conservava un contegno duro e imperscrutabile. La
voce di Cornelius, a tutta prima, quando domandò di esser lasciato
salire, gli aveva acceso dentro appena una lieve speranza - di
riuscire a scapparsene da una maglia rotta. In meno di un'ora,
nuovi pensieri gli misero la testa in ebollizione. Spinto da
un'estrema necessità, era venuto lì a rubare un po' di viveri,
forse qualche tonnellata di gomma o di caucciù, o una manciata di
dollari; e si era trovato in un pantano di pericoli mortali. Ora,
in conseguenza di quelle profferte di Kassim, cominciò a pensare
di rubarsi tutto il paese. Un dannato individuo sembrava che
avesse già fatto qualcosa del genere - e da solo. Ma non ci doveva
esser riuscito proprio a dovere. Forse avrebbero potuto
collaborare: spremere tutta questa roba fino all'osso, e poi
andarsene tranquillamente per i fatti loro. Nel corso dei
negoziati con Kassim gli risultò che la gente lo credeva padrone
di una grande nave e molti uomini in rada. Kassim lo pregò
caldamente di far subito risalire il fiume a questa nave con i
suoi molti cannoni e uomini, per metterla al servizio del Rajah.
Brown si dichiarò pronto a farlo, e su questa base si svolsero i
negoziati con reciproca sfiducia. Tre volte durante la mattinata
il cerimonioso e attivo Kassim scese a consultarsi col Rajah,
sempre tornando su con aria affaccendata a gran passi. Brown,
durante queste trattative, provava una specie di acre allegria,
pensando al suo schooner scalcinato con nella stiva un mucchio di
immondizie e niente altro, diventato tutto a un tratto un
bastimento armato; e al Cinese e allo zoppo, ex-ladro di naufragi,
raccolto morto di fame sulla spiaggia di Levuka, che
rappresentavano tutti quei suoi molti uomini. Nel pomeriggio
ottenne un'altra distribuzione di viveri, la promessa di un po' di
danaro, e una provvista di stuoie da farsene dei ripari per i suoi
uomini. Questi si distesero a terra e si misero a russare,
protetti dal sole cocente; ma Brown, seduto bene allo scoperto su
uno degli alberi abbattuti, si rallegrò la vista con lo spettacolo
della borgata e del fiume. C'era molta grazia di Dio laggiù.
Cornelius, che si sentiva ormai a casa sua nell'accampamento,
standogli a fianco, gli parlava e gli segnava a dito le varie
località, gli dava consigli, e la propria interpretazione della
personalità di Jim, commentando a modo suo gli avvenimenti degli
ultimi tre anni. Brown, in apparenza distratto e con gli occhi
sempre altrove, ascoltava però con attenzione senza perdersi una
parola; ma non riusciva a veder chiaro che razza d'uomo potesse
essere questo Jim. 'Come si chiama? Jim! Jim! Un po' poco per un
nome d'uomo.' 'Qui lo chiamano,' fece Cornelius con sarcasmo,
'Tuan Jim, ossia Lord Jim, come direste voialtri.' 'Chi è? Di dove
esce?' domandò Brown. 'Che tipo d'uomo è? E' inglese?' ' Sì, sì, è
inglese. Anch'io sono inglese. Di Malacca. E' uno stupido. Non hai
che da ammazzarlo e qui sarai tu il re. Qui è tutto suo,' spiegò
Cornelius. 'Mi sa che tra non molto dovrà rassegnarsi a dividere
il suo con qualcun altro,' commentò Brown a mezza voce. 'No, no.
La cosa da fare è di ammazzarlo alla prima occasione, che allora
puoi fare quello che ti pare, dopo,' insisteva Cornelius con
calore. 'Vivo qui da molti anni, e ti do un consiglio da amico.'
In tali conversazioni, e nel compiacimento della vista di Patusan
che aveva deciso in cuor suo di far sua preda, Brown passò gran
parte del pomeriggio mentre i suoi uomini riposavano. Quel giorno
la flotta di canoe di Dain Waris, scivolando a una alla volta
lungo la sponda opposta al ruscello, scese a chiudere il fiume per
tagliargli la ritirata. Di questo Brown non si rese conto, e
Kassim, salito alla collina un'ora prima del tramonto, si guardò
bene dal metterlo al corrente. Desiderava che la nave dell'uomo
bianco risalisse il fiume; e temeva che queste notizie lo
avrebbero trattenuto dall'impresa. Insistette molto con Brown
perché mandasse l''ordine,' offrendogli, nel medesimo tempo, una
staffetta di fiducia che, per maggior segretezza (spiegò), avrebbe
preso la via di terra per la foce del fiume, a consegnare
1''ordine' a bordo. Dopo una breve riflessione, Brown trovò più
spiccio strappare un foglio dal suo taccuino e scriverci su queste
semplici parole: 'Andiamo bene. Grosso affare. Trattenete l'uomo.'
Lo stolido giovane scelto da Kassim per far da staffetta eseguì
fedelmente la missione, e venne ricompensato subito con un bel
volo a testa avanti nella stiva vuota, che gli fecero fare l'ex
vagabondo e il Cinese, i quali si affrettarono a chiudere i
boccaporti. Come gli andò a finire, Brown non me lo disse".
CAPITOLO 40.
"Scopo di Brown era di guadagnar tempo trastullandosi con la
diplomazia di Kassim. Per far un colpo sul serio non poteva
esimersi dal pensare che bisognava senz'altro lavorarsi l'uomo
bianco. Non poteva immaginare che un tipo simile (che doveva
essere maledettamente abile, dopo tutto, per tenere in mano a tal
punto gli indigeni) rifiutasse un'alleanza che gli avrebbe
eliminata la necessità di quei lenti raggiri, cauti e rischiosi, a
che costringe l'unica linea di condotta possibile per un uomo
solo. Lui, Brown, gli avrebbe apportato la forza. Impossibile
esitare. Tutto stava arrivare a un'intesa chiara. Naturalmente
avrebbero poi fatto a mezzo. L'idea che ci fosse, lì, un forte
pronto, a portata di mano - un vero forte con la sua artiglieria
(glie l'aveva detto Cornelius) lo eccitava. Bastava far il primo
passo, che poi... Avrebbe imposto condizioni modeste. Non troppo
però. Quello - a quanto pareva - non era un imbecille. Avrebbero
lavorato da buoni fratelli, finché... finché non fosse venuto al
momento opportuno un litigio e una fucilata a sistemare tutti i
conti. Nella sua spasmodica impazienza di saccheggio, avrebbe
voluto già trovarsi a colloquio con quell'uomo. Quella terra gli
sembrava già sua, da farla a pezzi, strizzarla, e buttarla via.
Intanto, bisognava tenersi buono Kassim, prima di tutto per via
dei viveri - e poi avere un rinforzo. L'essenziale, per ora, era
di aver da mangiare giorno per giorno. D'altra parte era anche
disposto a combattere per il Rajah, pur di dare una lezione a
quella gente che l'aveva ricevuto a colpi d'arma da fuoco. Lo
spirito di battaglia era in lui.
Mi rincresce non saperti riferire questo brano della vicenda che,
naturalmente, ho saputo per la maggior parte da Brown - con le sue
stesse parole. C'era nel fraseggiare rotto, violento di
quell'uomo, che metteva a nudo dinanzi a me i suoi pensieri con la
Morte alla gola, una sfrenata crudeltà di propositi, uno strano
atteggiamento di vendetta contro il proprio passato, e una cieca
fede nel buon diritto della sua volontà contro l'umanità intera;
un sentimento molto vicino a quello che poté permettere al capo di
un'orda di tagliagole vaganti di chiamarsi con orgoglio il
Flagello di Dio. Senza dubbio la naturale ferocia insensata che è
al fondo di simili caratteri si esasperava in lui per
l'insuccesso, l'avversa fortuna e le recenti privazioni, non meno
che per la condizione disperata in cui Brown si trovava; ma la
cosa più straordinaria era che, mentre progettava false alleanze e
aveva già deciso in cuor suo il destino dell'uomo bianco, e
complottava con aria di superiore degnazione con Kassim,
risultasse così chiaro, quasi suo malgrado, il suo vero desiderio:
che era quello di mettere a ferro e fuoco quel borgo della giungla
che lo aveva sfidato e di vederlo disseminato di cadaveri e
avvolto nelle fiamme. Ascoltando la sua voce spietata e affannosa,
potevo figurarmi come se lo contemplava dall'alto della collina,
popolandolo d'immagini di strage e di rapina. Il quartiere più
prossimo al fiume pareva deserto alla vista, benché in realtà ogni
casa nascondesse qualche uomo armato e all'erta. A un tratto,
molto di là della vasta piana incolta, cosparsa di ciuffi di bassa
e fitta vegetazione, di buche, di mucchi di rifiuti, e tagliata da
sentieri, un uomo solitario, che pareva piccolo piccolo, se ne
uscì tranquillamente all'aperto per la strada deserta tra le
costruzioni chiuse, buie, senza vita, in capo al paese. Forse uno
degli abitanti, fuggito all'altra sponda del fiume, e tornato a
prendere qualche oggetto d'uso domestico. Evidentemente si
riteneva del tutto sicuro a quella distanza dalla collina,
dall'altra parte del ruscello. Una debole palizzata, tirata su in
fretta, si ergeva lì vicino, allo svolto della strada, popolata
dai suoi amici. Si muoveva a suo agio. Brown lo vide, e chiamò
immediatamente il disertore yankee che fungeva in certo modo da
sottocomandante. Questo spilungone dinoccolato si avvicinò, con la
sua faccia di legno, trascinandosi dietro svogliato il suo fucile.
Quando capì che cosa si voleva da lui, con ghigno omicida e
vanesio scoprì i denti, mentre due rughe profonde gli solcarono le
guancie giallastre e coriacee. Si vantava di essere un tiratore
infallibile. Piegato un ginocchio, e mirando con la canna
appoggiata solidamente ai rami ancora frondosi di un albero
abbattuto, sparò, e subito si alzò a guardare. L'uomo laggiù volse
il capo al rumore, fece ancora un passo, sembrò esitare, e di
colpo cadde sulle ginocchia e sulle mani. Nel silenzio che seguì
al colpo secco del fucile, il tiratore infallibile, tenendo gli
occhi fissi sulla preda, osservò che 'la salute di quel tanghero
lì non avrebbe più dato dispiaceri ai suoi amici.' Si vedevano gli
arti della vittima agitarsi sotto il suo corpo nel tentativo di
avanzare carponi. In quello spazio vuoto sali un grido collettivo
di sgomento e di sorpresa. L'uomo cadde disteso, bocconi, e non si
mosse più. 'Per far vedere a quella gente cosa potevamo fare noi,'
mi disse Brown. 'E mettergli in corpo la paura della morte
improvvisa. Questo ci occorreva. Erano duecento contro uno, ed
ecco che davamo loro un argomento da ripensarci su la notte.
Prima, nessuno di essi aveva mai avuto neanche l'idea di un tiro
così lungo. Quello straccione dell'uomo del Rajah scappò giù per
la collina con gli occhi fuori della testa.'
Mentre mi parlava così, cercò di tergersi con mano tremante un po'
di schiumetta di sulle labbra violacee, che si contorcevano.
'Duecento contro uno. Duecento contro uno... metterli in
terrore... terrore; terrore, glie lo dico io...' Anche a lui gli
occhi strabuzzavano fuori dell'orbita. Ricadde all'indietro,
annaspando l'aria con dita nodose, si tirò su di nuovo, curvo e
irsuto, e mi squadrò di traverso con occhi infocati, come l'orco
delle favole, con la bocca aperta nella sua agonia orribile e
miseranda, prima di poter riprendere la parola dopo quell'attacco.
Certi spettacoli uno non se li scorda più.
Inoltre, per attirare il fuoco avversario e individuare le
pattuglie che potevano nascondersi nei cespugli lungo il ruscello,
Brown ordinò all'isolano delle Salomone di scendere fino alla
barca e di portar su un remo, come si ordina a un cane di
riportare un bastone gettato in acqua. La manovra fallì e l'uomo
tornò senza che da nessuna parte gli avessero sparato un colpo.
'Non c'è anima viva,' concluse qualcuno. 'E' assurdo,' osservò lo
Yankee. In realtà, Kassim se n'era andato un po' scosso e un po'
contento, ma anche inquieto. Fedele alla sua politica tortuosa,
aveva mandato un messaggio a Dain Waris, avvertendolo di tener
d'occhio il barco degli uomini bianchi che- secondo le sue
informazioni - era sulle mosse per risalire il fiume. Ne
sottovalutò la potenza ed esortò Waris ad impedirgli il passaggio.
Questo doppio giuoco rispondeva al suo scopo che era quello di
tener divise le forze Bugi e di indebolirle col combattimento.
D'altra parte, nel corso della giornata, aveva passato parola ai
capi Bugi adunati in paese, assicurandoli che stava tentando di
indurre gli invasori a ritirarsi; e intanto con messaggi al forte
chiedeva insistentemente polvere per gli uomini del Rajah. Era
passato molto tempo da quando Tunku Allang aveva ricevuto le
ultime munizioni per quella ventina di vecchi moschetti che si
arrugginivano nelle rastrelliere della sala delle udienze. I
palesi rapporti fra la collina e il palazzo turbavano gli spiriti.
Si cominciava a dire che era tempo che gli uomini prendessero
partito. Presto ci sarebbe stato molto spargimento di sangue, e
quindi gran dolore per molta gente. La tela sociale di vita
ordinata, pacifica, in cui ogni uomo era sicuro del domani,
l'edificio che Jim aveva costruito con le proprie mani, sembrava
quella sera sul punto di crollare in rovina e nel sangue. I più
poveri già si davano alla macchia o fuggivano su per il fiume. Un
buon numero di quelli delle classi più elevate si credettero in
dovere di andar a fare la corte al Rajah. Ma i giovanotti al
servizio del Rajah li presero rudemente a spintoni. Il vecchio
Tunku Allang, quasi fuori di sé dalla paura e dall'indecisione, o
li accolse in silenzio, immusonito, o li insolentì violentemente
perché avevano osato venire a mani vuote; sicché quelli se ne
andarono spaventatissimi. Soltanto il vecchio Doramin teneva in
pugno, compatti, i suoi compaesani e seguiva inflessibile la sua
tattica. Seduto maestosamente in una grande poltrona dietro la
palizzata improvvisata, impartiva i suoi ordini con un boato roco
e profondo; impassibile come se fosse stato sordo, tra quel
fluttuar dl notizie.
Calò il crepuscolo e nascose prima il corpo del morto, che era
stato lasciato lì disteso con le braccia aperte, quasi inchiodato
al terreno; poi la sfera volvente della notte, nel suo dolce moto,
pèndula sopra la Patusan, versò sulla terra lo scintillio di
innumerevoli mondi. Di nuovo, nella parte scoperta del borgo,
fiammeggiarono grandi fuochi, lungo l'unica strada, e spiccarono a
intervalli, nei bagliori, le linee rette dei tetti a spiovente,
confusi frammenti di muri, e qualche capanna qua e là tutta intera
contro luce sulle dritte linee nere di un gruppo di pali alti, e
tutta una striscia di abitazioni, svelata a tratti, sembrava
palpitar con la luce delle fiamme lungo la linea tortuosa del
fiume fino alla zona di buio nel cuore dei paese. Un grande
silenzio, in cui ardeva silenziosa la fila dei fuochi, si stendeva
nelle tenebre ai piedi della collina; ma dall'altra riva del
fiume, tutta buia con un'unica fiamma solitaria sulla sponda
prospiciente il fortilizio, giungeva per l'aria un crescente
brulichìo, come lo scalpicciare di una moltitudine, il sussurro di
molte voci, o il rumore di una cascata lontanissima. Fu quello il
momento, mi confessò Brown, in cui, stando seduto a guardare tutto
ciò, con le spalle voltate ai suoi uomini, nonostante il suo
disprezzo per gli altri e la sua fede assoluta in se stesso, ebbe
viva la sensazione di aver sbattuto alla fine la testa contro un
muro di pietra. Se la sua barca in quel momento non fosse stata in
secco, avrebbe tentato probabilmente di svignarsela, affrontando
il rischio di un lungo inseguimento sul fiume e di una lunga fame
per mare. Non è gran che sicuro se ce l'avrebbe fatta a scappare.
Comunque, non ci provò neanche. Un momento dopo gli balenò l'idea
di tentare un assalto di sorpresa contro il borgo, ma si rese
subito conto che alla fine si sarebbe trovato nella strada
illuminata, e dalle case li avrebbero ammazzati tutti come cani.
Erano duecento contro uno - pensò - mentre i suoi uomini,
accoccolati intorno a due mucchi di brage semispenta, biascicavano
le ultime banane e arrostivano quelle poche patate che aveva loro
procurato la diplomazia di Kassim. Cornelius sedeva fra loro
sonnecchiando, scontento.
Allora uno dei bianchi si ricordò che era rimasto un po' di
tabacco nella barca, e, spinto dall'esempio fortunato dell'isolano
delle Salomone, disse che sarebbe andato a prenderlo. A quell'idea
tutti si riscossero dalla loro malinconia. Brown, quando si sentì
chiedere il permesso, rispose sprezzante: 'Va', e Dio ti...' Non
pensava ci potesse esser pericolo a scendere al ruscello di notte.
L'uomo scavalcò un tronco e scomparve. Un attimo dopo lo sentirono
arrampicarsi sulla barca e uscirne. 'Trovato!' gridò. Un lampo e
un colpo proprio ai piedi della collina. 'Mi hanno pizzicato,'
urlò l'uomo. 'Attenti, attenti... mi hanno ferito,' e
immediatamente partì una scarica di tutti i fucili. La collina
rovesciò fuoco e fragore nella notte come un vulcano in miniatura,
e quando Brown e lo Yankee a furia di bestemmie e di pugni furon
riusciti a fermare quella sparatoria della paura, un gemito stanco
e profondo salì dal ruscello, seguìto da un lamento di una così
accorata desolazione che raggelava il sangue nelle vene come un
veleno. Poi una voce forte pronunciò alcune parole distinte e
incomprensibili da un punto oltre il ruscello. 'Nessuno spari,'
gridò Brown. 'Che cosa dice?'... 'Voi della collina, mi sentite?
Mi sentite? Mi sentite?' ripeté la voce tre volte. Cornelius
tradusse, e poi suggerì la risposta. 'Parla,' gridò Brown. 'Ti
sentiamo.' Allora la voce, declamando col tono turgido e roboante
di un araldo, e spostandosi continuamente sull'orlo della
brughiera invisibile, proclamò che tra gli uomini di razza Bugi di
Patusan e gli uomini bianchi sulla collina e loro partitanti non
poteva esserci né fede né pietà né discorsi né pace. Un fruscìo in
un cespuglio, e partì una fucilata a casaccio. 'Maledetta
stupidità,' borbottò lo Yankee, battendo seccato il calcio del
fucile in terra. Cornelius tradusse. Il ferito, ai piedi della
collina, dopo aver gridato due volte: 'Venitemi a prendere -
venitemi a prendere,' continuò a gemere e lamentarsi. Finché si
era tenuto sul terreno buio del pendìo, e poi accoccolato nella
barca, era rimasto abbastanza al sicuro. Ma pare che nella sua
gioia di aver ritrovato il tabacco si fosse lasciato andare
saltando fuori dalla barca dalla parte, per così dire, esterna. La
scialuppa bianca, alta così tutta in secco, fece spiccare netto il
suo profilo; il ruscello non era largo più di sette metri in quel
punto, e capitò che in un cespuglio sull'altra sponda ci si fosse
appostato un uomo.
Era un Bugi di Tondano, venuto da poco a Patusan, e parente
dell'uomo ucciso nel pomeriggio. Quel famoso tiro a lunga portata
aveva davvero sgomentato i presenti. Quel disgraziato, che se ne
stava così sicuro, colpito davanti agli occhi dei suoi amici, con
ancora sulle labbra una parola di scherzo, e l'atrocità
particolare che gli indigeni vedevano in quell'omicidio, aveva
suscitato tra loro un profondo rancore. Quel parente del morto, un
certo Si-Lapa, si trovava in quel momento a pochi metri da lui,
con Doramin, dentro la palizzata. Tu che conosci quei tipi devi
ammettere che quel Si-Lapa mostrò un ardire non comune quando si
offerse di portare il messaggio da solo, di notte. Trascinandosi
carponi attraverso il terreno scoperto, aveva deviato a sinistra e
s'era trovato di fronte alla barca. Spaventato dal grido dell'uomo
di Brown, si mise a sedere col fucile appoggiato alla spalla, e
quando l'altro saltò fuori allo scoperto fece scattare il
grilletto e piazzò di punto in bianco tre pallettoni nella pancia
di quel disgraziato. Poi, steso a terra bocconi, fece il morto
quando quella grandinata di piombo gli tagliuzzò e frustò i
cespugli a due dita da lui, sulla destra. Poi lanciò il suo
proclama gridando, piegato in due, e tenendosi costantemente al
coperto. Detta l'ultima parola fece uno scarto di fianco, se ne
stette un po' lì chiotto chiotto, e quindi se ne tornò sano e
salvo tra le case, essendosi acquistato in quella notte una
rinomanza che i suoi figli non lasceranno tanto facilmente
dimenticare.
Intanto sulla collina quella banda di derelitti, col capo tra le
mani, aveva lasciato spegnersi i due mucchietti di brage. Sedevano
tristissimi per terra, a labbra compresse e occhi bassi,
ascoltando i lamenti del loro compagno lì disotto. Era un uomo
robusto e stentò a morire, con gemiti ora alti ora abbassati fino
a un curioso tono di sofferenze confidate in un sussurro. Qualche
volta urlava, poi, di nuovo, dopo un intervallo di silenzio, lo si
sentiva borbottare una lamentela lunga e inintelligibile, in
delirio. Non smetteva un momento.
'A che serve?' aveva detto Brown, impassibile, vedendo lo Yankee,
il quale aveva bestemmiato fino allora sottovoce, prepararsi a
scendere. 'Difatti,' assentì il disertore, rinunciando a
malincuore. 'Non c'è niente per i feriti quassù. Soltanto, questa
lagna può mettere in capo agli altri troppi pensieri dell'al di
là, capitano.' 'Acqua!' gridò il ferito con voce
straordinariamente chiara e vigorosa, e poi riprese a lamentarsi
fioco. 'Sì, acqua. L'acqua ti sistemerà,' borbottò tra i denti
l'Americano con aria rassegnata. 'Anche troppa, tra un momento; la
marea risale.'
Risalì difatti, sommergendo gemiti e grida di dolore. L'alba era
vicina quando Brown, seduto di fronte a Patusan col mento sul
palmo della mano, come chi fissa il fianco di una montagna
inaccessibile, udì il breve e secco latrato di un cannoncino di
bronzo da sei libbre laggiù lontano, da un punto del borgo. 'Che
è?' domandò a Cornelius che gli era sempre ai panni. Cornelius si
mise in ascolto. Un mugghìo di grida soffocate corse lungo il
fiume per tutta la città; un grande tamburo cominciò a rullare,
altri risposero, pulsando e ronfando. Minuscole luci cominciarono
a scintillare qua e là nella parte buia del paese, mentre dalla
parte illuminata dalla fila di fuochi saliva sempre il brusìo
profondo e prolungato. 'E' arrivato,' fece Cornelius. 'Come? Già?
Sei certo?' domandò Brown. 'Sì! Sì! Certissimo. Senti questo
rumore.' 'Perché fanno tanto chiasso?' soggiunse Brown. 'Per la
gioia,' stronfiò Cornelius; 'è un vero grand'uomo, ma, tutto
sommato, è anche un bamboccio, e così fanno molto rumore per
dargli piacere perché sono degli stupidi.' 'Senti un po',' fece
Brown, 'come si fa per arrivare fino a lui?' 'Verrà lui a
parlarti,' dichiarò Cornelius. 'Che vuoi dire? Che verrà a farsi
una passeggiatina per questi paraggi?' Cornelius annuì
vigorosamente col capo nel buio.
'Sì. Verrà qui dritto dritto a parlarti. E' proprio uno scemo.
Vedrai quant'è scemo.' Brown non ci poteva credere. 'Vedrai,
vedrai ,' ripeteva Cornelius. 'Non ha paura - non ha paura di
nulla. Verrà a ordinarti di lasciar in pace la sua gente. Tutti
devono lasciar in pace la sua gente. E' un bamboccio. Verrà dritto
da te.' Ahimè! conosceva bene Jim - quel 'vigliacchetto,' come lo
chiamò Brown parlando con me. 'Proprio così,' soggiunse Cornelius
con ardore, 'e allora, capitano, tu devi dire a quell'uomo alto
col fucile di sparargli addosso. Ammazzalo; e metterai addosso a
quelli là un tale spavento che, dopo, potrai fare quello che vuoi.
Ah! ah! ah! ah! Bello...' Stava quasi ballando per l'impazienza e
la smania, e Brown, guardandolo di traverso, vedeva, spietatamente
illuminati dall'alba, i suoi uomini fradici di guazza, seduti tra
le ceneri fredde, in mezzo al disordine dell'accampamento,
stracciati, smunti e avviliti".
CAPITOLO 41.
"Fino all'ultimissimo momento, finché non li assalì d'un balzo il
giorno chiaro, i fuochi sulla riva occidentale fiammeggiarono
lucidi e splendenti; e allora Brown vide in un gruppo di indigeni
immobili tra le case più vicine, un uomo vestito all'europea, con
il casco, tutto bianco dalla testa ai piedi. 'E' lui; guarda!
guarda!' fece Cornelius, eccitato. Tutti gli uomini di Brown erano
saltati su e facevano ressa alle sue spalle con occhi spenti. Il
gruppo di vivaci colori e faccie scure, con la figura bianca nel
mezzo, stava osservando la collina. Brown vedeva braccia nude
alzate a far solecchio, e altre braccia brune tese a indicare.
Cosa doveva fare? Si guardò intorno; le foreste di contro, da ogni
lato, sembravano le pareti di un'arena per un duello ineguale.
Guardò un'altra volta i suoi uomini. Gli si agitavano in petto
disprezzo, stanchezza, desiderio di vivere, voglia di fare ancora
un tentativo per raggiungere con miglior fortuna una diversa
sepoltura. Dal modo come si profilava la figura, gli sembrò che
l'uomo bianco, laggiù, spalleggiato da tutto il paese stesse
esaminando la sua posizione col binocolo. Brown salì in piedi su
un tronco, alzando le braccia con le palme in fuori. Il gruppo di
colore si contrasse ed allargò due volte prima che l'uomo bianco
ne fosse fuori per avanzare lentamente, da solo. Brown rimase in
piedi sul tronco finché Jim, apparendo e scomparendo tra gli
sterpeti, ebbe quasi raggiunto il ruscello; allora saltò giù e gli
andò incontro dalla parte sua.
S'incontrarono non molto lontano, direi - o forse proprio
esattamente - nel punto dove Jim aveva fatto il secondo salto
disperato della sua vita - quello che lo trapiantò nella vita di
Patusan, nella fede, nell'amore, nella fiducia del popolo. Si
guardarono in faccia dalle opposte rive del ruscello e con occhi
fermi cercarono di comprendersi a vicenda prima di aprire bocca.
Il loro antagonismo dovette risultare chiaro a colpo d'occhio: io
so che Brown odiò Jim al primo sguardo. Qualunque speranza avesse
concepito, svanì di colpo. Quello non era l'uomo che si aspettava.
Lo odiò per questo - e, nella sua camicia a quadretti dalle
maniche corte, la barba grigia, la faccia smunta e abbronzata,
maledisse in cuor suo la gioventù e la sicurezza dell'altro, i
suoi occhi limpidi e il suo portamento tranquillo. Quel ragazzo ne
aveva della strada davanti a sé! Non pareva il tipo proclive a
cedere qualche cosa per procacciarsi aiuti. Aveva tutti i vantaggi
per sé: possesso, sicurezza, potenza; stava col partito di gran
lunga dominante. Non era né alla fame né alla disperazione, e non
sembrava avere minimamente paura. Perfino nella lindura degli
abiti di Jim, dal casco bianco alle mollettiere di tela, alle
scarpe pulite col bianchetto, c'era qualcosa che agli occhi
torbidi e corrucciati di Brown sembrava appartenere a un mondo da
lui sempre vilipeso e sconfessato col tenore stesso della sua
vita.
'Chi sei?' domandò Jim alla fine, col suo tono di voce naturale.
'Mi chiamo Brown,' rispose l'altro a voce alta. 'Capitano Brown. E
tu?' Ma Jim, dopo una breve pausa, proseguì tranquillamente, come
se non avesse sentito. 'Che cosa ti ha condotto qui?' 'Vuoi
saperlo?' ribatté Brown amaramente. 'E' presto detto. La fame. E
tu?'
'Quell'individuo trasalì a questa domanda,' mi diceva Brown,
riferendomi quella strana conversazione tra due uomini separati
soltanto dal letto fangoso del torrente, ma ai poli opposti di
quel concetto della vita che include l'umanità tutta intera.
'L'individuo trasalì e si fece tutto rosso in faccia. Troppo in
alto per sopportar domande, immagino. Gli dissi che se mi
considerava un uomo morto da pigliar sottogamba, lui in fondo non
si trovava affatto in acque migliori: che io avevo un tipo lassù
il quale non gli levava un momento la mira di dosso e aspettava
soltanto un segno da me. Non c'era niente di male in questo. Era
venuto lì di sua spontanea volontà. - Riconosciamo d'accordo -,
gli dissi, - che siamo due uomini morti, e ragioniamo su questa
base da pari a pari. Non siamo tutti uguali davanti alla morte? -
dissi. Ammisi di esserci, lì, come un topo in trappola, ma ci
eravamo stati tirati per forza, e anche un topo in trappola può
dare un morso. Mi ribatté subito: - No: se non ci si avvicina alla
trappola finché non è morto. - Gli dissi che un giochetto del
genere andava bene per quei suoi amici indigeni, ma che lo credevo
troppo bianco per trattare a quel modo anche un topo. Sì,
desideravo ragionare con lui. Non per pregarlo di salvarmi la
vita, però. I miei compagni erano... beh!... quello che erano;
uomini come lui, in ogni modo. Tutto quel che gli chiedevamo era
di farsi avanti, accidenti al diavolo, e finirla. - Maledizione! -
dissi, mentre lui stava lì fermo impalato, - non vorrai mica
venire quaggiù ogni giorno col cannocchiale a contare quanti di
noi sono ancora in piedi. Avanti. Scatenaci contro la tua
maledetta gente, o lasciaci andare a morir di fame per il mare
aperto, perdio! Sei stato bianco, una volta, con tutte le tue
chiacchiere e che questo popolo è il tuo, e che tu sei uno di
loro. Lo sei davvero? E che diavolo ne ricavi? Che hai trovato qui
così maledettamente prezioso? Eh? Non vuoi averci qui tra i piedi,
eh? Siete duecento contro uno. Non vuoi che scendiamo in campo
aperto. Ah! parola mia che vi faremo divertire prima di finirla.
Mi parli di un assalto da vigliacco contro gente che non mi aveva
fatto nulla. Che me n'importa se non mi hanno fatto nulla, quando
io muoio di fame senza aver fatto quasi nulla neanche io? Ma non
sono un vigliacco. Non esserlo neanche tu. Portali qui o se no,
per tutti i diavoli, ti mandiamo in fumo e in cielo con noi metà
del tuo paese che non ha fatto nulla! -'
Era orrendo, in questo suo raccontare, quello scheletro torturato
e rattrappito, col viso sulle ginocchia, sopra un letto squallido,
in quell'orribile tugurio, e che rialzava la testa per guardarmi
con aria di trionfo maligno.
'Ecco che cosa gli dissi - sapevo che cosa bisognava dire,'
riprese, da prima fievole, ma eccitandosi via via con incredibile
crescendo, fino a uno scoppio focoso di disprezzo. '- Non vogliamo
mica cacciarci nella foresta a vagolare come una fila di scheletri
vivi, a cadere uno dopo l'altro, e che le formiche ci vengano
addosso prima ancora d'esser morti del tutto. Eh no... - Non
meritate un destino migliore -, fece. - E tu che cosa meriti? -
gli gridai, - infrattato qui, a empirti la bocca con la tua
responsabilità, e le vite innocenti, e il tuo maledetto dovere?
Che sai di me più di quanto io so di te? Io sono venuto qui a
cercar da mangiare. Capito? da riempirci la pancia. E tu, che cosa
sei venuto a cercare? Che hai domandato arrivando qui? Non ti
chiediamo altro che di darci battaglia o via libera per tornare là
da dove siamo venuti... - Io la battaglia te la darei anche subito
-, fa lui tirandosi i baffetti. - E io ti lascerei sparare su di
me e tanti saluti! ribattei. - Sarebbe per me un trampolino come
un altro. Sono stufo della mia maledetta scarogna. Ma sarebbe
troppo facile. Ci ho i miei uomini con me nella nassa - e perdio,
non sono tipo da levarmi dagli impicci lasciandoci loro, sangue di
Giuda! dissi. Rimase lì un momento sopra pensiero, e poi volle
sapere cos'avessi fatto (- laggiù, - dice, con un cenno del capo
al fiume a valle) per essere ridotto così. - Ci siamo forse dati
appuntamento per raccontarci la storia della nostra vita? - gli
domandai. - Comincia un po' tu. No? Beh, non muoio certo io dalla
voglia di starla a sentire. Tientela per te. So che non vale più
della mia. Ho vissuto... come hai fatto tu, benché tu parli come
uno di quelli che dovrebbero aver le ali per andare in giro senza
toccare questa sporca terra. Beh... sporca è, e io non ho ali.
Sono qui perché una volta nella mia vita ho avuto paura. Vuoi
sapere di che? Della prigione. Quella mi spaventa, e non m'importa
di fartelo sapere - se ti serve. Io non voglio domandarti che
spavento ti ha cacciato in questo buco d'inferno, dove sembri aver
trovato da far bene. E' la tua sorte; la mia è questa: il
privilegio di chiedere come una grazia di essere ammazzato subito,
o di esser cacciato a calci a morir di fame a modo mio... -'.
Il suo capo emaciato vibrava di un'esultanza veemente, sicura e
maligna, come se avesse cacciato via la morte che lo aspettava in
quella catapecchia. Il cadavere del suo matto amor proprio si
sollevava da quegli stracci e da quella miseria come dal buio
orrore di una tomba. E' impossibile dire quanto avesse mentito con
Jim allora, o quanto mentisse con me adesso - e con se stesso
sempre La vanità gioca dei tiri mancini alla nostra memoria, e la
verità del sentimento vuol esser tenuta viva da un po' di
finzione. Già davanti alla porta dell'altro mondo in veste di
mendicante, aveva preso a schiaffi questo mondo qui, gli aveva
sputato in faccia, gli aveva scaricato addosso quel cumulo di
disprezzo e di rivolta che era al fondo delle sue malefatte. Li
aveva vinti tutti - uomini, donne, selvaggi, mercanti, mascalzoni,
missionari... e Jim, quello straccione dal viso di carne cruda. Io
non gli contrastavo quel suo trionfo 'in articulo mortis,'
quell'illusione quasi postuma di essersi messo tutta la terra
sotto i piedi. Mentre si vantava con me, nella sua agonia sordida
e ripugnante, non potevo trattenermi dal pensare alle allegre
chiacchiere che circolavano sulla sua famosa avventura al tempo
del suo massimo splendore: quando, per un anno e più la nave di
Brown il Gentiluomo si vedeva, per molti giorni di seguito,
attardarsi nei dintorni di Erromanga, vicino a un'isoletta col suo
orlo verde in mezzo all'azzurro, e il puntino nero della Missione
sulla spiaggia bianca; quando Brown il Gentiluomo, a terra,
stregava col luccichio della propria fama una giovane donna
romantica cui la Melanesia aveva già fatto girare il cervello, e
al marito di lei faceva balenare il miraggio di una conversione
strabiliante. Il pover'uomo, qualche volta, s'era fatto sentire a
esprimere la speranza di 'avviare il Capitano Brown per una strada
migliore nella vita...' 'Imbarcare il Gentiluomo Brown alla volta
della Gloria celeste,' - come disse un giorno un vagabondo
dall'occhio maligno - 'se non altro per far vedere lassù com'è
fatto un capitano di lungo corso del Pacifico Occidentale.' E
questo era l'uomo - eccolo lì - che aveva rapito una moribonda, e
lagrimato sul suo cadavere.' 'Esaltato come un bambino,' non si
stancava mai di raccontare il suo secondo di allora, 'e che gusto
ci trovasse, ch'io possa essere ammazzato a calci da una carogna
di Kanaka se lo so. Signori miei! Era già troppo aggravata per
riconoscerlo, quando la portò a bordo; stava lì a pancia all'aria
nella cuccetta di Brown a fissare il trave con degli occhi
tremendamente lucidi... e poi morì. Qualche sorta di febbre
maligna direi, accidenti!...' Mi ritornavano a mente queste storie
mentre, asciugandosi la massa incolta della barba con la mano
livida e ossuta, Brown, dal fondo del suo ripugnante giaciglio, mi
raccontava come s'era rigirato, incocciato e tirato a bordo quello
là, quel tipo immacolato di santarellino. Dio lo fulmini! Ammise
che quello non era uomo da lasciarsi impressionare, ma che un modo
c'era, 'largo come una strada maestra, per arrivargli al cuore e
rivoltargli quella sua anima da due soldi, di dentro e di fuori,
dall'alto e dal basso, tutta sottosopra, per Dio!'".
CAPITOLO 42.
"Non credo che Brown fosse in grado di gettare più che uno sguardo
appena su quella 'via maestra.' Sembra tuttavia che quanto vi
aveva veduto lo avesse lasciato perplesso, perché s'interruppe più
di una volta nel suo racconto per esclamare: 'Qui mi sfuggì quasi
di mano. Non riuscivo ad agganciarlo. Ma chi era dunque?' E dopo
avermi guardato con occhi stralunati, riprendeva a narrare, con
giubilo e scherno. A me la conversazione di quei due sulle sponde
opposte del ruscello fa l'effetto di uno dei duelli più mortali
che il Destino abbia mai contemplato con gli occhi gelidi della
sua prescienza finale. No, non riuscì a voltar sottosopra l'anima
di Jim, ma, se proprio non m'inganno, dovette trasfondere in
quello spirito così fuori dalla sua portata, l'amarezza di
quell'incontro, tutta, fino alla feccia. Questi erano gli emissari
con i quali il mondo, a cui aveva rinunciato, lo veniva a scovare
nel suo rifugio: i bianchi, provenienti da 'laggiù', dove non si
sentiva degno di vivere. Solo questo gli arrivava: minaccia, urto,
pericolo per il suo lavoro. Immagino che fosse questo senso di
tristezza, tra il risentito e il rassegnato, che risalta nelle
poche sporadiche parole di Jim, a rendere Brown così per plesso di
fronte a quel carattere per lui indecifrabile. Certi grandi uomini
devono la maggior parte della loro grandezza al dono di saper
riconoscere in quelli che si scelgono a strumenti di lavoro, le
precise qualità che servono a loro; e Brown, come se fosse stato
davvero grande, aveva il dono satanico di scoprire i lati migliori
e quelli peggiori delle sue vittime. Mi ammise che Jim non era di
quelli che si possono vincere umiliandosi, e quindi ebbe cura di
assumere l'aspetto di un uomo che affronta impavido fortuna
avversa, mala fama e rovine. Il contrabbando di pochi fucili -
fece ben notare - non era poi un gran delitto. Quanto alla sua
venuta a Patusan, chi aveva il diritto di affermare che non era
venuto a elemosinare un pezzo di pane? Quel popolo maledetto gli
aveva sparato addosso dalle due rive senza neanche sapere chi era.
E qui spiegava tutta la sua sfacciataggine, ché in realtà l'azione
energica di Dain Waris aveva impedito calamità incalcolabili; e di
fatti proprio Brown mi aveva detto chiaro e tondo che, vista la
estensione del paese, aveva deciso immediatamente in cuor suo,
appena messovi piede, di appiccare il fuoco a destra e a sinistra,
ammazzando, intanto, qualunque essere vivente gli fosse venuto
sotto mano, per incutere rispetto e terrore alla popolazione. Ché,
data la sproporzione delle forze, non c'era altro modo di
assicurarsi appena una probabilità di riuscita: lo aveva detto
lui, a me, in un accesso di tosse. Ma non lo disse a Jim. Che
aveva sofferto fame e privazioni era verissimo: bastava guardare
la sua banda. Con un fischio acuto aveva fatto mettere tutti i
suoi uomini in fila sui tronchi, ben esposti perché Jim li
vedesse. L'uccisione dell'indigeno c'era stata va bene - ma la
guerra è la guerra, e senza sangue non si fa nulla a questo
mondo... E colui poi era stato ucciso in piena regola con una
palla nel petto, non massacrato come il suo, quel poveraccio che
adesso giaceva nel ruscello. Per sei ore aveva dovuto starlo a
sentir morire, con le budella sbrindellate dai proiettili
deformanti. In ogni modo, una vita per l'altra... E tutto questo,
detto con la stanchezza, il distacco, di un uomo cacciato avanti
dalla sfortuna, finché non gli importa più di niente. Non un
raggio di luce, non un momento di respiro nella disgrazia. Quando
domandò a Jim, a bruciapelo, con una specie di franchezza
disperata, se davvero lui - cuore in mano - non capiva che 'quando
si tratta di salvare la pellaccia al buio non si bada a chi ci va
di mezzo: tre, trenta, trecento persone,' fu come se questa frase
glie l'avesse soffiata all'orecchio un demonio. 'Lo feci diventar
bianco come la carta,' si vantò Brown con me. 'Smise subito di
fare la perla di virtù. Rimase lì senza parola, con una faccia da
temporale; e senza guardare me: guardando per terra.' Domandò a
Jim se nella sua vita non ci aveva proprio nessun punto nero per
essere così maledettamente duro contro un disgraziato che cercava
di cavarsi da un tremendo impiccio col primo mezzo che gli era
capitato sotto mano - eccetera eccetera. E sotto tutto questo
rozzo discorso correva una vena di subdoli riferimenti alla loro
comunanza di sangue, un assunto di comuni esperienze; un
disgustoso sottinteso di complicità, di compartecipazione a uno
stesso segreto che li teneva legati insieme: cervello e cuore.
Finalmente Brown si gettò lungo disteso per terra sbirciando Jim
con la coda dell'occhio. Jim, dalla sua parte del ruscello, in
piedi, sopra pensiero, si batteva la gamba col frustino. Le case
in vista erano silenziose come se fossero state completamente
svuotate di ogni alito di vita da una pestilenza; ma molti occhi
invisibili, dall'interno, osservavano i due uomini separati dal
ruscello, da una barca bianca arenata e dal cadavere di un terzo
uomo mezzo sprofondato nel fango. Sul fiume s'erano mosse di nuovo
le canoe, perché Patusan, da quando era tornato il Signore bianco,
stava riprendendo la propria fiducia nella stabilità delle
istituzioni terrene. La riva destra, le piattaforme delle case, le
zattere ormeggiate lungo le sponde, perfino i tetti delle capanne
da bagno eran gremiti di gente che, nell'assoluta impossibilità di
udire e quasi di vedere, aguzzava gli occhi verso l'altura oltre
la palizzata del Rajah. Dentro al vasto anello irregolare delle
foreste, spezzato in due punti dalla luminosità del fiume, tutto
era silenzio. 'Mi prometti di lasciare la costa?' domandò Jim.
Brown sollevò un braccio e lo lasciò ricadere, per far intendere
che si arrendeva all'inevitabile. 'E cederai le armi?' continuò
Jim. Brown si drizzò a sedere e lo guardò con occhi infocati.
'Cedere le armi? Mai, se non ce le verrete a levare dalle mani da
morti. Credi che la fifa mi abbia dato alla testa? No no! Quelle,
e quei quattro stracci che ho addosso, sono tutto quanto possiedo
al mondo, oltre a qualche altro fucile a retrocarica che ho a
bordo; e intendo vendere ogni cosa al Madagascar, se mai ci arrivo
- a forza d'elemosina da una nave all'altra.'
Jim non rispose. Alla fine, gettando via il frustino che teneva in
mano, disse, quasi per sé: 'Non so se ne ho il potere...' 'Non lo
sai! E un momento fa volevi che cedessi le armi! Questa sì che è
bella,' gridò Brown. 'E se a te dicono una cosa e con me ne fanno
un'altra?' Si calmò di molto. 'Immagino che il potere ce l'hai,
altrimenti che sugo c'era a far tutti questi discorsi?' soggiunse.
'Cosa sei venuto a fare qui? Quattro chiacchiere?'
'Benissimo,' fece Jim, alzando a un tratto la testa dopo una lunga
pausa. 'Avrai via libera o aperta battaglia.' Girò le spalle e si
allontanò.
Brown balzò subito in piedi, ma non salì sulla collina finché non
ebbe veduto Jim scomparire tra le prime case. Non doveva rivederlo
mai più. Rientrando incontrò Cornelius che scendeva curvo, con la
testa incassata nelle spalle: si fermò davanti a Brown. 'Perché
non lo hai ucciso?' domandò, con voce acida e scontenta. 'Perché
ho di meglio,' replicò Brown con un sorriso allegro. 'Niente!
Niente!' protestò Cornelius con energia. 'Impossibile. Io sono qui
da tanti anni.' Brown lo guardo con curiosità. C'erano molti
aspetti nella vita di quel paese in armi contro di lui, molte cose
che non avrebbe mai compreso. Cornelius, avvilito e strascicando
il passo, continuò la sua strada in direzione del fiume.
Abbandonava i suoi nuovi amici; accettava il corso desolato degli
avvenimenti con un'ostinazione arcigna che pareva rinsecchirgli
ancor più il suo viso di vecchio, piccolo e giallo; ora,
scendendo, gettava occhiate bieche di qua e di là, senza mai
abbandonare la sua idea fissa.
D'ora in poi gli avvenimenti precipitarono veloci, senza sosta,
fluendo dai cuori stessi degli uomini come un fiume da una occulta
sorgente, e vi troveremo in mezzo Jim, visto soprattutto
attraverso gli occhi di Tamb'Itam. Anche gli occhi della ragazza
lo avevano seguìto, ma la sua vita è troppo intrecciata con quella
di lui; e sempre la sua passione, il suo stupore, la sua collera,
e, soprattutto, la sua paura e il suo amore implacabili. Del servo
fedele, non meno inadatto degli altri a comprendere, la sola
fedeltà è in giuoco; una così piena fedeltà e fiducia nel suo
signore che perfino lo stupore si riduce in lui a una specie di
triste accettazione di un misterioso insuccesso. Non ha occhi che
per uno solo; e attraverso tutte le titubanze dello sbigottimento
egli conserva sempre il suo atteggiamento di guardiano, obbediente
e solerte.
Il suo padrone tornò dal colloquio con gli uomini bianchi,
avviandosi a passi lenti verso la palizzata sulla strada. Tutti si
rallegrarono a vederlo ritornare perché mentre era via ognuno
temeva non solo per la vita di lui, ma anche per se stesso; per le
conseguenze. Jim entrò nella casa dove si era ritirato il vecchio
Doramin e rimase solo a lungo col capo dei Bugi; senza dubbio per
prendere accordi con lui sul da farsi; ma nessuno fu presente al
colloquio. Soltanto Tamb'Itam, tenendosi il più vicino che poté
alla porta, sentì il suo padrone che diceva: 'Sì. Farò sapere a
tutto il popolo che tale è il mio desiderio; ma ho voluto parlare
a te, o Doramin, prima che a tutti gli altri, e da solo a solo:
perché tu conosci il mio cuore come io conosco il tuo, e il suo
più grande desiderio. Ma sai anche bene che non ho altro pensiero
che il bene del popolo.' Poi il suo padrone, sollevando la
portiera di stoffa, uscì, e lui, Tamb'Itam, ebbe un'occhiata dal
vecchio Doramin, seduto lì dentro nella sua poltrona con le mani
sulle ginocchia, e gli occhi fissi a terra tra un piede e l'altro.
Dopo, raggiunse il suo padrone sulla via del forte, dove tutti i
principali Bugi e i capi di Patusan erano stati convocati a
consiglio. Tamb'Itam, per conto suo, sperava che ci sarebbe stata
battaglia. 'Non si trattava che di conquistare un'altra collina,'
esclamò con aria malinconica. Tuttavia in paese molti speravano
che gli stranieri rapinatori si sarebbero decisi ad andarsene,
alla vista di tanti valorosi pronti a combattere. Da quando, prima
dell'alba, il forte aveva annunciato con una cannonata e col rullo
del tamburo il ritorno di Jim, la paura che incombeva su Patusan
si era spianata e frantumata, come un'onda su uno scoglio,
lasciandosi dietro la schiuma e il ribollire dell'eccitazione,
della curiosità e di interminabili dissertazioni. Metà della
popolazione era stata cacciata dalle case adibite alla difesa, e
viveva in mezzo alla via sulla riva sinistra del fiume,
affollandosi intorno al forte, con la preoccupazione di veder
incendiare da un momento all'altro le loro case vuote sulla riva
minacciata. Desiderio generale era di vedere la faccenda sistemata
al più presto. Gioiello si era incaricata di far distribuire
viveri ai ricoverati. Nessuno sapeva che avrebbe fatto il loro
uomo bianco. Qualcuno osservò che questa volta era peggio della
guerra contro lo sceriffo Alì. Quella, per molti, non ebbe grande
importanza; adesso invece tutti avevano qualche cosa da perdere.
Era seguìto con interesse il movimento delle canoe che andavano
avanti e indietro tra le due parti del borgo. Un paio di barche da
guerra Bugi stavano all'àncora in mezzo alla corrente per
proteggere il fiume; un filo di fumo si alzava sulla prua di
ognuna: gli uomini a bordo stavano cuocendo il loro rancio di
mezzogiorno quando Jim, finiti i suoi colloqui con Brown e
Doramin, attraversò l'acqua ed entrò nel forte dal cancello sul
fiume. Dentro, la gente gli si affollò talmente intorno che durò
fatica ad aprirsi la strada fino a casa. Non lo avevano veduto
fino allora perché, arrivato di notte, aveva scambiato appena due
parole con la ragazza, scesagli incontro all'imbarcadero, e subito
si era affrettato a raggiungere i capi e i guerrieri sull'altra
riva. Il popolo lo salutava con acclamazioni. Una vecchia sollevò
uno scoppio di ilarità facendosi largo come una pazza fino in
prima fila, per ingiungere a Jim, con voce minacciosa, di badare
che ai suoi due figli, del seguito di Dorarnin, non fosse torto un
capello per mano di quei ladroni. Parecchi degli astanti cercarono
di trascinarla via, ma lei gridava dibattendosi: 'Lasciatemi
stare! E che, oh Mussulmani! Che c'è da ridere? Sciagurati! Non
sono forse ladroni crudeli, assetati di sangue, e venuti per
sterminare?' 'Lasciatela,' fece Jim, e, nel silenzio che seguì
ìmmediatamente, disse, lento: 'Tutti saranno salvi.' E prima che
si fosse spento il grande sospiro e i forti mormorii di
soddisfazione che seguirono, era già entrato in casa sua.
Era senza dubbio deciso a lasciare a Brown via libera al mare. Il
suo destino gli si rivoltava contro e gli forzava la mano. Per la
prima volta si trovava a dover affermare la propria volontà di
fronte a un'opposizione dichiarata. 'Ci fu un gran parlare, e da
principio il mio padrone stava sempre zitto,' disse Tamb'Itam. 'Si
fece buio, e allora accesi le candele sul tavolo lungo. I capi
sedevano ai due lati e la signora rimase alla destra del mio
padrone.'
Quando cominciò a parlare, l'insolita resistenza parve ottenere il
solo effetto di rinsaldarlo solidamente nel suo proposito. I
bianchi sulla collina aspettavano la sua risposta. Il loro
capitano, parlandogli col linguaggio del suo proprio popolo, aveva
rese piane molte cose difficili da spiegarsi in altra lingua.
Erano dei traviati che i patimenti avevan fatto sordi al bene e al
male. E' vero che si erano già perdute delle vite, ma perché
perderne delle altre? Dichiarò, a quel raduno di capipopolo che
l'ascoltavano, che il loro benessere era il suo; le perdite, le
sue; i loro lutti, i suoi. Volse intorno lo sguardo su quei visi
seri in ascolto e disse loro di ricordarsi che avevano combattuto
e lavorato a fianco a fianco. Conoscevano il suo coraggio... Qui
si levò un mormorìo... E che lui non li aveva mai ingannati. Da
molti anni vivevano insieme. Amava il paese e i suoi abitanti di
un grandissimo amore. Era pronto a rispondere con la vita di
qualsiasi eventuale danno fosse capitato a loro per aver
consentito agli uomini bianchi e barbuti di ritirarsi. Erano gente
malvagia, ma anche il destino era stato malvagio con loro. Aveva
egli mai dato un cattivo consiglio? Le sue parole avevano mai
portato danno al popolo? domandò. Era convinto che era meglio
lasciar che quei bianchi e i loro seguaci se ne andassero col dono
della vita. Un dono assai modesto. 'Io, che voi avete messo alla
prova e trovato sempre fedele, vi chiedo di lasciarli andare.' Si
volse a Doramin. Il vecchio nakhoda non si mosse. 'Allora,' disse
Jim, 'richiama Dain Waris, tuo figlio e mio amico, perché a capo
di questa impresa io non ci voglio essere'".
CAPITOLO 43.
"Tamb'Itam dietro alla sua seggiola rimase folgorato. La
dichiarazione destò un'impressione enorme. 'Se ne vadano pure: è
il meglio a quanto pare a me, che non vi ho mai ingannati,'
insisté Jim. Seguì un silenzio. Nel buio del cortile si sentiva il
mormorìo sommesso, lo stropiccìo dei piedi di una moltitudine.
Doramin sollevò la testa pesante, e disse che leggere nei cuori è
impossibile quanto toccare il cielo con le dita - ma che
acconsentiva. Gli altri espressero a turno la loro opinione. 'E'
meglio,' 'Lasciateli andare,' e così via. Ma la maggior parte
disse semplicemente che 'credevano in Tuan Jim.'
In questa semplice formula di assenso è il nocciolo di tutta la
situazione; la loro fede, la sua lealtà; e il riconoscimento di
quella onestà che lo poneva agli stessi suoi occhi nel novero
degli uomini senza macchia che s'innalzano sul gregge. Le parole
di Stein: 'Romantico!... romantico!' sembrano superare quelle
lontananze che ormai non lo restituiranno mai più né al mondo
indifferente alle sue debolezze e alle sue virtù, né all'affetto
costante che, nello sbigottimento di un grande dolore e di una
eterna separazione, gli rifiuta l'elemosina delle lagrime. Dal
momento in cui la pura sincerità degli ultimi tre anni di vita
bastò a fargli riportare la vittoria sull'ignoranza, la paura e la
collera degli uomini, Jim non mi appare più come lo vidi l'ultima
volta - una macchiolina bianca che assorbiva tutta la tenue luce
rimasta sulla costa buia e il mare scuro - ma più grande e
compassionevole nella solitudine di quella sua anima che, anche
per colei che lo amò più di tutti, resta un amaro e insolubile
mistero.
E' evidente che non negò fede alle parole di Brown; non c'era
motivo di mettere in dubbio la sua storia, la cui autenticità
sembrava suffragata dalla sua rude franchezza, da quella sincerità
così maschia nell'accettare le conseguenze e la morale dei suoi
atti. Ma Jim non aveva idea dell'egoismo quasi inconcepibile
dell'uomo, di quell'egoismo che, se avversato o deluso nelle sue
pretese, lo riduceva pazzo di rabbiosa indignazione e di vendetta
come un autocrate contrastato. Ma se Jim non sospettava di Brown,
era però evidentemente preoccupato che non nascesse qualche
equivoco da portare a un urto e a spargimento di sangue. Per
questa ragione, appena partiti i capi malesi, pregò Gioiello di
dargli qualcosa da mangiare ché doveva uscire dal forte per andare
ad assumere il comando del borgo. All'obbiezione di lei che doveva
essere troppo stanco, Jim rispose che durante la sua assenza
poteva accadere qualcosa che non si sarebbe mai perdonato. 'Sono
responsabile di ogni vita nel paese,' disse. Dapprima appariva un
po' triste; la ragazza lo servì con le proprie mani, facendosi
dare da Tamb'Itam piatti e vassoi (del servizio che gli aveva
regalato Stein), ed egli finì per rianimarsi; le disse di tener
lei il comando ancora per una notte. 'Non possiamo pensare al
sonno, figliola,' disse, 'finché la nostra gente è in pericolo.' E
poi soggiunse scherzando che lei era il miglior soldato di tutti.
'Se tu e Dain Waris aveste fatto a modo vostro, non uno di quei
disgraziati oggi sarebbe vivo.' 'Sono molto cattivi?' domandò la
ragazza, curva sulla seggiola di lui. 'Certi uomini a volte
agiscono male senza essere molto peggiori degli altri,' rispose
Jim dopo un momento di perplessità.
Tamb'Itam seguì il suo padrone fino all'imbarcadero fuori del
forte. Era una notte limpida, ma senza luna; e mentre il centro
del fiume era buio, l'acqua sotto alle due rive rifletteva la luce
di molti fuochi 'come nella notte del Ramadan,' disse l'indigeno.
Barche armate andavano chete chete alla deriva per il buio
sentiero dell'acqua, oppure, ancorate, fluttuavano con un forte
sciacquìo. Quella notte Tamb'Itam ebbe molto da pagaiare con la
canoa, e molto da camminare alle calcagna del padrone: misurarono
più di una volta la strada dove ardevano i fuochi, e il
retroterra, al margine dell'abitato, dove piccole pattuglie
montavan la guardia nei campi. Tuan Jim dava ordini, ed era
ubbidito. In ultimo si recarono alla palizzata del Rajah, che
quella notte era difesa da un distaccamento degli uomini di Jim.
Il vecchio Rajah era fuggito quella mattina con la maggior parte
delle donne, in una sua casetta vicino a un villaggio nella
giungla, su un affluente del fiume. Kassim, rimasto lì, aveva
partecipato all'assemblea per spiegare con la sua aria di
indaffarata diligenza la sua diplomazia del giorno avanti. Ebbe
molto fredde accoglienze, ma riuscì a conservare la sua vivacità
sorridente e serena, e si dichiarò felicissimo quando Jim gli
disse secco secco che intendeva di guarnire quella notte la
palizzata coi suoi uomini. Allorché l'assemblea fu sciolta, lo si
sentì di fuori avvicinarsi a questo e a quel capo in procinto di
andarsene, parlando con voce alta e soddisfatta del territorio del
Rajah così ben difeso durante la sua assenza.
Gli uomini di Jim arrivarono verso le dieci alla palizzata, che
dominava la foce del ruscello, e Jim intendeva rimanerci finché
Brown venendo giù per il fiume non l'avesse oltrepassata. Accesero
un focherello sullo spiazzo liscio, erboso, fuori dalla cinta dei
pali, e Tamb'Itam posò a terra uno sgabello pieghevole per il suo
padrone. Jim gli disse di mettersi a dormire. Tamb'Itam si cercò
una stuoia e si distese poco distante; ma non gli riuscì di
chiuder occhio, benché sapesse di dover andare per una missione
importante prima dello spirar della notte Il suo padrone camminava
avanti e indietro davanti al fuoco, a capo chino e con le mani
dietro la schiena. Aveva un viso triste. Ogni volta che gli
passava vicino Tamb'Itam fingeva di dormire, perché il padrone non
si accorgesse che lui non lo perdeva di vista. Finalmente si
fermò, guardandolo dall'alto lì disteso, e disse piano: 'E'
l'ora.'
Tamb'Itam balzò in piedi e si mise a fare i preparativi. La sua
missione era di scendere lungo il fiume, precedendo di un'ora o
più la barca di Brown, a dire a Dain Waris, in modo formale e
perentorio, che i bianchi si dovevano lasciar passare
indisturbati. Jim non si fidava di nessun altro per questo
servizio. Prima di muoversi, Tamb'Itam domando un segno, più che
altro per formalità, giacché la sua posizione presso Jim la
conoscevano tutti. 'Perché, Tuan,' disse, 'il messaggio è
importante, e sono le tue precise parole quelle che porto.' Il suo
padrone si frugò prima in una tasca, poi nell'altra, e alla fine
si tolse dall'indice l'anello d'argento di Stein, che portava
quasi sempre, e lo consegnò a Tamb'Itam. Quando Tamb'Itam partì
per la sua missione, il campo di Brown sull'altura era buio, salvo
un'unica piccola luce che splendeva attraverso i rami di uno degli
alberi che gli uomini bianchi avevano tagliato.
Sul far della sera Brown aveva ricevuto da Jim un pezzo di carta
piegato su cui era scritto: 'Hai via libera. Parti appena la tua
barca sarà rimessa a galla dal flusso della mattina. Bada che i
tuoi uomini facciano ben attenzione, perché i cespugli ai due lati
del ruscello e della palizzata alla sua confluenza col fiume sono
pieni di uomini bene armati. Non ve la cavereste; ma non credo che
tu voglia spargimenti di sangue.' Brown lesse, strappò il foglio
in tanti pezzetti, e, volgendosi a Cornelius, che lo aveva
portato, disse con aria di motteggio: 'Addio, mio eccellente
amico.' Cornelius quel pomeriggio era andato giù al forte e si era
aggirato di soppiatto intorno alla casa di Jim. Questi lo incaricò
di portare il biglietto, prima perché sapeva l'inglese, e poi
perché Brown lo conosceva e non c era pericolo che i suoi uomini,
eccitati, lo ammazzassero per sbaglio, come sarebbe potuto
capitare a un Malese che si fosse avvicinato alla collina nel
crepuscolo.
Cornelius consegnò il biglietto, ma non se ne andò subito. Brown
sedeva davanti a un po' di fuoco, tutti gli altri erano sdraiati
per terra. 'Potrei dirti qualcosa che ti piacerebbe sapere,'
borbottò Cornelius di malumore. Brown non gli fece caso. 'Tu non
l'hai voluto ammazzare,' riprese l'altro, 'e che te n'è venuto? Ci
avresti ricavato un po' di soldi da parte del Rajah, oltre al
bottino di tutte le case Bugi; e così non prendi niente.' 'Faresti
meglio a levarti dai piedi,' brontolò Brown, senza nemmeno
guardarlo. Ma Cornelius si lasciò cadere al suo fianco e cominciò
a parlargli in fretta in fretta, sottovoce, dandogli un colpetto
sul gomito di quando in quando. Quel che aveva da dire fece
drizzar la schiena a Brown che tirò giù una bestemmia: ché l'altro
lo aveva semplicemente informato della pattuglia di Dain Waris giù
per il fiume. Lì per li Brown si considerò venduto e tradito in
pieno, ma gli bastò un momento di riflessione per convincersi che
a un tradimento non c'era neanche da pensarci. Non disse nulla, e
dopo un poco Cornelius osservò, con aria d'assoluta indifferenza,
che c'era un altra via d'acqua oltre al fiume, e che lui la
conosceva benissimo. 'Buono a sapersi,' fece Brown, drizzando le
orecchie; e Cornelius cominciò a parlare di quel che succedeva nel
borgo, e gli ripeteva tutto ciò che era stato detto in Consiglio
versando nell'orecchio di Brown un mormorìo monotono, come si fa
trovandosi in mezzo a gente addormentata, che non vogliamo
svegliare. 'Crede di avermi tirato via i denti, eh?' borbottò
Brown molto sottovoce... 'Sì. E' uno stupido. Un bamboccio. E'
venuto qui a portarmi via il mio,' continuò a mormorare Cornelius.
'E l'ha data da bere a tutti. Ma se succede qualcosa per cui non
gli crederanno più, come gli va a finire, a quello lì? E il Bugi
Dain che ti aspetta in agguato lungo il fiume, capitano, è proprio
quello che ti assalì quando sei arrivato. Brown osservò con
disinvoltura che certo avrebbe preferito di non incontrarsi con
lui, e con la stessa aria distaccata, distratta, Cornelius
dichiaro di conoscere una diramazione del fiume abbastanza larga
da passarci la barca di Brown fin oltre al campo di Dain Waris.
'Dovrete stare molto zitti, però,' soggiunse, come se fosse un
ripensamento, 'perché in un punto passiamo vicino
all'accampamento, alle sue spalle. Molto vicino. Sono accampati
sulla riva con le barche tirate in secco.' 'Oh, lo sappiamo come
si fa a star zitti come topi, non aver paura.' Cornelius pattuì
che, se doveva far da guida a Brown, questi gli avrebbe portato a
rimorchio la sua canoa. 'Bisognerà ch'io torni indietro in
fretta,' spiegò.
Mancavano un paio d'ore all'alba quando le vedette passarono
parola alla palizzata che i pirati bianchi stavano scendendo alla
barca. In brevissimo tempo da un'estremità all'altra di Patusan
ogni uomo armato fu all'erta, eppure le rive del fiume rimasero
così silenziose che, non fossero stati i fuochi a ravvivarsi a
tratti con leggeri bagliori improvvisi, il borgo poteva sembrare
addormentato come in tempo di pace. Una nebbia fitta stagnava
bassissima sull'acqua, creando una specie di illusoria luce grigia
che non rischiarava niente. Quando la scialuppa di Brown scivolò
dal ruscello nel fiume, Jim stava in piedi su un promontorio basso
davanti alla palizzata del Rajah proprio lì dove aveva messo piede
a Patusan la prima volta. Vide a un tratto un'ombra, tra quel
grigiore di nebbia, scendere solitaria, massiccia, evasiva, ogni
momento sottratta alla vista, carica di un mormorìo di voci
represse. Brown, al timone, udì la voce di Jim giungere calma:
'Via libera. Farete bene ad affidarvi alla corrente finché dura
questo nebbione; ma si alzerà presto.' 'Sì, tra poco ci si vedrà
chiaro,' rispose Brown.
I trenta o quaranta uomini che stavano pronti con i moschetti
imbracciati fuori della palizzata trattennero il respiro. Il
mercante Bugi, che incontrai poi sulla veranda di Stein, e che si
trovava tra loro, mi disse che la scialuppa, passando rasente al
promontorio, sembrò per un momento ingigantirsi e dominarlo come
una montagna. 'Se potete aspettare un giorno alla fonda,' gridò
Jim, 'cercherò di mandarvi qualcosa: un vitello, un po' di patate
dolci - quello che posso.' L'ombra alta veniva sempre più avanti.
'Sì. Bravo,' disse una voce opaca e attutita dalla nebbia. Nessuno
dei difensori inorecchiti capì il significato di quelle parole;
poi la barca di Brown e i suoi uomini passarono oltre, scomparendo
in silenzio come spettri.
E così Brown, invisibile nella nebbia, se ne andò da Patusan,
gomito a gomito con Cornelius, seduto a poppa della scialuppa.
'Forse ti darà un bel vitello,' disse Cornelius. 'Già; un bel
vitello. E patate. Te li ha promessi e te li dà. E' di parola. Mi
ha rubato tutto il mio. Un bel vitello è meglio che il bottino di
molte case.' 'Ti consiglio di tener la lingua a posto, se non vuoi
che qualcuno ti butti fuori bordo in questa nebbia stramaledetta,'
fece Brown. La barca sembrava immobile; non si vedeva niente,
nemmeno il fiume sottobordo, solo un pulviscolo umido volava e si
condensava, giù per le barbe e in faccia. Una fantasmagoria, mi
disse Brown. Ognuno di loro, in sé e per sé, si sentiva come se
fosse stato solo, alla deriva in una barca, sotto l'incubo di
presenze spettrali sospirose e mormoranti. 'Buttarmi fuori, eh? Ma
io saprei orientarmi,' mormorò Cornelius, immusonito. 'Vivo qui da
molti anni.' 'Non tanti da vedere attraverso a una nebbia come
questa,' ribatté Brown, abbandonato all'indietro col braccio che
gli dondolava sulla barra inoperosa. 'Sì. Anche attraverso a
questa nebbia,' ringhiò Cornelius. 'Molto bene,' commentò Brown.
'Vuoi farmi credere che sapresti ritrovare così alla cieca quel
canale secondario di cui hai parlato?' Cornelius grugnì. 'Vi
farebbe troppa fatica remare?' domandò dopo un silenzio. 'No,
perdio!' gridò Brown a un tratto. 'Fuori i remi laggiù.' Ci fu
nella nebbia un gran tramestìo, che dopo un poco si mutò nel
raschio regolare di invisibili remi contro invisibili scalmiere.
Per il resto, tutto come prima; e non ci fosse stato un leggero
sciacquìo era come remare in mezzo a una nuvola dalla navicella di
un pallone, mi disse Brown. Da lì in poi Cornelius non aprì bocca
se non per domandare lagnosamente che qualcuno gli aggottasse la
canoa, a rimorchio della scialuppa. A poco a poco la nebbia si
sbiancò e da prua schiariva. A sinistra Brown vide una massa
scura, che poteva sembrar la schiena della notte in fuga. A un
tratto un grande albero fronzuto gli fu sopra alla testa, e le
estremità di alcuni rametti, gocciolanti e immobili s'incurvarono
sottili, vicinissimi al bordo. Cornelius, senza una parola, gli
prese di mano la barra".
CAPITOLO 44.
"Non credo che si scambiassero più parola. La barca entrò nello
stretto canale secondario e la spinsero pontando i remi contro le
prode sfarinose; su cui, per la fitta oscurità, pareva che si
fossero tese due enormi ali nere dal fondo fino alla cima degli
alberi per tutto il suo spessore. Grandi goccie piovevano dal
fogliame dei rami attraverso la densità della nebbia. Cornelius
brontolò qualche cosa e Brown fece caricare le armi ai suoi
uomini. 'Vi darò il modo di far pari con loro prima di abbandonare
il campo, branco di storpiati che siete,' disse alla banda.
'Badate di non perdervi l'occasione, razza di cani.' Un ringhio
sordo rispose a quelle parole. Cornelius entrò in grande
agitazione per la sua malsicura canoa.
Intanto Tamb'Itam era arrivato a destinazione con un po' di
ritardo per la nebbia: ma aveva pagaiato regolarmente, tenendosi a
contatto con la sponda meridionale. Alla fine la luce del giorno
si accese come una fiammella in un globo di vetro smerigliato. Ai
due lati del fiume le sponde mettevano una sbavatura caliginosa,
in cui si delineavano accenni di forme un po' come colonne e,
molto in alto, ombre di intrecci ramosi. La nebbia, a fior
d'acqua, era ancora fitta; ma sull'accampamento si faceva buona
guardia. Infatti, all'avvicinarsi di Tamb'Itam, le sagome di due
uomini emersero dal vapore lattiginoso, e lo investirono voci in
tono violento. Rispose; e subito una canoa essendoglisi messa di
fianco, scambiò le notizie con i pagaiatori. Tutto bene. Il
pericolo era passato. Allora gli uomini della canoa mollarono
presa dal bordo di Tamb'Itam, e immediatamente scomparvero. Egli
tirò innanzi finche non udì delle voci che gli arrivavano calme
sull'acqua; e ora vide, sotto la nebbia che si sollevava in
turbini, il chiarore di molti piccoli fuochi accesi su una
spiaggiola di rena, contro uno sfondo di alberi alti e sottili e
di cespugli. Anche lì c'erano le sentinelle che gli diedero il chi
va là. Gridò il suo nome, e con due colpi di pagaia azzuccò la sua
barca sulla rena. C'era un vasto accampamento: uomini accoccolati
in molti gruppetti nel mormorio ininterrotto delle conversazioni
mattutine. Molti fili sottili di fumo si avvitavano lenti nella
nebbia biancastra. Elevati sul terreno, sporgevano i piccoli
rifugi dei capi. I moschetti erano raggruppati a fasci, e lunghe
lancie erano conficcate, una distante dall'altra, nella sabbia,
vicino ai fuochi.
Tamb'Itam, con aria d'importanza, volle esser accompagnato da Dain
Waris. Trovò l'amico del suo padrone bianco disteso su un alto
giaciglio di bambù, riparato da una specie di tettoia di stecchi
ricoperti di stuoie. Dain Waris era sveglio, e un fuoco vivo
ardeva davanti al suo giaciglio che sembrava una specie di rozzo
altare. L'unico figlio del nakhoda Doramin rispose cortesemente al
saluto Tamb'Itam per prima cosa gli consegnò l'anello, pegno di
fede del messaggio e della sua parola. Dain Waris, appoggiato sul
gomito, gli ordinò di parlare e di riferirgli le notizie. Dopo la
formula consacrata: 'Notizie, buone,' Tamb'Itam cominciò a
riferire le parole precise di Jim. Gli uomini bianchi, partiti con
il consenso di tutti i capi, dovevano aver passo libero giù per il
fiume. Rispondendo a una domanda o due, Tamb'Itam riferì sullo
svolgimento dell'ultima assemblea. Dain Waris ascoltò attentamente
fino in fondo, giocherellando con l'anello che alla fine si infilò
nell'indice della mano destra. Dopo aver ascoltato quanto aveva da
dire Tamb'Itam, lo mise in libertà che andasse a mangiare e a
riposarsi. Furono immediatamente impartiti gli ordini per il
ritorno in Patusan nel pomeriggio. Poi Dain Waris si stese di
nuovo, a occhi aperti, mentre i servi addetti alla sua persona gli
preparavano il rancio sul fuoco, vicino al quale anche Tamb'Itam
si era seduto a chiacchierare con gli uomini che si erano distesi
ad ascoltare le ultime notizie di Patusan. Il sole si andava
divorando la nebbia. Sul braccio principale de! fiume dove si
attendeva da un momento all'altro di veder apparire la barca dei
bianchi, gli uomini facevano buona guardia.
E qui Brown sì prese la sua rivalsa su quel mondo che dopo
vent'anni di bravacciate altezzose e temerarie gli rifiutava il
tributo di successo di ogni comune brigante. Fu un atto di ferocia
a sangue freddo, che sul suo letto di morte lo sosteneva come il
ricordo di un'indomita sfida. Sbarcò i suoi uomini alla
chetichella dal lato esterno dell'isola, dietro all'accampamento
Bugi, e glie la fece attraversare tutta. Dopo una breve, ma
silenziosissima discussione, Cornelius, il quale aveva tentato di
sgattaiolarsela al momento dello sbarco, si rassegnò a indicare la
via per il sottobosco più rado. Brown gli teneva tutte e due le
mani magre strette nel suo grande pugno dietro la schiena,
mandandolo avanti con un energico spintone. Cornelius restava muto
come un pesce, abietto, ma fedele al suo scopo, di cui
intravvedeva il raggiungimento vagamente, davanti a sé. Al margine
del terreno boscoso, gli uomini di Brown si sparpagliarono al
coperto, e aspettarono. L'accampamento era tutto scoperto da
un'estremità all'altra, in piena luce ai loro occhi, e non c'era
una sentinella da quella parte. Nessuno si sognava nemmeno che i
bianchi potessero aver sentore dello stretto canale che passava
alle spalle dell'isola. Tutti e due i suoi imbocchi erano così
stretti e irti di vegetazione che gli stessi indigeni, passando in
canoa, stentavano a trovarli. Quando credette venuto il buon
momento, Brown urlò: 'Addosso!' e quattordici colpi echeggiarono
come un colpo solo.
Tamb'Itam mi disse tanta essere stata la sorpresa che, tranne i
caduti morti o feriti, dopo quella scarica, e per un bel pezzetto,
non si mosse un'anima. Poi un uomo gettò un grido, e dopo quel
grido, salì da tutte le gole un grande urlo di sorpresa e di
paura. Sotto l'impeto di un panico cieco quegli uomini si
precipitarono in folla, ondeggiando e fluttuando, avanti e
indietro per la riva, come una mandria di buoi spaventati
dall'acqua. Qualcuno saltò nel fiume subito, ma i più si decisero
soltanto dopo la terza scarica. Tre volte gli uomini di Brown
spararono sulla massa, mentre Brown, l'unico che si mostrasse allo
scoperto, bestemmiava e urlava: 'Mirate basso! Mirate basso!'
Tamb'Itam dice che, quanto a lui, quel che era successo lo capì
alla prima scarica. Benché illeso, cadde e si tenne appiattato a
terra come morto, ma con gli occhi aperti. Ai primi colpi, Dain
Waris, balzando dal suo giaciglio, saltò fuori e alla seconda
scarica corse sulla riva allo scoperto, proprio in tempo per
prendersi una pallottola in fronte. Tamb'Itam lo vide spalancare
le braccia e cadere. Allora, dice, non prima, si sentì preso da
una grande paura. I bianchi si ritirarono com'erano venuti - non
visti.
Così Brown pareggiò il suo conto con la fortuna avversa. Nota che
perfino in questo orrendo misfatto si sente la superiorità
dell'uomo che porta in sé la realtà astratta del diritto
nell'involucro dei suoi comuni desideri. Non era un massacro da
volgare tradimento, quello; era una lezione, una retribuzione una
dimostrazione di qualche attributo oscuro e spaventoso della
nostra natura, il quale temo non sia così a fondo sotto la scorza
quanto ci fa comodo di credere.
Poi i bianchi si allontanarono non visti neanche da Tamb'Itam, e
sembrarono così svanire del tutto di sotto gli sguardi umani; e
anche lo schooner scomparve al modo della roba rubata. Si racconta
però di una scialuppa bianca raccolta un mese dopo nell'Oceano
Indiano da un vapore mercantile. C'erano dentro due scheletri
rinsecchiti, gialli, con gli occhi vitrei e con un fil di voce,
sottomessi all'autorità di un terzo scheletro che dichiarò di
chiamarsi Brown. Il suo schooner, disse, diretto al sud con un
carico di zucchero giavanese, aveva fatto una brutta avaria e gli
era affondato sotto i piedi. Lui e i suoi compagni erano i
superstiti di una ciurma di sei. Gli altri due morirono a bordo
del vapore che li aveva salvati. Non ha importanza. Brown visse
per farsi vedere da me, e posso testimoniare che restò fedele a se
stesso fino all'ultimo.
Sembra, tuttavia, che, nell'andarsene, avessero trascurato di
sganciare la canoa di Cornelius. Lui, Cornelius, Brown lo aveva
lasciato libero all'iniziò della sparatoria, con un calcio
d'estrema benedizione. Tamb'Itam, sorto su di tra i morti, vide il
Nazareno correre su e giù per la riva tra i cadaveri e i fuochi in
estinzione, con grida sottili. A un tratto si precipitò verso il
fiume, e con sforzi frenetici tentò di varare una barca Bugi.
'Dopo, finché non mi ebbe scorto,' riferì Tamb'Itam, 'rimase lì in
piedi a guardare la pesante canoa grattandosi la testa.' 'Che ne è
stato di lui?' domandai. Tamb'Itam, guardandomi fisso, fece un
gesto espressivo col braccio destro. 'Due volte l'ho colpito,
Tuan,' fece. 'Quando mi vide avvicinare si gettò a terra
scalciando, e gridando forte. Due volte l'ho colpito. Strillò come
una gallina spaventata finché non sentì la punta; poi tacque, e
rimase steso lì, a guardarmi fisso, mentre la vita gli usciva
dagli occhi.'
Tamb'Itam non si attardò oltre. Capì l'importanza di arrivar primo
con le orrende notizie al forte. C'erano, naturalmente, molti
superstiti della pattuglia di Dain Waris; ma nel furore del panico
qualcuno aveva attraversato il fiume a nuoto, altri erano fuggiti
nella macchia. In realtà nessuno sapeva precisamente chi avesse
fatto il colpo - e se non fossero in via altri predoni bianchi, e
se non avessero già dilagato per tutto il paese. Immaginavano
senz'altro di essere vittime di un tradimento in grande, votati
alla distruzione totale. Si dice che alcuni piccoli gruppi non
giunsero a casa che tre giorni dopo. Comunque, pochi tentarono di
tornare subito a Patusan. Una delle canoe che quella mattina erano
di ronda sul fiume, si trovò in vista del campo proprio al momento
dell'assalto. E' vero che da principio gli uomini si buttarono di
sotto, e nuotarono fino alla riva opposta, ma poi tornarono nella
barca e ripresero la rotta, incerti, contro corrente. Su costoro.
Tamb'Itam aveva un'ora di vantaggio".
CAPITOLO 45.
"Quando Tamb'Itam, pagaiando come un matto, arrivò in vista del
paese, le donne stavano affollate sulle piattaforme davanti alle
case, aspettando il ritorno della flottiglia di Dain Waris. Il
borgo aveva un'aria festosa; qua e là si vedevano gruppi di
uomini, ancora armati di lance e fucili, muoversi o star fermi a
capannelli lungo la riva. I negozi cinesi avevano aperto di
buon'ora; ma il mercato era vuoto, e una sentinella, ancora al suo
posto all'angolo del forte, riconobbe Tamb'Itam e diede la voce a
quelli di dentro. Il cancello era spalancato. Tamb'Itam saltò a
terra e si precipitò dentro. La prima persona che incontrò fu la
ragazza che usciva di casa.
Tamb'Itam, sconvolto, affannato, con le labbra tremanti e gli
occhi stralunati, rimase un momento davanti a lei come paralizzato
da un improvviso sortilegio. Poi disse a precipizio: 'Hanno ucciso
Dain Waris e molti altri.' La ragazza si torse le mani, e le sue
prime parole furono: 'Chiudi i cancelli.' La maggior parte degli
uomini del forte erano tornati alle loro case, ma Tamb'Itam
trasmise l'ordine immediato ai pochi rimasti per il turno di
guardia. La ragazza rimase immobile in mezzo al cortile, mentre
gli altri correvano qua e là 'Doramin,' esclamò disperata, mentre
Tamb'Itam le passava vicino. Quando ripassò, rispose in fretta al
pensiero inespresso di lei. 'Sì. Ma noi abbiamo tutta la polvere
di Patusan.' Lo afferrò per un braccio e, indicando la casa: 'Va'
a chiamare lui,' mormorò, tutta in tremito.
Tamb'Itam corse su per i gradini. Il suo padrone dormiva. 'Sono
io, Tamb'Itam,' gridò alla porta: 'con notizie che non possono
aspettare.' Vide Jim rivoltarsi sul cuscino e aprire gli occhi, e
aggiunse subito: 'Questo, Tuan, è giorno di sventura, giorno
maledetto.' Il suo padrone si sollevò su un gomito per ascoltarlo
- proprio come aveva fatto Dain Waris. E allora Tamb'Itam cominciò
il suo racconto, cercando di riferire i fatti per ordine,
chiamando Dain Waris 'Panglima;' e stava dicendo:
'Allora il Panglima gridò al suo capo-voga: - Da' a Tamb'Itam
qualcosa da mangiare -', quando il suo padrone mise i piedi a
terra e lo guardò con un viso così sconvolto che gli chiuse le
parole in gola.
'Parla,' fece Jim. 'E' morto?' 'Possa tu vivere a lungo,' esclamò
Tamb'Itam. 'E' stato il più infame dei tradimenti. Corse fuori ai
primi colpi, e cadde...' Il suo padrone si avvicinò alla finestra
e con un pugno aprì le imposte. La stanza si illumino; e allora
con voce sicura, ma parlando rapidamente, cominciò a dargli gli
ordini: radunare una flotta di barche per un immediato
inseguimento; andare da questo e da quello... mandare messaggeri;
e mentre parlava sedette sul letto, chinandosi ad allacciarsi le
scarpe in fretta. A un tratto alzò gli occhi: 'Sei ancora lì?'
domandò, acceso in volto. 'Non perdere tempo.' Tamb'Itam non si
mosse. 'Perdonami, Tuan, ma... ma,' cominciò a balbettare. 'Che
cosa?' gridò il suo padrone alzando la voce, terribile
nell'aspetto, e inclinato in avanti, stringendo con tutte e due le
mani l'orlo dei letto. 'Non è prudente per il tuo servo uscire in
mezzo al popolo,' disse Tamb'Itam dopo un attimo di esitazione.
Allora Jim capì. Si era ritirato da un mondo, per un incidente da
nulla: un salto istintivo; e ora quest'altro mondo, che si era
costruito con le sue mani, gli era crollato addosso. Non era
prudente per il suo servo uscire in mezzo al suo popolo! Credo che
da quel preciso momento abbia deciso di sfidare il disastro
nell'unico modo in cui gli parve che un simile disastro si potesse
sfidare; questo soltanto so, che, senza dir parola, uscì dalla sua
stanza e sedette davanti alla lunga tavola, in capo alla quale era
abituato a dirigere gli affari di questo suo mondo, proclamando
quotidianamente la verità che gli viveva sicura in cuore. Ma era
romantico - romantico - e tuttavia leale. Le potenze oscure non
gli avrebbero rubata due volte la pace. Sedeva come una statua di
pietra. Tamb'Itam, deferente, accennò ai preparativi di difesa. La
sua amata entrò a parlargli, ma Jim fece un cenno con la mano, ed
ella rimase atterrita a quel muto disperato invito al silenzio. La
ragazza uscì sulla veranda e sedette sulla soglia, come a
difenderlo con la sua persona dai pericoli esterni.
Quali pensieri gli passarono per il capo quali memorie? Chissà?
Tutto era finito, e lui che già una volta aveva mancato fede al
suo compito aveva perduto un'altra volta la fiducia degli uomini.
Fu allora, credo, che tentò di scrivere - a qualcuno - e poi vi
rinunziò. La solitudine gli si stringeva addosso. Solo per questo
la gente gli aveva affidato la propria vita - e intanto nessuno
mai, come aveva detto lui, mai sarebbe stato in grado di capirlo.
Quelli di fuori non gli udirono pronunciare parola. Più tardi,
verso sera, comparve sulla soglia a chiamare Tamb'Itam. 'Ebbene?'
domandò. 'C'è molto pianto. Anche molta collera,' rispose
Tamb'Itam. Jim lo guardò. 'Tu sai,' mormorò. 'Sì, Tuan,' disse
l'altro. 'Il tuo servo sa, e i cancelli sono chiusi.
Combatteremo.' 'Combattere? A che scopo?' domandò Jim. 'Per la
vita.' 'Io non ho vita,' rispose. Tamb'Itam udì un grido della
ragazza che era sull'uscio. 'Chi sa?' disse Tamb'Itam. 'Con
audacia e accortezza potremmo forse fuggire. C'è anche molta Paura
nei cuori degli uomini.' Uscì, pensando vagamente alle barche e al
mare aperto, e lasciò Jim solo con la ragazza.
Non mi basta l'animo di riferire qui le brevi notazioni di
Gioiello sulla sua lotta di più d'un'ora per il possesso della
propria felicità. Se a lui restasse qualche speranza - se e cosa
aspettasse, o immaginasse - è impossibile dire. Fu irremovibile, e
nell'isolamento sempre più cupo della sua ostinazione, il suo
spirito sembrò sollevarsi al disopra delle rovine della sua
esistenza. Gli gridò nelle orecchie: 'Combatti!' Lei non capiva. A
che scopo combattere? Egli avrebbe dimostrato altrimenti la sua
forza, vincendo la fatalità stessa del suo destino. Uscì in
cortile; la ragazza lo seguì barcollando, con i capelli sciolti,
il viso sconvolto, ansimante, e si appoggiò allo stipite. 'Aprite
i cancelli,' ordinò Jim. Poi, rivolto a quei suoi uomini che
stavano nel forte, diede loro il permesso di tornare a casa. 'Per
quanto tempo, Tuan?' domandò timidamente uno di essi. 'Tutta la
vita,' rispose con voce cupa.
Sul borgo era disceso il silenzio. Dopo un primo scoppio di gemiti
e lamentazioni che avevano spazzato il fiume come una raffica di
vento venuta dall'aperta dimora del dolore, sul borgo era disceso
il silenzio. Ma le dicerie si spandevano in labili mormorazioni, e
riempivano i cuori di atroci dubbi e di costernazione. I predoni
stavano per tornare, e con loro ne avrebbero portati chi sa quanti
altri in una grande nave, e non ci sarebbe più stato scampo per
nessuno in paese. Un senso di totale sbigottimento, come durante
un terremoto, empiva l'animo degli uomini che si mormoravano i
loro sospetti, guardandosi l'un l'altro negli occhi come in
presenza di un pauroso presagio.
Il sole calava verso le foreste quando portarono il corpo di Dain
Waris nel campong di Doramin. Lo portarono quattro uomini, coperto
pietosamente da un lenzuolo che la vecchia madre aveva mandato al
cancello incontro al figlio che le tornava. Lo posarono ai piedi
di Doramin, e il vecchio sedette a lungo immobile, con le mani
sulle ginocchia, guardando in terra. Le fronde delle palme
ondeggiavano dolcemente e sul suo capo palpitava il fogliame degli
alberi da frutto. Tutti gli uomini del suo popolo erano lì, armati
di tutto punto, quando il vecchio nakhoda alla fine alzò gli
occhi. Li volse lentamente sulla folla, quasi cercando un viso che
mancava. Il mormorìo della moltitudine si mescolava al fruscìo
lieve delle foglie.
Era lì anche il Malese che portò poi Tamb'Itam e la ragazza a
Samarang. 'Non in rivolta come tanti altri,' mi disse, 'ma colpito
da sgomento e stupore di fronte al destino subitaneo che pende sul
capo degli uomini come una nuvola carica di tuoni.' Mi disse che
quando, a un cenno di Doramin, scopersero il corpo disteso di Dain
Waris, colui che usavano chiamare l'amico del Signore bianco
apparve immutato, con le palpebre socchiuse, come sul punto di
svegliarsi. Doramin si inclinò un poco più in avanti, quasi
cercasse qualche cosa caduta per terra. Percorse con gli occhi
tutto il corpo dai piedi alla testa, forse per vedere dov'era
ferito. Il foro era nella fronte, e piccolo; nel più profondo
silenzio uno degli astanti, chinandosi sul cadavere, sfilò
l'anello d'argento dalla mano fredda, rigida, e in silenzio lo
mostrò a Doramin. Allora corse per la folla un mormorìo d'orrore e
di sgomento alla vista di quel pegno ben noto. Il vecchio nakhoda
lo fissò a occhi sbarrati, e ad un tratto lanciò un gran grido
selvaggio, dal profondo del petto; un ruggito di dolore e di
rabbia, potente come il muglio di un toro ferito, che mise un gran
timore nel cuore degli uomini per la smisurata forza della sua
collera e della sua pena, chiarissime così, senza parola. Seguì un
gran silenzio per qualche attimo, mentre quattro uomini
sollevavano il corpo e, spostandosi da un lato lo deponevano sotto
un albero. Immediatamente, con un solo lungo urlo, le donne della
casa cominciarono a far lamento tutte insieme, piangendo con acute
strida. Il sole volgeva al tramonto; nelle pause delle grida delle
lamentatrici si sentivano, staccate, le voci alte a cantilena di
due vecchi che intonavano il Corano.
Press'a poco nello stesso momento, Jim, appoggiato a un affusto di
cannone, guardava il fiume, volgendo le spalle alla casa; e la
ragazza, ansimante nel rettangolo della porta, come se fosse
venuta di corsa a fermarsi lì, lo guardava di là dal cortile.
Tamb'Itam in piedi, non lontano dal suo padrone, stava in paziente
attesa degli avvenimenti. Ad un tratto Jim, che sembrava immerso
in calmi pensieri, si voltò verso di lui dicendo: 'E' ora di
finirla.'
'Tuan?' disse Tamb'Itam con premura. Non capiva le intenzioni del
suo padrone, ma al primo movimento di Jim, anche la ragazza si era
mossa, uscendo all'aperto. Pare che nessun altro della casa fosse
in vista. Barcollava un poco, e circa a metà cammino chiamò Jim,
che sembrava aver ripreso a contemplare tranquillamente il fiume.
Egli si voltò, appoggiando la schiena al cannone. 'Combatterai?'
gli gridò. 'Non c'è ragione di combattere,' le rispose; 'niente è
perduto.' Così dicendo fece un passo verso di lei. 'Fuggirai?'
gridò ancora la ragazza. 'Non c'è via di scampo,' ribatté,
fermandosi lì su due piedi; e anche lei si fermò, in silenzio,
fissandolo con occhi di fuoco. 'E andrai là?' disse lentamente.
Jim chinò la testa. 'Ah!' esclamò la fanciulla, fissandolo come a
scrutarlo. 'O sei pazzo, o mancatore di parola. Ti ricordi la
notte che ti pregai di andartene, e tu dicesti che non potevi? Che
era impossibile! Impossibile! Ti ricordi che dicesti che non mi
avresti mai lasciata? Perché? Io non ti domandavo nessuna
promessa. Me l'hai fatta tu spontaneamente - ricordatene.' 'Basta,
poveretta,' rispose. 'Che varrei ormai, se restassi?'
Tamb'Itam disse che mentre parlavano la ragazza scoppiò a ridere
forte e senza senso, come una visitata da Dio, sicché il suo
padrone dovette chiudersi la testa tra le mani. Era vestito di
tutto punto come sempre, ma senza cappello. A un tratto Gioiello
smise di ridere. 'Per l'ultima volta,' gridò minacciosa, 'ti vuoi
difendere o no?' 'Niente può toccarmi,' ribatté Jim con un ultimo
lampo di superbo egoismo. Tamb'Itam la vide curvarsi in avanti,
aprire le braccia e correre veloce verso Jim, abbattersi sul suo
petto e abbracciarlo al collo.
'Ah! ma io ti terrò così,' gridò... 'Tu sei mio!'
Era scossa da singhiozzi violenti. Il cielo sopra Patusan era
sanguigno, immenso, colava sangue come una vena aperta. Un sole
enorme, scarlatto, si annidava tra le cime degli alberi, e, sotto,
la foresta aveva un volto nero e sinistro.
Tamb'Itam mi disse che quella sera l'aspetto del cielo era
crucciato e minaccioso. Posso ben crederlo, perché so che proprio
quel giorno un ciclone era passato entro il raggio di sessanta
miglia dalla costa, sebbene lì non spirasse che una languida
brezza.
A un tratto Tamb'Itam vide Jim afferrarle le braccia, nel
tentativo di staccarsi le mani di lei dal collo. Essa stava appesa
con la testa rovesciata all'indietro; i capelli toccavano terra.
'Vieni qui, tu!' gli gridò il padrone, e Tamb'Itam lo aiutò a
metterla giù. Fu difficile scioglierle le dita. Jim, curvo su lei
a terra, la fissò a lungo nel viso, poi, di colpo, si slanciò
verso l'imbarcadero. Tamb'Itam lo seguì, ma, volgendo il capo,
vide che la ragazza si era rimessa in piedi a fatica. Li rincorse
per qualche passo, e ricadde pesantemente sulle ginocchia. 'Tuan!
Tuan!' chiamò Tamb'Itam; 'voltati e guarda!' Ma Jim stava già
nella canoa, in piedi, con la pagaia in mano. Non si voltò.
Tamb'Itam ebbe appena il tempo di arrampicarsi a bordo, che la
canoa prese il largo. La ragazza era sempre in ginocchio,
torcendosi le mani, al cancello d'imbarco. Rimase così per un po'
in atto di implorazione prima di balzar su e a gridargli dietro:
'Traditore!' 'Perdonami!' rispose Jim. 'Mai! Mai!' ribatté.
Tamb'Itam tolse la pagaia di mano a Jim perché era indecoroso che
lui stesse a sedere mentre il suo signore remava. Quando toccarono
la riva opposta, il suo padrone gli proibì di proseguire; ma
Tamb'Itam lo seguì a distanza, salendo l'erta fino al campong di
Doramin.
Cominciava a imbrunire. Torcie occhieggiavano qua e là. Quelli che
incontravano sembravano atterriti e si facevano subito da parte al
passaggio di Jim. Dall'alto scendeva il lamento delle donne. Il
cortile era pieno di Bugi armati con i loro seguaci, di gente di
Patusan.
Non so precisamente che scopo avesse questa adunata. Erano
preparativi di guerra, o di vendetta, o di difesa da una minaccia
d'invasione? Trascorsero molti giorni prima che la gente cessasse
di star in vedetta, trepidante, per il ritorno degli uomini
bianchi dalle lunghe barbe e dagli abiti a brandelli, di cui non
erano mai arrivati a capire gli esatti rapporti col loro uomo
bianco. Anche per quei semplici cervelli Jim rimane nell'ombra di
una nuvola.
Doramin solo, immenso e desolato, sedeva nella sua poltrona, con
le sue due pistole a pietra focaia sulle ginocchia, di fronte alla
folla armata. Quando comparve Jim, si levò qualche esclamazione,
le teste si voltarono tutte insieme, poi la massa si aprì a destra
e a sinistra, e lui avanzò lungo un sentiero di sguardi volti
altrove. Era seguito da sommessi mormorii; da sussurri: 'Tutto il
male ci viene da lui;' 'Possiede un sortilegio... '. Egli, forse,
li sentì.
Quando entrò nella zona di luce delle torcie, il lamento delle
donne cessò tutt'a un tratto. Doramin non alzò il capo, e Jim gli
stette fermo davanti per un po', in silenzio. Poi si guardò a
sinistra e si avviò in quella direzione a passi lenti. La madre di
Dain Waris stava accoccolata vicino alla testa del cadavere, con
la faccia coperta dai suoi capelli grigi in disordine. Jim si
avvicinò piano piano e, sollevato il lenzuolo, guardò il suo amico
morto; poi riabbassò il lenzuolo senza una parola. Lentamente
tornò indietro.
'E' venuto! E' venuto!' passava di bocca in bocca, formando un
mormorìo che accompagnava i suoi passi. 'Ha preso tutto questo sul
suo capo,' disse forte una voce. Jim sentì e si voltò verso la
folla. 'Sì. Sul mio capo.' Qualcuno si tirò indietro. Jim attese
un poco davanti a Doramin, e poi disse con dolcezza: 'Sono venuto
in tristezza.' Aspettò ancora. 'Sono venuto, preparato e
senz'armi,' ripeté.
Il pesante vecchio, abbassando la fronte enorme come un bove sotto
al giogo, fece uno sforzo per alzarsi, impugnando le pistole che
teneva sulle ginocchia. Gli uscì dalla gola come un gorgoglio
soffocato, disumano, e i suoi due servi lo aiutarono sostenendolo
alle spalle. La gente osservò che l'anello, che si era lasciato
cadere sulle ginocchia, era rotolato fino ai piedi dell'uomo
bianco, e che il povero Jim aveva abbassato un momento gli occhi
su quel talismano che gli aveva aperto la porta alla fama,
all'amore, al successo entro muri di foreste orlati di schiuma
bianca, e la costa che, a calasole, sembra il baluardo stesso
della notte. Doramin, rizzandosi faticosamente in piedi, formava
con i suoi due sostegni un gruppo instabile e barcollante; i suoi
piccoli occhi guardavano fissi con un'espressione di dolore pazzo,
di rabbia, e una luce selvaggia che non sfuggì agli astanti; poi
mentre Jim in piedi - rigido e a capo scoperto nella luce delle
torcie, lo fissava dritto in viso - si appoggiò pesantemente col
braccio sinistro al collo di uno dei giovanotti, che piegò sotto
il peso, e, alzando deliberatamente la destra, sparò a bruciapelo
contro il petto dell'amico di suo figlio.
La folla, che si era subito aperta alle spalle di Jim quando
Doramin alzò la mano armata, si precipitò in avanti tutta insieme
dopo il colpo. Si dice che l'uomo bianco lanciò a destra e a
sinistra su tutti quei volti uno sguardo fermo e superbo. Poi, una
mano sulle labbra, cadde in avanti, morto.
Ed è finito. Egli se ne va nell'ombra di una nuvola, col suo cuore
imperscrutabile; dimenticato, non perdonato ed estremamente
romantico. Nemmeno le folli visioni dei più bei giorni della sua
infanzia avrebbero potuto creargli più attraente visione di uno
straordinario successo! Perché può ben darsi che, nel breve attimo
del suo ultimo sguardo fermo e superbo, abbia veduto il volto di
quell'Occasione che gli si era messa al fianco tutta velata come
una sposa orientale.
Ma noi possiamo vederlo, oscuro conquistatore di rinomanza,
strapparsi dalle braccia di un'innamorata gelosa, al cenno, alla
chiamata del suo esaltato egoismo. Egli se ne va lontano da una
donna viva per celebrare spietate nozze con una vaga idealità di
condotta. E' forse proprio del tutto soddisfatto adesso? Dovremmo
saperlo. E' uno di noi - non mi sono io fatto garante, una volta,
come uno spettro evocato, della sua eterna costanza? E, dopo
tutto, mi ero proprio sbagliato? Ora che lui non c'è più, certi
giorni la realtà della sua esistenza mi viene incontro con una
forza immensa, soverchiante; eppure, sul mio onore, vi sono anche
momenti in cui mi appare agli occhi della mente come uno spirito
disincarnato sperduto tra le passioni di questa terra - pronto a
rendersi puntualmente alla chiamata del suo mondo di ombre.
Chi sa? Se n'è andato, col suo imperscrutabile cuore e la povera
ragazza trascina una specie di vita inerte, sorda, nella casa di
Stein. Stein è invecchiato molto negli ultimi tempi. Lo sente da
sé, e dice spesso che si sta 'preparando a lasciare tutto questo;
si sta preparando a lasciare...' e triste accenna con la mano alle
sue farfalle".
Settembre 1899-luglio 1900.
FINE.